Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa

Dizionario Storico Tematico La Chiesa in Italia
Autori
Roma 2015
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Vitali Dario





Von Teuffenbach Alexandra





Web - vol. II


Autore: Chiara Giaccardi

Web significa “ragnatela” e anche “rete”, ed è comunemente usato come abbreviazione di world wide web (www), ovvero “grande rete mondiale”.

Al cosiddetto web 1.0 degli anni ’90, composto prevalentemente di siti statici e fruibili nella forma della navigazione (visualizzazione di documenti ipertestuali, collegati da link) grazie ai motori di ricerca (Google il più usato) è subentrato il web 2.0, che presenta un più elevato livello d’interattività, un’enfasi sulla condivisione di materiali piuttosto che sulla consultazione e un affermarsi delle forme più collaborative e “sociali” di uso della rete: “il web 2.0 non è che questo: la Rete trasformata in un network sociale, luogo di partecipazione e di condivisione” (A. Spadaro, Web 2.0, Milano, San Paolo 2010, 5). Tra le forme di condivisione e costruzione partecipata del sapere più diffuse sono le applicazioni wiki, un software collaborativo che consente la costruzione aperta di contenuti ipertestuali cui gli utenti hanno accesso, potendo collaborare all’aggiornamento, alla modifica e all’implementazione dei contenuti esistenti (come Wikipedia, nata nel 2001).

La tecnologia si è sviluppata nel segno di una “convergenza” delle piattaforme grazie al digitale (H. Jenkins, Cultura convergente, Milano, Apogeo 2007), ma è l’uso della rete, il modo in cui questo ambiente digitale viene “abitato”, che ne ha orientato il cambiamento nella direzione di uno spazio di esperienza sempre più integrato nella vita quotidiana. Il fenomeno attualmente più significativo è quello dei Social Network, in particolare Twitter e Facebook. Twitter (letteralmente “cinguettìo”) è nato nel 2006 e si basa sulla possibilità di condividere testi di non oltre 140 caratteri inviati da computer o smartphones. Per la facilità e velocità di utilizzo, questa piattaforma ha svolto un ruolo importante nelle mobilitazioni politiche, dalle elezioni presidenziali americane a diverse manifestazioni di protesta, comprese quelle che hanno dato inizio alla “primavera araba” del 2010.

Facebook è certamente il più popolare tra i Social Network (tra gli altri Linkedin, MySpace, Ning, Google Plus, Badoo). Nato nel 2004 da uno studente di Harvard, Mark Zuckerberg, per mettere online i profili degli studenti del college, si estende rapidamente ad altre università americane, per diffondersi anche in Europa dal 2006 e in Italia soprattutto dal 2008. La capacità di mettere in contatto le persone è il punto di forza di Facebook, che consente di mantenere, allargare, condividere le cerchie degli “amici” (così si chiamano i “contatti”). Facebook rappresenta un ambiente comunicativo accessibile, un luogo per la “manutenzione delle relazioni” e per stare con altri, anche se in forma smaterializzata, dove gli usi relazionali tendono a prevalere su altre forme di utilizzo come l’intrattenimento, la consultazione, la performance (C. Giaccardi, a cura di, Abitanti della rete. Giovani, relazioni e affetti nell’epoca digitale, Milano, Vita e Pensiero, 2010). Secondo il fondatore, nell’ottobre 2011 sono circa ottocento milioni le persone iscritte a Facebook.

Il web in Italia. I dati storici di diffusione di Internet nel nostro paese sono non di rado discordanti, soprattutto per quanto riguarda gli anni ’90. Ciononostante, sembra possibile riconoscere quattro fasi distinte nella diffusione dell’utenza di Internet, secondo i dati raccolti a livello mondiale dalla World Bank:

Utilizzando i più dettagliati dati Audiweb, aggiornati all’Ottobre 2011, per uno sguardo ravvicinato agli scenari contemporanei, in Italia il numero di persone con accesso a Internet risulta salito al 73,6% (35,388 milioni), con una crescita del 7,3% rispetto ai 68,6% dell’anno precedente, e con l’accesso da dispositivi mobili che cresce di oltre il 73% in un anno (dall’11,1% al 19,3%). Rispetto al profilo dei soggetti che hanno accesso alla rete, persiste, benché attenuandosi, una certa disparità di genere (75,7% uomini contro il 71,5% donne), mentre più marcata risulta la disparità relativa all’età anagrafica (con le fasce tra gli 11 e 54 anni tutte sopra all’80%, e con una brusca contrazione al 45,2% per la fascia dai 55 ai 74 anni). Rilevante risulta anche il livello di scolarizzazione ( 98% laureati, 38% dei senza titolo di studio).

Chiesa e web. Se oltre l’80% delle persone tra gli 11 e i 54 anni ha accesso al web, questo significa che anche in Italia viviamo ormai in un ambiente “ipermediale”, dove i media non sono più strumenti da usare quando servono, ma costituiscono un sistema integrato sempre attivo nel quale siamo immersi quasi costantemente. La nostra esperienza quotidiana si articola quindi tra i territori reali e quelli smaterializzati del web senza soluzione di continuità e soprattutto senza contrapposizione. Questa situazione inedita presenta rischi, ma anche opportunità, e la Chiesa negli ultimi 10 anni ha manifestato grande attenzione e consapevolezza rispetto a quello che ormai definisce un “nuovo contesto esistenziale” (Orientamenti Pastorali della CEI per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del Vangelo, n.51).

Una delle prime riflessioni sulla rete è il documento del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali La Chiesa e Internet (2/2/2002). Riconoscendo appunto che «l’esperienza umana in quanto tale è diventata una esperienza mediatica » (n. 4), il documento afferma che comprendere Internet « è necessario al fine di comunicare efficacemente con le persone, in particolare quelle giovani, immerse nell’esperienza di questa nuova tecnologia, ma anche per utilizzarlo al meglio» (n. 5). Viene inoltre espressa chiaramente la necessità di distinguere, soprattutto riguardo a liturgia e sacramenti, l’esperienza che la rete rende possibile rispetto a quella che ha luogo nelle situazioni di compresenza fisica: “La realtà virtuale non può sostituire la reale presenza di Cristo nell’Eucarestia, la realtà sacramentale degli altri sacramenti e il culto partecipato in seno a una comunità umana in carne e ossa. Su Internet non ci sono sacramenti. Anche le esperienze religiose che vi sono possibili per grazia di Dio sono insufficienti se separate dall’interazione del mondo reale con altri fedeli” (n. 9).

Le due realtà, materiale e digitale, sono dunque contigue e integrate, ma data la loro intrinseca differenza l’una non può sostituire l’altra.

Caratteristica della riflessione della Chiesa sul web è l’opzione antropologica, che precede e illumina la pur indispensabile comprensione degli aspetti tecnologici. Nel Direttorio sulle Comunicazioni Sociali Comunicazione e missione, (CEI 2004) la centralità di tale questione è esplicitamente messa a tema, riconoscendo come l’universo dei media costituisca il «primo areopago del tempo moderno […]. L’innovazione tecnologica, all’origine di profonde trasformazioni sociali, sta determinando una nuova visione dell’uomo e della cultura» (n. 2). Nell’enciclica Caritas in Veritate (2009) Benedetto XVI sottolineando i rischi di una mentalità tecnicista che fa coincidere il vero con il fattibile (n. 79), riconosce altresì come “nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia” (n. 69) e come i media non siano puri strumenti, ma “opere che recano impresso lo spirito del dono” (n. 37). Per questo “il senso e la finalizzazione dei media vanno ricercati nel fondamento antropologico. Ciò vuol dire che essi possono divenire occasione di umanizzazione non solo quando, grazie allo sviluppo tecnologico, offrono maggiori possibilità di comunicazione e d’informazione, ma soprattutto quando sono organizzati e orientati alla luce di un’immagine della persona e del bene comune che ne rispecchi le valenze universali” (n. 73).

