Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa

Dizionario Storico Tematico La Chiesa in Italia
Dopo l'Unità Nazionale
Roma 2015
Copyright © 2015

L'Università Cattolica del Sacro Cuore - vol. II


Autore: Maria Bocci

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L’Università Cattolica è stata un luogo genetico di snodi cruciali e di svolte rilevanti dell’Italia contemporanea. Il progetto culturale da cui è nata, per volontà del padre fondatore e «rettore a vita» Agostino Gemelli (1921-1959), le ha permesso di dare un contributo importante alla modernizzazione del Paese e alla sua evoluzione politica e culturale. L’Università Cattolica ha influito anche nella storia della spiritualità. Basti pensare all’intreccio peculiare fra Sacro Cuore e regalità di Cristo che l’ha connotata nei primi decenni di vita, oppure alla creazione, voluta da Gemelli, di uno dei primi sodalizi di laici consacrati e alla capacità di pervadere la società tramite i canali dell’Azione Cattolica, alcuni dei quali – come la Gioventù femminile di Armida Barelli e gli Uomini cattolici di Piero Panighi – erano guidati dai più stretti collaboratori del rettore.

La progettazione di un ateneo cattolico risale all’epoca post-unitaria e coinvolge le figure più rappresentative dell’intransigentismo, alcuni conciliatoristi e, più tardi, i democratici cristiani. L’appello alla libertà d’insegnamento ne costituisce l’asse portante, che si è arricchito alla fine dell’Ottocento, quando in seno al → cattolicesimo organizzato è iniziato un ripensamento sul livello culturale del mondo cattolico italiano, cui ha partecipato, qualche tempo dopo, un giovane francescano laureato in Medicina a Pavia, Agostino Gemelli. Gemelli, che si era convertito nel 1903 provenendo dalla militanza socialista e da una formazione scientifica intrisa di positivismo, riteneva che in Italia mancassero intellettuali capaci di indirizzare i cattolici a un fertile incontro tra prospettiva religiosa e modernità scientifica. A suo giudizio, occorreva dare un’«anima» alla modernità e rileggere il portato della tradizione in funzione di esigenze moderne, assimilando le valenze positive del progresso. L’itinerario culturale e religioso di Gemelli, le capacità organizzative di cui era dotato e i contatti con Lovanio e con Giuseppe Toniolo ne facevano un interlocutore apprezzato da coloro che, da tempo, auspicavano un ateneo cattolico. Attorno a Gemelli si raccoglieva dunque un gruppo di amici che dava origine ad alcune iniziative, come «Vita e Pensiero» e la «Rivista di filosofia neo-scolastica». Subito dopo la guerra, nel 1919, si costituiva un comitato promotore; l’anno successivo, entrava in funzione l’Istituto Toniolo di studi superiori, ente fondatore e finanziatore dell’ateneo. Nel 1920 la Sacra Congregazione dei seminari e delle università degli studi emanava un decreto di approvazione, seguito, nel ’21, dal breve Cum semper firmato dal pontefice. L’ateneo nasceva con il fine di riempire l’involucro politico risorgimentale di un contenuto cattolico, che doveva trasformare i connotati politici, economici e sociali dell’Italia unita. Gemelli non puntava sull’immediato, né condivideva sino in fondo la prospettiva sturziana, che accusava di intervenire a supporto dello Stato liberale. L’auspicio era quello di uno Stato cattolico, nella sostanza del sistema normativo e dei rapporti socio-economici. Il monopolio esercitato dallo Stato nella formazione universitaria per Gemelli era tra le cause della debole coscienza nazionale, riconducibile a un sistema di studi infecondo e bloccato sulla propria intangibilità. La concorrenza di iniziative non statali avrebbe favorito lo sviluppo nazionale, anche in termini di modernità scientifica e mobilità sociale.

L’Università Cattolica era fondata a Milano nel 1921, con il sostegno dell’arcivescovo Andrea Carlo Ferrari e grazie ai sacrifici dei cattolici che, in tutta Italia, fornivano le risorse necessarie alla sua nascita e al suo sviluppo. Le fonti di finanziamento venivano dalle offerte dei cattolici di ogni ceto sociale, raccolte dalla Gioventù femminile, dall’associazione degli Amici e in occasione dell’annuale giornata universitaria. L’Università del Sacro Cuore, che nasceva «libera» e che avrebbe difeso la propria autonomia nel regime autoritario, si candidava a fucina in cui sarebbe stata forgiata una classe dirigente integralmente cattolica e pienamente italiana. E infatti era strutturata per fornire ai laureati i saperi necessari a vasti compiti sociali, politici e sindacali. Due i percorsi formativi delle origini: la Facoltà di Filosofia, finalizzata a ripensare criticamente le correnti filosofiche contemporanee e ad elaborare i punti di riferimento fondativi del futuro Stato cattolico, e la Facoltà di Scienze sociali, volta a dare spazio alle scienze economico-sociali perché i principi enucleati dal magistero andavano declinati in un sapere che radicasse l’operosità cattolica in un sostrato di analisi rigoroso e verificato.aulaMagna2

Grazie alla riforma Gentile, nel ’24 la Cattolica otteneva il riconoscimento giuridico come università libera, retta da un proprio statuto, con il diritto di rilasciare titoli con valore legale ma con un ordinamento didattico analogo a quello delle Regie. La Facoltà di Scienze sociali, assente nelle Regie, era quindi sostituita da quella di Giurisprudenza e, nel ’26, dalla Scuola di scienze politiche, economiche e sociali, poi Facoltà di Scienze politiche, economiche e commerciali, abilitata a rilasciare anche la laurea in Economia e commercio. La Facoltà di Filosofia diventava di Lettere e filosofia. Nasceva inoltre l’Istituto superiore di Magistero, divenuto nel ’36 Facoltà. La Cattolica non rinunciava però all’obiettivo di forgiare leve di laureati capaci di occupare i gangli della società italiana attraverso una presenza qualificata, dilatata nei luoghi deputati alla direzione della cosa pubblica. Seminari e laboratori modernamente attrezzati, scuole di perfezionamento, riviste scientifiche, un patrimonio bibliotecario notevole e le spese sostenute per permettere a giovani promettenti di specializzarsi nelle migliori università straniere dovevano conferire ai laureati le competenze necessarie ad orientare i rapporti sociali e il governo del Paese. Non per niente, dalla fine degli anni Venti sino agli anni Quaranta, l’ateneo era sorvegliato dal regime, che imputava alla Cattolica la colpa di plasmare una «riserva di governo», capace di succedere al fascismo. I filosofi dell’ateneo si concentravano del resto su tematiche etico-politiche, a partire da una rivisitazione del tomismo che forniva le categorie interpretative per delineare un nuovo archetipo di convivenza civile. In Cattolica si scorgeva nel mito della «civiltà cristiana», di derivazione medievalista, una bussola ideologica per conquistare il futuro. La distinzione fra azione cattolica e azione politica, imposta dal fascismo, era l’occasione per sviluppare questo progetto, rimandandone la fase finale per la necessità di predisporre una classe dirigente pronta a realizzare l’utopia politica che si andava concependo. È sintomatico lo scontro tra gli idealisti gentiliani e i professori della Cattolica, in occasione del VII congresso di filosofia del ’29. I filosofi di Gemelli vi intervenivano per combattere lo Stato etico e la sua confluenza con il regime, le cui ragioni totalitarie Mussolini aveva riaffermato subito dopo la Conciliazione.chiostro3

