Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa

Dizionario Storico Tematico La Chiesa in Italia
Dalle origini all'Unità Nazionale
Roma 2015
Copyright © 2015

Maria Santissima - vol. I


Autore: Luca Di Girolamo

Maria 1Introduzione. Tracciare in poche pagine il complesso fenomeno del culto e della devozione mariana nel nostro paese è particolarmente arduo in quanto la religiosità italiana, nella quale la Madre del Signore ricopre un ruolo singolare, si colloca in osmosi continua con il vissuto quotidiano. In questo contributo di natura storico-teologica e culturale relativo all’Italia, prima di tracciare il percorso storico compiutosi nella nostra penisola offriremo qualche elemento generale che possa illustrare il fenomeno cultuale e devozionale e, successivamente, i caratteri che costituiscono il legame particolare tra l’Italia e S. Maria.

Significato del culto e della devozione mariana. Nel n. 56 della esortazione apostolica Marialis cultus, Paolo VI, dopo aver affermato la centralità dell’amore come tratto distintivo del disegno di Dio, aggiunge in riferimento diretto alla Madre del Signore: «Egli l’amò ed in lei operò grandi cose (cf. Lc 1,49); l’amò per se stesso e l’amò anche per noi; la donò a se stesso e la donò anche a noi» (Paolo VI, Marialis cultus n. 56). Poche, ma dense parole che ci offrono la chiave interpretativa più adatta ad illustrare il significato e la valenza del culto mariano. Ciò assume una rilevanza antropologica fondamentale se si considera come l’uomo sin dagli inizi e nelle sue varie scansioni epocali, si mostra come homo religiosus, bisognoso cioè di una relazione trascendente. Ecco allora che il culto-dono va a toccare le radici esistenziali più profonde dell’uomo in ordine ad una risposta alla domanda di senso. Maria si colloca perciò al punto di incontro di due strade: è dono di Dio, ma lo è anche il culto a lei tributato che permette alla comunità di riconoscere nella Madre di Dio la creatura che vede esaudita la personale ed universale questione sul significato dell’esistenza umana.

In tal modo Maria, pur condividendo la condizione dell’umanità pellegrina nel tempo, è però pienamente conformata a Dio da assumere una condizione unica rispetto al nostro essere. Come il Figlio venuto a compiere l’AT, anche Maria si esprime nei tratti della continuità/discontinuità: creatura umana, ma eletta e fatta segno di un favore speciale da parte di Dio, al punto di rappresentare, secondo il noto teologo H.U. von Balthasar (†1988), il sì divino realizzante rivolto all’uomo (cf. H.U. von Balthasar, Maria. Il sì di Dio all’uomo). È chiaro però che la coscienza credente ha accentuato maggiormente la discontinuità e lo ha fatto mossa appunto dalla fede espressa dal singolo e dalla comunità e che l’ha condotta, nel corso del tempo, a forme devozionali talvolta piuttosto discutibili. In tal senso l’ “io credo” della fede è pur sempre il “noi crediamo”, ossia il luogo in cui si vengono ad incontrare il Dio per tutti e la domanda sul senso che possiede un carattere universale.

Guardando alla vicenda esistenziale di Maria, partecipe dell’opera del Dio Uno e Trino che è il fondamento del vero culto in Spirito e verità (cf. Gv 4,23), appare chiaro che il culto e la devozione rivolti a S. Maria vanno inquadrati nell’osmosi Lex orandilex credendi, che rappresentano la piattaforma della vita cristiana manifestata in diverse forme sottoposte allo scorrere del tempo e da esso definite sul piano culturale.

Un ulteriore ampliamento del nostro discorso è rappresentato dalla dimensione sociologica del culto mariano. G. Scarvaglieri non esita a definire il fenomeno mariano come fatto sociale, cioè luogo in cui, da un lato, convivono caratteristiche sociali e, dall’altro, elementi storico-teologici immersi in un flusso dinamico ed evolutivo. Entrambi i fattori, a loro volta, si condensano attorno a quattro canali strutturali propri del fenomeno religioso: il piano delle credenze riguardante la concettualizzazione del fenomeno mariano: dogmi e teologia, il carattere proprio della liturgia, la dimensione comunitaria tipica del formarsi di gruppi, associazioni e movimenti e, non meno importante, la dimensione morale che esplicita e addita al credente la singolarità esemplare della Madre di Dio (cf. G. Scarvaglieri, Sociologia, 1115-16). Tuttavia un culto ed una vera devozione per essere realmente fecondi non possono ignorare il passaggio dalle due leges (orandi e credendi) alla lex vivendi, ossia alla testimonianza vera e coerente del dono del messaggio salvifico che abbiamo ricevuto e del modello esistenziale che Maria rappresenta per il popolo cristiano. La Pontificia Accademia Mariana Internazionale (= PAMI) evidenzia con pochi ed efficaci tocchi la sostanza più profonda di questo tema complesso e composito nelle sue determinazioni quando considera la positività di una pietà mariana che deve risolversi nel servizio degli uomini, soggetti a tanti pericoli ed insidie (cf. Pami, La Madre del Signore. Memoria, presenza, speranza, n. 76).

A partire da questa coscienza, soprattutto in epoca moderna e contemporanea, le migliori energie della carità del popolo cristiano si sono offerte per consolidare al suo interno l’unità e la pace non solo spirituale, ma anche materiale e sociale e contribuendo, quanto più possibile e guardando alla Madre del Signore, a condizioni più vivibili. In una parola all’edificazione di quel Regno di cui l’assemblea dei credenti è, su questa terra, già figura anticipatrice. Ciò vale in modo particolare per l’Italia, paese di antica cristianità.

L’Italia e Maria. Proprio come terra di antica cristianità, l’Italia vede attuato sul suo territorio un processo di inculturazione che, sul piano della devozione e del culto alla Madre di Dio, possiede innumerevoli manifestazioni nel corso del tempo. La presenza di S. Maria nel nostro territorio può essere considerata attraverso due dimensioni che, pur nella loro diversità, sono tra loro connesse: una prima di natura culturale che va a toccare i nuclei letterari, artistici, filosofico-teologici e l’altra di natura sociale che contiene in sé i fenomeni più visibili della devozione: pellegrinaggi, santuari, particolari preghiere e manifestazioni di culto. Sul primo punto basterebbe consultare un qualsiasi testo di storia della letteratura italiana per rendersi conto di come la poesia in volgare, sin dal suo nascere, abbia scelto la Vergine Maria tra i temi principali del proprio rimare. A ciò si accompagna tutto un contesto di rilettura globale della storia e della civiltà ancora attuato con il parametro dell’historia salutis, per cui anche le nuove strutture socio-culturali (amor cortese, Stilnovo) e gli ordinamenti civili (sistema feudale) si rivestono di sacralità oppure vengono presi a prestito per comunicare ed evidenziare la devozione mariana. Tutto questo complesso di elementi dà origine a veri e propri monumenti letterari destinati a lasciare traccia profonda: il canto dantesco alla Vergine pronunciato da S. Bernardo (Par XXXIII,1-45) e la pensosa riflessione orante della Canzone alla Vergine che chiude il Canzoniere di Petrarca, diversi tra loro (contemplazione il primo e autoriflessione orante il secondo), appaiono ugualmente casse di risonanza di tutta una cultura che fa propri ed unifica armonicamente il dato esistenziale-esperienziale (non senza qualche richiamo politico: la stessa Canzone alla Vergine in qualche punto riprende contenuti presenti nella Canzone all’Italia) con quello più propriamente teologico-spirituale.

Un carattere mariano quindi contraddistingue la nascita ed il consolidarsi della cultura italiana e, restando nel campo della letteratura, tale elemento non viene meno neppure nei momenti in cui lo stile letterario subisce quella dilatazione propria del Barocco in cui lo sfavillare della forma prevale sulla densità di contenuto, oppure, in epoca illuminista, quando invece si impongono la sobrietà e l’intellettualismo.

È possibile allora affermare, anche in base agli elementi letterario-culturali sinteticamente riportati, che la religiosità italiana ha nella devozione alla Vergine uno dei tratti più caratteristici, che ben si è sposato con la particolare percezione che il nostro paese ha avuto dell’istituzione familiare in cui la figura della donna-madre possiede un rilievo preminente. Questo assetto ha motivazioni psicologiche fortemente radicate nel popolo italiano, la cui devozione mariana esprime, a diversi livelli e con altrettante diverse modalità, il fatto che, nell’immagine di maternità, vengono a convergere le risposte alle domande di aiuto, protezione, guida. D’altra parte, il medesimo simbolo della donna che genera Dio spiega “come l’individuo debba e possa realizzare un autentico e profondo incontro col sacro, vissuto nella concretezza storica, seguendo creativamente la propria via individuale, quella che è in sintonia con il proprio equilibrio personale” (L. Pinkus, Il mito di Maria, 100-101). Tenendo conto di questo dato, costantemente e variamente presente nella popolazione italiana, non meraviglia lo sviluppo di tanta letteratura devota e apologetica che si è venuta a produrre nel corso del tempo con il preciso intento di sottolineare il legame tra la Madre del Signore e la nostra nazione. Ne è prova, ad esempio, il volume risalente al 1953, scritto a due mani (G. Roschini – A. Santelli), dal titolo La Madonna e l’Italia e che ha come sottotitolo La storia d’Italia alla luce della sua Castellana. Quest’opera, non esente da certa enfasi retorica, è divisa in tre parti delle quali la prima è dedicata proprio all’amore materno che Maria riversa sull’Italia per il fatto di essere terra di antichissima cristianità e luogo dove apostoli e martiri hanno sparso, spesso a prezzo del loro sangue, i semi del Vangelo.

Al primo livello di lettura di quello che potremmo definire ‘carattere mariano dell’Italia’ si aggiunge la dimensione sociale sopra menzionata, che mostra nella Vergine Santa un fattore dinamico, tale da mettere in movimento la popolazione diversificata per ceto sociale e formazione cristiana. Se notevoli e molteplici sono le testimonianze e gli elementi che riflettono anche i caratteri più propri della sensibilità italiana, ad essi si deve aggiungere un ulteriore fattore di contestualizzazione relativo ad un tema che, soprattutto a partire dagli inizi del XXI secolo, ha suscitato non poche tensioni: l’incidenza quello delle radici cristiane dell’Europa, continente nel quale l’Italia è inserita e del quale si è fatta guida e segno nelle fasi iniziali di diffusione del cristianesimo. Questo elemento si coniuga con la centralità culturale e artistica rappresentata dall’Italia nell’epoca umanistico-rinascimentale. Se – come osserva G. Forlai – in 70 paesi interessati da un fenomeno eclatante come quello delle apparizioni oltre il 90% si trova in territorio europeo (cf. G. Forlai, Europa, in Mariologia, 493), non meraviglia che in Italia santuari, chiese, edicole, cappelle, ecc. siano di difficile enumerazione. Legato ad essi, ecco comparire il fenomeno dei pellegrinaggi che, accanto alla dimensione più propriamente cultuale (e talvolta con valenza penitenziale), costituiscono momenti aggregativi da non sottovalutare cercando di evitare, tuttavia, il pericolo di un’eccessiva accentuazione del luogo a detrimento dell’evento salvifico che deve restare il vero oggetto di ogni culto.P. Luca 1

Proprio nell’ambito del sociale, il culto e la devozione mostrano una varietà di espressioni che ben si accompagnano al sorgere di questi luoghi sacri e, aggiungiamo, particolarmente amati con le loro attività liturgiche, rituali, caritative, culturali e ai relativi pellegrinaggi. V. Bo enumera, anche con rispetto della storia, alcune forme che manifestano visibilmente il sentimento religioso del popolo italiano: canti popolari talvolta trasmessi oralmente e poi fissati per iscritto, preghiere individuali e comunitarie, confraternite, sagre. In secondo luogo Bo pone in guardia, da un lato, dal fermarsi solo alla superficie di una determinata forma per andare al contenuto e ad individuare il referente cultuale che deve essere considerato e, per altro verso, dal pronunciare giudizi affrettati che, oltre ad offendere e minimizzare la coscienza credente, non rendono ragione, né spiegano adeguatamente il fenomeno del culto e della devozione alla Madre di Dio (cf. V. Bo, Maria nella pietà popolare italiana, 227-31). L’esame diacronico del fenomeno ce ne svela la complessità dei caratteri.

Stratificazione storica. Il culto e la devozione alla Madre del Signore appaiono sin da subito come elementi caratterizzanti della fede cristiana nel suo svolgersi storico che divideremo per comodità in cinque periodi: Antichità – Medioevo – Epoca Moderna fino a Pio IX – Da Pio IX alla fine della modernità – Epoca Contemporanea. Riletti nel loro insieme essi ci presenteranno un variegato mosaico di espressioni che si sono manifestate come testimonianza del sensus fidelium della nostra penisola. C’è da osservare che la presenza in Italia della sede papale implica che ogni riconoscimento o pronunciamento sulla Madre del Signore anche in relazione all’istituzione di particolari feste o pie pratiche, trova il primo terreno di azione proprio in Italia ed in particolare a Roma.

Parallelamente la Madre del Signore diviene – attraverso gli scritti di uomini eccezionali come Ambrogio (†397), Girolamo (†420) e Agostino (†430) – esempio, modello e fonte ispiratrice di forme di vita consacrata femminile. Proprio in concomitanza del dogma di Efeso grande importanza assumono le feste dedicate alla Madre di Dio a partire proprio dal 1° gennaio (Ottava di Natale), solennità della Theotokos, celebrata in Oriente il 26 dicembre. Da non sottovalutare anche un altro carattere penitenziale legato all’ultimo giorno dell’Ottava di Natale (si ricordi come l’anno non cominciava per tutti in gennaio) che in alcuni ambienti era osservato quale reazione alle feste pagane in onore di Giano (cf. D. Sartor, Le feste della Madonna, 40). Il mistero dell’Incarnazione e, chiaramente, la nascita di Gesù rappresentano lo sfondo in cui si colloca ogni manifestazione di culto e devozione a S. Maria che interessa evidentemente anche il periodo preparatorio al Natale. Questa è una costante che è possibile rilevare non solo a Roma ma anche Milano (dove troviamo, nel Sacramentario Bergomense, note mariane in 2 prefazi) e a Ravenna (contraddistinta dalla forte predicazione di S. Pietro Crisologo). Ma sarà soprattutto papa Leone Magno verso la fine del secolo V con le sue 10 Omelie per il Natale a sottolineare con forza la presenza di Maria. Gradualmente vengono ad imporsi altre feste comunemente considerate mariane: la Presentazione (2 febbraio), l’Annunciazione (25 marzo), l’Assunzione (15 agosto) e la Natività di Maria (8 settembre). Di esse, solo le ultime due possono considerarsi mariane, mentre le altre rivelano il loro carattere cristologico.

Notevoli poi sono i generi di preghiera che si vengono a formare nei primi cinque secoli di vita del Cristianesimo: invocazioni, suppliche ed eulogie, talvolta recitate da singoli e talaltra da più fedeli riuniti (cf. A.M. Triacca, Le preghiere a Maria Vergine (dalle origini al secolo IV), 144). Su questa base molto composita si svilupperà tutta una letteratura ed una devozione che giungeranno a maturazione con il Medioevo non senza ricorrere all’elemento miracolistico e a quello prodigioso come testimoniano, ad esempio, alcune primitive forme teatrali nonché raccolte di legendæ e miracoli sviluppatesi soprattutto nell’Italia centrale.

Tuttavia non sono soltanto le feste a determinare la religiosità del Medioevo europeo occidentale: l’insicurezza e la fragilità delle strutture, almeno fino all’avvento del Sacro Romano Impero, i pericoli, le guerre e le pestilenze, alimentano la considerazione, talvolta pessimistica, della precarietà umana determinata anche dalla condizione di peccato. A ciò si aggiunge che, con il passare del tempo, la Chiesa non sembra aver mantenuto quella purezza delle origini e ciò dà luogo al costituirsi di nuove forme di vita religiosa: ordini monastici e mendicanti che nascono, in modo diversificato per carisma ed epoca, con un forte risvolto mariano motivo per cui la Madre di Dio è associata al variegato programma di reforma Ecclesiæ avvertita quale necessità imprescindibile dai grandi papi Gregorio Magno (†604) e Gregorio VII (†1085). La coscienza della propria debolezza spinge l’uomo medievale a cercare un rifugio sereno e, al contempo, mostra un forte anelito verso le realtà celesti ed ecco allora che Maria, a motivo della sua perfezione morale, viene fatta segno di una particolare pietas da parte del devoto. Anzi si giunge ad interpretare in una chiave mariana tutto il sistema di relazioni che legano il feudatario al suo vassallo. Si è dinanzi al fenomeno del patronato e patrocinio mariano che diviene cifra di riconoscimento di alcune famiglie monastiche e mendicanti, tale da sancire l’appartenenza a Maria testimoniata anche da numerosi testi appartenenti al genere delle legendæ. Ma quale ritratto abbiamo di questa creatura ? Non tanto della Vergine umile oppure della donna comune, quanto piuttosto di una creatura rivestita di un’identità speciale perché i doni singolari da lei ricevuti sono segno di un rapporto particolare ed unico con il Signore, tale da farle assumere il titolo di Regina in analogia al Figlio. In una parola, si giunge ad una superesaltazione della Vergine senza che ciò però la distacchi dal contesto umano e sociale. Anche le feste profane di alcune città (ad es. il Palio di Siena la corsa in onore della Madonna di Provenzano, il 2 luglio e dell’Assunta il 16 agosto su una piazza a pianta simile ad un trapezio quale segno del mantello di protezione di Maria sulla città), oppure eventi storici particolari vengono collocati sotto il segno di Maria. Una superesaltazione che si manifesta nell’attribuzione di veri e propri miracoli operati da Maria e che tutto il genere letterario dei miracula testimonia: fatti prodigiosi che fanno comprendere la vicinanza della Madre del Signore all’umanità. In sostanza, il fedele trova in Maria, da un lato, il modello creaturale e comportamentale e, per altro verso, un sicuro e potente mezzo di protezione: si afferma conseguentemente il tipo iconografico della Mater misericordiæ che, anche nella teologia e nella letteratura religiosa, viene fatto proprio da alcuni ordini religiosi del tempo come i Cistercensi.P. Luca 2

Questo tipo iconografico particolarmente favorisce il fenomeno, già menzionato, dei pellegrinaggi ai diversi sparsi santuari italiani (specie al centro e in Sicilia) dedicati alla Madonna della Misericordia o del Soccorso e invocata in occasione di epidemie (spesso associate dagli uomini del tempo al peccato). Un solo esempio fra i tanti è il santuario della Madonna della Misericordia costruito a Macerata (1374) per allontanare la peste. Importante è poi l’associazione di Maria con la Chiesa in un’ottica di riforma e qui emerge la grande figura di S. Pier Damiani (†1072) interprete ed esecutore, al contempo, delle grandi istanze di rinnovamento ecclesiale, oltre che autore di inni, preghiere ed omelie alla Madre di Dio. Basterebbe pensare come in uno dei suoi testi Pier Damiani mostra che il rifiuto del culto mariano da parte della comunità monastica ne sancisce la forte decadenza e provoca una forte concentrazione di calamità naturali (cf. Pier Damiani, Liber VI, Epistula 32, in PL 144,422 B-23 B).

Una considerazione del tutto speciale di Maria si attua nell’ambito della letteratura con il sorgere di alcuni generi: la Lauda di tono encomiastico e, più drammaticamente svolto, i Planctus Mariæ che gradualmente vedono l’affermazione del volgare e costituiscono la forma embrionale di tutto un successivo sviluppo teatrale in cui il popolo è spettatore coinvolto: in tale spettacolarizzazione degli eventi della Passione si dà ampio spazio alle manifestazioni di sofferenza patite dalla Madre di Dio. L’Italia centrale, luogo di origine di diversi movimenti pauperistici e religiosi, appare nel secolo XII come la sorgente di tali composizioni e Jacopone da Todi (†1306) l’esponente più conosciuto grazie al suo Donna de’ Paradiso, ma accanto a questo autore non si può omettere il Laudario di Cortona (secolo XIII) in cui appaiono molte composizioni di tono gioioso. Un discorso a parte merita il Mariale che si configura, in forme assai diverse, come raccolta di testi (sermoni, preghiere, inni) tanto per un uso pastorale quanto per la devozione privata. Questo genere si contrassegna per la forte valenza simbolica come ad esempio il Mariale Aureo di Jacopo da Varazze († 1298). Talvolta la letteratura popolare e profana italiana si serve della tecnica del contrasto fra due entità per veicolare un messaggio religioso-morale. È il caso del vivace Contrasto tra Satana e la Vergine (De Sathana cum Virgine) del laico milanese Bonvesin de la Riva († 1315 ca), personaggio particolarmente attivo nel campo caritativo della sua città, autore di un’altra composizione Contrasto tra il peccatore e la Vergine (De peccatore cum Virgine).

Accanto alla dimensione letteraria e teatrale non va dimenticato il versante artistico poiché, in alcuni casi, esso riveste un carattere ed una funzione sociale e, in certo senso, taumaturgica. Si tratta nella fattispecie di ritrovamenti di icone attribuite a S. Luca che poi vengono portate in processione soprattutto in occasioni di calamità ed epidemie. È il caso della Madonna dell’Impruneta presso Firenze dove, nel secolo XI, viene eretto un tempio su un luogo di ritrovamento di un’icona particolarmente amata dai fiorentini e destinata ad essere trasportata. Si può considerare qui l’inizio del pio esercizio della peregrinatio Mariæ che godrà vasta popolarità e diffusione nel secolo XX. Accanto a questa tipologia iconografica ‘pseudo-lucana’ se ne colloca un’altra di natura acheropita che anch’essa trova in Toscana un esempio nel dipinto nel Santuario fiorentino della SS. Annunziata (1252).

