Ufficiale della Marina Militare e Dottorando della Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana
Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa
Dizionario Storico Tematico La Chiesa in Italia
Autori
Roma 2015
Copyright © 2015
Ufficiale della Marina Militare e Dottorando della Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa della Pontificia Università Gregoriana
Nato il 29/08/1965. Residente in Via delle rose, 37 – 00062 Bracciano (Roma), Tel. +39/06 998 044 67; cell. +39/340 58 19 867 gennarocassiani65@gmail.com
ISTRUZIONE E FORMAZIONE SCIENTIFICA: 1998: Dottorato di ricerca (X ciclo) in Società, politica e religione nella forma- zione dell’Europa moderna, Università Cattolica del S. Cuore, Milano. Tutor prof. C. Mozzarelli. Tesi discussa il 27 luglio 1998. Titolo: L’Arcangelo dei redenti. Il sistema assistenziale dell’Ospizio Apostolico di S. Michele a Ripa Grande e le forme del disagio sociale nella Roma del Settecento. 1996: XVIII Corso di specializzazione in Storia Economica “F. Melis”. Istituto In- ternazionale di Storia Economica “F. Datini” – Prato. Pres. prof. J.- F. Bergier; dir. prof. G. Nigro. “Alimentazione e nutrizione. Secc. XIII-XVIII “. 15-27 aprile 1996. 1992: Diploma di Laurea in Lettere Università degli Studi Roma, “La Sapienza”. 20 marzo 1992. Tesi in Storia del Risorgimento (relatore: prof. G. Monsagrati). Titolo: Gli albanesi d’Italia nel Risorgimento. Il contributo di una minoranza etnica all’unità d’Italia. Valutazione: 110 e lode. 1984: Diploma di maturità classica. Pontificio Istituto Pio IX, Roma. 1° agosto 1984. Valutazione 50/60.
BORSE DI STUDIO: 1996. Borsista del Centro Internazionale di Studi “La Gerusalemme di Vivaldo” – Montaione (Firenze). Dir. prof. S. Gensini 1° Seminario di studi: Il pellegrinaggio a Roma, Gerusalemme, Santiago (1-6 luglio 1996). 1993-1995. Borsista dell’Istituto Luigi Sturzo (Roma) presieduto dal prof. G. De Rosa nell’ambito del progetto Istituto L. Sturzo – C.N.R. Clima come storia e come storiografia (1993-95). 1992. Borsista dell’”Istituto di Sociologia Luigi Sturzo”, Caltagirone (Catania). Pres. prof. G. De Rosa – “Cattedra Luigi Sturzo”, XII Corso: Quale repubblica per quale Europa? (28 settembre – 3 ottobre 1992). 1991. Borsista dell’”Istituto di Sociologia Luigi Sturzo”, Caltagirone (Catania). Pres. prof. G. De Rosa – “Cattedra Luigi Sturzo”, XI Corso: Interdipendenza dei popoli e organizzazione sovranazionale (30 settembre – 5 ottobre 1991).
CONTRATTO DI RICERCA: Centro Universitario Cattolico (Conferenza Episcopale Italiana) – Roma 2008–2011. Progetto: Roma, l’Italia e l’Europa nel pontificato di Giovanni Paolo II (prof.ri A. Roccucci, F. Bonini, A. Canavero, V. De Marco, M. Impagliazzo). Progetto di ricerca individuale: L’itinerario di Karol Wojtyła nelle geografie spirituali del Mediterraneo.
ASSEGNO DI RICERCA: Università degli Studi del Molise (Campobasso) 2007–2008. Assegno di ricerca. Titolo: La biblioteca di Filippo Neri. Resp.le prof.ssa M. Valente (Storia moderna). Oggetto: Analisi del ms vallicelliano C. I. 39, Inventarium bonorum [et] librorum [di Filippo Neri]. 28 maggio 1595.