Il web offre dunque l’occasione per promuovere una “nuova sintesi umanistica” che valorizzi la tecnica, ma sia orientata alla promozione umana: “la dimensione spirituale deve connotare necessariamente tale sviluppo perché possa essere autentico. Esso richiede occhi nuovi e un cuore nuovo, in grado di superare la visione materialistica degli avvenimenti umani e di intravedere nello sviluppo un ‘oltre’ che la tecnica non può dare. Su questa via sarà possibile perseguire quello sviluppo umano integrale che ha il suo criterio orientatore nella forza propulsiva della carità nella verità” (n. 77).

I messaggi della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali sono un altro luogo in cui il Papa ha affrontato questioni antropologicamente cruciali come i mutamenti delle relazioni, della pastorale e della testimonianza nel nuovo contesto esistenziale “misto” (XLIII Nuove tecnologie, nuove relazioni: promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia, 2009; XLIV Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale, 2010; XLV Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale, 2011).

Da sottolineare anche il lavoro dell’Ufficio Nazionale delle Comunicazioni sociali della Cei sul tema del digitale, con la promozione di ricerche, convegni (a partire dal convegno internazionale Testimoni Digitali, 22-24 aprile 2010), incontri nelle diocesi, pubblicazioni (D. Pompili, Il nuovo nell’antico. Comunicazione e testimonianza nell’era digitale, Milano, San Paolo 2010), il sito (www.chiesacattolica.it/comunicazione/).

Dal 2007 la Fondazione Comunicazione e Cultura della CEI, valorizzando le opportunità dell’E-learning, ha promosso la realizzazione di corsi online per l’alta formazione degli animatori della comunicazione e della cultura (Anicec), giunto alla terza edizione.

La fede ai tempi del web. Una delle sfide che il web pone alla fede va oggi oltre la questione della sua “comunicabilità”, e arriva a toccare il tema della “pensabilità” e la nuova intelligenza della fede al tempo del web. Come si legge in Le sfide della cultura digitale (Discorso del Santo Padre alla plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, 28 febbraio 2011): “Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, com’ è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita nella Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo (…) domandandosi: quali sfide il cosiddetto ‘pensiero digitale’ pone alla fede e alla teologia? Quali domande e richieste?”.

Si colloca in questo filone la riflessione sulla “cyberteologia” condotta da p. Antonio Spadaro sulle pagine di La Civiltà Cattolica, e sul sito (www.cyberteologia.it): “La cyberteologia è non riflessione sociologica sulla religiosità in Internet, ma frutto della fede che sprigiona da se stessa un impulso conoscitivo in un tempo in cui la logica della Rete segna il modo di pensare, conoscere, comunicare, vivere” (A. Spadaro “Verso una cyberteologia?”, in La Civiltà Cattolica I, 2011, 15-27).


LEMMARIO




Xeres Saverio





Zamboni Lorenzo


Dottorando della Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana




Zingari, Nomadi - vol. I


Autore: Matteo Sanfilippo

La letteratura sulla presenza nell’Italia della prima età moderna dei nomadi, genericamente definiti zingari sin dal Quattrocento, è di solito incentrata sul comprendere quando siano arrivati e quando si sia passati dalla curiosità nei loro riguardi alla repressione. Ferma restando la notevole confusione su presenza e origine di gruppi nomadi, si ha la tendenza a considerarli arrivati nella Penisola già agli inizi del Quattrocento. Per quanto riguarda la reazione della Chiesa alcuni autori riprendono lo spunto cronachistico di un gruppo transitato per Bologna e Forlì nel 1419 e diretto in pellegrinaggio a Roma. Per la maggior parte degli studiosi più recenti tale pellegrinaggio non è mai stato compiuto, né quel gruppo avrebbe allora ottenuto privilegi relativi al vagabondare senza pagare alcuna gabella.

Nelle fonti segue il vuoto sino agli inizi del Cinquecento, quando lo Stato della Chiesa, dopo essersi assicurato il definitivo controllo delle attuali Emilia-Romagna e Marche, si trova a dover legiferare in merito ai nomadi di passaggio. Iniziano allora i bandi contro “gli zingari” accusati di furto e, secondo alcuni studiosi, le singole amministrazioni locali dello Stato pontificio si distinguerebbero nel perseguitare gli itineranti. La recente letteratura italiana sugli altri stati di antico regime, dal Regno di Napoli alla Repubblica di Venezia, mostra, però, un’univoca reazione negativa contro i nomadi.