Per quanto riguarda l’elemento santuariale l’Italia (a differenza della Francia) non conosce nei suoi primordi una connotazione dichiaratamente mariana (abbiamo nel secolo XI Monte S. Angelo dedicato a S. Michele); solo successivamente si segnalano Montevergine (dove si venera un’icona costantinopolitana Madonna in trono con Bambino) e la più nota Porziuncola attorno alla quale si sviluppa il complesso di S. Maria degli Angeli.

Proprio la nascita, l’affermazione e la diffusione degli Ordini mendicanti favoriscono pratiche religiose e di pietà mariana che spingono anche la Chiesa ufficiale a pronunciamenti specifici: il sabato mariano, l’Ufficio mariano, la meditazione sulle gioie (Allegrezze) e i dolori della Vergine. Parallelamente le feste mariane subiscono radicali ripensamenti volti ad una loro ratifica motivata: è il caso della festa dell’Immacolata Concezione (nata in Oriente come Concezione di Anna – il 9 dicembre – e arrivata dall’Italia meridionale per poi diffondersi in tutta Europa), di cui l’Ordine Francescano diviene strenuo difensore e per la quale interviene nel Capitolo di Pisa del 1263 sotto il generalato di S. Bonaventura (†1274) estendendola a tutto l’Ordine. Questo Capitolo è importante anche per l’obbligatorietà dell’Angelus, ricordo quotidiano dell’Incarnazione al quale i frati erano tenuti e dovevano invitare i fedeli. Notevoli e sintomatiche di tutta una tensione teologica le successive diatribe teologiche su questa ‘pia sentenza’ dell’Immacolata che, pur non ricevendo un pronunciamento di livello dogmatico, nel 1476 con la costituzione Cum præcelsa di Sisto IV compiva un notevole passo avanti, venendo approvati la Messa e l’Ufficio composti da Leonardo Nogarolis. I contrasti, tuttavia, non terminarono tanto che successivamente lo stesso papa difese apertamente contro i detrattori (minacciandoli di scomunica) questo ‘privilegio’ mariano con una nuova costituzione la Grave nimis del 1483.

La discussione sulla ‘pia sentenza’ dell’Immacolata Concezione non si limita soltanto ad un discorso di natura teologica, ma interessa anche gli equilibri interni delle famiglie religiose e chiama in causa persino le autorità civili. È il caso dell’ordine dei Predicatori che, tradizionalmente ostili a detto privilegio mariano, vede al suo interno alcuni esponenti favorevoli tanto da difenderlo come ad esempio Ambrogio Catarino († 1553) il quale, pur non aderendo alla scuola francescano-scotista, sostiene l’esenzione di Maria dal peccato dei progenitori adducendo il proposito di uniformarsi alla volontà e alle direttive della S. Sede che si era già pronunciata con i due documenti citati. Questa posizione strenuamente mantenuta pone Catarino in situazione di difficoltà dinanzi ai teologi domenicani allineati sul rifiuto di questa discussa verità mariana. Non sarà l’unico caso isolato presso i domenicani: in Spagna, qualche decennio più tardi, Luis De Granada († 1588) mostrerà favore per l’estraneità di Maria dal peccato originale. Non meno importante, si diceva, appare il coinvolgimento delle autorità civili in questa vicenda; difatti nel 1481 si svolge a Ferrara, alla presenza del duca Ercole d’Este, del vescovo locale, di altri teologi e di molto popolo, la disputa fra quattro religiosi (tre favorevoli: il carmelitano Battista Panetti, il servita Cesario Contughi e il francescano Bartolomeo Bellati ed uno contrario il domenicano Vincenzo Bandello). La discussione durò 6 ore ma condusse – stando al Diario ferrarese di Bernardino Zambotti – alla legittimazione di entrambe le opinioni (cf. G.M. Roschini, I Servi di Maria e l’Immacolata, 73-75 e S. Cecchin, L’Immacolata Concezione, 103).

C’è da osservare inoltre che, sul finire del medioevo, il papa Sisto IV, mentre fervono tali discussioni, si rende arbitro risolutore, a livello liturgico, di questioni legate a nuove feste di Maria: nel 1472 estende a tutta la Chiesa occidentale la festa della Presentazione di Maria al tempio, anch’essa antica festa di origine orientale e modellata sul testo apocrifo del Protovangelo di Giacomo e tre anni dopo fa seguire un’Ottava alla festa della Visitazione, già istituita da Urbano VI nel 1389.

Legata alla Passione e avente come contesto il movimento spirituale del tempo la cui eco è presente in testi letterari non liturgici, appare la devozione al dolore della Vergine, che nel 1423 in Germania provoca la nascita della festa della Commemorazione dell’angoscia e dei dolori della Beata Vergine Maria. Tale festa viene accolta anche in Italia e nel 1482 estesa ancora per volere di Sisto IV a tutta la Chiesa con il formulario Nostra Signora della Pietà.

A Roma, come si è detto precedentemente, viene celebrata con particolare solennità l’Assunzione che ha goduto, almeno fino al 1566 (anno della soppressione voluta da Pio V per gli eccessi esteriori e mondani che aveva acquisito), larga rappresentanza di popolo, corporazioni ed autorità presenti alla processione notturna verso S. Maria Maggiore. Altra celebrazione romana fatta successivamente propria dai Francescani è la Madonna della Neve (5 agosto), festa legata alla basilica di S. Maria Maggiore che, dal 1302, compare nel Breviario francescano a seguito di una decisione del Capitolo Generale celebratosi a Genova.

Anche nell’ambito della più semplice preghiera mariana occorre registrare alcuni fenomeni: la progressiva memorizzazione da parte del popolo dell’Ave Maria accanto al Pater noster e al Credo e, analogamente, della Salve Regina (papa Gregorio IX nel 1239 ne ordina il canto nelle chiese romane dopo Compieta), il diffondersi del Rosario che, soprattutto per gli analfabeti, era sostitutivo della recita dell’intero Salterio; nato fuori d’Italia e con periodo di gestazione abbastanza consistente, il Rosario prenderà diverse connotazioni relative alla contemplazione degli eventi di Maria e dei caratteri spirituali e carismatici di ogni ordine religioso che lo adotta. Un ruolo molto importante è assunto poi dalle Litanie che, modellate su quelle dei santi (risalenti al VII-VIII secolo), accolgono titoli derivati dalla Scrittura con grande uso di simbologia e, posteriormente, altri in relazione a fatti o situazioni storiche particolari. Tali immagini diverranno, nel secolo successivo, veri e propri motivi iconografici (cf. il soffitto della Chiesa di S. Marcello a Roma). Notevole importanza rivestono le Litanie lauretane che affondano le loro radici in un manoscritto di area francese che riporta un formulario risalente al secolo XII. A ciò si aggiunga che anche alcuni Ordini religiosi, a partire dal tardo Medioevo, si fanno diffusori di formulari di litanie. È il caso dei Servi di Maria che producono testi legati ai loro santuari (SS. Annunziata a Firenze: 1435; Monte Berico a Vicenza: 1430-50). Molto forte nella recita di preghiere, litanie ed esercizi di pietà appare la dimensione comunitaria ed ecco allora il formarsi di Confraternite che avevano anche una finalità assistenziale e di soccorso ai poveri ed ammalati. Presso questi gruppi, tale opera sociale non è mai distaccata dall’orazione e a volte anche nei loro elementi esteriori rivelano un connotato mariano, come la Confraternita dei Raccomandati (o del Gonfalone) fondata sembra nel 1260 a Roma da S. Bonaventura e che nel suo stendardo porta raffigurata una Mater misericordiæ. Altre confraternite italiane, invece, sono legate alla pia pratica del Rosario: del 1480 è la prima confraternita istituita a Venezia, dell’anno successivo quelle di Firenze presso il convento di S. Marco e di Roma presso la Chiesa di S. Maria sopra Minerva. I Carmelitani promuovono le confraternite “del mantello bianco”, che assumeranno poi lo scapolare come segno devozionale distintivo.

Le confraternite sono legate alla preghiera mariana anche per un altro elemento che costituisce la civitas mediævalis, ossia il dramma liturgico, sviluppatosi tra X e XII secolo, il cui scopo non era certo quello di intrattenimento, ma pedagogico nei confronti della preghiera. In esso attori – dapprima chierici, in seguito laici – davano vita ai diversi personaggi della storia sacra o a momenti particolari dell’azione liturgica. Tutto questo genere andrà percorrendo un suo proprio sentiero fino a staccarsi dal luogo sacro e con la sempre maggior presenza di testi in volgare in luogo del latino e con serie conseguenze per la religiosità popolare.

Questa nuova cultura antropocentrica, inizialmente non dimentica di Dio, lo ha però spostato dalla centralità che aveva nel medioevo. All’uomo quindi viene riferito il canone della bellezza ed è emblematico come, ad esempio, Lorenzo il Magnifico († 1492) si diletti a comporre celebrando Maria e, al contempo, la grande bellezza. In parallelo abbiamo il costituirsi di un’iconografia religiosa che sfrutta modelli femminili tutt’altro che idealizzati, ma contrassegnati da una forte concretezza carnale. Contro questa nuova visione ecco la voce del Savonarola che, in un’ottica riformatrice, ammonisce fortemente a tornare all’essenzialità di Maria. Non è un elemento nuovo: abbiamo già incontrato l’associazione di Maria alla reforma Ecclesiæ, una costante che ritroveremo anche in autori che ricoprono alte cariche ecclesiastiche come, ad esempio, il vescovo e patriarca di Venezia S. Lorenzo Giustiniani (†1455) che in due opere (De humilitate e De triumphali Christi agone) vede l’esemplarità di Maria per la Chiesa. Ma questo ideale di riforma, che porterà alla divisione che conosciamo, sorge anche dalla presa di coscienza che l’uomo, artefice del proprio destino, si trova a fare i conti con la propria debolezza e precarietà: accanto ad un entusiasmo religioso proprio di una società padrona di sé, tale da portare a volte ad aberrazioni sentimentali o devozionali, gradualmente e soprattutto sotto la spinta protestante, si fa largo tutto un complesso di colpa molto critico con l’esteriorità che va a toccare invece l’uomo nel profondo. Maria è perciò vista, da un lato, come un’entità morale altissima ed irraggiungibile e, per altro verso, come l’unica creatura che serve all’uomo per compensare e, secondo alcuni autori, sanare la fragilità umana, oppure per proteggerlo dai pericoli. In tal senso assume una singolare valenza, lungo il XVI, secolo la preghiera del Rosario associata, successivamente al 1570, alla vittoria di Lepanto contro i turchi e, quasi contemporaneamente, inizia ad affermarsi a Roma la pia pratica del Mese mariano promossa da S. Filippo Neri (†1596).

In questo contesto prosegue l’attività assistenziale, caritativa e ludica delle confraternite, alcune delle quali – in misura minore, però, rispetto al precedente medioevo – con titoli mariani quali l’Immacolata, la Madonna dei Sette Dolori ed altri, acquistando una sempre maggiore rilevanza sociale in questo secolo XVI definito ‘epoca aurea’ di tali movimenti confraternali. Essi tendono anche a riaffermare l’identità cattolica contro il dilagante protestantesimo. Movimenti che, tuttavia, vengono disciplinati dalle direttive emanate dal Concilio di Trento e posti sotto il controllo dei vescovi locali (cf. G. Angelazzi, Le confraternite laicali, 40-42). Maria quindi diviene nel cattolicesimo barocco italiano (ma ciò interessa anche altri paesi d’Oltralpe) un forte strumento apologetico che si riflette sostanzialmente anche nella letteratura teologica e devozionale del tempo.P. Luca 3

Esponente di tale temperie culturale è Placido Nigido (†1640 ca.) autore del primo trattato sul culto mariano uscito a Palermo nel 1623, rispettando, ma anche arricchendo un genere letterario molto in voga nel Medioevo (Mariale, seu de devotione erga Virginem Dominam in quatuor opuscula digestum). Una pia tradizione, tipicamente italiana che gradualmente si fa strada, sostenuta anche da lasciti di nobili famiglie, è l’incoronazione delle immagini mariane. Le prime celebrazioni sono datate 1601 (Parma) e 1620 (Oropa) per poi diffondersi nel resto dell’Europa. Particolare importanza assume in tal ambito, il cappuccino Girolamo da Forlì († 1620), seguito da altre personalità. Un posto a parte merita la discussa personalità di Ippolito Marracci (†1675) il quale concepì l’iniziativa di ripubblicare le opere degli autori mariani edite lungo i secoli anteriori, intento che solo in parte gli riuscì facendo uscire la sua opera sotto il nome di Mariale, mentre porta a compimento la Polyantea mariana, una sorta di enciclopedia dove in ordine alfabetico elenca e commenta i titoli mariani coniati da padri e teologi. Ad essa si aggiunge la Bibliotheca mariana, primo grande tentativo di catalogazione del materiale prodotto attorno a Maria nell’arco del cristianesimo dal I al XVI secolo. Marracci è importante anche per la difesa della verità dell’Immacolata per la quale non esita a polemizzare con il card. Caietano che negava al popolo di Dio il carattere probativo della fede riguardo ad una determinata verità creduta, mentre per Marracci non si deve disprezzare l’azione dello Spirito nei fedeli. Per aver steso per iscritto tale posizione (che sarà ripresa da Pio IX nel secolo XIX), Marracci verrà condannato, per poi essere riabilitato. Tuttavia il Barocco, felicemente considerato l’epoca della dilatatio, porta con sé una singolare polemica tra due domenicani che rappresentano un po’ le due anime della cultura del tempo nelle sue ombre e nelle sue luci. Il primo scrittore è Niccolò Riccardi († 1639) autore dei Ragionamenti sopra le letanie di nostra Signora pubblicato a Genova nel 1626, emblema di un’enfasi portatrice di titoli e appellativi audaci e contraddittori applicati a Maria (Dio creato, dimezzato, zoppicante, “Cristessa”), vicina ad essere la quarta persona della Trinità). Da notare che Riccardi, proprio per questa capacità oratoria ed immaginifica, era detto Padre Mostro. Contro quest’impostazione, in cui la meraviglia, tipica sigla del Barocco (ricordiamo il testo dell’Achillini riportato anche dal Manzoni: “Sudate o fochi a preparar metalli”) non ha confini ed assume abnorme rilievo, si scaglia il filosofo Tommaso Campanella (†1639) anch’egli domenicano con le sue Censure sopra il libro del Padre Mostro a lungo tempo opera inedita e pubblicata solo nel XX secolo (1998). La grandezza di Campanella non sta tanto nell’aver criticato duramente il Riccardi, quanto nell’esattezza teologica ed ecumenica con le quali illustra il ruolo di Maria nella storia della salvezza, sottolineando fortemente la sua creaturalità e non cedendo all’ambiguità, seppur in buona fede, del confratello. È forse l’unica voce che in Italia si oppone al linguaggio e alle immagini barocche tipiche del tempo e così apre la strada all’epoca successiva, quella dell’Illuminismo. Altro portavoce dell’estetica e del sentimento mariano del Barocco è il carmelitano Andrea Mastelloni (†1722) che nei suoi scritti dedicati alla Vergine (sono commenti all’Annunciazione e alla Visitazione e lezioni sulle litanie) abbonda di superlativi verso di Lei (supersublime Altezza, eccelsa Signora), mostrando come in Maria convergono tutte le virtù degli altri santi. Inoltre nella sua opera Il mistero del Corpo di Gesù Cristo del 1710, Mastelloni stabilisce un legame alquanto discutibile tra Maria e l’Eucaristia affermando che la Madre avrebbe dato al Figlio il consenso (dipendente dall’Incarnazione) all’istituzione dell’Eucaristia. Di poco posteriore a Mastelloni si colloca S. Francesco Antonio Fasani (†1742), francescano pugliese che prosegue nel genere letterario del Mariale componendone due: uno sul Cantico dei cantici ed uno sulla simbolica della nuvoletta di I Re 18,44. Anche qui l’oratoria barocca e l’assemblaggio di citazioni e titoli mariani appartenenti a diversi autori (ben 307 contando anche quelli contenute nelle sue Novene: sette per ogni festa mariana!) concorrono a rendere pittoresca l’esposizione tesa all’edificazione del credente. C’è da osservare che le oscillazioni teologico-dottrinali presenti in Mastelloni, oppure le accensioni stilistiche del Fasani, tipiche del Barocco, concorrono decisamente ad un trionfalismo e ad una magniloquenza di celebrazioni e riti ai quali corrisponde un pronunciato massimalismo della predicazione del tempo che abbonda in aggettivi e figurazioni già prodotti nel Medioevo ed ora ampliati e ingigantiti. In tali predicazioni mariane (funzionali anche per un discorso missionario) dominano l’allegoria e la predilezione per le citazioni classiche, patristiche e medievali atte a conferire solidità all’illustrazione di una determinata virtù della Madre di Dio. I predicatori sono sovente persone colte, ma non sempre portati alla semplicità di eloquio.

La successiva epoca del trionfo della ragione influisce nei termini della moderazione e dell’equilibrio sulla devozione a Maria: essi sono prodotti dallo spirito critico tipico del periodo e che, se da un lato, produceva rilevanti opere di pensiero (L’Enciclopédie, e le tre critiche kantiane), per altro verso, additava i sentieri dell’emancipazione delle classi meno abbienti. Non meno importante appare anche lo studio degli stessi testi sacri: la Bibbia inizia ad esser sottoposta ad un’esegesi di tipo razionale e, parallelamente, si rimprovera l’incoerenza tra una religiosità di facciata ed una cattiveria nella sostanza di certi cristiani. È chiaro che ciò si traduce all’atto pratico in una decisa condanna ed allontanamento dalla superstizione favorendo a poco a poco una maggiore partecipazione del popolo ai riti. Rappresentante della cultura italiana post-barocca ed illuminista è il modenese Ludovico Antonio Muratori († 1750) che nella Regolata divozion de’ cristiani, pubblicata tre anni prima della morte, precisa il ruolo di Maria lontano da ogni massimalismo e minimalismo in forza di un uso molto attento della Scrittura. Senz’altro – egli osserva – è necessario renderle un onore superiore ai santi, ma non inficiata da ogni eccesso e abuso che conduca ad attribuire a Maria qualcosa in più rispetto a Cristo. Le posizioni di Muratori sono in forte opposizione alla superstizione tout court (egli condanna la devozione che porta a ritenere nelle icone mariane dette di S. Luca un reale, seppur in forma spirituale, abitare di Maria, come anche le medaglie e i distintivi vari allora in uso), e la sua impostazione che privilegia il tema dell’intercessione, distingue il tipo di mediazione di Maria da quella di Cristo. Altro aspetto sottolineato dal Muratori, nel Rerum italicarum scriptores, è la fondazione di ospizi, ospedali ed orfanatrofi in onore di Maria che ne diviene protettrice. In tal senso il binomio devozione-opera caritativa ed assistenziale mantiene la sua incisività all’interno della società, compito che, abbiamo detto, viene svolto dalle confraternite. Muratori tuttavia non è il solo a criticare lo scadimento della devozione mariana: immerso nel secolo XVIII troviamo l’abate calabrese Leoluca Rolli (†1777) che opera una serrata presa di posizione contro tutto ciò che in qualche modo poteva suonare inappropriato nei confronti di Maria come, ad esempio, alcuni titoli delle litanie allora in uso. Di ciò se ne fa eco nell’opera edita nel 1773, Novello progetto, o sia Dissertazione del buon uso delle litanie, ed altre preghiere, particolarmente avversata da diversi scrittori (Cordopatri, Crocenti, Grano…).

Sempre in questo secolo in cui la fede e la dimensione trascendente vengono sottoposte al vaglio della ragione, a Roma accade un evento che diverrà una delle note più importanti e addirittura distintive della devozione mariana locale: un uomo assalito dai cani lungo la via Ardeatina si rivolge ad un’icona della Madre di Dio e in modo prodigioso i cani si allontanano. Da quell’evento si origina l’erezione del Santuario della Madonna del Divino Amore che si colloca nel decennio 1740-1750 divenendo per antonomasia il luogo del pellegrino romano. A testimonianza di ciò, il popolo finisce per coniare l’espressione ingenua e, al contempo, immediata: “la Madonna del Divino Amore fa la grazia a tutte l’ore”. Santuario che, nel corso del tempo, avrà un ruolo non trascurabile per la città al di là del fatto puramente religioso.

Intanto prosegue l’affermazione e la diffusione della pratica del Mese mariano attraverso una serie di pubblicazioni che ne regolano lo svolgimento. Fra essi spicca il gesuita Alfonso Muzzarelli (†1813) il quale, a Ferrara nel 1785, pubblica ed invia ai vescovi italiani il Mese di maggio teso a fissare le regole della celebrazione di questa pia pratica con notevole flessibilità riguardo ai diversi stati della vita. In questo libretto, caratterizzato da uno stile semplice sono proposti ogni giorno: una breve meditazione su una verità di fede, l’applicazione pratica, un proposito (fioretto) una giaculatoria ed un canto mariano conclusivo. Ne deriva, come osserva S. De Fiores una devozione “presentata in funzione della vita cristiana: se essa è molto potente, dolce e tenera, è anche utile e necessaria per convertirsi e perseverare nella santità” (S. De Fiores, Maria. Sintesi di valori, 274).

La figura di maggior prestigio di questo periodo è senza dubbio S. Alfonso M. de’ Liguori (†1787) autore di quello che è stato definito il best seller della devozione di ogni tempo, ossia Le glorie di Maria in due volumi pubblicati nel 1750. Si tratta di un testo molto composito in cui abbondano figurazioni e racconti a volte inverosimili utilizzati per trarre un significato di natura morale che mostri la singolarità creaturale della Vergine ed il suo ruolo nell’historia salutis. Lo spirito di S. Alfonso non è più trionfalistico, barocco, infatti l’orma critica dell’Illuminismo lo conduce a spiegare i titoli e a rispettare la superiorità di Cristo sulla Vergine. A ciò si aggiunga il profondo senso pastorale che anima quest’opera diretta alle comunità ecclesiali e ai pastori che, grazie a questo scritto, avevano un prezioso strumento per rafforzare la pietà mariana.