Le riflessioni sviluppate in Cattolica, che si misuravano con la crisi del capitalismo, con il corporativismo e con lo Stato sociale, tra il ’40 e il ’44 sfociavano in un’iniziativa significativa: Gemelli organizzava clandestinamente una serie di incontri fra docenti e assistenti, con il fine di approntare un «codice sociale» che potesse orientare la ricostruzione democratica. Echi di questo lavorio si avvertono nelle riunioni di casa Padovani, assurte a luogo genetico del cattolicesimo democratico, riunioni che facevano parte di un più ampio lavoro di elaborazione intensificatosi in Cattolica con il radiomessaggio del ’42. Ne veniva un contributo importante, che sarebbe poi confluito in Assemblea Costituente. La «riserva di governo», tante volte individuata dal fascismo, veniva ora alla luce e si guadagnava, attraverso la libera competizione elettorale, i primi posti nella politica nazionale. Pur non mancando nella prospettiva gemelliana cedimenti al clima dell’epoca, il rettore era riuscito ad apprestare quella che identificava come l’«anima cristiana» dello Stato democratico, vale a dire i giovani cresciuti alla sua scuola, che hanno pesato nella fondazione della democrazia italiana. L’Università Cattolica, che già aveva fornito giovani all’insegnamento e alle libere professioni, vide infatti molti docenti e laureati entrare nelle istituzioni nazionali, nella pubblica amministrazione, negli enti locali e nei punti nevralgici per la ricostruzione del Paese, contribuendo alla rinascita del dibattito politico, alla ripresa economica e alla riedificazione del libero sindacalismo.

Con la scomparsa di padre Gemelli, la Cattolica andò incontro a un periodo difficile, che si doveva anche al profilo giuridico-statutario dell’ateneo e al rapporto con l’Istituto Toniolo, complicato dalla mancanza di relazioni formalizzate con l’episcopato italiano. La Cattolica degli anni Sessanta era un ateneo in espansione, caratterizzato dall’incremento di studenti e docenti e dall’apertura di sedi non milanesi e del Policlinico di Roma. Tra il ’47 e il ’61 prendevano avvio le Facoltà di Economia e commercio, di Agraria a Piacenza e di Medicina e chirurgia a Roma. Nel ’65 era aperta nella sede di Brescia una sezione di Magistero e, nel ’71, la Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali. L’Istituto superiore di educazione fisica era attivo dal ’64. La stagione conciliare intensificava però il dibattito sul significato di un ateneo confessionale, poi potenziato dalla contestazione studentesca, di cui la Cattolica è stata luogo di progettazione sin dai primi anni Sessanta e che ha preso avvio nel ’67, per continuare anche dopo il ’70. Il lungo Sessantotto dell’ateneo cattolico non è riducibile solo ad esplosione di malcontento giovanile, innestata dalle richieste degli organismi rappresentativi studenteschi. In esso si scorgono punti sorgivi profondi, collegati non solo alla massificazione degli atenei, ma a tensioni ideologiche da tempo interiorizzate sotto l’egida del Sacro Cuore. Influivano il disorientamento del mondo cattolico nella temperie post-conciliare e le tensioni del quadro politico. Durante il rettorato di Giuseppe Lazzati (1968-1983), che succedeva a Francesco Vito (1959-1965) e ad Ezio Franceschini (1965-1968), lo sviluppo della Cattolica, che pure trovava un rapporto più diretto con la CEI, era frenato dal forte calo delle offerte della giornata universitaria e dalla diffusione, al suo interno, del dissenso cattolico. Altri esortavano l’ateneo a rinascere come luogo di Chiesa. Proprio in Cattolica si ricomponevano le fila della Gioventù Studentesca di don Luigi Giussani, che dava vita ai primi gruppi di Comunione e Liberazione.piazza4

Lazzati puntava a dare nuovo impulso all’ateneo, attraverso la creazione di centri di cultura in diverse città. I corsi di aggiornamento dovevano servire a riflettere sulle trasformazioni in atto, per declinare le ricerche scientifiche in proposte culturali utili alla collettività. La gestione di Lazzati, nondimeno, non era apprezzata da tutti i soggetti accademici ed ecclesiali. Il comportamento da lui tenuto verso gli episodi più gravi della contestazione, la tendenza a rafforzare le responsabilità dei vertici accademici e lo spazio che iniziative culturali da lui promosse lasciavano alla sinistra cattolica destavano preoccupazioni negli ambienti ecclesiastici romani e milanesi. Tali perplessità erano condivise da un gruppo di professori fra i quali vi era Pietro Zerbi, vicino al cardinale di Milano Giovanni Colombo e al sostituto alla Segreteria di Stato Giovanni Benelli. Proprio da questo gruppo emerse una linea alternativa alla conduzione di Lazzati, che si espresse in più occasioni, sino alla nomina di Adriano Bausola, divenuto rettore nel 1983 con il sostegno delle autorità vaticane.

Fonti e Bibl. essenziale

M. Bocci, Oltre lo Stato liberale. Ipotesi su politica e società nel dibattito cattolico tra fascismo e democrazia, Bulzoni, Roma 1999; Id., Agostino Gemelli rettore e francescano. Chiesa, regime, democrazia, Morcelliana, Brescia, 2003; Id., Alle origini della sede di Brescia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dalle carte dell’Archivio storico dell’Ateneo, «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», XLI (2006), 2, 246-299; Id., Un problema di identità? Alle origini della contestazione studentesca all’Università Cattolica, in M. Invernizzi – P. Martinucci (edd.), Dal «centrismo» al Sessantotto, Ares, Milano 2007, 143-228; Id., Uomini e istituzioni alle origini della sede di Piacenza dell’Università Cattolica, «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», XLIII (2008), 2, 162-209; Id., Francescanesimo e medievalismo: padre Agostino Gemelli, in T. Caliò – R. Rusconi (edd.), San Francesco d’Italia. Santità e identità nazionale, Viella, Roma 2011, 207-255; Id., L’Università Cattolica per l’Italia, in A. Melloni (ed.), Cristiani d’Italia. Chiesa, Stato e società 1861-2011, Treccani Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 2011, 1327-1342; Id., Gemelli e la promozione del sapere scientifico negli anni di Pio XI. La Facoltà di Medicina, in «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», 19/2012, 175-201; Id., L’Università Cattolica e le sue sedi, in corso di stampa negli atti del convegno «La geografia universitaria nell’Italia repubblicana: nuove università e nuove facoltà», Trento, 12-14 dicembre 2012 [Il Mulino, Bologna]; A. Carera (ed.), Giuseppe Toniolo. L’uomo come fine. Con saggi sulla storia dell’Istituto Giuseppe Toniolo di studi superiori, Vita e Pensiero,Milano 2014; M. Ferrari – P. Zerbi (edd.), Per Ezio Franceschini nel centenario della nascita. Ricordi, lettere, profilo, Vita e Pensiero, Milano 2006; M. Malpensa – A. Parola, Lazzati. Una sentinella nella notte (1909-1986), Il Mulino, Bologna 2005; L.F. Pizzolato (ed.), Fede e cultura in Giuseppe Lazzati, Vita e Pensiero, Milano 2007; N. Raponi, Toniolo e la preistoria dell’Università Cattolica, «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», XX (1985), 2, 48-282; Id., Università Cattolica, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. 1860-1980, in F. Traniello – G. Campanini (edd.), vol. I/1, I fatti e le idee, Marietti, Torino 1981, 264-272; G. Rumi, Lombardia guelfa 1780-1980, Morcelliana, Brescia 1988; Id., Milano cattolica nell’Italia unita, NED, Milano 1983; L. Vaccaro (ed.), Mons. Carlo Colombo e l’Università Cattolica, Morcelliana, Brescia 2008; Storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Vita e Pensiero, Milano: vol. I, A. Cova (ed.), I discorsi di inizio anno da Agostino Gemelli a Adriano Bausola 1921/22-1997/98, 2007; vol. II, M. Bocci, L’Università Cattolica nelle carte degli archivi, 2008; vol. IV, A. Carera (ed.), Per una comunità educante. La formazione a la didattica, 2010; vol. V, M. Bocci – L. Ornaghi (edd.), I patrimoni dell’Università Cattolica, 2013;vol. VI, M. Bocci (ed.), Agostino Gemelli e il suo tempo, 2009; L’Università Cattolica a 75 anni dalla fondazione. Riflessioni sul passato e prospettive per il futuro. Atti del 65° corso di aggiornamento culturale dell’Università Cattolica, Milano, 30 gennaio – 1° febbraio 1997, Vita e Pensiero, Milano 1998; vol. VII, D. Bardelli, «Vita e Pensiero» 1914-1921. Una rivista cattolica d’avanguardia alle origini dell’Università Cattolica, 2017.