Per quanto riguarda lo Stato della Chiesa i primi provvedimenti sono presi nelle Marche (Macerata 1533, Iesi 1535), in Emilia (soprattutto Bologna) e infine a Roma. Qui le attestazioni di una presenza nomade sono abbastanza numerose, ivi compresa la testimonianza toponomastica di una via degli Zingari. La prima notizia romana risale al 1525 e si trova nei registri dell’arciconfraternita di S. Giovanni Decollato. Tale informazione potrebbe far pensare a una certa attenzione nell’ambito dell’impegno a sostegno, ma in realtà gli “zingari” appaiono in questo e in altri archivi romani, solo nella veste d’imputati o condannati in processi di vario genere. Inoltre si ripetono dal 1566 i bandi che intimano ai nomadi di abbandonare lo Stato pontificio, pena la galera o la forca.

Più o meno negli stessi anni diverse diocesi s’impegnano contro i nomadi. Qualcosa traspare già nei dibattiti tridentini; inoltre Federico Borromeo si occupa di loro nel Concilio provinciale di Milano del 1565, apparentandoli ad altri gruppi pericolosi come gli attori, i girovaghi, i giocatori di azzardo. Nel capitolo II delle deliberazioni del Concilio di Ravenna, indetto nel 1568, si afferma con ancora maggiore decisione che gli zingari sono una “genia di gente vagante colma di ogni empietà” e che devono essere allontanati, se non accettano di vivere cristianamente. Indicazioni analoghe si diffondono soprattutto nell’Italia meridionale, dove gli “zingari” paiono stabilirsi in un primo tempo dalla Campania alla Sicilia.

Nel concilio provinciale di Napoli del 1575 vi è un capitolo “De meretricibus, lenonibus, circulatoribus, zingaris, turcis et mauris, mendicis et aleatoribus”, presto imitato dalle altre diocesi coinvolte. In esso e in testi analoghi viene espresso il sospetto che le nomadi pratichino la prostituzione e ingannino gli astanti con la lettura della mano o delle carte. Nei decenni successivi la questione attira l’attenzione del Sant’Uffizio, perché sorge il dubbio che si pratichi una forma di magia, ma presto si riconosce trattarsi piuttosto di un imbroglio. I vescovi definiscono quindi i nomadi come ladri e imbroglioni, per esempio a Messina nel 1588, e sostengono che ciò avvenga a causa della loro itineranza.

Si ripete quindi per tutto il Sei-Settecento, ma sempre più stancamente, che bisogna convincere gli “zingari” a insediarsi stabilmente, ma di fatto essi scompaiono progressivamente dall’orizzonte di attenzione delle autorità ecclesiastiche, mentre non si afferma mai una spinta verso la concreta evangelizzazione di questi gruppi. Nel frattempo crescono i racconti e le leggende su questi “cattivi cristiani” e, soprattutto nel Sud, si diffonde l’idea siano una genia antica, la quale avrebbe provveduto a fondere i chiodi con cui il Cristo sarebbe stato crocifisso. Si rafforza così un sentimento di diffusa ziganofobia.