Fonti e Bibl. essenziale

Per uno studio sulla pietà, sul culto e la teologia mariane è imprescindibile l’uso di alcuni strumenti: la consultazione della Bibliografia mariana curata dalla Pontificia Facoltà Teologica «Marianum», da G.M. Besutti a partire dal 1948 e continuata da E. M. Toniolo e da S. M. Danieli. Attualmente tale Bibliografia mariana consta di 15 volumi fino al 2013, nonché i volumi dei Simposi Mariologici Internazionali (SIM) organizzati dalla Pontificia Facoltà «Marianum» a scadenza biennale dal 1976 (attualmente consta di 20 volumi fino al 2015, è in stampa il 21° del 2017 ed è in via di organizzazione il 22° SIM che avrà luogo nel 2019). A ciò si aggiunge la pubblicazione annuale della rivista Marianum organo della Pontificia Facoltà «Marianum».  Dizionari e repertori: G. M. Roschini, Dizionario di Mariologia, Roma 1961; S. De Fiores-S. M. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1986; S. De Fiores, Maria. Nuovissimo Dizionario, Dehoniane, Bologna 2006-2008, 3 voll.; S. De Fiores-V. Ferrari-Schiefer-S. Perrella (a cura di), Mariologia, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2009; Aa.Vv., Testi mariani del II millennio, Città Nuova, Roma 1996-2012, 8 voll. Documenti ecclesiali: per i documenti ecclesiali ci siamo serviti dei seguenti strumenti: Enchiridion Vaticanum, Dehoniane, Bologna 1981, voll. 1ss.; H. Denzinger-P. Hünermann (a cura di), Enchiridion Symbolorum definitionum ac declarationum de rebus fidei et morum, Dehoniane, Bologna 1995; Pontificia Academia Mariana Internationalis, La Madre del Signore. Memoria – presenza – speranza, Città del Vaticano 2000. Monografie a carattere generale: S. De Fiores-S. Epis-G.Amorth (a cura di), La consacrazione dell’Italia a Maria. Teologia, storia e cronaca, Ed. Paoline, Roma 1983; E. Cattaneo, Il culto cristiano in Occidente, CLV, Roma 1984; P. Borzomati, La fiducia nella Madre di Dio elemento permanente della spiritualità italiana, in La Madonna 32 (1984), 5-6,75-85; L. Gambero, Culto, S. De Fiores-S. M. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, cit., 425-43; J. Castellano Cervera, Religiosità popolare mariana, in Credere Oggi 49 (1/1989), 93-109; S. Gaspari, Maria nella Liturgia, Dehoniane, Roma 1993; V. Bo, Maria nella pietà popolare, in Theotokos 1 (1993), 227-31; M.M. Pedico, La Vergine Maria nella pietà popolare, Ed. Monfortane, Roma 1993; S. De Fiores, Italia, in Maria. Nuovissimo Dizionario, Dehoniane, Bologna 2008, vol. II, 992-1055. Studi di storia della mariologia relative al periodo esaminato: E. Dal Covolo-A. Serra (a cura di), Storia della Mariologia, vol. 1. Dal modello biblico al modello letterario, Marianum-Città Nuova, Roma 2009; E. Boaga-L. Gambero (a cura di), Storia della Mariologia, vol. 2. Dal modello letterario europeo al modello manualistico, Marianum-Città Nuova, Roma 2012; la rivista Theotokos (organo dell’Associazione Mariologica Interdisciplinare) ha curato a partire dal 2001 fino al 2013 una serie di numeri monografici dedicati alla Mariologia patristica e medievale: vi figurano diversi studi su temi italiani; G. M. Roschini, I Servi di Maria e l’Immacolata, in Studi storici OSM 6 (1954) 29-182; G. Molinari (a cura di), Antologia dello Scapolare, Roma 2001; S. Cecchin (a cura di), Contemplare Cristo con Maria. Atti della Giornata di Studio sulla Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariæ di Giovanni Paolo II (Roma 3 maggio 2003), PAMI, Città del Vaticano 2003; Id., L’Immacolata Concezione. Breve storia del dogma, PAMI, Città del Vaticano 2003; Id. (a cura di), La “Scuola francescana” e l’Immacolata Concezione. Atti del Congresso mariologico francescano. S. Maria degli Angeli – Assisi 4-8 dicembre 2003, Pami, Città del Vaticano 2005; S. De Fiores, L’immagine di Maria dal Concilio di Trento al Vaticano II (1563-1965), in E. M. Toniolo (a cura di), La Vergine Maria dal Rinascimento a oggi, Centro di Cultura mariana “Madre della Chiesa”, Roma 1999, 9-62; C. Maggioni, La Tuttasanta nelle testimonianze liturgiche, in F. Lepore (a cura di), L’Immacolata segno della bellezza e dell’amore di Dio, PAMI, Roma 2005, 31-64; E. Simi Varanelli, Maria l’Immacolata. La rappresentazione nel Medioevo, De Luca Editori d’Arte, Roma 2008; L. M. Di Girolamo, Maria nelle sacre rappresentazioni medievali, in Theotokos 21 (2013), 2, 273-300; Id., Un monumento della mariologia barocca. La “Gierarchia” di Giovanni Battista Guarini, in Theotokos 23 (2015), 2, 97-131; Id., Maria nel teatro religioso tra XVI e XVIII secolo, in Theotokos 24 (2016), 1, 9-58. G. Grosso (a cura di), B. Leersio Leggende mariane. Esempi e miracoli alle origini del Carmelo, Ed. Ancora, Milano 2015; F. Lovison, Spunti per una ricerca mariana nell’età dei Lumi, in Theotokos 24 (2016) 2, 17-48; C. G. Aiosa, Una nobiltà intrisa di devozione e spiritualità mariana nel Settecento, in Theotokos 25 (2017) 2, 13-82; P. Sorci, Ludovico Antonio Muratori e la «Regolata devozione», in Theotokos 25 (2017) 2, 117-136; A. Donato, La presenza di Maria negli scritti di s. Alfonso M. De Liguori, in Theotokos 25 (2017) 2, 137-161. È inoltre uscito il fascicolo I del 2018 della rivista Theotokos (dell’AMI) dedicato alla prima fase del secolo XIX.

Immagini: 1) Museo diocesano di Pienza la Madonna della Misericordia e i Santi Sebastiano e Bernardino di Siena, dipinto su tavola attribuito a Luca Signorelli (Cortona 1445/50-1523) risalente al 1490 circa; 2) Madonna della Ghiara a Reggio Emilia Giovanni Bianchi, detto il Bertone risalente al 1573; 3) Incoronazione della Vergine nel frontone del Duomo di Orvieto; 4) Assunzione di Maria di Maestro di Cesi (1308).

Sitografia a carattere mariologico: www.pami.info (Sito della Pontificia Academia Mariana Internationalis); www.amiroma.it (Sito dell’Associazione Mariologica Interdisciplinare Italiana contenente anche link di bibliografia mariana); www.marianum.it (Sito della Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” dei Servi di Maria); www.culturamariana.com (Sito del Centro Mariano curato dal prof. E. M. Toniolo); www.lathetokos.it (Sito di Mariologia molto ricco curato dal prof. A. Grasso).




Maria Santissima - vol. II


Autore: Luca Di Girolamo

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L’epoca in cui si viene a collocare il pontificato del beato Pio IX si segnala per i mutamenti in seno alla società italiana e a causa dei quali la Chiesa subisce dei forti contraccolpi dovuti a tutta una serie di provvedimenti limitativi (soppressioni, espropri, ecc.) posti in atto dal nascente stato italiano ormai incamminato verso una propria autonoma e laica fisionomia. Proprio il costituirsi di un’entità italiana – separata dalla Chiesa e non sempre pacificamente convivente con essa – provoca attriti e scontri, peraltro alimentati da una diffidenza che si tramuta, a volte, in accesa ostilità.

Da Pio IX all’inizio del secolo XX. Con il recupero del sentimento e del cuore sulla ragione critica si entra nel Romanticismo, epoca di restaurazione decisamente contrapposta alla precedente era dei lumi ed in particolare ai suoi eventi storici, primo fra tutti la Rivoluzione francese che tuttavia aveva ormai seminato gli ideali del trittico liberté-fraternité-egalité, consacrati dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo (1789). Nell’ambito del cattolicesimo si accentua la divisione tra cattolici liberali disponibili al dialogo col mondo e gli intransigenti che, invece, propendono per un ritorno al passato. La Chiesa ufficiale, in questo clima agitato, giungerà alla condanna della libertà in ogni sua forma (di pensiero, di culto e di stampa) con la Mirari vos di Gregorio XVI (1832) e, successivamente, con il Sillabo di Pio IX (1864). L’ansia restauratrice, nemica delle novità e tale da rappresentare anche sul piano della fede una sorta di archeologia, tende al recupero di un Medioevo che torna, da un lato, ad essere guida per l’impostazione teologica con l’utilizzo, ad esempio, del genere letterario della summa (Summa aurea de laudibus Beatæ Mariæ Virginis in 13 volumi di Jean Jacques Bourassé del 1862) e, per altro verso, alimenta l’attrazione per l’aspetto più fascinoso del mistero.

Sul piano più specifico delle devozioni abbiamo la ripresa di quanto l’Illuminismo aveva tacciato di ingenuità e superstizione: la devozione al SS. Cuore di Gesù, le processioni e i pellegrinaggi ai luoghi sacri dedicati a Maria. A ciò si aggiungono alcuni eventi di apparizioni che, pur collocandosi fuori dell’Italia, accompagnano l’evento ecclesiale, a carattere mariano, più importante del secolo: la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione promulgato nel 1854 da Pio IX, dopo un lungo e non semplice coinvolgimento dell’intera Chiesa attraverso la valorizzazione del sensus fidelium. L’iter dogmatico è articolato e vi prendono parte figure della cultura del tempo, fra cui il grande filosofo il beato Antonio Rosmini (†1885), prodigo di suggerimenti e consigli tesi a conferire al dogma un solido impianto cristologico e trinitario. Sta di fatto che nei vari formulari liturgici promulgati dallo stesso papa si attua una forte concentrazione sullo splendore proprio di Maria, creatura al di sopra ogni altro essere umano, colmata di grazia e per questo singolare per santità. L’accoglienza del dogma è entusiastica e si riflette sul piano devozionale con l’unificazione de le trois blancheurs (secondo la definizione di Yves Congar): Eucaristia, Papa e Immacolata, che divengono la carta d’identità del cattolicesimo antecedente al Vaticano II contro il protestantesimo, il laicismo e la massoneria diffusi nella società del tempo avvalendosi di pubblicazioni specifiche (cf. S. M. Perrella, La venerazione a S. Maria. Storia, teologia e prassi, 422). L’insieme degli elementi legati alla proclamazione del 1854 costituisce il terreno dove sempre più matura la superesaltazione della Donna celeste in contrapposizione alla donna che, sulla terra, continua a vivere in un ruolo di subalternità.

A mitigare tale status e ad indicare nuovi sentieri sorgono altri fenomeni riguardanti l’affetto e la pietà mariana italiana del tempo: l’affermarsi di famiglie religiose di vita ed apostolato che pongono Maria quale ispiratrice di opere di carità (Oblati di Maria Immacolata, Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, Suore di Maria Bambina, Serve di Maria Riparatrici, ecc.). Una devozione quindi, sempre più inserita nel vissuto ecclesiale grazie proprio a questi nuovi consacrati nel nome di Maria (o di particolari titoli a lei legati come Immacolata, Rosario, Cuore di Maria) che dirigono la loro attenzione verso il povero e l’indigente: Maria diviene perciò la ‘carta vincente’ con la quale la Chiesa risponde al liberalismo e all’anticlericalismo imperanti non estranei al processo di unificazione dell’Italia.

L’incidenza di Maria nel vissuto del tempo presenta risvolti di carattere cultuale e devozionale molto rilevanti e non privi di certa incongruenza. Assistiamo al proliferare di ricorrenze mariane che rischiano di deformare il ciclo dell’anno liturgico. La S. Sede esorta in qualche modo ad una maggior sobrietà, ma gli eccessi di devozione continuano a presentarsi anche avallati da disposizioni e decreti papali, come quelli di Leone XIII che, in due riprese (1886 e 1889), prescrive in ogni luogo di culto dedicato a Maria (parrocchie, cappelle, oratori pubblici, ecc.) durante il mese di ottobre tutta una serie di preghiere (rosario, litanie lauretane, giaculatorie a S. Giuseppe), talvolta da recitare persino durante la S. Messa.

Inoltre, non meno importante prosegue la tradizione teatrale mariana con funzione pedagogica a favore del popolo di Dio. In tale ambito, Passionisti (XVIII sec.) e Salesiani (XIX sec.) si inseriscono in un terreno battuto in precedenza da Gesuiti, Somaschi, Oratoriani e Scolopi. I componimenti che vedono la luce nell’ambito teatrale non di rado commentano piamente testi scritturistici, ma ancor più si propongono di consolidare, attraverso vicende toccanti e sentimentali, l’amore verso la Vergine Santa: accanto ad un panorama di devozioni non sempre in armonia con la prassi liturgica (ma anch’essa sulla strada di un futura riforma) si diffondono forme letterarie e drammatiche finalizzate ad onorare la Madre del Signore e a coinvolgere l’uditorio. Già S. Paolo della Croce († 1775), precedentemente, preferisce la drammatizzazione alle processioni penitenziali in quanto la visione e l’ascolto suscitano maggior forza emotiva nei presenti inducendoli alla confessione dei peccati (cf. L. Di Girolamo, Teatro, 1194-95). Assume vigore anche la stampa mariana a carattere popolare, soprattutto quella legata ai santuari (Pompei dal 1884), il cui scopo può essere considerato triplice: l’incremento della devozione, il collegamento dei devoti con il santuario ed il sostegno economico per alcune iniziative caritative.

Epoca contemporanea. Il trapasso dal secolo XIX al XX mostra alcuni fenomeni importanti per la Chiesa italiana che hanno diversi legami con la devozione mariana. All’interno della società italiana agli aspetti positivi vengono ad affiancarsi quei segni preoccupanti che saranno alla base dei violenti effetti delle ideologie. Da un lato perciò si mantiene una devozione non distaccata dall’impegno caritativo a favore dei diseredati, anzi la pietà mariana non può essere giustificata senza un’adeguata prassi caritativa e, inversamente, la carità si rafforza laddove c’è il culto a Maria. Ciò emerge dal Congresso mariano di Livorno del 1895 e che vedremo poi attuata nella fondazione dell’UNITALSI (1903) ad opera di Giovanni Battista Tomassi († 1920), organizzazione finalizzata ai pellegrinaggi a Lourdes dei malati gravi e disabili e, in seguito, nell’azione religiosa legata al santuario di Pompei del beato Bartolo Longo († 1926), autore del pio esercizio della Novena alla Madonna dell’omonimo santuario composta nel 1889. Particolare importanza assume in quegli anni l’iniziativa di un vasto movimento per promuovere la consacrazione solenne dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria, il cui culto pubblico è, tuttavia, anteriore risalendo alla metà del secolo XVII, favorito da numerose confraternite. C’è da osservare che, pur nella serietà degli impegni portati avanti in questo periodo, la Chiesa italiana si trova a fare i conti con un ateismo ed un anticlericalismo piuttosto rilevanti, oltre al fenomeno del modernismo che, tuttavia, non è soltanto di area italiana. Ateismo ed anticlericalismo convergono nel fenomeno inquietante rappresentato dalla Massoneria che propone un nuovo ordine del mondo ed un’escatologia pagana del tutto orizzontale, debitrice e in stretto contatto con le dottrine scientiste e positiviste tipiche dell’humus culturale che segna il passaggio tra i due secoli. Appare chiaro che la Massoneria, prescindendo dalla Rivelazione e ponendo al centro l’uomo nella sua naturalità lo allontana inesorabilmente da Dio e dai mezzi sacramentali di salvezza, finendo addirittura con il parlare, ad esempio, di una Cena Rituale in sostituzione dell’Eucaristia. Una deformazione analoga sarà attuata successivamente dal Modernismo che ridurrà la Rivelazione ed il suo carattere veritativo a prodotti dell’inconscio.

In tale atmosfera di smarrimento, ecco che la Vergine Santa torna ad essere guida per il popolo cristiano e, ancora sull’onda del revival medievale tipico del Romanticismo, vengono riprese la figura ed il titolo di Maria vittoriosa sulle eresie. Ad operare tale scelta è S. Massimiliano M. Kolbe (†1941), formatosi teologicamente in Italia e fondatore a Roma della Milizia dell’Immacolata in un anno particolare, il 1917, in cui si svolgono le celebrazioni romane in onore di Giordano Bruno, vittima, secondo i laicisti, del potere clericale oppressivo verso il libero pensiero. Questa manifestazione, attuatasi con gran concorso di popolo con bandiere e vessilli anticristiani, scuote profondamente l’animo del francescano polacco che vede nel movimento massonico la testa del serpente che Maria schiaccerà secondo il dettato di Gen 3,15. Tutta la vita di Kolbe fa della devozione all’Immacolata lo scudo per tenersi lontano da questa filosofia aberrante nella certezza che Maria, madre universale, ama coloro che restano prigionieri del peccato e vuole salvarli. Nata in Italia, in seno all’Ordine Francescano, la Milizia si diffonderà rapidamente fino a toccare alcuni paesi dell’estremo Oriente (Giappone).

La vicenda di Kolbe ci dà anche modo di toccare con mano uno degli elementi più caratterizzanti del secolo XX, quello delle guerre mondiali e delle persecuzioni alimentate da aberranti ideologie diversificate nei vari paesi europei che si vengono a consolidare dopo il I conflitto mondiale (1914-18). Ma è soprattutto la II Guerra mondiale, terminata nel 1945, a rendere l’Europa una rovina e l’Italia stessa deve curarsi le profonde ferite inferte dalle crudeli ostilità. Legata alle vicende della capitale durante la II Guerra mondiale è anche la forte devozione dei romani alla Madonna del Divino Amore alla quale i cittadini fanno voto solenne il 4 giugno 1944 nella Chiesa di S. Ignazio, seguito una settimana dopo da una visita di ringraziamento di Pio XII (1939-1958) per la salvezza della città e con enorme concorso di folla. Particolare importanza assume per questo santuario la figura del Servo di Dio Don Umberto Terenzi (1900-1974) che ha svolto qui, dal 1930, il suo apostolato e ufficio di rettore con grande attenzione al contesto socio-ambientale dominato dal degrado.

Da questo legame forte tra dimensione civile e sfera religiosa si comprende come l’opera di graduale ricostruzione e ricomposizione di un assetto politico avviene sotto il segno di Maria attraverso la pratica della peregrinatio Mariæ. Essa, originatasi nel Medioevo, viene ripresa in Francia nel pieno conflitto (1943) per poi caricarsi di forte valenza politica all’indomani delle elezioni italiane del 1948 (vinte dalla Democrazia Cristiana) e si costituisce come fenomeno che interessa tutte le diocesi italiane. Della fine degli anni ’40, inoltre, è da registrare anche un evento destinato a far discutere e verificatosi a Roma, tale da indurre ad un incremento della devozione mariana nella città, ossia l’apparizione della Vergine alle Tre Fontane (1947) a Bruno Cornacchiola, un protestante assai ostile al cattolicesimo, e ai suoi figli: un’apparizione in cui la Vergine – autoproclamatasi Vergine della Rivelazione – esorta alla conversione e alla preghiera per l’unità dei cristiani. L’evento provoca la decisa e risoluta conversione del Cornacchiola e il suo incontro con Pio XII (1949), e sul luogo dei fenomeni viene eretto un santuario. Tale apparizione, tuttavia, non è stata ancora riconosciuta dalla Chiesa ufficiale.

La distruzione apportata all’Europa dal conflitto terminato nel 1945 non è solo materiale, ma va a toccare anche la dimensione socio-culturale per cui si impone una seria riflessione favorita da tutta una serie di correnti filosofiche che, lungi dallo scadere nel naturalismo positivista, vogliono riabilitare l’uomo nella sua dimensione conoscitiva e relazionale (fenomenologia, esistenzialismo e personalismo), talvolta con accenti spiritualisti. Tali nuovi fermenti di pensiero utili a collegare il dato rivelato e trascendente alla vita umana concreta con tutto il suo carico di problemi trovano la loro esplicitazione nei due eventi ecclesiali più importanti del secolo XX: la proclamazione del dogma dell’Assunzione (1950) e il Concilio Vaticano II (1962-65). Fra questi due eventi si collocano: la nascita della Pontificia Facoltà Teologica «Marianum» (30 novembre 1950) affidata all’Ordine dei Servi di Maria che, pur collocandosi in Italia, è finalizzata allo studio scientifico della mariologia, l’indizione dell’anno mariano (1954: centenario della definizione dell’Immacolata) durante il quale Pio XII istituisce, con l’enciclica Ad cœli Reginam del 11 ottobre, la festa di Maria Regina dell’Universo da celebrarsi il 31 maggio e, due mesi dopo, l’incoronazione fatta dallo stesso papa, del quadro “Salus populi romani” venerato a S. Maria Maggiore. Nello stesso anno si celebra un Congresso mariologico internazionale a Roma. Successivamente, abbiamo la tanto richiesta e desiderata Consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria (13 settembre 1959) ad opera di S. Giovanni XXIII (canonizzato da papa Francesco il 27 aprile 2014 unitamente a Giovanni Paolo II). Dello stesso decennio sono i fatti legati alla lacrimazione di un’icona mariana del Cuore immacolato di Maria (1953) posseduta da una famiglia di Siracusa, evento che ha originato grande concorso di popolo e la costruzione, a partire dal 1954, del santuario della Madonna delle Lacrime.

Pur avviandoci verso tempi nuovi che saranno sanciti ed inaugurati dal Vaticano II, la Chiesa deve tener conto della ricomparsa di certa esagerazione cultuale, legata anche a certa pressione (mai venuta meno anche dopo il Vaticano II) per la proclamazione del quinto dogma mariano relativo alla mediazione e corredenzione. Tale deformazione, dettata da eccessivo zelo non sostenuto da adeguata formazione biblica e catechetica, si fa presente ancor oggi in qualche gruppo di preghiera a carattere mariano che necessita di forte discernimento.