Sitografia: http://progetti.unicatt.it/progetti-ateneo-storico-home (Archivio generale per la storia dell’Università Cattolica).

Immagini: (gentilmente concesse dall’Archivio generale per la storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Sezione fotografica)

1) Padre Agostino Gemelli nel laboratorio di Psicofisiologia applicata da lui istituito presso il Comando supremo dell’esercito italiano (1915).

2) L’Aula Magna durante un’adunanza dell’Associazione degli Amici dell’Università Cattolica (anni Trenta).

3) Il chiostro Benedetto XV dell’Università Cattolica, Milano.

4) Benedizione della statua di Cristo Re sulla facciata dell’Università Cattolica, alla presenza del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster (1930).


LEMMARIO




La Rosa Luigi


Nato a Barcellona P.G. (Messina), il 28/08/1949. Ha conseguito: Licenza in Scienze dell’Educazione specializzazione catechetica presso l’UPS Roma (1976); Dottorato in S. Teologia Pastorale presso la Pontificia Università dell’Italia Meridionale — Messina (1984); Laurea in Pedagogia presso l’Università di Messina (1982). È professore Straordinario di Storia della Catechesi presso Istituto Teologico “S. Tommaso” di Messina. Dal 1988 ad oggi è parroco della Parrocchia S. Clemente in Messina. La rosa

 

 


 




Laicità, Laicismo - vol. I


Autore: Antonio Trampus

Con questi termini si indicano generalmente vari atteggiamenti riconducibili all’emancipazione della sfera pubblica e culturale dalla religione positiva. Si tratta tuttavia di due concetti sostanzialmente diversi sia per origine sia per significati. Laicità è, più propriamente, la condizione del laico e con questo significato è attestata nella lingua italiana a partire dal 1869 e affonda le sue radici nella differenza, tipica del giudaismo e della Chiesa cristiana, fra chierici e laici. Si tratta di una distinzione sancita dal IV secolo in poi, che ha riservato il termine laico e la condizione di laicità al battezzato che non è chierico, perché non ha ricevuto gli ordini, e non è nemmeno religioso (perché non ha professato voti) come confermato anche dalla enciclica Lumen gentium (1964, n. 31). Solo nel corso del XX secolo l’espressione laicità venne assumendo un carattere di eufemismo per indicare non solo il non battezzato ma anche l’anticlericale, in quanto ateo, marxista o liberale, e in questo senso compare negli scritti di Pio XII e nei suoi riferimenti alla “legittima sana laicità dello Stato”. Laicismo è invece termine invalso a partire dal 1863 e documentato da Giosuè Carducci che, opponendolo alla chieresia, lo definì come un “atteggiamento ideologico di chi sostiene l’indipendenza del pensiero e dell’azione politica dei cittadini dall’autorità ecclesiastica”. Entrambi i concetti attingono alle correnti di pensiero che a partire dal XVII secolo approfondirono i processi di secolarizzazione affermando il primato della ragione sui misteri e la libera ricerca della verità. In seguito si nutrirono anche delle esperienze del giurisdizionalismo settecentesco e dei dibattiti che ribadivano la distinzione fra Chiesa docente e popolo discente e la separazione politica e giuridica fra la Chiesa e lo Stato nella loro reciproca autonomia. In questo senso, laicità e laicismo sono contrapponendosi al clericalismo, cioè alla necessità che il clero avesse responsabilità politiche e istituzionali nella vita civile. L’idea di laicità e di conseguenza anche il laicismo presuppongono inoltre che anche la Chiesa, così come la società civile, consista essenzialmente in una associazione volontaria di uomini, secondo una concezione diffusa a partire dalla cultura puritana inglese del Seicento e poi confluita negli scritti di John Milton e di John Locke sulla libertà religiosa e sulla tolleranza. Il principio della separazione Chiesa e Stato o comunità politica laica e perciò della distinzione tra religione e politica era stato poi sviluppato particolarmente da Locke nella Epistola de tolerantia, divenuta un altro pilastro del pensiero laico e del laicismo, in cui si affermava che il potere politico non ha competenza in materia di fede e non deve dare giudizi sulla religione, così come la Chiesa con le sue leggi non deve occuparsi della vita e dei beni terreni ma solo della vita eterna attraverso il culto di Dio.

L’idea dell’autonomia della religione e della politica si ritrova sovente nella cultura dell’Illuminismo europeo e del pensiero liberale dell’Ottocento. In Italia una tappa importante di questo percorso è rappresentata dal saggio di Cosimo Amidei, La chiesa e la repubblica dentro i loro limiti (1767); successivamente lo sviluppo e la diffusione dell’idea di laicità e del laicismo si accompagnarono allo sviluppo delle vicende risorgimentali, allorché la politica di separazione fra Stato e Chiesa portò alla progressiva rinuncia allo strumento dei concordati, tipicamente settecentesco. L’aver posto la fine del governo temporale dei Papi come condizione necessaria per il compimento dell’unità nazionale determinò un deciso riorientamento della politica in senso laicista, riassunto nell’espressione utilizzata da Cavour nel primo discorso al parlamento dopo la proclamazione del Regno d’Italia, il 27 marzo 1861 (e ripresa da Charles de Montalembert, Ecclesia libera in libera patria, circa 1841) con la quale si prefigurava Roma quale futura capitale del Regno. L’affermazione cavouriana della libertà della Chiesa nello Stato e della libertà dello Stato dalla Chiesa diede avvio alla politica di ispirazione laicista condotta dalla Destra storica, che portò tra l’altro all’introduzione del matrimonio civile (1865) e alla liquidazione dell’asse ecclesiastico, fino alla legge delle Guarentigie (1871). In questo senso i concetti di laicità e del laicismo sono poi confluiti nella Costituzione della Repubblica italiana (1948) laddove i princìpi fondamentali delineano i caratteri dello Stato laico attraverso l’irrilevanza delle convinzioni religiose dei singoli (art. 3), l’indipendenza e la sovranità dello Stato e della Chiesa ciascuno nel rispettivo ordine (art. 7) e la pluralità delle confessioni religiose con eguale libertà (art. 8).