COLLABORAZIONI SCIENTIFICHE: Comitato organizzativo del Convegno internazionale previsto presso la Biblioteca Vallicelliana (Roma), in occasione del quinto centenario (2015) della nascita di Filippo Neri (1515-95). 2013- oggi. Consulente. D-base on line “Le biblioteche degli ordini regolari in Italia alla fine del secolo XVI”. http://rici.vatlib.it/index.asp 2002-oggi. Redattore. http://rici.vatlib.it/help-comitatoScientifico.htm Trascrizione di liste comprese nel codex Vat. Lat. 11275; identificazioni delle edizioni; inserimento dei dati nel d-base realizzato nell’ambito del progetto: “Ricerca sull’inchiesta della Congregazione dell’Indice” (“RICI”). http://rici.vatlib.it/help-introduzione.htm Università Cattolica del S. Cuore (Milano) 2007-2008. “Istituzioni accademiche, modelli ideologici e culturali nella formazione delle élites e della leadership politica e sociale in Antico Regime”. Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale (PRIN). 2007-2008. Unità di ricerca dell’Università Cattolica del S. Cuore (Milano), responsabile prof. D. Zardin. 2001-2002. “Le biblioteche degli ordini religiosi della Riforma Cattolica at- traverso l’inchiesta della Congregazione dell’Indice (1598-1603)”. Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale (PRIN). 2001-2002. Unità di ricerca dell’ Università Cattolica di Milano, responsabile prof. D. Zardin. 1998–oggi. Collaborazione con le “Unità di ricerca” coordinate dal prof. D. Zardin (Storia moderna) nell’ambito dei progetti annualmente finanziati dall’Università Cattolica del S. Cuore (Milano). Linee di ricerca: studio delle strutture sociali dell’Europa di antico regime e dei caratteri del suo universo culturale, con particolare attenzione al sistema della tradizione religiosa e ai suoi supporti istituzionali. Università degli Studi di Roma “La Sapienza” 2001-2002. Collaborazione con il C.I.B.I.T. (“Centro Interuniversitario Bi- blioteca Italiana Telematica”) dir. dal prof. A. Quondam Vaglio della base dati EDIT16 (“Censimento nazionale delle edizioni ita- liane del XVI secolo”). Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa (Vicenza) 1995–2000. Revisione e allestimento di testi. Linee di ricerca: Storia sociale e religiosa dell’età moderna. Referente scientifico: prof. G. De Rosa. Istituto Luigi Sturzo (Roma) 1992–2002. Partecipazione ai progetti di ricerca dell’Istituto; allestimento di atti di convegni; ricerche archivistiche-bibliografiche; organizzazione eventi scientifici; supporto alle attività formative promosse dall’ente. Linee di ricerca: Storia sociale e religiosa dell’età moderna e contemporanea. Referente scientifico: prof. G. De Rosa.
COLLABORAZIONI CON RIVISTE SCIENTIFICHE: 2005–oggi. «Revue d’histoire ecclesiastique» Louvain-la-Neuve (Belgique). Recensioni-schede bibliografiche (Storia moderna). 1999–oggi. «Rivista di storia della Chiesa in Italia» Milano-Roma – Recensioni (Storia moderna). – Schedatura di saggi e monografie per Bibliografia della «Rivista di Storia della Chiesa in Italia». Unità dir. dal prof. D. Zardin (Milano); unità dir. dal- la prof.ssa M. Lupi (Roma). 1995–1999. «Annali di storia moderna e contemporanea». Istituto di Storia moderna e contemporanea dell’Università Cattolica di S. Cuore (Milano). Recensioni-schede bibliografiche (Storia moderna). 1993–2001. «Ricerche di storia sociale e religiosa». Istituto di storia sociale e religiosa (Vicenza). Recensioni-schede bibliografiche (Storia moderna).
PARTECIPAZIONE A EVENTI CONGRESSUALI IN QUALITÀ DI RELATORE: Ultima: 2013 Early Modern Rome 2 (1341-1667). University of California (Roma, 10-12 ottobre 2013). Relazione (11 ottobre 2013): Patrigno Tevere. Le obiezioni sperimentali di Giovanni Battista Modio al ‘dogma’ della potabilità dell’acqua del Tevere a metà Cinquecento. Prima: 1993 Simposium of the International Commission on History of the International Association of Geomagnetism and Aeronomy (Buenos Aires, 8-20 agosto 1993). Relazione: The time of the plague. The plague and the state of climate in the modern age.