Tanto il dogma dell’Assunzione quanto il Vaticano II propongono una nuova visione dell’uomo immerso nel mistero di Dio e anche la persona di Maria ne riceve beneficio nel senso che si umanizza e si concretizza senza ledere, tuttavia, la sua singolarità. Il fatto che in Maria – come ricorda la Lumen gentium al n. 65 – vengono a riunirsi e a riverberarsi i massimi dati della fede significa che nella Figlia di Sion la Chiesa, i cristiani e, in genere, l’umanità trovano la propria identità e la propria realizzazione. A livello più propriamente cultuale va detto che il Concilio mette in guardia pastori e fedeli dagli estremismi rappresentati dal minimalismo limitante e dal massimalismo ingombrante a favore di una devozione cristocentrica sostenuta dalla liturgia e dalla Scrittura, onde evitare la “vana credulità” apportatrice di errori (cf. Lumen gentium n. 67). Su questa strada di rinnovamento si colloca l’esortazione apostolica Marialis cultus di Paolo VI (1974), specialmente nella seconda parte nella quale vengono prese in esame alcune forme e pratiche di devozione che devono essere in equilibrio tra Scrittura ed esigenze del popolo di Dio nella varietà di culture ed aspirazioni.

Notevole è l’impressione suscitata dal documento ed in fondo abbastanza accostabile alla situazione italiana del post-concilio dove, relativamente al culto, convivono elementi tradizional-popolari e novità apportate da autori singoli, oppure provenienti da movimenti ecclesiali, già esistenti o in formazione sul territorio italiano(Azione Cattolica, Focolari, Comunione e Liberazione, ecc.), che raccolgono diverse generazioni ed esprimono la loro venerazione alla Madonna. Il popolo, in sostanza, persiste nella sua devozione a Maria attraverso il Rosario, le litanie lauretane oppure altre forme ed è presente anche ai riti dell’incoronazione delle immagini (dei quali viene fissata una forma nell’Ordo coronandi imaginem Beatæ Mariæ Virginis del 1981) per i quali si sottolinea l’esigenza di unificare il concetto di regalità mariana con il servizio all’umanità, esigenza modellata sul Cristo Signore e Servo nonché compimento della Rivelazione.

Un enorme potenziamento della devozione e del culto mariano si attua con il pontificato di S. Giovanni Paolo II (1978-2005), figura complessa per esistenza e formazione umano-religiosa sempre contraddistinte dalla presenza materna di Maria e che, anche come papa, ha mostrato un intenso e cordiale affetto per l’Italia visitandone diversi luoghi religiosi. Nonostante ciò, S. Giovanni Paolo II è stato molto discusso anche dai cattolici italiani per alcune sue posizioni (a livello comune è stato criticato per la sua ingerenza nella politica, e neppure è sfuggito alle forti riserve avanzate da alcuni intellettuali italiani all’indomani della pubblicazione della Fides et ratio del 1998), ma egli mostra l’imprescindibile importanza di Maria per la fede cristiana in molti suoi scritti ufficiali (prima fra tutti l’enciclica Redemptoris mater del 1987) e altri notevoli discorsi di natura catechetica. La devozione mariana di questo papa, connessa all’approfondimento del dettato conciliare, si nota a livello generale ed esperienziale e lo provano alcuni eventi e circostanze particolari: l’indizione di un anno mariano (1987-88) e di un altro dedicato al Rosario (2002), lo scampato pericolo dall’attentato del 13 maggio 1981 (memoria della Madonna di Fatima) nel quale il pontefice ha visto il segno materno di Maria. Si tratta di un evento di portata mondiale, ma che ha inciso profondamente anche nella storia civile italiana. Ad esso si aggiunge il Discorso al Convegno di Capua del 1993 nel quale il santo pontefice polacco si è soffermato sull’immacolatezza e verginità di Maria in modo davvero magistrale, aprendo nuove strade alla riflessione teologica. Sempre sotto il suo pontificato vedono la luce oltre al citato Ordo coronandi, anche il De Benedictionibus del 1985, la Collectio Missarum de Beata Maria Virgine del 1987: una raccolta di 46 formulari di Messe ordinati secondo i tempi liturgici, la lettera della Congregazione per l’Educazione Cattolica La seconda Assemblea (1988) che ha il preciso intento di ribadire l’impegno di conoscenza e di ricerca e la pietà nei confronti di Maria di Nazaret. Non meno importante il rinnovamento della pia pratica del Rosario con l’aggiunta dei misteri della luce nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariæ del 2002. Notevoli poi altre iniziative di carattere artistico e cultuale: la costruzione della cappella Redemptoris mater nel Palazzo apostolico, l’immagine musiva della Mater Ecclesiæ sulla facciata del Palazzo apostolico volta sull’antistante piazza S. Pietro, l’aggiunta del titolo Regina della famiglia nelle litanie lauretane, i frequenti pellegrinaggi ai santuari italiani, la solenne consacrazione della nuova chiesa Madonna del Divino Amore (4 luglio 1999). Inoltre sotto il pontificato di S. Giovanni Paolo II vede la luce il Direttorio su pietà popolare e liturgia pubblicato dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti nel 2002, documento importante che riserva i nn. 183-207 alla venerazione alla Madre del Signore ribadendo la solidità di un culto e di una devozione nell’espressione della nota trinitaria e nel profondo legame con Scrittura e Tradizione (n. 186).

Preoccupazione costante del magistero di questo papa è il portare a compimento quanto è sempre stato presente nella coscienza del credente, ossia la devozione a Maria congiunta alla carità e alla presenza nel tessuto sociale, in cui convivono non poche difficoltà, ansie e paure. Ciò conduce a considerare come il malessere diffuso in Europa, in Italia prende una decisa connotazione politica manifestatasi nel terrorismo (pensiamo ai cosiddetti «anni di piombo» – ’70-’80 – in cui grandi personalità cristiane delle istituzioni vengono sequestrate ed uccise come Aldo Moro e Giovanni Bachelet), alla quale si aggiunge la criminalità in simbiosi con la tossicodipendenza e lo squilibrio socio-economico fra nord e sud Italia. Si tratta di fenomeni che hanno prodotto esiti disastrosi nel nostro paese, ai quali si contrappone l’auspicio di un clima più sereno favorito da una religiosità mariana atta a porre allo scoperto e far fruttificare le migliori energie della nostra cultura e popolazione. Il discorso rinvia facilmente a tutta la problematica della donna all’interno della società e nella Chiesa, peraltro affrontata da Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem del 1988: Maria costituisce un costante modello attraente e lo mostrano gruppi e cenacoli di preghiera che sovente si appoggiano a strutture parrocchiali o santuariali e da esse ricevono incoraggiamento anche per iniziative di carità. Ci si potrebbe chiedere: quale positività per l’oggi? Placata la spirale terroristica più cruenta, la società italiana odierna vive e patisce gli assalti del disorientamento, del malcostume e dell’immoralità esibiti in modo ostentato e a diversi livelli (anche da organismi pubblici e politici di vario orientamento) e senz’altro la Vergine Santa si ripresenta a noi quale modello di vita realizzata: modello visibile ed oggetto di devozione che mai deve perdere le coordinate che la rendono convincente e propositiva: la Scrittura (come canale privilegiato di Rivelazione), il legame con la liturgia della Chiesa universale evitando squilibri ed eccessi dannosi e l’aggancio con la società ferita che attende un soccorso non solo a parole, ma nei fatti. Solo così è possibile mantenere quei legami con la grande tradizione civile, culturale e religiosa del nostro paese. Notevole, in tal senso, l’opera di sensibilizzazione attuata sulla cultura e sulla società italiane dall’AMI (Associazione Mariologica Interdisciplinare Italiana fondata nel 1990) che, attraverso dense pubblicazioni (la Rivista Theotokos e gli Atti dei suoi periodici convegni), affronta problematiche di natura storica, sociale, cultuale e dottrinale. Da non ignorare la decisa presa di posizione di alcune conferenze episcopali regionali su inquietanti fenomeni legati, ad esempio, all’occultismo e alle sette sataniche (Conferenza Episcopale Toscana nel 1994) che riservano alcune righe di commento all’azione potente di Maria.

In margine al clima di grave incertezza della società italiana dove, riprendendo gli insegnamenti di papa Benedetto XVI (singolare merito di questo papa nella sua esortazione Verbum Domini il rapporto fra Maria e la Parola di Dio), il laicismo e il relativismo continuano la loro incessante opera di distruzione, ci sembrano profetiche le parole di Giovanni Testori († 1993), singolare testimone e drammaturgo autore di un lavoro dal titolo emblematico: Interrogatorio a Maria. Un testo ancora attuale in quanto sofferto e scritto in un contesto di lotta ideologica tra cristiani e negatori di ogni forma di vita in nome di una falsa idea di liberazione e, nello stile, debitore della tradizione poetica italiana. Ad un certo punto del dramma viene rivolta a Maria un’urgente e dolorosa domanda sintetizzata come segue: è possibile all’uomo, arrivato sull’orlo della sua autodistruzione, porre fine e distruggere il seme dell’odio? La risposta di Maria è ancora nei termini del servizio e della speranza: “È possibile, sì. Ogni speranza in Dio, nel mio e nel suo Figlio, nasce come da un bulbo il giglio, ma bisogna a lui darsi: in lui e di lui vivere e fidarsi”.

Parole forti e di lontana eco jacoponica, espresse con la fede cristiana e con la generosità che distinguono l’Italia ed il suo popolo sempre pronto a farsi voce, ad accogliere e ad aiutare persone in difficoltà. Potremmo azzardare un paragone: la fede dei semplici è propria dell’Italia (che pure ha donato insigni monumenti di teologia e cultura), una fede che si esprime con forme, a volte, elementari, ma che tiene viva la fiaccola dei valori umani e sociali: rosari, giaculatorie, pellegrinaggi e processioni rappresentano i canali espressivi di un culto e di una devozione che, nel momento in cui celebra la Vergine Santa, contempla le meraviglie di Dio al cui vertice è posto l’uomo creato a sua immagine e somiglianza, capace di opere grandi solo se sostenuto dalla grazia.

Rispetto a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI, l’attuale pontificato di Papa Francesco iniziato nel 2013 si segnala per una devozione mariana molto sentita, sebbene alquanto sobria e poco appariscente. Di notevole impatto (soprattutto nel primo periodo immediatamente successivo all’elezione) con il popolo italiano nelle visite a varie regioni e città della penisola. Frequenti – soprattutto in margine ai suoi viaggi apostolici – sono le sue visite oranti a S. Maria Maggiore. Con questo papa – proveniente da un’area del mondo particolarmente segnata da istanze liberatrici – si sta avendo una forte enfasi sulla dimensione sociale e caritativa (anche nelle omelie) più che su una valorizzazione piena del discorso teologico. Compatibilmente al contesto di provenienza di papa Jorge Mario Bergoglio (tra l’altro di lontane origini italiane) appare una forte insistenza sull’ortoprassi. C’è da segnalare che un tratto mariano emerge sempre nei suoi ultimi documenti (Evangelii gaudium, Laudato si, Amoris lætitia).

In questo anno 2018, l’attuale pontefice poi ha portato a compimento, con un apposito Decreto datato 11 febbraio, quanto proclamato da papa Paolo VI, in pieno svolgimento del Concilio, nel 1964: Maria Mater ecclesiæ. Un titolo che, sappiamo, non compare nei documenti conciliari (specialmente in Lumen gentium cap. VIII), ma che è fatto proprio dall’esortazione apostolica dello stesso papa Montini Marialis cultus di dieci anni dopo (1974) e dalla citata Collectio Missarum de beata Maria Virgine in ben 3 formulari (nn. 25-27). Con tale Decreto si istituisce la memoria liturgica intitolata a Maria Madre della Chiesa fissata al lunedì seguente la Domenica di Pentecoste. Un mese dopo (19 marzo) compare l’esortazione apostolica sulla chiamata alla santità Gaudete et exsultate dove non poche volte compare il riferimento a Maria come modello di santità. Due eventi in qualche modo connessi fra loro e che hanno quale oggetto di interesse l’unica vocazione del cristiano e della Chiesa alla santità guardando alla Tuttasanta.

Conclusione. Le grandi cose compiute da Dio in Maria (cf. Lc 1,49) che culminano con l’Incarnazione salvifica costituiscono il patrimonio di fede di ogni credente, che tende ad esprimerlo e manifestarlo con pluralità di mezzi appartenenti al vasto quadro del culto. Una pluralità che, nel nostro paese, è stata incrementata anche dalla sedimentazione storica di elementi, a volte, provenienti dal resto dell’Europa e che il popolo di Dio della nostra penisola ha saputo far proprio non senza il pericolo, sempre risorgente, dell’eccesso e della ridondanza, anche inconsapevoli ed animate da sincero affetto.

Dinanzi a questo fenomeno, la Chiesa italiana – soprattutto sull’onda del Concilio Vaticano II e sui documenti posteriori anche a carattere locale (si pensi alle conferenze episcopali regionali) – ha mantenuto un atteggiamento di vigilanza tesa a far comprendere al popolo e ai pastori che la validità di un culto e di una devozione a S. Maria vanno ricercate non fermandosi ad un oggetto esteriore (medaglie, scapolari o altro) e/o ad una pia pratica (sia essa una giaculatoria, oppure un pellegrinaggio santuariale), ma considerando ed incarnando i valori che quelle celebrazioni, quelle preghiere e quei segni visibili di devozione vogliono esprimere a beneficio della maturazione del credente.

Valori che si riassumono nel favore che Dio nel Figlio Unigenito ‘ex Virgine natus’ ha offerto all’uomo immerso nelle tenebre del peccato. Tenebre che, pur velando il mondo, non riescono a vincere quel Verbo-Luce delle genti che trasforma coloro che lo accolgono (cf. Gv 1,4-5.12). L’Italia che, sin dagli inizi e per opera degli Apostoli Pietro e Paolo, ha saputo accogliere il germe di vita proprio del Vangelo è chiamata a ripercorrere l’itinerario mariano della Visitazione. Esso è itinerario di fede e di opere che, a sua volta, la Chiesa italiana deve facilitare nella guida e negli atteggiamenti materni e paterni che sono caratteri peculiari del Dio dell’Alleanza che si snoda lungo la storia in parole ed eventi. È questo il vero culto da tributare alla Vergine, coscienti che la nostra fedeltà sarà ricompensata nei cieli, perché essa è segno di conformazione al Servo sofferente e glorioso dalle cui piaghe l’intera umanità è stata redenta (cf. I Pt 2,24).

Fonti e Bibl. essenziale

Per uno studio sulla pietà, sul culto e la teologia mariane è imprescindibile l’uso di alcuni strumenti: la Bibliografia mariana curata dalla Pontificia Facoltà Teologica «Marianum», da G.M. Besutti a partire dal 1948 e continuata da E. M. Toniolo e da S. M. Danieli. Attualmente tale Bibliografia mariana consta di 15 volumi fino al 2013, nonché i volumi dei Simposi Mariologici Internazionali (SIM) organizzati dalla Pontificia Facoltà «Marianum» a scadenza biennale dal 1976 (attualmente consta di 20 volumi fino al 2015, è in stampa il 21° del 2017 ed è in via di organizzazione il 22° SIM che avrà luogo nel 2019). A ciò si aggiunge la pubblicazione annuale della rivista Marianum organo della Pontificia Facoltà «Marianum». Dizionari e repertori: G. M. Roschini, Dizionario di Mariologia, Roma 1961; S. De Fiores-S. M. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1986S. De Fiores, Maria. Nuovissimo Dizionario, Dehoniane, Bologna 2006-2008, 3 voll.; S. De Fiores-V. Ferrari-Schiefer-S. M. Perrella (a cura di), Mariologia, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2009; Aa.Vv., Testi mariani del II millennio, Città Nuova, Roma 1996-2012, 8 vollDocumenti ecclesiali: per i documenti ecclesiali ci siamo serviti dei seguenti strumenti: Enchiridion Vaticanum, Dehoniane, Bologna 1981, voll. 1ss.; H. Denzinger-P. Hünermann (a cura di), Enchiridion Symbolorum definitionum ac declarationum de rebus fidei et morum, Dehoniane, Bologna 1995; Pontificia Academia Mariana Internationalis, La Madre del Signore. Memoria – presenza – speranza, Città del Vaticano 2000; Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002. Monografie a carattere generale: G. Penco, Storia della Chiesa in Italia nell’epoca contemporanea, Jaca Book, Milano 1982 (2 voll.: I, 326ss. e II, 323ss); S. De Fiores-S. Epis-G. Amorth (a cura di), La consacrazione dell’Italia a Maria. Teologia, storia e cronaca, Ed. Paoline, Roma 1983; E. Cattaneo, Il culto cristiano in Occidente, CLV, Roma 1984; P. Borzomati, La fiducia nella Madre di Dio elemento permanente della spiritualità italiana, in La Madonna 32 (1984), 5-6,75-85; L. Gambero, Culto, S. De Fiores-S. M. Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, cit., 425-43; J. Castellano Cervera, Religiosità popolare mariana, in Credere Oggi 49 (1/1989), 93-109; S. Gaspari, Maria nella Liturgia, Dehoniane, Roma 1993; V. Bo, Maria nella pietà popolare, in Theotokos 1 (1993), 227-31; M. M. Pedico, La Vergine Maria nella pietà popolare, Ed. Monfortane, Roma 1993; S. De Fiores, Italia, in Maria. Nuovissimo Dizionario, Dehoniane, Bologna 2008, vol. II, 992-1055. Studi di storia della mariologia relative al periodo esaminato: S. Cecchin, L’Immacolata Concezione. Breve storia del dogma, PAMI, Città del Vaticano 2003; S. De Fiores, L’immagine di Maria dal Concilio di Trento al Vaticano II (1563-1965), in E. M. Toniolo (a cura di), La Vergine Maria dal Rinascimento a oggi, Centro di Cultura mariana “Madre della Chiesa”, Roma 1999, 9-62; G. Calvo Moralejo-S. Cecchin (a cura di), L’Assunzione di Maria Madre di Dio. Significato storico-salvifico a 50 anni dalla definizione dogmatica. Atti del I Forum Internazionale di Mariologia (Roma 30-31 ottobre 2000), Pontificia Academia Mariana Internationalis, Città del Vaticano 2001; S. M. Perrella, Teologia e pietà mariana ai tempi del beato Pio IX, in Marianum 63 (2001), 177-243; G. Grosso, Con Maria figlia di Sion. In ascolto della Parola, Messaggero, Padova 2002; E. M. Toniolo (a cura di), Cinquant’anni del «Marianum», Ed. Marianum, Roma 2005; E. M. Toniolo, La Beata Maria Vergine nel Concilio Vaticano II, Centro di Cultura mariana “Madre della Chiesa”, Roma 2004; R. Ricciardo, Pianto di Maria e dolore di DioL’evento di Siracusa, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2004; C. Maggioni, La Tuttasanta nelle testimonianze liturgiche, in F. Lepore (a cura di), L’Immacolata segno della bellezza e dell’amore di Dio, PAMI, Roma 2005, 31-64; E. M. Toniolo (a cura di), Maria nel Concilio. Approfondimenti e percorsi. Centro di Cultura mariana “Madre della Chiesa”, Roma 2005; S. M. Perrella, La Madre di Gesù nella coscienza ecclesiale contemporanea, PAMI, Città del Vaticano 2005; C. Maggioni, Culto mariano e pietà popolare in Giovanni Paolo II, in E. M. Toniolo (a cura di), Il magistero mariano di Giovanni Paolo II, Percorsi e punti salienti. Centro di Cultura mariana “Madre della Chiesa”, Roma 2006, 157-94; S. M. Perrella, Ecco tua Madre (Gv 19,27). La Madre di Gesù nel magistero di Giovanni Paolo II e nell’oggi della Chiesa e del mondo, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2007; L. M. Di Girolamo, Teatro, in S. De Fiores-V. Ferrari-Schiefer-S. M. Perrella (a cura di), Mariologia, cit., 1190-99; Id., L’influsso di Maria nella storia e nella società italiana prima e dopo il raggiungimento dell’unità nazionale, in Ephemerides Mariologicæ 63 (2013), 4, 361-96; M. G. Fasoli, Maria nella letteratura del novecento. Un percorso esemplare di mariologia poetica, in Marianum 76 (2014), 95-137; Id., Manzoni e il femminile mariano. Un itinerario ermeneutico tra biografia, poetica e storia, in Marianum 78 (2016), 231-67; S. M. Perrella, La Mariologia dei papi e il Rosario, Ed. Aracne, Roma 2017; Id., La Madre di Gesù nella teologia, Ed. Aracne, Roma 2017; D. Kulandaisamy-L. M. Di Girolamo, Maria di Nazareth tra Bibbia e Teologia, NSO, Sivakasi 2017. L. M. Di Girolamo, L’insegnamento universitario nell’Ordine dei Servi di Maria dalle origini ai giorni nostri, in Studi Storici OSM  6 (2017), 65-95 (dove sono tracciate le vicende della Pontificia Facoltà Marianum a Roma). È in preparazione il secondo fascicolo della rivista Theotokos dedicato al secolo XIX monografico sull’Immacolata.

Immagine: Gonfalone della Mater Misericordiae, nella chiesa di Santa Maria Assunta (Corciano, Pg).