Al dibattito sulla laicità e sul laicismo si è aggiunta più recentemente la cosiddetta “questione del crocifisso” e cioè la critica alla normativa che introdusse fra gli arredi di ogni aula scolastica il crocifisso (R.D. 15.9.1860, art. 140; R.D. 30.4.1924 art. 118), ritenuta da una parte dell’opinione pubblica e anche indirettamente da alcune pronunce giurisprudenziali contraria al principio costituzionale di laicità dello Stato. Il Consiglio di Stato, investito della questione in quanto le affissioni derivano da atti amministrativi delle autorità scolastiche, ha tuttavia emesso due pareri nel 1988 e nel 2006 pronunciandosi in favore della presenza del crocifisso.

Fonti e Bibl. essenziale

A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia dall’unificazione a Giovanni XXIII, Einaudi, Torino 1965; M. Ferraboschi, Laici, in Enciclopedia del diritto, vol. XXIII, Giuffrè, Milano 1973, 273-283; V. Zanone, Laicismo, in N. Bobbio – N. Matteucci – G. Pasquino (edd.) – Dizionario di politica, Tea-Utet, Torino 19902, 547-550; S. Pivato, Clericalismo e laicismo nella cultura popolare italiana, Milano 1990; F. Traniello, Clericalismo e laicismo nell’età contemporanea (1977), in Id., Città dell’uomo. Cattolici, partito e Stato nella storia d’Italia, Bologna 1990, 15-48; E. Tortarolo, Il laicismo, Laterza, Roma Bari 1998; P. Cavana, La questione del crocifisso in Italia (2007), www.olir.it/areetematiche/75/…/Cavana_questionedelcrocifisso.pdf.


LEMMARIO




Laicità, Laicismo - vol. II


Autore: Antonio Trampus

Con questi termini si indicano generalmente vari atteggiamenti riconducibili all’emancipazione della sfera pubblica e culturale dalla religione positiva. Si tratta tuttavia di due concetti sostanzialmente diversi sia per origine sia per significati. Laicità è, più propriamente, la condizione del laico e con questo significato è attestata nella lingua italiana a partire dal 1869 e affonda le sue radici nella differenza, tipica del giudaismo e della Chiesa cristiana, fra chierici e laici. Si tratta di una distinzione sancita dal IV secolo in poi, che ha riservato il termine laico e la condizione di laicità al battezzato che non è chierico, perché non ha ricevuto gli ordini, e non è nemmeno religioso (perché non ha professato voti) come confermato anche dalla Costituzione conciliare Lumen gentium (1964, n. 31). Solo nel corso del XX secolo l’espressione laicità venne assumendo un carattere di eufemismo per indicare non solo il non battezzato ma anche l’anticlericale, in quanto ateo, marxista o liberale, e in questo senso compare negli scritti di Pio XII e nei suoi riferimenti alla “legittima sana laicità dello Stato”.

Laicismo è invece termine invalso a partire dal 1863 e documentato da Giosuè Carducci che, opponendolo alla chieresia, lo definì come un “atteggiamento ideologico di chi sostiene l’indipendenza del pensiero e dell’azione politica dei cittadini dall’autorità ecclesiastica”. Entrambi i concetti attingono alle correnti di pensiero che a partire dal XVII secolo approfondirono i processi di secolarizzazione affermando il primato della ragione sui misteri e la libera ricerca della verità. In seguito si nutrirono anche delle esperienze del giurisdizionalismo settecentesco e dei dibattiti che ribadivano la distinzione fra Chiesa docente e popolo discente e la separazione politica e giuridica fra la Chiesa e lo Stato nella loro reciproca autonomia. In questo senso, laicità e laicismo si contrappongono al clericalismo, cioè alla necessità che il clero avesse responsabilità politiche e istituzionali nella vita civile. L’idea di laicità e di conseguenza anche il laicismo presuppongono inoltre che anche la Chiesa, così come la società civile, consista essenzialmente in una associazione volontaria di uomini, secondo una concezione diffusa a partire dalla cultura puritana inglese del Seicento e poi confluita negli scritti di John Milton e di John Locke sulla libertà religiosa e sulla tolleranza. Il principio della separazione Chiesa e Stato o comunità politica laica e perciò della distinzione tra religione e politica era stato poi sviluppato particolarmente da Locke nella Epistola de tolerantia, divenuta un altro pilastro del pensiero laico e del laicismo, in cui si affermava che il potere politico non ha competenza in materia di fede e non deve dare giudizi sulla religione, così come la Chiesa con le sue leggi non deve occuparsi della vita e dei beni terreni ma solo della vita eterna attraverso il culto di Dio.

L’idea dell’autonomia della religione e della politica si ritrova sovente nella cultura dell’Illuminismo europeo e del pensiero liberale dell’Ottocento. In Italia una tappa importante di questo percorso è rappresentata dal saggio di Cosimo Amidei, La chiesa e la repubblica dentro i loro limiti (1767); successivamente lo sviluppo e la diffusione dell’idea di laicità e del laicismo si accompagnarono allo sviluppo delle vicende risorgimentali, allorché la politica di separazione fra Stato e Chiesa portò alla progressiva rinuncia allo strumento dei concordati, tipicamente settecentesco. L’aver posto la fine del governo temporale dei Papi come condizione necessaria per il compimento dell’unità nazionale determinò un deciso riorientamento della politica in senso laicista, riassunto nell’espressione utilizzata da Cavour nel primo discorso al parlamento dopo la proclamazione del Regno d’Italia, il 27 marzo 1861 (e ripresa da Charles de Montalembert, Ecclesia libera in libera patria, circa 1841) con la quale si prefigurava Roma quale futura capitale del Regno. L’affermazione cavouriana della libertà della Chiesa nello Stato e della libertà dello Stato dalla Chiesa diede avvio alla politica di ispirazione laicista condotta dalla Destra storica, che portò tra l’altro all’introduzione del matrimonio civile (1865) e alla liquidazione dell’asse ecclesiastico, fino alla legge delle Guarentigie (1871). In questo senso i concetti di laicità e del laicismo sono poi confluiti nella Costituzione della Repubblica italiana (1948) laddove i princìpi fondamentali delineano i caratteri dello Stato laico attraverso l’irrilevanza delle convinzioni religiose dei singoli (art. 3), l’indipendenza e la sovranità dello Stato e della Chiesa ciascuno nel rispettivo ordine (art. 7) e la pluralità delle confessioni religiose con eguale libertà (art. 8).

Fonti e Bibl. essenziale

A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia dall’unificazione a Giovanni XXIII, Einaudi, Torino 1965; M. Ferraboschi, Laici, in Enciclopedia del diritto, vol. XXIII, Giuffrè, Milano 1973, 273-283; V. Zanone, Laicismo, in N. Bobbio, N. Matteucci. G. Pasquino – edd. – Dizionario di politica, Tea-Utet, Torino 19902, 547-550; S. Pivato, Clericalismo e laicismo nella cultura popolare italiana, Milano 1990; F. Traniello, Clericalismo e laicismo nell’età contemporanea (1977), in Id., Città dell’uomo. Cattolici, partito e Stato nella storia d’Italia, Bologna 1990, 15-48; E. Tortarolo, Il laicismo, Laterza, Roma Bari 1998; P. Cavana, La questione del crocifisso in Italia (2007), www.olir.it/areetematiche/75/…/Cavana_questionedelcrocifisso. pdf.