Fonti e Bibl. essenziale

F. de Vaux de Foletier, Le pèlerinage romain des Tsiganes en 1422 et les lettres du pape Martin V, “Études tsiganes”, 12 (1965), 13-19, e Mille anni di storia degli zingari, Milano, Jaca Book, 2010; G. De Rosa, Vescovi, popolo e magia nel Sud, Napoli, Guida, 1971; B. Geremek, Uomini senza padrone: poveri e marginali tra medioevo e età moderna, Torino, Einaudi, 1992; V. Martelli, Gli Zingari a Roma dal 1525 al 1680, “Lacio Drom”, 32, 4-5, 1996, 4-5, 2-86, e Roma tollerante? Gli zingari a Roma tra XVI e XVII secolo, “Roma Moderna e Contemporanea”, II, 2 (1995), 485-509; P.C. Stasolla, La chiesa cattolica e il popolo zingaro nell’Italia del XVI secolo, Roma, Fondazione Migrantes, 2001; G.M. Viscardi, Tra Europa e Indie di quaggiù: Chiesa, religiosità e cultura popolare nel Mezzogiorno, secoli XV-XIX, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2005; E. Novi Chavarria, Sulle tracce degli zingari. Il popolo rom nel Regno di Napoli. Secoli XV-XVIII, Napoli, Guida, 2007; B. Fassanelli, “Considerata la mala qualità dellicingani erranti”. I rom nella Repubblica di Venezia: retoriche e stereotipi, “Acta Histriae”, 15, 1 (2007), 139-154, e Un’ostinata autonomia. I rom nell’Europa moderna, “Zapruder”, 19 (2009), 26-44; Aurora Cimini, Zingari nell’Italia moderna: il caso di Vetralla, “Studi Emigrazione”, 187 (2012), 511-524.


LEMMARIO




Zingari, Nomadi - vol. II


Autore: Matteo Sanfilippo

Nell’Ottocento, come nel secolo precedente, la questione dei nomadi rimane in secondo piano, persino quando la Chiesa si preoccupa della mobilità dei fedeli, dall’emigrazione ai lavori marittimi o itineranti. È infatti difficile seguire una popolazione che non si radica, neanche temporaneamente. In Spagna, Belgio e Olanda, Irlanda gesuiti e cappuccini, nonché qualche sacerdote secolare, badano comunque ai nomadi dalla seconda metà dell’Ottocento, gettando le basi delle successive cappellanie nazionali. In Italia bisogna attendere gli anni 1930 perché don Dino Torreggiani, tramite l’istituto dei Servi della Chiesa da lui fondato a Reggio Emilia, organizzi la prima assistenza per i sinti che cercano un insediamento stabile.

Dagli sforzi di don Torreggiani nascerà l’Opera Assistenza Spirituale Nomadi in Italia (OASNI), che per decreto di Pio XII (1958) dipende dalla Congregazione Concistoriale. Nel frattempo, però, il regime fascista è ricorso ai campi di internamento, innescando una dinamica genocidaria non differente dalla Shoah. Nel ricordo della tragedia dopo la guerra alcuni sacerdoti collaborano con Torreggiani, che presiede l’OASNI sino al 1981, e ripensano alle posizioni nei riguardi delle popolazioni mobili. Aleggia infatti il sospetto che la spinta alla stabilità possa aver confermato il regime fasciste nelle sue intenzioni e si cerca quindi di evitare la rigida contrapposizione tra nomadi e sedentari, collaborando anche culturalmente con i primi, magari sotto l’egida dell’Opera Nomadi, nata nel 1963 a Bolzano come associazione regionale e divenuta nel 1970 un ente morale nazionale.

Grazie all’interessamento di molti vescovi, in primis quelli di Trento e Bolzano, nonché di mons. Montini, allora presule milanese, tali riflessioni coinvolgono gli ambienti curiali ed entrano nel dibattito conciliare. Il decreto Christus Dominus (1965) ricorda così a tutti gli ordinari diocesani che devono dimostrare particolare interessamento per “quei fedeli che, a motivo delle loro condizioni di vita, non possono godere dell’ordinario ministero dei parroci o sono privi di qualsiasi assistenza”. Tra questi il decreto elencai migranti, gli esuli, i profughi, i marittimi, gli addetti al trasporto aereo e i nomadi.

Sempre nel 1965 Paolo VI istituisce l’Opera per l’Apostolato dei Nomadi con annesso segretariato internazionale, l’una e l’altro in seguito coordinati nell’ambito della Congregazione per i Vescovi alle altre Opere e agli altri segretariati per l’assistenza della popolazione mobile (motu proprio del 1969 per la cura pastorale dei migranti). Un anno dopo l’Apostolicae Caritatis istituisce all’interno della Congregazione per i Vescovi la Pontificia Commissione per la pastorale dei migranti e degli itineranti. Quest’ultima scrive nel 1978 alle conferenze episcopali su Chiesa e mobilità umana ed accenna alla condizione dei nomadi “quasi sempre estranei alla società” e quindi da questa rifiutati.