LEMMARIO




Mass-media - vol. II


Autore: Monica Mondo

Radio e televisione. Nel dopoguerra l’informazione era in mano a una cultura normalmente volta a sinistra, con vistose tendenze anticlericali. La tv sembrava uno spazio per poter formare una generazione nuova, recuperando il patrimonio culturale cristiano. L’ispirazione iniziale produsse ad esempio la riproposta di grandi opere della letteratura, programmi educativi e un’attenzione costante e fin maniacale al pubblico decoro. C’era però un intento pedagogico di alto livello, impersonato da figure come Filiberto Guala, amministratore delegato Rai degli anni ’50, o di Ettore Bernabei, che per 15 anni dedicò ogni sforzo a una televisione di qualità orientata in senso cristiano e funzionale al partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana. Questa tensione scemò con l’arrivo della concorrenza alla Rai delle cosiddette televisioni commerciali, anche se già nel 1964 nel decreto Inter Mirifica si individuavano i pericoli di un uso eccesivo, incontrollato del mezzo, invitando autori e giornalisti a farsi promotori di evangelizzazione, perché i mezzi di comunicazione “che offrono al genere umano grandi vantaggi… possono essere adoperati contro i disegni del Creatore e volti alla rovina” (Inter Mirifica, intr.1). Auspicava fin da allora che si creassero “sollecitamente anche emittenti cattoliche” (ibidem, 14).

Dapprima furono le radio: nel ’76 una sentenza della Corte Costituzionale sancisce il diritto alla radio diffusione locale e i cattolici puntano da subito a usare questi strumenti di comunicazione, creando le prime radio nelle diocesi, parrocchie, congregazioni, movimenti giovanili organizzati o spontanei. Nel 1979 erano quasi 200, dieci anni dopo 439, ovvero il 10% di tutte le radio in Italia. Un’esplosione di creatività e audacia dopo anni di monopolio della sinistra in campo della cultura e informazione. Il limite era la disorganicità, la scarsità di mezzi e dunque di professionalità. Nondimeno molte di queste realtà furono palestra di giornalismo sul campo per nomi che svetteranno nelle più importanti testate mediatiche.

Su iniziativa di Mons. Francesco Ceriotti, allora direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della CEI, nacque nel 1981 il Co.ra.l.lo (Consorzio Radiotelevisioni Libere Locali) di cui è stato presidente storico Franco Mugherli: un punto di riferimento, che vagliava, proponeva programmi, corsi formativi, stabiliva contatti col mondo politico e istituzionale, indirizzando una linea identitaria attenta ai pericoli di un’evangelizzazione via radio, ovvero il clericalismo o l’omologazione (lo slogan era né pulpito né juke box…). Da segnalare in Lombardia Radio SuperMilano e Radio Cooperativa Rho, TVL di Pistoia, Radio Incontro di Pisa, Telsubalpina in Piemonte, e Radio Rete, primo network di ispirazione cristiana in Italia, che poteva collegare contemporaneamente in diretta 32 radio cattoliche nella sola Lombardia. Il Corallo entrò presto in commissione presso il Ministero Poste e Telecomunicazioni e il Servizio Editoria della Presidenza del Consiglio contribuendo alla stesura della legge Mammì che nel 1990 finalmente riconosceva e tutelava le radio comunitarie. Nel 1988 sul consorzio si posa l’attenzione del Segretario della CEI, Monsignor Camillo Ruini, che dà il suo benestare alla nascita di Ecclesia, notiziario informativo settimanale, poi quotidiano, ritrasmesso da 400 stazioni italiane e straniere. Nel 1991 nasce l’agenzia radiotelevisiva News Press, sempre diretta da Franco Mugherli, per la produzione di programmi destinati alle emittenti cattoliche, lasciando scelta e valutazione dei contenuti all’Ufficio Comunicazioni Sociali. Nel 1998 con Sat 2000 nasce Radio In Blu, un progetto radiofonico di ispirazione cristiana a servizio delle radio presenti sul territorio nazionale.

Il mondo cattolico era entrato con forza anche nel mondo televisivo alla fine degli anni ‘70: da segnalare, tra i tanti marchi diffusi sul territorio nazionale, e ben presto tramite satellite e digitale in tutto il mondo, quello di Teleradio Padre Pio, emittente dei Frati Minori Cappuccini che trasmette da San Giovanni Rotondo, a indirizzo totalmente religioso, nota per la sua camera fissa sui devoti e pellegrini nella cripta dove riposa il santo di Pietrelcina. E’ la prima emittente italiana a dotarsi di un’applicazione su smartphone della Apple. TeleNova, nata a Milano, è legata al Gruppo Editoriale San Paolo, dunque al carisma di don Alberione, fondatore dei Paolini. Un nome noto in ambito cattolico quasi si trattasse di una “televisione del Vaticano” è stato quello di Telepace, nata per caso da un gruppo di ragazzi in diocesi di Verona. Grazie all’intraprendenza del suo direttore, don Guido Todeschini, si irradia in tutto il territorio nazionale e ottiene il privilegio di accedere al seguito papale, e la benevolenza di Giovanni Paolo II. La sua sede romana chiude dopo una dolorosa polemica che vede scontrarsi direzione e redazione giornalistica, e un’indagine della Procura che denuncia irregolarità nei contratti ed evasione fiscale.

Dopo gli esperimenti locali di televisioni di identità cristiana, la Chiesa istituzionale risponde con un impegno ufficiale solo dopo il Convegno Ecclesiale di Palermo, nel 1995, (Evangelizzazione e testimonianza di carità) che segnò la svolta nei rapporti tra Chiesa e media. In quei giorni, grazie all’autorevole lungimiranza del cardinal Camillo Ruini, furono gettate le basi del Progetto Culturale della CEI, e solo l’anno dopo, nell’assemblea dei vescovi a Collevalenza, si decise che la Chiesa doveva avere un suo canale satellitare: nasce così Sat 2000, nel 1998. Il nome deriva dal fatto che il canale trasmetteva solo via satellite, e viene mutato in TV 2000 nel 2009, con il passaggio al digitale, satellitare e terrestre. Tuttora viene trasmessa da varie tv locali cattoliche che trasmettono in analogico. La sede principale è a Roma. Il direttore di rete è Dino Boffo, già alla guida di Avvenire.

Giovanni Paolo II lodò la nascita della televisione come una “decisione coraggiosa… per diventare strumento di diffusione del messaggio cristiano”. Benedetto XVI invitò i suoi dipendenti ad essere “felici di appartenere alla Chiesa e di immettere nel grande circuito della comunicazione la sua voce e le sue ragioni.”

Da segnalare nella linea di un’attenzione e un impegno da allora costanti alla realtà dei media i convegni di orientamento pastorale Parabole Mediatiche e Testimoni Digitali, promossi dall’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della CEI.

Con la nascita di una tv promossa direttamente dalla CEI fatalmente si determinò una perdita di terreno delle televisioni locali, tanto più dopo il passaggio Regione per Regione al digitale terrestre. Molte emittenti chiudono, molte iniziano a procedere in ordine sparso, molte (riunite nel circuito Co.ra.l.lo) si avvalgono della collaborazione e dei servizi offerti da Sat e poi Tv 2000.

Tra i fenomeni mediatici più inattesi e studiati, riferibili al mondo cattolico è quello dell’emittente radiofonica Radio Maria.

Nasce come radio parrocchiale nel 1983, in provincia di Como, in uno studio mobile retto da don Mario Galbiati, a Arcellasco d’Erba; il suo primo direttore lascerà la radio nel 1987, per fondare Radio Mater. In quell’anno diventa emittente nazionale e si diffonde ben presto in altre nazioni, costituendosi in Famiglia Mondiale di Radio Maria. E’ la radio privata col maggior numero di ripetitori sul territorio nazionale (850), è la più diffusa, seconda soltanto a Radio Rai, con una ricezione ottimale, anche perché essendo una radio parlata trasmette in monofonia. Secondo gli ultimi dati Audiradio si stimano 1.600.000 ascoltatori giornalieri (2009). Non ha introiti pubblicitari e si affida all’opera di volontari, sia giornalisti e conduttori che tecnici, avvalendosi come collaboratori di intellettuali cattolici di prestigio. Le trasmissioni trattano soprattutto di catechesi, di teologia, di attualità ecclesiale, e offrono ogni giorno otto ore di preghiera, oltre a trasmissioni di servizio, sempre nella prospettiva della fede. Grande rilievo hanno i discorsi tenuti dal direttore, padre Livio Fanzaga (sacerdote scolopiano lombardo, parroco, missionario in Africa),e i messaggi che la Madonna trasmetterebbe ai veggenti di Medjugorie, della cui verità il direttore è convinto sostenitore. Poiché la posizione della Chiesa sul luogo delle apparizioni della Bosnia Erzegovina è di estrema prudenza, e un’apposita commissione sta studiando il caso, il mondo ecclesiale si divide anche su Radio Maria. Che suscita entusiasmi come alfiere dell’ortodossia e della fedeltà al magistero, soprattutto su temi dell’educazione e della bioetica, o viene sospettata di posizioni preconciliari, di conservatorismo, di un attaccamento anacronistico alla tradizione.

Se a livello di episcopato e di popolo cristiano ci sono voluti anni per passare dallo spontaneismo ad un’idea organica di comunicazione “cattolica”, il Vaticano si è dotato di uno strumento di comunicazione efficace e “universale” ben prima: è infatti nel 1931 che Radio Vaticana viene inaugurata da Pio XI con il radio messaggio Qui arcano Dei, il 12 febbraio, alle ore 16.49: la realizzazione di questo “poderoso mezzo materiale per la diffusione dell’Idea” fu affidata a Guglielmo Marconi, ma la struttura passò presto ai Gesuiti. Secondo lo Statuto, il suo compito fu da allora “ annunciare con libertà, fedeltà ed efficacia il messaggio cristiano” e diffondere il magistero del Papa. Il suo primo direttore fu il fisico e matematico Giuseppe Gianfranceschi, non a caso una delle prime trasmissioni fu lo Scientiarum Nuncius Radiophonicus, che passava in rassegna l’attività della Pontificia Accademia delle Scienze. L’attuale direttore, che presiede altresì il Centro Televisivo Vaticano e la Sala Stampa Vaticana, è Federico Lombardi, nipote del celebre Padre Lombardi soprannominato “microfono di Dio”, per le sue seguitissime prediche via etere. La Radio svolse un ruolo fondamentale durante la guerra mondiale, nonostante i tentativi del ministro della Propaganda nazista, Joseph Goebbels, di ridurla al silenzio: trasmetteva una prudente ma libera informazione e milioni di messaggi per il ritrovamento di civili e militari dispersi. Nel dopoguerra seguì i lavori dei Conclavi, del Concilio Vaticano II, e il primo viaggio di un Papa all’estero, Paolo VI in Terra Santa, nel 1964. Proprio durante il pontificato di Paolo VI nel decreto conciliare Inter Mirifica, promulgato il 4 dicembre 1963, si dichiarava che “la Chiesa accoglie tra le meravigliose invenzioni tecniche che l’ingegno umano è riuscito a trarre dal creato, con l’aiuto di Dio, quelle che hanno offerto nuove possibilità di comunicare”. (intr., 1)

La sede storica è la palazzina Leone XIII nei Giardini della Città del Vaticano. Nell’ottobre del ‘57 viene inaugurato il Centro Trasmittente di Santa Maria di Galeria. Alla Radio lavorano ca 400 giornalisti e operatori di oltre 60 nazionalità, poiché trasmette in 45 diverse lingue.

Negli anni ’90 hanno inizio le trasmissioni satellitari e via internet, e oggi Radio Vaticana viaggia via cavo: con lo stesso impegno, “confortare la fede e sostenere la speranza dei credenti, collegando con la Chiesa di Pietro le Chiese locali che si trovano in precarie condizioni di libertà religiosa” (Giovanni Paolo II); dal 2009, causa problemi nei bilanci, la Radio introduce la pubblicità, selezionata e controllata con cura. Autore di una poderosa spinta verso una diffusione sempre più internazionale della parola della Chiesa, Giovani Paolo II vuole che sia istituito nel 1983 il Centro Televisivo Vaticano, “con il compito di contribuire allo sviluppo della presenza della Chiesa e della cultura cristiana nel mondo mediante l’utilizzo di strumenti audiovisivi”.(discorso20 dicembre 1993 al personale in occasione dei dieci ani dell’istituzione). Dal ’96 è un organismo della Santa Sede e Televisione ufficiale dello Stato della Città del Vaticano, pur svolgendo un ruolo di agenzia, cioè di servizio per altre reti televisive. Ha un rapporto di regia, per i grandi eventi della Chiesa in mondovisione, con Rai Vaticano, la struttura RAI nata nel 1998 tra le attività per il Grande Giubileo, con il nome di Rai Giubileo. Collabora anche con Tv 2000, la televisione promossa dalla CEI. Ogni anno riprende integralmente ca 130 eventi, oltre a seguire i viaggi apostolici del Santo Padre, inoltrando via satellite il segnale in tutti i continenti. Distribuisce quotidianamente le sue immagini alle agenzie e alle tv sulle attività pubbliche del Papa; produce video, news e documentari; gestisce un archivio con una videoteca di oltre 16.000 cassette, oltre 8000 ore di registrazione, solo dal 1984 in poi. L’emittente trasmette in digitale terrestre da Castel Gandolfo per mezzo di un ripetitore posto sul Palazzo Pontificio.

Cinema. Dalle origini della storia del cinema la sua popolarità spinse la Chiesa, com’era stato per il teatro nel Medio Evo, a non comminare solo divieti, ma a cercare di capire e giudicare. Su ispirazione dell’enciclica Vigilanti Cura, di Pio XI, datata 1936, nasce in Italia il Centro Cattolico Cinematografico, i cui giudizi sui film prodotti vengono riportati nelle Segnalazioni Cinematografiche, che valutano la moralità e l’immoralità, riflettendo il senso del pudore e le visioni culturali del tempo, ma senza mai, almeno come indicazione generale, ricorrere a tagli di censura che manchino di rispetto all’autore e stravolgano il senso dell’opera. Si privilegiano due filoni di film: quello religioso, che si occupa della figura di Gesù, Sati, Pontefici, e quello spirituale, con la forma di registi quali Bresson e Dreyer fino a Zanussi, e Kieslovski.

Nel 1942 nasce la prima casa di produzione cattolica, l’Orbis Film, che segna il superamento del dilettantismo dei cattolici nel cinema: l’occasione è il compito affidato al CCC di produrre il cine ritratto firmato da Ennio Flaiano di Pio XII, Pastor Angelicus. La neonata casa di produzione coinvolge maestri come Zavattini e Blasetti, Suso Cecchi D’Amico e Soldati, Lattuada: tra i primi titoli La porta del cielo di De Sica, Il testimone di Germi. Il suo lavoro non cessò durante l’occupazione nazista della città di Roma, e cast gonfiati di attori e comparse permisero la salvezza di perseguitati politici ed ebrei. L’eredità di Orbis passa poi a Universalia (di cui si ricordano i capolavori La terra trema di Visconti e La bellezza del diavolo di Réné Clair). Nel 1946 compare l’Ente dello Spettacolo, che segna da un punto di vista cattolico il rilancio del cinema italiano del dopoguerra. Suo primo Presidente, non a caso, fu Luigi Gedda, l’intellettuale e attivista del movimento cattolico che aveva portato la Democrazia Cristiana al trionfo del ‘48. Nel 1949 nasce l’Acec, Associazione Cattolica Esercenti Cinema, che portava avanti il progetto delle prime Sale Ricreative cattoliche d’inizio secolo. Il Centro Studi Cinematografico, sorto a Milano all’inizio degli anni 50, e affidato dal cardinal Montini a don Francesco Ceriotti, aveva l’ambizione di educare gli spettatori a capire i film non solo nei contenuti, ma a comprendere la grammatica dei linguaggi dell’immagine. Ben presto il modello milanese si diffuse in tutta Italia, con lo stesso metodo, ovvero si proiettavano diversi film per diverse categorie di spettatori, studenti, lavoratori, educatori, bambini, introdotti e commentati da volontari esperti: lo scopo principale non era il commento, il giudizio morale, ma l’educazione a leggere i film per cogliere i messaggi culturali e i co dizionamenti che ne potevano derivare. Le sale diventarono presto e sempre più luoghi e spazio di incontro, testimonianza, con il sostegno di due Note pastorali della CEI e il riconoscimento giuridico avvenuto nel 1994.

Con la crisi culturale degli anni ‘70 i cattolici perdono un protagonismo di ampio respiro e lasciano il passo, mentre si esaurisce l’esperienza delle sale di comunità, che in gran parte chiudono. Anche l’attenzione del Magistero che era stata un tempo solerte e puntuale (ricordiamo che nel 1955 Papa Pio XII pronuncia due Discorsi sui film ideali) vien meno, fino all’avvento sul soglio pontificio di un papa polacco, che da giovane aveva fatto l’attore. La sua predilezione per lo spettacolo e la coscienza della sua importanza si traducono in diversi discorsi fino a culminare con il Giubileo speciale dedicato nel 2000 al mondo dello spettacolo.

L’Ente dello spettacolo, di cui è presidente Mons. Dario Edoardo Viganò, continua a seguire attività editoriali, convegni, rassegne, festival e a proporre anteprime; promuove oggi il festival del Cinema Spirituale Tertio Millennio, assegna annualmente durante la Mostra del Cinema di Venezia, il premio Robert Bresson a un regista che si sia distinto nella ricerca del significato spirituale dell’esistenza. Tra le iniziative più recenti citiamo l’International Catholic Film festival, presieduto dalla regista Liana Marabini, sotto il patronato del Pontificio Consiglio della Cultura, dal 2010, e il Fiuggi Family Fest, con opere che puntano sulla valorizzazione della famiglia e l’educazione dei ragazzi.

Fonti e Bibl. essenziale

D. Edoardo Viganò, La Chiesa al tempo dei media, Ocd, 2008; A. Verdecchia, Il maestro magico, Paoline Edizioni, 2010; A. Grasso, Storia della televisione italiana, Garzanti, 2000; D.E. Viganò, Il Vaticano II e la comunicazione. Una rinnovata storia tra Vangelo e società, Paoline, Milano 2013; F. Ruozzi, Da «buona maestra» a scrupolosa professoressa. Il ruolo della televisione nel preparare la società italiana al Concilio Vaticano II (1959-1962), in «Chiesa e Storia. Rivista dell’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa» 3 (2013), 179-228.


LEMMARIO




Massoneria - vol. I


Autore: Antonio Trampus

Il rapporto fra la massoneria e la Chiesa nella storia italiana è stato mutevole nel tempo e dipende dalla natura stessa della muratoria, che sin dalle sue origini ha assunto caratteristiche diverse in funzione dei contesti culturali e politici nei quali si è trovata ad operare. Per quanto continuino a sopravvivere ambigue classificazioni della massoneria entro la tipologia delle società segrete e delle scienze occulte piuttosto che tra le forme di sociabilità tipiche dell’età moderna, è importante ricordare che a partire dalle radici tardo cinquecentesche, le logge si sono presentate essenzialmente come un fenomeno culturale, attento a rivendicare la sua neutralità sia rispetto alle questioni di fede sia alla politica. Lo affermavano in modo chiaro tanto le Constitutions di James Anderson (1723) quanto i documenti delle logge continentali e italiane della prima metà del XVIII secolo. Si tratta di una prescrizione ritenuta necessaria perché garantiva la sopravvivenza delle logge in un’Europa in cui il problema delle differenze religiose rimaneva controverso, e perché teneva unito il mondo massonico nella diversità delle fedi individuali, all’insegna dello spirito di tolleranza. Escludendo quindi la religione come pratica all’interno della loggia, si riaffermavano contemporaneamente la libertà di coscienza individuale e la possibilità che le religioni potessero essere oggetto di studio.

Spesso tuttavia pratiche massoniche, basate sui principi dell’uguaglianza, della capacità e del merito, facevano apparire le logge come una sorta scuola di governo e quindi come un laboratorio teorico della politica e luogo genetico di nuove forme istituzionali alternative alla cultura di Antico Regime. Non a caso proprio nel Settecento italiano compaiono i primi segni di contrasto fra le autorità ecclesiastiche e le logge massoniche, culminati in due condanne papali del 1738 e del 1751. All’origine della prima vi sono le vicende legate alla successione del trono granducale in Toscana in conseguenza dell’estinzione della dinastia dei Medici e alla candidatura dell’ex duca di Lorena Francesco Stefano, iniziato in loggia dal 1731. L’instaurazione del governo lorenese portò all’avvio di una ferma politica giurisdizionalista e alla denuncia, dinanzi all’Inquisizione fiorentina, di un progetto anticuriale e antiromano maturato nell’ambito delle logge toscane. Il processo che ne seguì, diede origine alla costituzione In eminenti, firmata dal papa il 28 aprile 1738 e pubblicata il 4 maggio successivo, nella quale la massoneria veniva condannata in quanto (e nei casi in cui) tendeva a ridurre l’influenza della Chiesa nella sfera politica e civile e gettava le premesse per la possibilità di credere nella salvezza senza la grazia o al di fuori di essa.

In questo senso, le prescrizioni della costituzione In eminenti colpivano le pratiche massoniche in quanto sconfinavano nell’eresia e circoscrivevano la pericolosità del fenomeno massonico non impedendo la partecipazione dei cattolici alla vita delle logge. Anzi – come osservava Ludovico Antonio Muratori negli Annali d’Italia – proprio il richiamo papale ad abbandonare ogni forma di riservatezza intorno alle loro attività aveva consentito poi ai massoni, nel corso degli anni quaranta del Settecento, un’opera di divulgazione e di propaganda dei loro rituali sempre più ampia ed efficace. Anche il secondo intervento pontificio, nel 1751, apparve mirato soprattutto a contenere il pericolo che l’attività delle logge esorbitasse dallo spazio massonico per influenzare i rapporti fra Chiesa e Stato. L’occasione venne dai tentativi di introdurre l’Inquisizione nel Regno di Napoli e dal progetto giurisdizionalista del principe di Sansevero che intendeva unire attraverso il comune impegno massonico nobili, togati e militari per limitare le ingerenze politiche della Chiesa. Dopo avere pubblicato una Lettera apologetica in difesa del carattere culturale e socializzatore della massoneria Sansevero venne accusato di tradimento e il 18 maggio 1751 papa Benedetto XIV intervenne con la costituzione Providas per riaffermare i contenuti del documento pontificio di tredici anni prima.