LEMMARIO




Laico, Laicato - vol. I


Autore: Stefano Tessaglia

Le origini. Gli scritti del Nuovo Testamento non conoscono una separazione netta tra chierici e laici e, di conseguenza, non approntano neppure la terminologia necessaria alla distinzione. Saranno gli scritti immediatamente successivi all’epoca apostolica (ad esempio, nel I sec., la Lettera di Clemente Romano ai Corinzi XL,5) a definire il laico (da laós, popolo) come la persona facente parte della comunità dei credenti non rivestita delle funzioni proprie del clero. In questo senso il termine sarà usato da Clemente Alessandrino e da Origene; a partire da Tertulliano sarà definitivamente fissato in opposizione al clero (plebs, popolo e ordo, ministri ordinati).

Le Lettere paoline, gli Atti degli Apostoli e le opere posteriori testimoniano una chiesa che concepisce se stessa come “l’insieme dei credenti”, famiglia che vive la comune appartenenza scaturita dal battesimo, differenziata e costruita all’interno da diversi carismi e ministeri, manifestazioni di un unico Spirito per il bene comune (1 Cor 12-14).

È all’interno di quest’unica dinamica di coinvolgimento comunitario che s’inserisce il ruolo dei laici, uomini e donne (vergini, sposate o vedove) che, secondo la testimonianza della Lettera a Diogneto (II sec.) non si distinguono dagli altri uomini e donne del tempo: vivono nel mondo ma si sentono partecipi di una realtà superiore. Sono queste le persone che spesso sostengono economicamente le chiese e i ministri, mettono a disposizione le loro case per il culto liturgico (si pensi alle antiche domus ecclesiae e ai tituli della chiesa romana) ed esercitano la carità verso i più poveri.

Con Costantino († 337), dopo il lungo periodo delle persecuzioni, che ha visto la testimonianza con la vita di molti cristiani laici, la chiesa, ormai libera e dotata di crescente rilevanza sociale, tende a strutturare gerarchicamente le proprie funzioni e ad attribuire al sacerdozio ministeriale il controllo su tutte le espressioni della sfera religiosa.

I fedeli comuni, via via messi al margine delle responsabilità, saranno tuttavia partecipi della vita della chiesa, seppure secondo una logica di progressiva separazione (anche fisica, come testimoniano negli edifici di culto l’innalzamento del presbiterio e la sua delimitazione con balaustre) e di suddivisione della società in “ordini”. I pastori della chiesa, pur zelanti come Giovanni Crisostomo e Agostino (IV sec.), tendono così sempre più a considerare i laici come “oggetto” di cure pastorali (nella liturgia essi avranno soltanto più un ruolo passivo di ascoltatori e non sarà loro più permesso l’annuncio del Vangelo) piuttosto che “soggetto attivo” della crescita della comunità cristiana.

Il Medioevo. L’“età di mezzo” vede approfondirsi le distanze tra i differenti stati di vita cristiana (come in generale accade in tutta la società medievale, di cui la chiesa è specchio fedele) ed un elemento acquisisce importanza rilevante: l’accesso alla cultura. Caduto il governo unitario dell’impero romano e venuto meno il sistema educativo classico, il clero, nei monasteri soprattutto, diviene custode principale e depositario del patrimonio culturale antico, della lingua latina, del pensiero filosofico. In questo contesto il laico verrà sempre più e semplicemente concepito come l’illetterato, posto dal diritto nell’ordine inferiore della società, quello “secolare”, legato allo “schiamazzo delle realtà temporali” (Decretum Gratiani, XII sec.) e all’uso dei beni terreni: il possesso di cose materiali e il matrimonio.

Inoltre l’autorità, il peso politico della chiesa, rimasta unico elemento unificatore nell’Europa frammentata, e i grandi sistemi giuridici e teologico-politici del XII-XIII sec., conducono ad una esaltazione delle gerarchie ecclesiastiche – in specie del ruolo papato – mentre l’arricchimento e la pericolosa osmosi col potere civile causano spesso il rilassamento della disciplina ecclesiastica (simonia e nicolaismo) e situazioni contraddittorie.

Accade così che, insieme all’inusitata canonizzazione del mercante e padre di famiglia cremonese Omobono Tucenghi († 1197) da parte di papa Innocenzo III (1160-1216), che propone la figura di questo laico come modello di vita santa nel mondo e nell’apostolato della carità, si assista anche al richiamo del concilio Lateranense IV (1215), che giunge a prescrivere l’obbligo della confessione e della comunione eucaristica almeno una volta l’anno, tanto si era diradata la frequenza media alle celebrazioni religiose.

In quest’epoca, dominata da un diffuso senso d’insicurezza e di precarietà del vivere, di fronte ad un futuro incerto, con la prospettiva di una morte incombente a causa di guerre, epidemie e carestie, sorgono dal basso numerosi movimenti laicali, animati da istanze di religiosità più viva. Una maggiore aderenza allo spirito del Vangelo, e particolarmente un radicale senso della povertà e della dignità del lavoro manuale, proprio in contrasto con gli eccessi e i privilegi di certa gerarchia, dominano l’orizzonte di questi movimenti.

Distanti dal clero e immersi in un clima religioso tendente all’abbandono, molti cristiani finiscono così polarizzati attorno a figure di grande carisma (Valdo, lo stesso Francesco d’Assisi), in gruppi cui ci si unisce per libera aggregazione, caratterizzati da uno stile laicale e comunitario e dall’itineranza di villaggio in villaggio per invitare alla penitenza. Tali forme spontanee di vita cristiana, diffuse soprattutto in Francia meridionale ed Italia centro-settentrionale (ossia le aree in cui si verifica un maggiore sviluppo economico e culturale), si dimostrano affatto esenti dal pericolo di derive eretiche (catari, patarini, valdesi, umiliati), ma anche particolarmente vicine al vissuto popolare e capaci di coinvolgere in maniera efficace gli strati della popolazione più disagiati o più lontani dalla struttura istituzionale della chiesa.

Non più soltanto monaci e chierici si dedicano alla lettura della Sacra Scrittura, ma anche semplici laici, che desiderano imparare a conoscere la vita di Cristo e degli apostoli e si riuniscono in piccoli gruppi per ricevere insegnamenti morali, spiegazioni dal testo sacro e per pregare grazie a florilegi di salmi e raccolte di preghiere.

Anche la scelta iniziale di Francesco d’Assisi (1182-1226) e dei suoi primi compagni è assimilabile a quella dei gruppi di “penitenti”, laici che iniziavano spontaneamente e in piccoli gruppi una vita di conversione, rinunciando ai propri beni o alle attività redditizie, per assumere una vita povera e continente. Sarà papa Innocenzo III a prospettare a Francesco la necessità di assumere le caratteristiche di un ordine di chierici (ricevendo la tonsura), per potere legittimamente intraprendere l’attività di predicazione (vietata ai laici da papa Lucio III con la decretale Ad abolendam del 1184) e mettersi al servizio delle chiesa.