Paolo VI insiste infatti sulla necessità di trovare un miglior modo d’incontro, Inoltre, da pontefice, prosegue quanto iniziato da vescovo: visita gli accampamenti alla periferia di Roma e accoglie i nomadi in occasione dell’Anno Santo del 1975. Il magistero montiniano è proseguito da Giovanni Paolo II ed il nuovo Codice di diritto canonico (1983) recepisce la necessità di preoccuparsi dei nomadi e soprattutto ratifica l’uso di questo termine al posto del “girovaghi” utilizzato dal Concilio tridentino. La stessa duplice esigenza di accettazione culturale e di specifica pastorale è ribadita dalla costituzione apostolica Pastor Bonus (1985).

Quattro anni dopo Giovanni Paolo II apre il convegno internazionale Vocazione e missione degli Zingari nella Chiesa e nel mondo, segnalando come “ogni discriminazione degli Zingari è ingiusta e stridente, perché chiaramente opposta agli insegnamenti del Vangelo”. A tale proposito, in occasione dell’udienza generale del 5 aprile 2000, lamenta non solo le persecuzioni passate, ma anche quelle presenti nell’Europa balcanica e centro-orientale. Inoltre nel 1997 beatifica Zeffirino Giménez Malla, primo nomade così salito agli altari.

La spinta pontificia prepara la successiva opera della Chiesa, che nel 2005 si dà specifici Orientamenti per una pastorale degli zingari e si propone di arrivare a un vero dialogo. In Italia il coordinamento dell’azione, che si impernia su cappellani e centri missionari, è garantito dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale dei Rom e dei Sinti (UNPRES), inserito nella Fondazione Migrantes. Inoltre parte dello sforzo ricade sulle spalle di un volontario che cerca di mediare tra la cultura ecclesiastica tradizionale e la cultura dei nomadi. Non sempre tale tentativo garantisce buoni frutti, anche per la diffidenza delle comunità seguite. Anche in Italia si apre dunque spazio alla penetrazione di comunità pentecostali, che conquistano un seguito assai significativo.

Fonti e Bibl. essenziale

B. Nicolini, Il problema degli zingari, “Aggiornamenti Sociali”, 9-10, 1988, 633-648, e, a cura di, Riflessioni, esperienze e orientamenti comuni nella pastorale dei Sinti e dei Rom 1994-1996, Roma, Diocesi di Roma 1996; H. Asséo et al., La Chiesa cattolica e gli zingari: storia di un difficile rapporto, Roma, Centro Studi Zigani – Anicia, [2000]; UNPRES, Comunicazione tra Babele e Pentecoste, Roma, UNPRES, 2006; L. Bravi, Rom e non-zingari. Vicende storiche e pratiche rieducative sotto il regime fascista, Roma, CISU, 2007, e Tra inclusione ed esclusione. Una storia sociale dell’educazione dei rom e sinti in Italia, Milano, UNICOPLI, 2009; G. Scaramuzzetti, Una storia tante vite, S. Pietro in Cariano, Il Segno dei Gabrielli editori, 2009; M. Introvigne, Le minoranze pentecostali nelle comunità romanì. Lo stato della ricerca e i principali problemi sociologici, “Religioni e sette nel mondo”, 5 (2009), 73-84; Fondazione Migrantes Le minoranze: dinamica per la società e per la Chiesa, Roma, Quaderno di Servizio Migranti, 2010; Osservatorio nazionale sull’incitamento alla discriminazione e all’odio razziale, Antiziganismo 2.0, Roma, Associazione 21 Luglio, 2013.


LEMMARIO




Zovatto Pietro


Dopo la laurea nel 1966 presso l’Università di Trieste con i proff. Valerio Verra e Augusto Del Noce, pubblica la sua tesi: Fénelon e il Quietismo (1968).