Al di là delle due specifiche vicende, nel corso del XVIII l’adesione dei cattolici italiani alla massoneria fu costante e non mancarono decise prese di posizione nella difesa della compatibilità fra la condizione massonica e quella del buon cristiano, come dimostra il saggio del camaldolese Isidoro Bianchi Dell’instituto dei veri liberi muratori (1785). In quelle pagine egli poteva sostenere che le logge non erano contrarie né al buon ordine pubblico né alla religione e circoscriveva il pericolo massonico a poche situazioni isolate – come quella sovversiva degli Illuminati di Baviera – espressioni di una massoneria sostanzialmente deviata. Non lontane da queste posizioni furono poi quelle del savoiardo Joseph de Maistre, membro del rito scozzese riformato, che interpretava la massoneria persino come uno strumento per potenziare la religione cattolica, per la riscoperta della tradizione cristiana e per diffondere la conoscenza di verità sublimi quali la redenzione e la salvezza eterna.

Gli eventi rivoluzionari francesi, che coincisero in Italia anche con l’arresto e il processo a Cagliostro (Giuseppe Balsamo) e con la scoperta del progetto di creare una loggia massonica a Roma, riaprirono il conflitto fra la Chiesa e la massoneria. Gli atti del processo contro Cagliostro e gli opuscoli su quella vicenda, promossi dalla Santa Sede stessa, mettevano in rilievo il carattere irreligioso e libertino delle logge, la loro volontà di distruggere le monarchie e propagare le idee democratiche interpretando gli avvenimenti dell’89 come l’esito di un complotto ordito dai massoni assieme ai philosophes e ai giansenisti. Nasceva così la tesi della congiura e del complotto massonico, destinata ad essere amplificata ad opera dell’abate Barruel con i suoi scritti sul giacobinismo tradotti anche in italiano. Nel clima della Restaurazione, di fronte all’immersione della massoneria nel settarismo e nei percorsi carbonari, il tema della condanna da parte della Chiesa venne ripreso spesso anche per rimediare all’inefficacia o alla disapplicazione dei provvedimenti settecenteschi. Già nell’agosto 1814 il segretario di Stato Consalvi emanava un decreto di condanna delle società segrete rinnovato poi nel 1821, lo stesso anno in cui dinanzi ai moti costituzionali italiani ed europei – Pio VII promulgò la bolla Ecclesiam a Iesu Christo per condannare la carboneria in quanto emanazione o imitazione della massoneria, descrivendole entrambe come fautrici di cospirazioni contro la religione e contro la società civile tramite l’uso immorale del segreto, del giuramento e dell’insubordinazione.

La contrapposizione tra la Chiesa e la massoneria italiana, considerata come uno dei prodotti più pericolosi del mondo moderno, rimase uno temi dominanti del Risorgimento italiano, parallelamente alla diffusione del pensiero liberale e al profilarsi di una unificazione della penisola con Roma capitale sottratta al dominio della Chiesa. Fu però appena negli anni ottanta dell’Ottocento, dopo la caduta di Roma e la perdita del potere temporale, che la Chiesa cattolica cominciò a riaffrontare in senso complessivo il problema, sollecitata anche dalla grande espansione e visibilità che stava acquistando il Grande Oriente d’Italia. Nacque allora il progetto di una nuova enciclica che prendesse in esame il fenomeno pur senza privilegiare un’ottica solamente italiana, nella consapevolezza che l’adesione dei cattolici italiani alla massoneria non si limitava a casi isolati. Si giunse così all’enciclica Humanum genus. De secta masonum pubblicata da Leone XIII il 20 aprile 1884, volta in realtà a denunciare l’azione della muratoria soprattutto in Italia. Secondo il pontefice l’obiettivo delle logge era quello di asservire completamente l’uomo distruggendone la moralità e minacciandone il ruolo nella comunità civile anche attraverso la diffusione del movimento socialista, considerato un’emanazione massonica. L’enciclica diveniva occasione per condannare, in quanto frutti delle correnti di idee da cui era provenuta la muratoria, il principio della sovranità popolare, la natura civile del matrimonio e il sistema educativo ormai sottratto al controllo della Chiesa. E’ il caso di segnalare che le risposte italiane all’enciclica, maturate nell’ambito del Grande Oriente e del suo Gran Maestro Adriano Lemmi, si orientarono subito in direzione di una decisa contrapposizione a questi asserti, chiudendo ogni spazio al dialogo e contribuendo così ad uno scontro frontale con il mondo cattolico che si sarebbe tradotto in un anticlericalismo destinato ad accentuarsi negli anni successivi. Dal canto suo Leone XIII, con la lettera enciclica ai vescovi del 15 ottobre 1890 Dall’alto dell’apostolico seggio e con altri interventi, tornò ad insistere sulla necessità di mobilitare i cattolici contro la massoneria e contro tutti i provvedimenti assunti dal nuovo Stato italiano (soppressione di ordini religiosi, leva obbligatoria anche per il clero, introduzione del matrimonio civile) considerati come un prodotto delle “sètte che diconsi massoniche”. E a questo la massoneria italiana rispose con le grandi manifestazioni per l’inaugurazione del monumento a Giordano Bruno a Campo dei fiori a Roma nel 1889 e per l’inaugurazione della nuova sede del Grande Oriente a palazzo Borghese nel 1893. Sul fronte opposto, nello stesso 1893, il 20 settembre (anniversario della breccia di Porta Pia) venne fondata l’Unione antimassonica italiana con sede a Trento.

La contrapposizione fra Chiesa e massoneria in Italia si rafforzò ulteriormente durante il fascismo e portò, dopo la conclusione dei Patti Lateranensi e con la sempre più decisa opposizione del Grande Oriente al governo Mussolini, a violente persecuzioni e allo scioglimento del Grande Oriente d’Italia decretata dal Gran Maestro stesso nel 1925. La vita sotterranea delle logge durò fino alla ricostituzione del 1945, riprendendo poi nel segno della tradizione risorgimentale. Solo con il pontificato di Giovanni XXIII i rapporti tra Chiesa cattolica e massoneria italiana presero a migliorare finché con Paolo VI la conferenza episcopale tedesca dichiarò decaduta l’incompatibilità tra fede cattolica e appartenenza alla muratoria. Negli anni Settanta del Novecento, anche attraverso gli interventi del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede cardinale Šeper, la Chiesa cattolica prese progressivamente anche atto che due degli elementi fondamentali delle condanne sette e ottocentesche, cioè la natura segreta della massoneria e la sua ostilità statutaria verso la Chiesa, erano venuti meno, facendo decadere così da un punto di vista sostanziale la scomunica per i cattolici appartenenti alle logge, pur in assenza di un annullamento formale delle condanne pontificie. Più recentemente con il pontificato di Giovanni Paolo II e con il successore del cardinale Šeper, il cardinale Ratzinger – poi giunto al soglio pontificio – il dialogo tra massoneria italiana e Chiesa cattolica si è nuovamente rarefatto e anzi il cardinale Ratzinger ha riaffermato che i cattolici impegnati nella massoneria incorrono nel peccato grave che comporta l’esclusione dal sacramento dell’eucarestia.

Fonti e Bibl. essenziale

L. Pruni, La Sinagoga di Satana. Storia dell’antimassoneria 1725-2002, Laterza, Roma-Bari 2002; A. Trampus, La massoneria nell’età moderna, Laterza, Roma-Bari 20083; G.M. Cazzaniga – ed., Storia d’Italia. Annali 21. La Massoneria, Einaudi, Torino 2006; F. Conti, Storia della massoneria italiana dal Risorgimento al Fascismo, il Mulino, Bologna 2003; F. Conti – M. Novarino – edd., Massoneria e Unità d’Italia. La libera muratoria e la costruzione della nazione, il Mulino, Bologna 2011.


LEMMARIO




Massoneria - vol. II


Autore: Francesco Cipollini

Dal 1870 al 1903. All’indomani dell’unità d’Italia, l’atteggiamento nei confronti della Massoneria da parte della Chiesa sostanzialmente non cambia, rispetto al periodo precedente.

Gli eventi che riguardano la sofferta unificazione della nostra nazione vedono coinvolti in prima persona esponenti della “libera muratoria”, alcuni dei quali non nascondono la loro avversione per tutto ciò che sa di “cattolico”.

Basti il riferimento a Livio Zambeccari, patriota bolognese poi esponente di spicco della Società Nazionale, e ad un folto gruppo di deputati e senatori tra cui Giuseppe La Farina e Michele Coppino, soltanto per riportarne alcuni. Citazione a parte merita lo stesso Giuseppe Garibaldi che nelle elezioni del 1° marzo 1862 non viene eletto Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia per due soli voti di scarto e che nella sua impresa più famosa, la spedizione dei mille, fu coadiuvato da fratelli appartenenti alla massoneria.

Il 17 marzo 1866 sul periodico Lo Stivale, il “fratello” Luigi Settembrini attacca in maniera chiara e diretta la Chiesa: «a voler distruggere la mala pianta che aduggia tutta la terra cristiana bisogna tagliar le radici intorno […]. Il potere temporale non è soltanto il potere che il papa ha in Roma ma è principalmente il potere che hanno i vescovi, i preti e gli ordini religiosi per tutto il cattolicesimo: e questo potere nasce perché sono organizzati e hanno denaro. Sciogliete quell’organismo, spogliateli dalle male acquistate ricchezze e voi avrete distrutto il potere temporale dei Papi».

Ma già il 19 maggio 1861, a qualche mese dall’unità, la Gazzetta del Popolo di Torino, diretta dal massone Felice Govean, salutava con favore le iniziative dei “fratelli” Ricciardi e Bixio volte all’incameramento dei beni ecclesiastici.

Una coraggiosa risposta viene fornita da papa Pio IX Mastai Ferretti nella sua Enciclica Etsi multa luctuosa pubblicata il 21 novembre 1873 [ASS 7 (1872-1873), 496].

In essa il Pontefice denuncia gli attacchi sempre più frequenti ai diritti e alla libertà della Chiesa. In particolare, si sofferma sulla situazione in Germania, caratterizzata dal Kulturkampf, criticando la politica del Bismarck; prende in esame poi la situazione in Svizzera, denunciando i tentativi dei legislatori elvetici di introdurre l’elezione democratica e popolare dei parroci. Alla base di questi attacchi alla Chiesa, il Pontefice vede le sette, tra cui la Massoneria, definita, per la prima volta, la Sinagoga di Satana.

«Si meraviglierà forse qualcuno di Voi, Venerabili Fratelli, che la guerra che oggi si muove alla Chiesa Cattolica si espanda tanto. Ma chiunque conosce il carattere, gli obiettivi ed il proposito delle sette, sia che si chiamino massoniche, sia che si chiamino con qualsivoglia altro nome, e li paragoni al carattere, al modo, e all’ampiezza di questa guerra, da cui la Chiesa è assalita quasi da ogni parte, non potrà certamente dubitare che questa calamità si debba attribuire alle frodi ed alle macchinazioni di quelle sette. Da esse infatti è formata la sinagoga di Satana, che ordina il suo esercito contro la Chiesa di Cristo, innalza la sua bandiera e viene a battaglia».

Il problema viene affrontato ancora da Pio IX anche nella Exortae in ista, [ASS 9 (1876), 338] una Lettera Apostolica pubblicata il 20 aprile 1876 che, sebbene scritta all’Episcopato del Brasile per denunciare i mali della Massoneria, contribuisce ad evidenziare quanto i pericoli rappresentati da questa dottrina siano a cuore del pontefice.

Si dovrà però al successore di Pio IX, papa Leone XIII Pecci, la promulgazione di testi decisi e fermi di censura dell’associazione massonica, che si pongono in strettissima ideale correlazione con la lettera apostolica di Clemente XII In eminenti apostolatus specula del 1738.

Già con la Etsi nos, enciclica leoniana scritta il 15 febbraio 1882, il Pontefice scrive ai vescovi italiani sulla necessità di difendere l’opera del Papato nella storia italiana e sull’iniquità delle nuove leggi italiane che offendono e combattono la Chiesa e la Fede concludendo il suo testo con un’approfondita analisi sulle colpe della massoneria.

Soltanto due anni dopo, il papa torna sull’argomento con l’enciclica Humanum genus che Leone XIII pubblica il 20 aprile 1884 [ASS 16 (1883-1884), 417]; in essa affronta in maniera esaustiva la problematica evidenziandone, sistematicamente ed organicamente, l’inconciliabilità con il Cristianesimo pur potendo gli aderenti non abiurare alla fede. Instaurando il paragone fra la città di Dio e la città dell’uomo sulle orme dell’opera agostiniana De Civitate Dei, il papa sostiene che «i partigiani della città malvagia, ispirati ed aiutati da quella società […] che piglia il nome di Società Massonica, pare che tutti cospirino insieme. […]». Con riferimenti chiari e diretti, il papa afferma la necessità di comprendere «la stessa società Massonica nel complesso delle sue dottrine, dei suoi disegni, delle sue tendenze, delle sue opere, affinché meglio conosciutane la malefica natura, ne sia schivato più cautamente il contagio».

L’uso della lingua italiana nell’altra enciclica di papa Pecci Dall’alto dell’Apostolico Seggio datata 15 ottobre 1890 [ASS 23 (1890-1891), 193], scritta all’Episcopato e ai fedeli d’Italia ed interamente dedicata alla Massoneria e ai suoi pericoli, è un evidente segnale del fatto che la diffusione della setta nella nazione italiana preoccupava il vertice della Chiesa, tanto da spingere il pontefice ad inviare direttamente alla popolazione italiana questo scritto.

Leone XIII torna sull’argomento ancora una volta con due testi, pubblicati sia in lingua latina sia in lingua italiana, l’8 dicembre 1892: sono le encicliche Inimica vis [ASS 25 (1892-1893, 274)] e Custodi di quella fede. In esse il pontefice condanna le dottrine massoniche utilizzando ancora una volta anche la lingua italiana come a sottolineare la gravità del problema nella nazione italiana.

Ancora due riferimenti nei testi leoniani riguardano la Massoneria. Il 20 giugno1894 con la Epistola Apostolica Praeclara gratulationes [ASS 26 (1893-1894), 705] e il 19 marzo 1902 con la Lettera apostolica Pervenuti all’anno vigesimoquinto [ASS 34 (1901-1902), 513]; in entrambe il papa ricorda e sottolinea la pericolosità e la negatività degli effetti della setta massonica sulla società e sulla comunità ecclesiale.

Dal 1903 al 1962. La morte di papa Pecci il 20 luglio 1903 e la successiva elezione (il 4 agosto dello stesso anno) di papa Sarto con il nome di Pio X segnano l’inizio di una fase durante la quale, pur in assenza di provvedimenti diretti ed espliciti da parte del magistero, procedono i lavori per la ricezione ed esplicitazione della condanna dell’appartenenza massonica nel documento legislativo più importante per la Chiesa cattolica: fervono infatti durante il pontificato sartiano i lavori per la redazione del Codex Juris Canonici, la cui promulgazione avverrà però il 27 maggio 1917, sotto il pontificato di papa Benedetto XV (eletto il 3 settembre 1914).

La problematica è affrontata nel canone 2335 che commina la scomunica “ipso facto” a chiunque prende parte a sette massoniche, “o dello stesso genere” recita il canone, che operano contro la Chiesa.

Il successivo canone 2336 rivolge invece la sua attenzione a quei chierici che dovessero aderire a simili associazioni per i quali è prevista la sospensione e la privazione da qualsiasi ufficio e dignità, nonché la denuncia alla Congregazione del S. Offizio.

Durante i pontificati successivi la necessità di altre esplicite riprovazioni ufficiali della Massoneria è fortemente attenuata, in considerazione della chiara e definitiva codifica della condanna ad opera del citato canone 2335.

Dal 1962 al 1983. La celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II ha comprensibilmente impegnato la riflessione della Chiesa su se stessa in un enorme sforzo di autocomprensione ad intra e ad extra.

Coerentemente con l’impostazione voluta dai padri conciliari, dall’assise non è stata emessa alcuna condanna di approcci errati alla fede. Anzi la nuova visio dei rapporti fra Chiesa e mondo costringeva tutti i cristiani a rivedere il loro approccio con l’“altro” in una rinnovata concezione dei rapporti con il mondo contemporaneo.

Tuttavia l’opportunità del dialogo alla ricerca della verità esige, coerentemente, anche la necessità della condanna di posizioni inconciliabili con il deposito della fede. Questa esigenza di coerenza da parte della Chiesa ha comportato, il 19 luglio del 1974, la pubblicazione da parte della Congregazione della Dottrina della Fede di una lettera De catholicis qui nomen dant associationibus massonicis. La comunicazione, a firma dell’allora prefetto il card. Franjo Šeper, era rivolta principalmente al card. Krol, arcivescovo metropolita di Philadelphia, ma venne notificata anche ad alcuni episcopati particolari; in essa si stigmatizzavano interpretazioni false e capziose in merito alla possibilità dell’appartenenza a logge massoniche, chiarendo che nulla era mutato rispetto a quanto disposto dal can. 2335 del CJC allora vigente e pertanto, sostanzialmente, nessuna abrogazione della scomunica era stata disposta.

La pubblicazione del contenuto della notificazione, inizialmente riservato, ha richiesto un seguente pronunciamento da parte della Congregazione, la quale, il 17 febbraio 1981, con una successiva Dichiarazione circa l’appartenenza dei cattolici ad associazioni massoniche, a firma dello stesso card. Šeper, oltre a ribadire la consueta interpretazione del canone 2335 del CJC, precisava anche la impossibilità da parte delle locali conferenze episcopali di valutare soggettivamente i casi in questione: «Non era invece intenzione della S. Congregazione rimettere alle Conferenze Episcopali di pronunciarsi pubblicamente con un giudizio di carattere generale sulla natura delle associazioni massoniche che implichi deroghe alle suddette norme».

Tale dichiarazione si inserisce in un panorama italiano fortemente sensibile alla problematica, in quanto il 12 settembre 1978 era stata pubblicata dal giornalista Mino Pecorelli la lista degli aderenti alla loggia massonica “P2”. Uno scandalo che aveva coinvolto eminenti personaggi della politica e della finanza fino a lambire, secondo alcune fonti, anche alte sfere della gerarchia vaticana.

La pubblicazione il 25 gennaio 1983 del nuovo Codex Juris Canonici ad opera del papa Giovanni Paolo II segna un nuovo approccio alla problematica rispetto alla precedente codificazione; emerge, infatti, un atteggiamento diverso nel canone 1374 che genericamente proibisce l’appartenenza ad associazioni “che macchinano” contro la Chiesa. Non vengono più esplicitamente menzionate le sette massoniche, ma coerentemente con il principio, ogni associazione che si pone contro la chiesa viene condannata e con essa chi la promuove e la modera.

La mancata esplicita menzione del carattere massonico delle sette condannate nella nuova codificazione del CJC è parsa a molti foriera di ambiguità e di confusione.

Al fine di sgombrare il campo da equivoci interpretativi, la Congregazione per la Dottrina della fede il 26 novembre dello stesso 1983 emana la breve, ma incontestabile quanto a chiarezza, Dichiarazione sulla massoneria, firmata dall’allora Prefetto il card. Joseph Ratzinger ed approvata dal papa Giovanni Paolo II. In essa si afferma l’inconciliabilità della doppia appartenenza di un fedele cattolico a qualsiasi loggia massonica e, nell’eventualità dell’appartenenza, lo stato di peccato grave che impedisce di accedere alla Santa Comunione.

Viene, pertanto, confermata la condanna della massoneria e la conseguente diffida all’adesione, dando così una interpretatio authentica del “nuovo” canone 1374 e ponendo un punto fermo e risolutivo nei rapporti fra cristianesimo e massoneria.


LEMMARIO




Mastantuono Antonio


 





Medicina - vol. I


Autore: Maria Pia Donato

La medicina – intesa nella sua duplice natura di scienza e di arte, ossia di sapere teorico e pratico e di tecniche di intervento sul corpo infermo – interseca la teologia e concerne la vita religiosa sia a livello intellettuale, come spiegazione dei fenomeni naturali e della vita, che a livello antropologico, nell’interpretare e affrontare la malattia e la sofferenza. In questo continuo confronto non è opportuno distinguere l’Italia dal resto della cristianità occidentale; essa tuttavia costituisce sia dal punto di vista dottrinale che istituzionale un laboratorio per precocità e intensità.

Nell’Alto Medioevo la compenetrazione tra la dimensione religiosa e medica della malattia è inestricabile. I Padri latini seguono quelli d’Oriente nel temperare il pessimismo dell’antropologia cristiana, che riconduce la malattia e la morte al Peccato (dunque intrinsecamente alla condizione umana), riconoscendo l’origine divina della possibilità di conoscere il corpo, ma la loro riflessione s’incentra sul Christus Medicus e sulla preminenza della guarigione spirituale; prevale in alcuni come Gregorio Magno una pastorale della sofferenza fondata sulla virtù della pazienza che contrappone l’illusoria schola Hippocratis e la salutifera schola Salvatoris. Il nesso inscindibile tra salute dell’anima e salute del corpo permea tanto la spiritualità e la devozione, quanto la prassi sacramentale, in particolare la penitenza e l’unzione, impartita non solo ai morenti bensì agli infermi in funzione terapeutica. D’altro canto, dopo la riforma del IX secolo, sono per lo più i monasteri (si distingue Montecassino) e i chierici a trasmettere i frammenti della letteratura medica e farmacologica antica. Le istituzioni monastiche sono inoltre il nucleo di pratica organizzata della medicina: nonostante il I concilio di Nicea (325) stabilisse nelle città un luogo per assistere a pellegrini, poveri e infermi, l’infermeria monastica può considerarsi l’antecedente degli ospedali che si sviluppano dal XII a seguito delle trasformazioni demografiche e sociali connesse all’urbanesimo. Gli ordini ospedalieri che fiorirono nel secolo successivo fungono da tramite in questa trasformazione, che procede in parallelo alla dislocazione delle istituzioni ecclesiastiche verso le città.