Soltanto gli ordini mendicanti, francescani e domenicani, riusciranno ad incanalare nell’alveo della chiesa – sotto il rigido controllo dei papi – alcune delle spinte di risveglio e, a questo scopo, si costituiranno nuove forme di aggregazione laicale come le confraternite e i terz’ordini secolari. A queste esperienze si associano presto elementi tipici di devozione e pratiche come la via crucis, il culto della Vergine Maria, dei santi patroni, delle reliquie e il rosario, che pur divenendo un surrogato della liturgia, sempre più difficilmente comprensibile per il popolo, riconoscono una specifica spiritualità alla portata dei laici, ne favoriscono l’inserimento nella comunità cristiana e la crescita spirituale.

Un non trascurabile ruolo nell’integrazione dei laici nella vita della chiesa hanno, nel medioevo, anche le crociate, in cui convivono ispirazioni fondamentalmente religiose insieme con l’affermazione del papato romano e forti componenti di impeto cavalleresco e spirito di riconquista.

Di questo vasto movimento di laicato saranno anche le donne a trarre beneficio, con una maggiore considerazione del loro ruolo e l’affermarsi di figure come Brigida di Svezia (1303-1373) e le italiane Caterina da Siena (1347-1380) e Francesca Romana (1384-1440), donne spirituali di grande carisma, inserite a pieno nel loro tempo e capaci di influire fortemente sul tessuto sociale ed ecclesiale.

L’Età Moderna. I movimenti di riforma riprendono alcune delle tematiche care ai medievali, soprattutto nel senso di un maggior coinvolgimento dei fedeli nel governo della chiesa, e di una migliore istruzione religiosa, alimentata soprattutto dalla lettura e dal commento della Sacra Scrittura. La spiritualità del tempo vede affermarsi nuove tendenze, comunemente conosciute come “devotio moderna”. Si tratta di un vasto movimento spirituale, originario del Nord Europa e dal rapido successo, che chiama ogni cristiano a condurre una vita di fede profonda, basata su una devozione personale interiore ed affettiva, non senza qualche eccesso di sentimentalismo. Questo nuovo genere di devozione prevede inoltre un programma pratico e metodico di atti di preghiera, di meditazione e di lettura della Bibbia.

In quest’epoca, gli scritti e le opere di riformatori come Marsilio da Padova (1275-1342), John Wyclif (1330-1384) e Jan Hus (1370-1415), preparano il terreno ad una rivalutazione del laicato, mentre Martin Lutero (1483-1546), padre della riforma protestante, giunge a porre in discussione la struttura gerarchica stessa della chiesa e sottolinea la dignità dei laici e il sacerdozio di tutti i fedeli, derivati dal comune battesimo. Lutero conferma tuttavia l’esistenza di diversi ministeri: pur essendo tutti sacerdoti, i cristiani non sono tutti ministri ma, per diventarlo, occorre essere chiamati e scelti dalla chiesa.

Nello spirito di contrapposizione religiosa dell’Europa del XVI sec. la riforma cattolica, condizionata dalle affermazioni dei protestanti, si trova ad escludere a priori l’acquisizione di alcune pur giuste aperture di quei movimenti e imposta una dottrina (ecclesiologia, sacramentaria, morale) e una prassi pastorale legate piuttosto al controllo e al disciplinamento di tutti gli aspetti della vita dei fedeli.

Dopo il concilio di Trento (1545-1563) e il suo significativo impegno per la ripresa di una cura d’anime sistematica e capillare, il laicato cattolico risulta ancora ridimensionato nella sua rilevanza ecclesiale. I fedeli rimangono componente passiva della Chiesa, distanti dal clero – divenuto il fulcro vero su cui poggia l’intera realtà della chiesa – e legati a prescrizioni e pratiche che tendono, paradossalmente, alla “perfezione” rappresentata dalla vita consacrata. Questa tendenza continuerà per lungo tempo e si dovrà attendere forse il concilio Vaticano II (1962-1965) per assistere ad una piena affermazione del ruolo e della dignità dei laici nella chiesa.

Non mancano tuttavia, in questa temperie, esperienze e forme di vita laicale capaci di valorizzare il ruolo e la spiritualità dei fedeli, specie nell’ambito dell’assistenza e delle opere di carità. Parallelamente all’organizzazione sul territorio delle parrocchie, fioriscono numerose in tutta Italia le confraternite (del Santissimo Sacramento, del Rosario: proprio ad affermare la devozione verso l’Eucarestia e la Vergine Maria, messe in discussione dai protestanti), che assumono una rilevanza fondamentale nell’organizzazione sociale delle città, nelle grandi dimostrazioni pubbliche di culto (Corpus Domini) e nell’organizzazione dell’assistenza di malati e pellegrini.

Nascono nuove forme di pastorale legate agli ordini mendicanti, come le missioni popolari, e nuovi gruppi come gli Oratori del Divino Amore, per l’assistenza dei malati incurabili; le scuole della Dottrina cristiana, che si impegnano sul terreno della formazione catechistica; l’Oratorio romano di Filippo Neri (1515-1595), innovativa istituzione che promuove una seria crescita personale e il senso comunitario anche nei laici.

Figure simili di ecclesiastici, attenti alla formazione dei fedeli e alla maturazione di nuovi modi per la vita cristiana, sono inoltre Francesco di Sales (1567-1622), convinto che «pretendere di eliminare la vita devota dalla caserma del soldato, dalla bottega dell’artigiano, dalla corte del principe, dall’intimità degli sposi è un errore, anzi un’eresia» (Introduzione alla vita devota I,3) e Alfonso de’ Liguori (1696-1787), che con i loro scritti offrono un nutrimento per la vita interiore di intere generazioni di laici e insegnano al clero un modello per la direzione spirituale dei cristiani inseriti nella vita del mondo.

Nel secolo XVIII il diffondersi delle idee dell’illuminismo e della secolarizzazione, che si afferma decisamente dopo la Rivoluzione Francese (1789), portano a teorizzare la distinzione/separazione tra Stato e chiesa: questa, identificata tout court con gli orientamenti più oscurantisti e avversi al “progresso” e al benessere, è da combattere e neutralizzare con le armi fornite dalla ragione.

Tale situazione porta ad un certo risveglio e, specie dopo il trauma della legislazione antiecclesiastica rivoluzionaria, si assiste a una “chiamata alle armi” del laicato cattolico, interpellato ad entrare in campo e impegnarsi (pur sempre come truppa di riserva) nella difesa dei diritti della chiesa (e del papa).

A partire da queste circostanze inedite, la chiesa getterà le basi di una sorta di programma di “riconquista” della società, che vedrà impegnati anche i laici cattolici con una loro posizione sociale, loro organi di stampa, e, in seguito, di partecipazione politica.

Così, negli anni della Restaurazione e dei moti liberali si assiste alla nascita di circoli e riviste, di ordini femminili dedicati all’assistenza e nuove organizzazioni laicali come la “Società di san Vincenzo de’ Paoli”, fondata a Parigi da Federico Ozanam (1813-1853) e impegnata sul fronte dell’assistenza dei più poveri. Identica situazione si verifica anche nell’Italia della questione risorgimentale e romana, con svariate associazioni e gruppi, tra i quali spicca la “Società della gioventù cattolica italiana” (nucleo originario dell’Azione cattolica), fondata a Bologna nel 1867 dai due studenti universitari Mario Fani e Giovanni Acquaderni.

Si afferma così, ancora una volta, l’ambito caratteristico e proprio dell’azione del laico cristiano: quello della dimensione sociale e assistenziale, insieme con la tutela della chiesa nella società secolare, secondo l’ottica tipica dell’intransigentismo dell’epoca.

Fonti e Bibl. essenziale

Y.M. Congar, Per una teologia del laicato, Morcelliana, Brescia 1966 (con ampia ricostruzione storica); AA.VV., I laici nella “societas christiana” dei secoli XI e XII. Atti della terza settimana internazionale di studio, Vita e Pensiero, Milano 1968; J. Le Goff, Tempo della chiesa e tempo del mercante, Einaudi, Torino 1977; G. Picasso, Laici e laicità nel medioevo, in AA.VV., Laicità: problemi e prospettive. Atti del XLVII corso di aggiornamento culturale dell’Università cattolica, Vita e Pensiero, Milano 1977, 84-99; G. Angelozzi, Le confraternite laicali. Un’esperienza cristiana tra medioevo e età moderna, Queriniana, Brescia 1978; G.G. Meersemann – G. P. Pacini, Le confraternite laicali in Italia dal quattrocento al seicento, in AA.VV., Problemi di storia della chiesa nei secoli XV-XVII, Ed. Dehoniane, Napoli 1979, 109-136; A. Faivre, I laici alle origini della Chiesa, Paoline, Cinisello Balsamo 1986; P. Siniscalco, Laici e laicità. Un profilo storico, Ave, Roma 1986; P. Vanzan (ed.), Il laicato nella Bibbia e nella storia, Ave, Roma 1987; A. Vauchez, Les laïcs au moyen age. Pratiques et expériences religieuses, Ed. du Cerf, Paris 1987; G. Canobbio, Laici o cristiani? Elementi storico-sistematici per una descrizione del cristiano laico, Morcelliana, Brescia 1992; A. Vauchez, Comparsa e affermazione di una religiosità laica (XII secolo-inizio XIV secolo), in G. De Rosa – T. Gregory – A. Vauchez (edd.), Storia dell’Italia religiosa, vol. I, Ed. Laterza, Roma-Bari 1993, 397-425; E. Dal Covolo – F. Bergamelli – E. Zocca – M.G. Bianco (edd.), Laici e laicità nei primi secoli della Chiesa, Ed. Paoline, Milano 1995; E. Preziosi, Una lunga storia, in E. Preziosi – M. Ronconi, La dignità dei laici, Ed. San Paolo, Milano 2010, 13-33.


LEMMARIO




Laico, Laicato - vol. II


Autore: Guido Formigoni

Al momento dell’unificazione italiana, l’esperienza ecclesiale era segnata dalla lunga stagione della “cristianità” istituzionale, che aveva progressivamente focalizzato e irrigidito la distinzione tra clero e laicato. Nella logica controriformista, la struttura clericale della Chiesa aveva trovato la sua conferma più alta nelle riflessioni bellarminiane. La reazione ottocentesca alla modernità consolidò anche in Italia una prospettiva in cui all’opposizione netta chiesa-società faceva riscontro una struttura dualistica nella Chiesa.

In tale orizzonte, la nascita di forme di organizzazioni cattoliche laicali impegnate a difendere i diritti della Chiesa nel nuovo spazio “secolare” e civile creato dalle delle libertà moderne, cominciava a porre in atto alcuni elementi di una potenziale tensione. Accettare la mobilitazione dei laici comportava ridurre le tradizionali distanze tra gerarchia e clero, da una parte, e popolo cristiano, dall’altra: la vera linea di frattura diveniva sempre più chiaramente quella tra la Chiesa tutta e i suoi avversari nel “mondo”. Si innescava così un processo di lungo periodo, che comportava il ripensamento dello stesso modo di vivere la configurazione istituzionale gerarchica e i rapporti interni al corpo ecclesiale. Il percorso non fu però privo di problemi. Pio IX stesso espresse in più occasioni la preoccupazione che i laici potessero «rovesciare in senso democratico la tradizionale struttura ecclesiastica» (cit. in G. Martina, L’atteggiamento della gerarchia davanti alle prime iniziative organizzate di apostolato dei laici alla metà dell’Ottocento in Italia, in Spiritualità e azione del laicato cattolico italiano, Padova 1969, p. 347). In seguito, la divisione tra i “pastori” e il “gregge” era più volte ripetuta, per esempio, negli scritti di Leone XIII. Anche autorevoli vescovi erano preoccupati per la crescita di influenza ecclesiale dei nuovi “cattolici di professione”, che animavano l’associazionismo del movimento cattolico. Alcuni vescovi (che avevano tra l’altro simpatie conciliatoriste e non amavano l’intransigentismo) parlavano tra loro con un certo sprezzo dei nuovi “vescovi in cilindro”, cioè appunto i dirigenti dell’Opera dei congressi.

Queste resistenze vennero però ben presto ridimensionate dal punto di vista pratico, in quanto la necessità di ricorrere alle nuove forme di socialità e di presenza pubblica dei laici si impose rapidamente. Ma la nuova stagione non fu certo accompagnata da un profondo ripensamento teologico. Si pensi al fatto che ancora negli anni ’30 del Novecento, il segretario di Stato card. Gasparri pubblicò un Catechismo cattolico in cui parlava dei laici come “sudditi” nella Chiesa, con trasparente analogia monarchica per la struttura ecclesiastica. E la stessa formula di papa Ratti che definiva l’Azione cattolica come “partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico” fu criticata da qualche scuola teologica romana, in quanto eccessiva e incompatibile con le tradizionali distinzioni: tanto che lo stesso papa Pio XII derubricò in diversi interventi tale riconoscimento, usando l’espressione più neutra “collaborazione”.

In pratica, però, il percorso storico dell’associazionismo di azione cattolica (altrimenti detto del “movimento cattolico”) ebbe un ruolo cruciale nel fare sperimentare a una larga élite di laici cristiani una condizione ecclesiale di coinvolgimento e corresponsabilità. Attraverso questo itinerario, maturava una spiritualità laicale caratteristica, in quanto fortemente attiva e centrata sul coinvolgimento personale, quanto portata ad una netta identificazione con la Chiesa e con la Chiesa vissuta, parrocchiale e diocesana, e soprattutto universale (attorno alla crescente importanza della figura del papa). Tale identificazione portava necessariamente con sé una tendenza al protagonismo, che superava le categorie della passività tradizionale. Non contava molto che questa dinamica scontasse un atteggiamento per lo più esecutivo, come più volte riaffermato anche nella teologia del tempo. La cooperazione con il clero e i vescovi era ovvia, ma nella coscienza di una propria originale missione. Gli elementi di questa sintesi erano molto semplici, capaci di essere colti a livello popolare: formazione catechistica interiorizzata, devozione religiosa, vita sacramentale e in particolare eucaristica, senso della militanza personale e missionaria. I limiti maggiori di questo cammino sono forse da cercare in una scarsa valorizzazione delle dimensioni secolari della vita laicale: per lo più prevaleva un atteggiamento difensivo, per cui sembrava che nei campi della famiglia o della vita professionale e sociale, occorresse in primo luogo cautelarsi da pericoli di ordine morale, oppure dalla temuta concorrenza degli avversari ideologici o politici. Certo, non si trascurava la dimensione laicale della educazione, insistendo però soprattutto sugli aspetti passivi, in quanto mirati a compiere una “volontà di Dio” intesa in senso prevalentemente formale e il più delle volte individualistico. Tale prospettiva si traduceva nell’enfasi sui “doveri” imposti dal proprio stato di vita, conseguente a una visione immobilista e provvidenzialista delle differenziazioni sociali. Le virtù tradizionali, e in particolare la purezza venivano spesso intese come limitazione di molti legami secolari, per dedicarsi in modo stabile alla milizia apostolica.