Tra la fine dell’XI e il XIII secolo la situazione cambia profondamente a cominciare dall’Italia e dalla Francia. La traduzione di testi classici e arabi e il recupero della logica e filosofia naturale di Aristotele procedono al pari dell’istituzionalizzazione di strutture di trasmissione del nuovo sapere medico. Alla Scuola di Salerno, attiva dal tardo X secolo, seguono le nuove istituzioni universitarie di Bologna e Padova ed altre strutture di insegnamento teorico e pratico nelle città. Base dell’insegnamento a Salerno, e così nelle università, furono alcuni trattati di Ippocrate, Galeno, Haly Abbas e Isaac Iudaeus tradotte dal monaco Costantino l’Africano, poi il Canone di Avicenna tradotto da Gherardo da Cremona. Il consolidamento della medicina profana come sapere e come professione incide sulle linee di contatto con le istituzioni ecclesiali e la vita religiosa. Le coordinate dell’antropologia religiosa restano uguali ma non determinano direttamente l’attività del medico: se sullo sfondo resta la condizione umana di infermità, le cause naturali delle malattie possono essere indagate; se la capacità dell’uomo di curare dipende in ultima stanza da Dio, la medicina ha la sua utilità e dignità. La relativa autonomia della medicina già dal XII secolo è testimoniata a contario dall’obbligo fatto dal IV Concilio Lateranense (1215) di procedere alla confessione di tutti i malati e morenti, e dai ripetuti divieti canonici al clero regolare di praticare la medicina e la chirurgia a fine di lucro. D’altra parte, la grande diffusione degli ordini mendicanti nella Penisola –un tratto, quello della folta presenza regolare che accompagnerà tutta la storia ecclesiastica italiana- porrà ripetuti problemi alla Chiesa di controllo e disciplina del clero nei confronti dei morenti e dei defunti.

Tra XIII e XV secolo, la cultura scolastica è caratterizzata da un dialogo tra medicina e teologia che condividono interrogativi, categorie interpretative e regole ermeneutiche di matrice aristotelica senza confondersi l’una nell’altra. Soprattutto i maestri italiani –da Taddeo Alderotti a Pietro d’Abano – rivendicano la dignità della medicina, facendosi forti della vocazione secolare delle università italiane, nonché dell’espansione di un mercato della salute che, specialmente in Italia, è alimentato dalle città e dalle corti. Tra Tre e Quattrocento le città regolamentano attraverso gli statuti e altre norme la professione, e provvedono posti pubblici in città e nel contado.

La legittimità intellettuale e il radicamento socio-istituzionale della medicina non si annulla neanche durante le epidemie che fanno riemergere con forza il significato religioso della malattia in chiave punitiva. Già nel trattamento della lebbra – una delle patologie più strettamente identificata con lo stigma del peccato – non manca l’intervento terapeutico, ancorché palliativo, e così in un’altra malattia simbolica come il cosiddetto fuoco di Sant’Antonio. Anche le reazioni alla peste, a partire dalla Peste Nera del 1348-49, le armi spirituali non vanno disgiunte da quelle medicinali, per quanto inefficaci; rapidamente le città italiane, pur affidandosi alla protezione celeste e promuovendo riti di espiazione e devozione (che si cristallizzeranno poi sulla figura del santo protettore), mettono a punto sistemi di sorveglianza destinati a diffondersi in tutta Europa. D’altro canto, intere aree della pratica medica, in particolare la dietetica (ossia l’uso dei cosiddetti non-naturali: cibo, sonno, moto, passioni dell’animo etc), sono permeate da precetti e valori religiosi; così nella deontologia, specialmente circa il compenso, il trattamento dei mali incurabili e in generale la circospezione richiesta al medico di fronte alla morte. Nell’esperienza dei malati i due piani s’intersecano, sia nel ricorso a figure taumaturgiche e rimedi dell’uno e dell’altro ordine che nella percezione dei processi corporei. E’ una sovrapposizione facilitata dal quadro teorico ippocratico-galenico che considera la malattia essenzialmente come un disequilibrio esogeno di qualità ed umori da purificare.

Nelle istituzioni della cura tale sovrapposizione resta marcata. In Italia gli ospedali si medicalizzano precocemente, almeno i principali e nelle principali città, ma la cura del corpo è sempre connessa a quella dell’anima attraverso la preghiera e i sacramenti e, in ultima istanza, garantisce se non altro una morte e sepoltura cristiana. Sull’assistenza agli infermi si riversa lo slancio caritativo di chierici e laici, che si prolungherà nei secoli XV e XVI in alcune delle più intense esperienze della Riforma cattolica nella Penisola. Nella gestione dei luoghi pii ospedalieri, per altro, si consolida l’intreccio tra elite locali ecclesiastiche e civili tipico della Chiesa italiana di antico regime che, assecondato dal potere principesco che ha negli ospedali un importante strumento di propaganda e di controllo sociale, costituirà un blocco refrattario alle riforme ben oltre la Controriforma.

Il XVI secolo, comunque, introduce delle discontinuità. Ciò non avviene tanto sul piano intellettuale. E’ vero che il V Concilio Lateranense respinge il principio della doppia verità in reazione all’aristotelismo eterodosso sviluppatosi principalmente a Padova (ha, in tal senso, un’ispirazione spiccatamente italiana), sottomettendo le scienze alla censura teologica, ma la Chiesa, in Italia intrisa di cultura umanistica, non ostacola i nuovi indirizzi nella medicina rinascimentale; il papato, anzi, è uno dei principali promotori di discipline innovative come l’anatomia vesaliana e la botanica. Non s’intacca il rapporto di mutuo sostegno tra istituzioni ecclesiastiche, magistrature civili e professione medica, che fa del medico il riconosciuto detentore di un autonomo sapere e un garante dell’ordine religioso e sociale. Ma la Chiesa italiana della Controriforma si propone vieppiù come arbitra, oltre che delle anime, dei corpi e di chi ne ha le cure. Pertanto, se l’ordinamento corporativo e il controllo del mercato medicinale si rafforza, gli equilibri di potere complessivi mutano sensibilmente. Nella Penisola, ciò è accentuato dall’adesione dei ceti dominanti ai valori e imperativi della Controriforma e dal ricorso degli stati territoriali alla leva religiosa e alle strutture ecclesiastiche per rafforzarsi all’ombra del papato.

Gli ambiti della cura su cui, attraverso dispositivi formali (come il divieto prescritto da Pio V di prestare assistenza ai malati che, dopo tre visite, rifiutassero ancora il sacramento, recepito dalla maggior parte dei collegi medici della Penisola) e la letteratura canonistica e deontologica, si accentua la pressione (diretta sui dottori in medicina, indiretta attraverso di loro sui mestieri sanitari inferiori) sono quelli della nascita e della morte, sui cui si estende ormai un controllo clericale più capillare. Ai medici è inoltre richiesto di cooperare alla difesa della dottrina e dei riti cattolici in materia di santità e demonologia, lasciando il passo ove necessario al sacerdote e all’esorcista. La riforma delle procedure per le cause dei santi riserva particolare rilievo nella certificazione del miracolo alla scienza medica, pur subordinandola alle finalità religiose. Roma diventa un centro propulsore della medicina legale, sistematizzata da Paolo Zacchia, che sarà poi ripresa da Prospero Lambertini (Benedetto XIV) nel De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione (1734-38).

La convergenza tra medicina e teologia controriformistica avviene sul comune substrato aristotelico, evolutosi continuamente nella prima età moderna, ma è messa in crisi nel Seicento. La scoperta della circolazione del sangue di Harvey (1628) è la base sperimentale per lo sviluppo del meccanicismo, che accantonando l’ilemorfismo aristotelico-galenico popone una nuova visione fondamentalmente monistica del corpo, dei processi normali e patologici e della vita stessa. Nell’alveo galileiano e cartesiano, il meccanicismo disegna un programma di ricerca che trova in Italia grandi interpreti come M. Malpighi, L. Bellini, G.M. Lancisi, fino a G.B. Morgagni, che in De sedibus et causis morborum per anatome indagatis (1761) sistematizza la nuova anatomia patologica come indagine scientifica della malattia a partire dal cadavere. Il mutamento dei presupposti metafisici ed epistemologici della medicina del Settecento, meccanicista o vitalista che sia (rifiuto dell’ilemorfismo, somatizzazione dei fenomeni biologici, integrazione della morte nella definizione di vivente), si ripercuote nelle aree di contatto con la religione. L’“eclissi dell’anima” dall’orizzonte della moderna medicina scientifico-sperimentale non equivale necessariamente al materialismo né tanto meno all’ateismo, ma rende più problematica la validazione scientifica dei fenomeni sovrannaturali. Le polemiche illuministe su stregoneria e possessione si alimentano delle tendenze rigoriste e illuminate interne alla Chiesa, molto forti anche in Italia, ma le sorpassano ampiamente, sebbene in Italia i medici non siano i principali protagonisti.

Nella seconda metà del Settecento, comunque, la secolarizzazione della medicina procede soprattutto sull’onda delle politiche riformatrici che intaccano la tradizionale convergenza tra Stato, Chiesa e professione: gli ecclesiastici (specialmente i parroci), i medici e, in subordine gli altri operatori sanitari (la cui formazione viene riqualificata), sono agenti delle riforme e garanti dell’ordine sociale, ma la finalità non è più religiosa, bensì politica. Per quanto i valori morali secondo cui operano siano largamente coincidenti, il medico può prevalere sull’ecclesiastico qualora gli usi religiosi compromettano la salute della popolazione, intesa come risorsa dello stato assoluto. Ciò traspare, per esempio, nella questione delle sepolture in chiesa, che però troverà vera attuazione solo in epoca napoleonica. Si laicizza altresì il rapporto del medico con il paziente, verso il quale egli si pone vieppiù come confidente che come garante dell’ortodossia non solo nella malattia, ma nella sessualità e di fronte alla morte.

Il medico come riformatore è l’eredità che il XVIII secolo lascia alla Rivoluzione, che anche nella Penisola amplifica il valore sociale della medicina e l’autorità politica dei medici. La secolarizzazione dello stato in epoca rivoluzionaria e napoleonica fa venire in luce anche in Italia filosofie mediche schiettamente materialiste (brownismo, magnetismo). Nell’Ottocento la polarizzazione delle posizioni laiche e cattoliche nel perimetro scientifico e professionale della medicina è ormai un fatto anche in Italia, che si carica di ulteriori valenze politiche nel corso del Risorgimento e con l’Unità. Ciò anche se le aree di contatto e di sovrapposizione restano numerosi, in particolare le istituzioni assistenziali. In Italia, la Restaurazione non segna un ritorno al passato quanto all’organizzazione assistenziale, e le istituzioni ospedaliere restano sostanzialmente sotto il controllo dello stato e delle autorità comunali, che accentuano il doppio processo di concentrazione e di specializzazione già delineatosi tra Sette e Ottocento. Del resto, un analogo fenomeno avviene nell’ambito della formazione dei medici, dato che le riforme napoleoniche vengono sostanzialmente mantenute con l’abolizione delle vestigia dei corpi dottorali di antico regime e l’istituzione di moderni esami di stato. Anche nello Stato Pontificio, vari tentativi di riforma si succedono, animati inizialmente specie a Roma da preoccupazioni spiccatamente religiose di restaurarne il carattere santo ed esemplare, poi da considerazioni gestionali e mediche. E’ vero, comunque, che nel corso dell’Ottocento, un nuovo slancio caritativo porta alla creazione di congregazioni religiose vecchie e nuove proprio nell’ambito dell’assistenza (oltre che dell’insegnamento), in tutta Italia.

Naturalmente, non si deve fare accentuare eccessivamente la contrapposizione tra laici e cattolici all’interno del variegato universo medico dell’Italia dell’Ottocento quanto al ruolo del medico nella società. Volentieri gli uni e gli altri si presentano come i custodi della morale pubblica e del buon ordine sociale, specie in provincia. E in questo si trovano spesso a fianco del clero, indipendentemente dal fatto che molti esponenti tanto della professione quanto del clero siano invece impegnati in nuove forme di filantropia e di solidarietà sociale.

Fonti e Bibl. essenziale

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LEMMARIO




Menniti Ippolito Antonio †


 





Migranti - vol. II


Autore: Mutegeki Robert

Le principali analisi demografiche, economiche e sociali condotte a livello internazionale concordano nell’affermare che c’è un attore non protagonista negli attuali processi di globalizzazione: il fenomeno delle migrazioni. Chi migra si percepisce come parte di un sistema fortemente interconnesso, in cui lo sfruttamento e la povertà di alcuni non è una realtà sganciata dal ciclo produttivo e dal benessere di altri. Il migrante decide di spostarsi nel tentativo di collocarsi diversamente all’interno di questo sistema e di stabilirsi laddove ritiene vi siano migliori possibilità di vita.

Lo studio e la conoscenza del fenomeno migratorio costituisce una priorità per Caritas Italiana (un’organizzazione simile a Catholic Charities negli Stati Uniti), un’associazione laica che collabora con l’Unione Europea e la Chiesa Cattolica, che sostiene e promuove da anni ricerche, studi e pubblicazioni su questo tema. Due sono i percorsi per la trattazione del fenomeno della migrazione:

  1. Storicizzare il fenomeno cioè ricostruire “archeologicamente”, direbbe Foucault, le sue origini e/o la sua storia materiale; questo approccio evidenzia come ciò che ci sembra essere un dato di fatto è invece il prodotto di precise dinamiche storiche e dunque delle azioni umane
  2. Individuare e smontare le retoriche (scelte terminologiche, figure del discorso, reti di immagini e simboli, strutture argomentative) attraverso cui le principali agenzie della comunicazione (mediatica e politica) costruiscono una rappresentazione più o meno condivisa, quindi un luogo comune.

Nelle epoche più antiche, nonostante l’introduzione dell’agricoltura, in alcune zone del mondo (X-VIII millennio a.C.) per lungo tempo moltissime popolazioni sono rimaste sostanzialmente nomadi o, più in generale, mobili proprio perché la loro economia era legata alla pastorizia, al commercio o al mare. Nel Medioevo europeo la diffusa mobilità transnazionale aveva un ruolo strutturale, benché non ufficialmente riconosciuto: la densa presenza di vagabondi ed emarginati che si spostavano attraverso i territori del continente serviva infatti a mantenere attiva la pratica cristiana della carità. Con il Medioevo, insomma, il movimento delle persone diventa qualcosa che occorre controllare e limitare e lo spazio diventa il linguaggio della differenziazione sociale. Nel 1973, però, accade una svolta nella storia delle migrazioni della nostra penisola: per la prima volta i rimpatri superano gli espatri. Siamo nell’Italia del boom economico, e le condizioni di vita sono migliorate abbastanza da rendere il nostro paese una meta più attraente rispetto all’altra sponda del Mediterraneo.

Da qui iniziano, perciò, ad arrivare persone il cui progetto migratorio è diretto soprattutto al miglioramento della propria situazione economica. Negli anni ottanta, periodo di consolidamento della presenza straniera in Italia, a partire sono anche persone più giovani, istruite e provenienti da ambienti urbani, che si spostano perché i cambiamenti nell’economia mondiale hanno messo parzialmente in crisi i loro settori di occupazione. Superata nel 1987 la soglia del mezzo milione di soggiornanti, da fenomeno episodico l’immigrazione diventa una realtà socialmente ed economicamente rilevante. Mentre i problemi migratori erano allora di tipo socio-economico, oggi il problema principale è che ci sono guerre in Africa e Medio Oriente e il 90 per cento dei migranti sono persone in fuga da situazioni molto difficili. La storia delle migrazioni dimostra quindi che i flussi migratori non sono movimenti casuali ed “emotivi”: la colonizzazione ha strutturato dei precisi rapporti di potere a livello mondiale che oggi parlano il linguaggio della frontiera e del continuo travaso di forza lavoro.

La Chiesa Italiana a partire dagli anni sessanta del secolo scorso ha mostrato interesse particolare per i migranti. Il decreto Christus Dominus (1965) ricorda così a tutti gli ordinari diocesani che devono dimostrare particolare interessamento per “quei fedeli che, a motivo delle loro condizioni di vita, non possono godere dell’ordinario ministero dei parroci o sono privi di qualsiasi assistenza”. Tra questi il decreto elenca i migranti, gli esuli, i profughi, i marittimi, gli addetti al trasporto aereo e i nomadi. Sempre nel 1965 Paolo VI istituisce l’Opera per l’Apostolato dei Nomadi con annesso segretariato internazionale, l’una e l’altro in seguito coordinati nell’ambito della Congregazione per i Vescovi alle altre Opere e agli altri segretariati per l’assistenza della popolazione mobile (motu proprio del 1969 per la cura pastorale dei migranti).

Un anno dopo, l’Apostolicae Caritatis istituisce all’interno della Congregazione per i Vescovi la Pontificia Commissione per la pastorale dei migranti e degli itineranti. Quest’ultima scrive nel 1978 alle conferenze episcopali su Chiesa e mobilità umana ed accenna alla condizione dei nomadi “quasi sempre estranei alla società” e quindi da questa rifiutati.  L’esigenza di accettazione culturale e di specifica pastorale è ribadita dalla costituzione apostolica Pastor Bonus (1985). In Italia il coordinamento dell’azione, che si impernia su cappellani e centri missionari, è garantito dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale dei Rom e dei Sinti (UNPRES), inserito nella Fondazione Migrantes. Inoltre parte dello sforzo ricade sulle spalle di un volontariato che cerca di mediare tra la cultura ecclesiastica tradizionale e la cultura dei migranti.

Praticamente, esiste una commissione per l’assistenza socio-pastorale agli stranieri in Italia: circa 60 sono i cappellani incaricati nelle diocesi italiane al servizio pastorale per gli immigrati di circa 60 diverse nazionalità; molti altri operatori pastorali, italiani e stranieri, vi sono impegnati spontaneamente a tempo parziale. Sono quasi 650 i centri pastorali di varia natura (parrocchie personali, missioni con cura d’anime, cappellanie e centri pastorali riconosciuti ma non ufficialmente istituiti dall’autorità diocesana) gestiti dalle predette forze pastorali. 12 sono i “Coordinatori nazionali” della pastorale etnica.

Il 28 febbraio scorso, a circa due anni dal suo inizio, è terminato lo stato d’emergenza causato dagli “Eccezionali arrivi di migranti dal Nord Africa”, cominciato con gli sbarchi a Lampedusa di cittadini tunisini, cui sarebbero seguiti gli arrivi dalla Libia di persone originarie di molti paesi africani. Alla chiusura in via amministrativa di quest’emergenza non ha corrisposto, però, la fine dei problemi collegati all’accoglienza di migliaia di persone (rispetto alle 55 mila giunte in Italia), che ancora oggi attendono risposte e vivono una condizione di grande incertezza e precarietà esistenziale. Il provvedimento che decreta la fine dell’emergenza fornisce comunque lo spunto per fare un bilancio di 22 mesi di intenso lavoro che ha visto la Caritas Italiana, insieme a molte Caritas diocesane, spendersi nell’assistenza e nella tutela dei profughi giunti in Italia.

Sono molte le voci che andrebbero analizzate per comprendere se questa vicenda si è chiusa con un saldo positivo o meno. Se ci dovessimo limitare a quanto scritto e dichiarato anche da Caritas Italiana sull’azione di governo, il giudizio sarebbe tranchant in negativo, a maggior ragione se si analizzasse il rapporto costi (economici per lo stato) – benefici (di integrazione per i rifugiati). Ma in questa complessa esperienza non hanno contato solo il governo, con tutto il suo apparato, e le risorse stanziate per l’accoglienza, ma anche gli attori in gioco che sono stati molteplici, le relazioni instaurate sono state numerose, sia all’interno delle organizzazioni che hanno lavorato per l’emergenza e in emergenza, che tra le varie organizzazioni, istituzioni ed organismi di tutela e accoglienza.

Sulle falle del sistema si è scritto molto e vale la pena ricordare alcuni aspetti particolarmente critici: l’individuazione delle strutture ove ospitare i migranti è stata spesso frettolosa e poco concordata con le istituzioni locali; la scelta delle strutture è caduta su tipologie assai varie, con enormi differenze in termini di qualità dei servizi offerti alle persone; i costi di gestione sono stati enormi. Inoltre, la grande indecisione governativa circa lo status da attribuire ai profughi ha contribuito a determinare la lunga durata delle accoglienze, con pesanti ripercussioni sull’efficacia e la serenità delle stesse: in diversi contesti gli animi degli ospiti si sono surriscaldati, a causa dell’assenza di prospettive per il futuro, creando non pochi problemi di ordine pubblico. Tali criticità hanno condizionato anche la vita delle Caritas coinvolte nell’accoglienza. È innegabile, però, che questo lungo periodo abbia costituito anche una palestra per tutti coloro che hanno voluto contribuire alla risoluzione di un’emergenza umanitaria con caratteristiche complesse. Ci si è incontrati, scontrati e confrontati su vari terreni e a più livelli.

Dal lavoro in banchina a Lampedusa e sui binari a Ventimiglia, all’accoglienza diffusa nell’intero paese, fino alla costante interlocuzione con le istituzioni locali e nazionali. Insomma, si è trattato di un’esperienza intensa, pur nel suo non sempre intelligibile e a tratti faticoso sviluppo. Le peculiarità di questo percorso sono anzitutto consistite nel fatto che ci si è dovuti misurare con profughi originari di paesi che, in gran parte, non erano quelli da cui provenivano: ciò ha imposto agli operatori una costante “ridefinizione geografica”. Si è lavorato per persone giunte da Libia e Tunisia, ma spesso originarie dell’Africa sub sahariana o del subcontinente indiano e ciò ha richiesto un notevole sforzo nell’attivare contatti con le rappresentanze consolari in Italia, con i vari ministeri competenti, con le Caritas nazionali presenti nei paesi di origine e di transito.