Un altro filone di esperienze che permise ad alcune generazioni di esponenti del laicato cristiano di avviare un ripensamento su se stessi fu quello della “consacrazione nel mondo”: si trattava di una scelta vocazionale tipica di molte realtà associate nate a cavallo tra Ottocento e Novecento, e rilanciate in modo diffuso soprattutto dopo la prima guerra mondiale. Tali sodalizi di fedeli si distaccavano dalla tradizionale e canonica struttura religiosa, proprio per una ricerca della santità nelle condizioni secolari dell’esistenza, scegliendo generalmente di non condurre una vita comunitaria di impronta più o meno monastica. Sarà nel secondo dopoguerra che tale modello sarà riconosciuto nella formula canonica degli “istituti secolari”, maschili o femminili. La coscienza laicale dei membri di questi istituti fu più volte originalmente affermata.

Le stesse aggregazioni di impegno sociale e addirittura politico si prestarono del resto a un percorso parallelo di assunzione di responsabilità. L’aspetto democratico interno e la rilevanza sociale assunta da molti laici cristiani in queste iniziative, non potevano che avere qualche impatto anche nella realtà ecclesiale. Lo si vide con la crescente maturazione di un approccio alla sfera civile e politica di cristiani che non si ponevano più l’obiettivo di una “ricristianizzazione” formale ed esteriore della realtà. Ma piuttosto insistevano sulle opportunità di un’azione “aconfessionale” (Sturzo) o semplicemente democratica, da parte di cristiani, per modificare dall’interno le strutture civili. La riflessione maritainiana nel secondo dopoguerra, parallela all’assunzione di ruoli centrali di governo da parte di un “partito di ispirazione cristiana”, corroborò questa prospettiva. Non si trattava solo di valorizzare i frutti del proprio cristianesimo vissuto da laici: era l’origine di una sottolineatura della “laicità” come carattere proprio delle forme della presenza cristiana nel mondo. Le preoccupazioni gerarchiche non mancarono nemmeno verso queste riflessioni: si ricordino le polemiche dei primi anni ’50, in cui il partito della Democrazia cristiana veniva accusato da molti cattolici di tradire l’obiettivo di una ri-cristianizzazione della società; nel 1960 la Cei approvava una dura lettera pastorale contro il “laicismo”, ritenuto uno dei maggiori errori del tempo moderno, prendendo di mira non solo gli attacchi esterni alla Chiesa, ma anche le infiltrazioni del laicismo tra i cattolici stessi.

Tra Ac e Istituti secolari prese comunque piede già nel pre-concilio una riflessione che insisteva soprattutto sul “sacerdozio comune” dei fedeli, anticipando alcune riflessioni della teologia del laicato di impronta francese. L’arrivo in Italia degli scritti di Yves Congar, negli anni ’50, corroborò questa riflessione, che trovò alcuni ambienti particolarmente sensibili. Spicca a questo proposito l’itinerario personale di Giuseppe Lazzati, che divenne uno dei più significativi sostenitori di una “maturità” ecclesiale del laicato, interpretata soprattutto nell’articolata capacità di valorizzare gli aspetti cristiani della vocazione “secolare”, legata alla vita e all’attività del laico nel “mondo”. La riflessione conciliare diede slancio a una nuova stagione di crescita della coscienza laicale. Soprattutto LG 31, inseriva la tematica dell’”indole secolare” del laico e della vocazione a “cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”, nell’orizzonte della visione di Chiesa come “popolo di Dio”, prima che come società gerarchica. In questa direzione, Lazzati insisteva soprattutto sulla necessità che la coscienza laicale cristiana assumesse come propria specifica vocazione il percorso da compiere negli ambiti mondani, rifiutando una visione degli equilibri clero-laicato tutta interna a logiche ecclesiastiche.

Dopo il Vaticano II, venne ad esprimersi un filone che tese a interpretare in chiave rivendicativa e polemica la richiesta di maggior voce e di un più significativo ruolo del laicato nella Chiesa, parallelamente alla stagione “anti-istituzionale” vissuta dalla società italiana nei decenni ’60 e ’70. Ma forse più rilevante in termini quantitativi e qualitativi fu la ricerca di nuove forme di equilibrio tra i diversi stati di vita cristiani, vissute nelle Chiese locali. Si pensi alla stagione di sperimentazione, non facile, dei “consigli pastorali”, come ambiti di condivisione della responsabilità di guida delle comunità. Ma si pensi anche alla nuova stagione di protagonismo di movimenti ecclesiali, in cui la componente laicale era quasi sempre forte, anche se talvolta l’origine delle aggregazioni era stata legata al carisma di un fondatore ecclesiastico.

Tra anni ’70 e ’80 si sviluppò una fase di interessanti dibattiti teologici nella Chiesa italiana sulla questione del laico e del laicato. La visione “lazzatiana” fu ripresa con un tentativo di rifondazione e consolidamento (ad esempio con un importante corso di aggiornamento organizzato dall’Università cattolica nel 1977 a Verona). Una sua ricaduta era anche l’articolazione di un discorso sulla laicità dello Stato e delle istituzioni, che doveva avere un rilevante sviluppo anche nella coscienza civile di una parte dei cattolici italiani, confluendo fino al ripensamento della Corte costituzionale sui caratteri “laici” dello Stato democratico. Da parte di alcuni teologi, venne però una critica che identificava in quell’approccio una tendenza dualistica, o almeno un rischio di separazione tra esperienza della Chiesa ed esperienza secolare. Invece di insistere sulla coppia laicato-clero, si propose quindi di riflettere sui rapporti tra la comunità e i diversi ministeri (in linea con il ripensamento dello stesso Congar): la riflessione e la sperimentazione sui ministeri laicali rimase però piuttosto iniziale nella Chiesa italiana: a parte gli incerti passi avanti di alcuni ministeri legati all’ambito liturgico, si cominciò a parlare di un “ministero coniugale”, ma senza significativi sviluppi. Altri teologi insistettero piuttosto sulla necessità di ribadire le caratteristiche spirituali del laico come “cristiano”, diversificando piuttosto in termini formativi e spirituali un approccio specifico alle diverse vocazioni “laicali”. Lazzati replicò a questi approcci senza rigidità, ma esprimendo l’esigenza fondamentale di non appiattire la vocazione dei laici e il loro servizio non semplicemente ecclesiale, ma ispirato alla necessità di ordinare le cose del mondo secondo Dio.

Fonti e Bibl. essenziale

G. Ambrosio – G. Angelini, Laico e cristiano. La fede e le condizioni comuni del vivere, Genova 1987; G. Caracciolo, Spiritualità e laicato nel Vaticano II e nella teologia del tempo, Milano 2009; Laicità. Problemi e prospettive, Atti del 47° corso di aggiornamento culturale dell’Università Cattolica, Milano 1978.


LEMMARIO




Lameri Angelo


 





Landi Fiorenzo


 





Lanfranchi Rachele


 





Lentini Giuseppe


Dottorando della Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana, e, da settembre 2017, Direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Agrigento.