Un altro aspetto nuovo, almeno nella sua evoluzione, è stato il coinvolgimento diffuso di Caritas di diversi territori. Lo sforzo per tentare di seguire efficacemente le varie realtà diocesane ha imposto alla Caritas Italiana l’attivazione di nuovi strumenti di coordinamento, come la costituzione di gruppi di lavoro ad hoc, oltre che la formazione specifica degli operatori impegnati nell’accoglienza in emergenza. Non bisogna poi dimenticare che gli attori istituzionali sono stati diversi: dal ministero dell’interno, con le sue articolazioni territoriali, alla Protezione civile nazionale, dal ministero del lavoro alla Conferenza Stato-Regioni, passando per l’ANCI. Un panorama vasto che ha complicato ulteriormente il quadro ma che ha permesso di attivare relazioni e in alcuni casi anche buone prassi (basti pensare al sistema delle strutture ponte per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati).

L’approccio della chiesa Italiana è quello di creare l’ambiente caratterizzato da un clima di accoglienza, di fiducia e di benevolenza dove ogni ospite possa trova attenzione, affetto e rispetto della propria dignità di persona. Quello che si propone è di operare sul territorio in favore delle persone, famiglie e delle coppie interculturali, intese come fenomeno sociale “cruciale” dei nostri giorni. Rappresentare, valorizzare e tutelare questo tipo di realtà sociale è ciò in cui crede. Tra le tante attività verso i migranti si possono numerare: inclusione sociale,  e  sensibilizzazione (conoscere questo tipo di realtà permette di comprendere che la coesistenza tra “differenze“ è possibile. In tal senso, le coppie e le famiglie interculturali sono dei testimoni privilegiati), intercultura (costruire un rapporto o una famiglia con una persona di differente origine nazionale e/o religiosa rappresenta un laboratorio in cui praticare l’esperienza e la curiosità del contatto con “l’Altro“), eventi e formazione (seminari, incontri tematici, dibattiti, collaborazioni con associazioni, con comunità migranti e con entri pubblici e privati. Ascoltare per capire, agire per cambiare).

In definitiva, dunque, il bilancio è fatto di luci e ombre. Le prime, indubbiamente, ascrivibili alle tante realtà diocesane che, con la loro indefessa opera di tutela dei cittadini stranieri giunti in Italia, hanno dimostrato che la Caritas e la Chiesa sono reti capaci, in maniera innovativa e utilizzando in modo trasparente le risorse pubbliche, di fare sistema e di costruire modelli di esperienza per rispondere efficacemente a emergenze internazionali che presentano un alto grado di complessità. Come i migranti hanno cominciato a venire in Italia per mezzo di “barconi” nel 1980, gli edifici delle Chiese, (soprattutto in Sicilia, Palermo e Catania), sono diventati dormitori per le persone che non avevano nessun altro posto dove andare. Dato che è stata il primo gruppo a rispondere alle esigenze dei migranti, la Chiesa Cattolica è diventata un’autorità in materia di immigrazione in Italia. Molti stimano che la Chiesa sia responsabile per la metà del servizio per i migranti in Italia, e la Caritas Italiana sostiene di essere la principale organizzazione di lavoro in materia di immigrazione.

Le esortazioni di Papa Francesco sono sostenute da parte di più organizzazioni cattoliche e dai loro partner secolari, come parte di una visione di responsabilità fraterna. La Chiesa italiana ha avuto molte opportunità per mettere in pratica questa visione. Nel 2014 circa 160.000 migranti hanno attraversato il Mediterraneo verso l’Italia, rispetto ai 42.000 nel 2013. Gli sforzi di Papa Francesco di rifocalizzare la Chiesa sulle questioni sociali hanno coinciso con l’aumento dei migranti che intraprendono il pericoloso viaggio attraverso il Mediterraneo. Nel mese di ottobre del 2013, a pochi mesi dal suo viaggio a Lampedusa, 360 migranti sono morti quando la loro barca è naufragata al largo dell’isola. Gli ingressi non autorizzati via mare in Europa sono stati sì più di un milione durante il 2015, ma la maggior parte ovvero oltre 850mila in Grecia (contro i 40mila dell’anno precedente 2014, rotta dalla Turchia) e circa 150mila in Italia (contro i 170mila del 2014, rotta dalla Libia). Rispetto all’anno 2015 la situazione nell’anno 2016 è comunque sensibilmente cambiata. Secondo la IOM, fino al 30 giugno 2016 sono sbarcati in Italia 78.487 migranti, contro i 70.354 sbarcati nello stesso periodo del 2015. Secondo i dati dell’UNHCR, che fornisce i dati degli sbarchi mese per mese, nel solo mese di luglio sono sbarcate in Italia 17.878 persone, contro le 23.186 sbarcate nel luglio 2015. Le cifre mese per mese mostrano come nel corso del 2016 gli sbarchi di migranti siano stati più o meno pari a quelli avvenuti nello stesso periodo dell’anno scorso. Nella comparazione tra i due anni si vede che all’inizio del 2016 c’è stato un aumento, a cui ha corrisposto una diminuzione in primavera e nei mesi estivi. La chiusura della rotta balcanica, quindi, non ha prodotto, come molti temevano, un aumento dei flussi verso l’Italia. L’Italia è tornata ad essere il primo paese d’arrivo dei migranti, con numeri paragonabili a quelli dell’anno precedente.

La maggior parte dei migranti, in particolare siriani, non vogliono rimanere in Italia in quanto la sua economia depressa non fornisce abbastanza posti di lavoro sia per gli italiani che per i lasciare che i nuovi arrivati ​​ed il sistema di accoglienza dei rifugiati è sovraffollato, sotto finanziato e corrotto. A livello politico, questo significa che la Chiesa vuole vedere la normativa UE modificata per consentire ai richiedenti asilo più libertà per andare dove essi possono già avere la famiglia o una struttura di supporto.

Idealmente, le politiche di migrazione più generose, attraverso un reinsediamento dei rifugiati, avrebbero permesso loro di raggiungere l’Europa senza rischiare la vita in mare. Da segnalare che  circa 200 giovani coinvolti nella Comunità di Sant’Egidio nell’anno 2014 hanno continuato ad organizzare aiuti on-line per portare cibo, vestiti ed amore per i migranti. Le autorità si rivolgono continuamente   alla comunità Sant’Egidio per la prima assistenza agli sbarchi di migranti. Tuttavia questo fenomeno ha causando malumore e conflitti. Lo scorso autunno, infatti, sono scoppiate rivolte anti-immigrati, durate una settimana, in un quartiere occupato per gran parte da immigrati, alla periferia di Roma. Papa Francesco esortò le parrocchie a diventare luoghi di dialogo tra italiani e migranti nel suo discorso settimanale a seguito delle rivolte. Oggi possiamo dire che è grazie alle esortazioni papali che il sentimento anti-immigrati si è generalmente attenuato e ridotto.

Fonti e Bibl. essenziale

Alessio Menonna, L’immigrazione straniera in Italia: tendenze recenti e prospettive, Fact Sheet, Milano Italia, Luglio 2016, in: Fondazione ISMU – Iniziative e Studi Sulla Multi etnicità (Fonte: elaborazioni ISMU su dati UNHCR (2014-2015) e IOM (2016); Alessio Menonna, Migrazioni dall’Africa scenari per il futuro, Marzo 2015; Alessio Menonna, La presenza musulmana in Italia, Giugno 2016; Centro Studi e Ricerche IDOS, I.P.R.I.T. – Immigrazione Percorsi di Regolarità in Italia. Prospettive di collaborazione italo-marocchina, Edizioni IDOS, Roma, 2013; Curtin Philiph, The Atlantic Slave Trade: a Census, University of Wisconsin Press, Madison, 1969; Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes 2011, Venerdì 21 Ottobre 2011, 21° Rapporto”Oltre la crisi, insieme”, Caritas Italiana – Fondazione Migrantes Caritas diocesana di Roma; Fondazione Migrantes,  Le minoranze: dinamica per la società e per la Chiesa, Roma, Quaderno di Servizio Migranti, 2010.  UNPRES, Comunicazione tra Babele e Pentecoste, Roma, UNPRES, 2006; Gambino Ferruccio, “Processi migratori internazionali e cause storico-sociali del fenomeno migratorio in Italia e nel Veneto: un compendio di problemi aperti”, Seminario tenuto a Treviso, Nov. 2011; Giorgia Papavero, Sbarchi, richiedenti asilo e presenze irregolari,Milano, Febbraio 2015; Giorgia Papavero, Minori e seconde generazioni, Aprile 2015; Giorgia Papavero, Le rimesse degli immigrati, Maggio 2015; Giorgia Papavero, I detenuti stranieri in Italia, Luglio 2015; Giorgia Papavero, Arrivi via mare in Italia e nuove rotte migratorie verso l’Europa, Novembre 2015; Giorgia Papavero, Le acquisizioni di cittadinanza italiana, Ottobre 2015; Hoerder Dirk, Cultures in Contact, Duke University Press, Durham, 2002; Lia Lombardi, Salute e benessere della popolazione immigrata in Lombardia. Crisi economica e stili di vita, Luglio 2015; Sayad Abdelmalek, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina, Milano, 2002; Veronica Merotta, Welfare tra immigrazione e sostenibilità, Luglio 2015; Veronica Merotta, Immigration and Sustainability in Welfare Policies,  July 2015.

Sitografia

https://it.wikipedia.org/wiki/Immigrazione_in_Italia
http://www.interno.gov.it/it/notizie/line-dati-e-statistiche-sui-migranti-italia
MigraMed2013:Meeting internazionale delle Caritas del Mediterraneo 22-24 maggio 2013.
Emergenza Nord Africa e immigrazione: l’impegno della Caritas (Papa Francesco, 19 ottobre 2016).
http://appelli.amnesty.it/canali-sicuri-per-i-rifugiati/?utm_source=ads&gclid=CNTMtcv6mNACFUo6GwodDMcLQw
www.progettoculturale.it/…/2%20-%20Strutture%20pastorali.doc Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, strutture pastorali e socio-pastorali in Italia.
http://www.ismu.org/2016/07/limmigrazione-straniera-in-italia-tendenze-recenti-e-prospettive/
http://www.ilpost.it/2016/07/26/cinque-punti-migranti/

LEMMARIO




Millenarismo - vol. I


Autore: Fabio Besostri

Nell’epoca contemporanea, la ricerca storiografica sul millenarismo ha raccolto grande attenzione sia nell’ambito anglosassone (dove gli studi di N. Cohn e M. Reeves hanno letto nei movimenti escatologisti medievali e moderni gli antesignani dei totalitarismi novecenteschi) sia nell’ambito marxista (interessati agli aspetti politico-economici del messianismo medievale).

In Italia la storiografia sul tema ha risentito dell’approccio modernista, con particolare riferimento alle attese escatologiche interne alla spiritualità cristiana; a partire dagli anni ’80 del secolo scorso però lo studio si è rivolto maggiormente alla ricostruzione delle dottrine, alla trasmissione dei testi, alla conoscenza dei personaggi e dei gruppi di ispirazione escatologista e apocalittica. Ciò ha prodotto come risultato di grande importanza una più precisa classificazione delle articolazioni dei movimenti e delle loro elaborazioni dottrinali.

Il millenarismo nella storia del cristianesimo. Per millenarismo (o chiliasmo, dal greco chilioi, “mille”) si intende, in senso ampio, una dottrina di carattere escatologico già presente nella predicazione del cristianesimo primitivo e ripresa con accenti diversi da movimenti e aggregazioni religiose nel corso dei secoli. Il nucleo fondamentale di questa dottrina escatologica afferma la prossimità del regno messianico di Cristo sulla terra, della durata di mille anni, che si realizzerà tra una prima risurrezione dei morti (riservata ai beati) e una seconda risurrezione, universale, che seguirà il Giudizio divino sulla storia.

La dottrina millenaristica si fonda sull’interpretazione letterale di un passo dell’Apocalisse (20, 1-3), nel quale il termine perentorio dei mille anni è chiaramente indicato come durata del regno terreno dei giusti risorti insieme con Cristo, successivo alla prima sconfitta di Satana; ad esso seguirà il combattimento finale con l’assedio della città dei santi e la sconfitta definitiva del diavolo e dei suoi alleati (cfr. Ap 20, 7-10) e l’instaurazione della Gerusalemme celeste.

Il millenarismo ha radici che affondano nel messianismo ebraico post-esilico (cfr. Dn 8-9); è attestato tra le credenze della comunità qumranica; vi sono accenni anche al di fuori del mondo biblico: in Platone e nelle dottrine neoplatoniche più recenti, in Virgilio, nelle credenze dei magi iranici citati da Plutarco e nei culti misterici diffusi in area mediterranea sin dall’epoca ellenistica. In ambito paleocristiano, è riscontrabile in modo caratteristico nel Nuovo Testamento, e specialmente nell’Apocalisse, che diviene il testo di riferimento dei movimenti millenaristici per i secoli seguenti.

Il millenarismo cristiano, pur nella complessiva indefinitezza delle sue dottrine, si caratterizza per la sua credenza in un regno visibile di Cristo, distinto dalla beatitudine eterna e di durata millenaria, e nell’attesa di una doppia risurrezione (cfr. 1 Cor 15, 23-26). Occorre tuttavia distinguere il millenarismo vero e proprio dall’apocalittica cristiana (assai viva nel cristianesimo primitivo, anch’essa radicata nella cultura e nella religiosità giudaica intertestamentaria), con il quale ha in comune l’attesa della prossima fine del mondo e del ritorno di Cristo.

Il linguaggio dell’Apocalisse, caratterizzato da una grande forza simbolica ed ermetica, ha dato vita a diverse sfumature interpretative, che si possono distinguere in due grandi filoni: il millenarismo carnale (in cui il godimento dei beni temporali nell’età messianica è prevalente: gli autori antichi ne indicano come principale esponente Cerinto, gnostico del I sec., che professava idee di tipo docetista e adozianista), ed un millenarismo spirituale, presente nella letteratura subapostolica (Lettera di Barnaba, Papia di Gerapoli); se ne ritrovano tracce profonde nella teologia e negli scritti di Giustino, Ireneo di Lione, Tertulliano, Lattanzio, Ippolito di Roma e di altri padri della Chiesa, i quali fecero ricorso alle dottrine millenaristiche in funzione della polemica contro le derive eterodosse (specialmente il montanismo e le sette di carattere platonico e gnostico), e con l’obiettivo di affermare la reale umanità di Cristo e l’effettiva resurrezione della carne.

Il millenarismo fu invece avversato da Origene e da coloro che prediligevano un’ermeneutica di tipo allegorico e spirituale del testo sacro in generale e dell’Apocalisse in particolare. Singolare è il pensiero di Agostino, che conobbe e condivise una concezione millenarista della storia della salvezza, ma ne diede una lettura in chiave allegorica (cf. De civitate Dei, XX, 7,1; Sermo 259, 2: PL 1197-8; De Genesi contra manichaeos I, 23,35-41: PL 34, 190-193), ponendo le basi di una teologia della storia destinata ad avere un influsso determinante sul pensiero occidentale.

Il millenarismo primitivo si ridusse progressivamente di importanza a partire dal IV-V secolo; non scomparve mai del tutto, riaffiorando in forme diverse nei periodi seguenti della storia del cristianesimo: l’avvento del regno messianico fu infatti interpretato a più riprese come trionfo e manifestazione di una Chiesa spirituale, non più gerarchica, e purificata da ogni contaminazione terrena. Si può perciò parlare di millenarismo a proposito di alcune dottrine medievali legate all’escatologismo gioachimita e al francescanesimo spirituale; forti accenti millenaristici affiorano nel movimento popolare inglese dei «lollardi» (XIV sec.) e nel pensiero del loro ispiratore John Wyclif; da questi passa pochi anni dopo in Boemia a Milic di Kromeric (†1374), Matthias di Janov (†1391) fino a Jan Hus (†1415) e ai suoi seguaci, i quali continuano a diffondere nel popolo profezie e previsioni apocalittiche anche dopo la morte di Hus.

Il linguaggio e l’ideologia millenarista confluì poi in alcune correnti della Riforma protestante, come gli anabattisti del XVI sec.; riapparve in alcune sette anglosassoni dei secc. XVII e XVIII (shakers, “fratelli del libero spirito”), ma anche in certi epigoni del giansenismo del XVIII sec. in Francia e del XIX sec. in Italia (come Giovanni Cadonici e Eugenio Degola, seppure in maniera molto sfumata); ed infine ha conosciuto una rinnovata vitalità nell’ambito dei movimenti di origine protestante nati sul continente americano (irvinghiani, avventisti, mormoni, testimoni di Geova).

Medioevo millenarista italiano. L’avvicinarsi della scadenza del primo millennio non suscitò particolari attese nella cristianità, a causa dell’impossibilità, per la maggior parte delle persone di quell’epoca, di misurare o anche solo di conoscere l’esatta datazione degli anni.

Com’è noto, la “grande paura dell’anno mille” era in realtà solo un’invenzione storiografica dello scrittore francese Jules Michelet (nella Storia di Francia pubblicata nel 1833) e a lungo seguita dagli storici europei in modo acritico. In realtà, solo dopo il Mille alcuni scrittori (a partire da Rodolfo il Glabro) nell’ambito della loro riflessione sulla decadenza del mondo e della Chiesa, iniziarono, sulla scia del millenarismo agostiniano, a citare come in una sorta di profezia a posteriori eventi di carattere catastrofico, considerandoli segni premonitori dell’imminente ritorno del Signore.

Le correnti millenaristiche riapparvero con forza all’approssimarsi della data del 1260, che secondo alcuni sarebbe stata indicata da Ap 12, 6 e perciò considerata “fatidica”. In particolare Gioacchino da Fiore (1135-1202), monaco calabrese, abate cistercense, sviluppò nelle sue opere un’originale e complessa dottrina escatologica, incentrata su una crescente chiarezza della Rivelazione, cui avrebbe corrisposto una sempre maggiore comprensione di essa da parte degli uomini. Gioacchino distingueva perciò tre grandi periodi storici, connessi a ciascuna persona della Trinità : vi sarebbe stata perciò l’età del Padre, cioè il tempo dell’Antico Testamento, da Adamo a Ozia re di Giuda (784-746 a. C., il primo antenato noto di Cristo); l’età del Figlio (il tempo del Vangelo, da Ozia fino al 1260, data individuata in base ad elaborati calcoli ispirati dal libro biblico del profeta Daniele) e infine l’età dello Spirito Santo (dal 1260 alla fine del “millennio sabbatico”) in cui l’umanità avrebbe conosciuto il Vangelo eterno; un tempo di profonda spiritualità e di rinnovamento, in cui la “Chiesa di Pietro”, con le sue strutture clericali e gerarchiche, avrebbe lasciato il posto alla “Chiesa di Giovanni”, animata dai viri spirituales, nella quale tutti i cristiani avrebbero potuto raggiungere la pienezza della comprensione del mistero divino.

Le idee gioachimite ispirarono i contemporanei, mistici (come Ubertino da Casale e Gerardo di Borgo San Donnino) ed eretici (Gherardo Segalelli, Dolcino da Novara); sostenute dapprima dai Cistercensi, ebbero poi un influsso fortissimo sulla corrente “spirituale” del francescanesimo e in generale sui movimenti pauperistici del XIII e XIV secolo, soprattutto quando le profezie gioachimite sembrarono realizzarsi nell’elezione papale dell’eremita abbruzzese Pietro da Morrone, che prese il nome di Celestino V (1294). Le vicende del suo brevissimo pontificato, dell’abdicazione, prigionia e morte (1296) causarono la nascita di un legame tra “spirituali”, movimenti antipapali e in alcuni casi anche sètte ereticali, la cui repressione sopì a lungo in Italia le idee dell’escatologia millenarista e apocalittica; esse, come si è detto, rimasero comunque vive e riaffiorarono in seguito in altre regioni europee.

Il teologo francescano (poi vescovo e cardinale) Bonaventura da Bagnoregio purificò la dottrina di Gioacchino dalle concezioni più problematiche, riuscendo così a salvarne il contenuto esegetico-profetico nonostante la condanna delle dottrine dell’abate calabrese pronunciata nel IV concilio Lateranense del 1215: «Bonaventura non rifiuta totalmente Gioacchino (come aveva fatto S. Tommaso), ma lo interpreta piuttosto in modo ecclesiale, creando un’alternativa ai gioachimiti radicali» (Ratzinger, San Bonaventura, 15).

In anni recenti vi è stata una forte ripresa degli studi su Gioacchino da Fiore, che ha permesso di meglio contestualizzarne il pensiero nell’ambito della teologia del XII sec. e nel movimento cistercense. Ne è emersa così la figura di un fautore della riforma della Chiesa, fortemente legato all’ambito monastico e capace di una originale prospettiva storico-teologica (o storico-salvifica): «L’organica connessione dei suoi scritti fra teologia trinitaria, esegesi apocalittica ed escatologia rappresentò un sistema particolarmente importante nello sviluppo dottrinale nella seconda metà del secolo XII, anche se spesso venne ridotto da seguaci e oppositori soltanto alla suddivisione ternaria delle età della storia e alla fama di profeta dell’abate calabrese» (Rusconi).

Fonti e Bibl. essenziale

N. Cohn, I fanatici dell’Apocalisse, Edizioni di Comunità, Milano, 1965; R.A. Knox, Illuminati e carismatici. Una storia dell’entusiasmo religioso, Bologna, il Mulino 1970 (orig. 1962); G. Duby, L’anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva, Einaudi, Torino, 1976; O. Capitani, Medioevo ereticale, Il Mulino, Bologna 1977; J. Ratzinger, San Bonaventura. La teologia della storia, Ed. Nardini, 1982; M. Cafiero, «La verità crocifissa». Dal sinodo di Pistoia al millenarismo giansenistico nell’età rivoluzionaria, in AA. VV., Il sinodo di Pistoia del 1786, a cura di C. Lamioni, Roma, 1991, 313-325; R. Rusconi, Eschatological Movements and Messianism in the West (XIII-Early XVI Centuries), http://www.oslo2000.uio.no/program/papers/m2b/m2b-rusconi%20-%20italian.pdf; G.L. Potestà, Escatologia, apocalittica, millenarismo, in Atlante del cristianesimo. Vol. I, Dalle origini alle chiese contemporanee, UTET, Torino 2006, 314-335.


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