PRINCIPALI INTERESSI DI RICERCA DEGLI ULTIMI ANNI: Le letture dei religiosi regolari e secolari italiani del secondo Cinquecento nel quadro dell’applicazione degli Indices librorum prohibitorum e del mutamento dell’offerta editoriale europea. Il patrimonio librario e collezionistico; il circuito relazionale; la pedagogia religiosa di Filippo Neri (1515-1595). Figure e culture del milieu oratoriano: A. Valier, F. Borromeo, S. Antoniano, C. Baronio, G. F. Bordini, F. M. Tarugi, A. Manni, P. Morin, G. Ancina, G. B. Modio, T. Bozio, V. Badalocchio. Ludovico Gonzaga duca di Nevers e il negozio della ribenedizione di Enrico IV (1589-1595). Le relazioni internazionali e il ruolo ‘politico’ della Congregazione dell’Oratorio nell’ultimo quarto del XVI secolo (ribenedizione papale di Enrico IV; elaborazione dell’Indice clementino; applicazione del ‘paradigma tridentino’).
APPARTENENZA A SOCIETÀ E COMITATI SCIENTIFICI: 2007-oggi: S.I.S.E.M. (Società Italiana per la Storia dell’Età Moderna).
COMPETENZE PERSONALI a) CONOSCENZE LINGUISTICHE MADRELINGUA: Italiano ALTRE LINGUE: Inglese: intermedio (B2) Francese: elementare (A1) b) COMPETENZE COMUNICATIVE Nel lavoro scientifico in equipe (corresponsabilità nella cura di volumi, organizzazione di eventi congressuali, pianificazione di indagini archivistiche, etc.), così come nella cornice delle attività didattiche e delle dinamiche relazionali universitarie curo i rapporti interpersonali in regime di franchezza, lealtà e sincerità; tendo alla massima chiarezza ed efficacia nella comunicazione orale e scritta; accolgo come capitale gli apporti interdisciplinari e gli stimoli dei quali sono latori gli ambienti multicul- turali. Coltivo il valore della conversazione, del confronto d’opinione e della differenza. c) COMPETENZE ORGANIZZATIVE Pianifico con cura il mio lavoro, si svolga esso in archivio (destinato a culminare in un prodotto scrittorio), o in un’aula universitaria (finalizzato a cogliere risultati di ordine formativo). Mi riconosco gusto e attitudine organizzativa coniugata a forte senso pratico. Ritengo essenziale nel quadro delle mie responsabilità didattiche stimolare gli allievi ad affina- re il proprio senso critico, il dialogo interdisciplinare e la messa a punto, nel rispetto delle diverse soggettività intellettuali ed emotive, di un loro peculiare metodo di ottimizzazione dei risultati di studio e di ricerca individuale. d) COMPETENZE INFORMATICHE Ottima conoscenza del pacchetto Office in ambiente Microsoft Windows Ottima conoscenza dei principali applicativi per l’utilizzo di Internet e della posta elettronica.
ULTERIORI INFORMAZIONI: PATENTE DI GUIDA TIPO “B” (automunito)
INTERESSI EXTRA–SCIENTIFICI: Viaggi in 4×4 in Nord-Africa e in Medio-Oriente.
ATTIVITÀ DIDATTICA UNIVERSITARIA RICOPERTA NEL RUOLO DI DOCENTE SU INVITO: Università degli Studi della Calabria (Rende-Cosenza) 26–27–28 novembre 2008 Biblioteche e studioli del XVI secolo. Un percorso Ciclo di lezioni. Laurea magistrale in “Teoria della comunicazione e comunicazione pubblica”. 26–27–28 novembre 2008 Lo studiolo di Filippo Neri (1515-1595). Lineamenti di una ricerca in corso. Ciclo di lezioni. “Scuola dottorale Internazionale di Studi umanistici”. Università Cattolica del S. Cuore (Milano) 14 dicembre 2006 «Valete sollecitudines, beata tranquillitas» fra libri e collezioni. Filippo Neri nel suo studiolo. Lezione nella cornice delle attività del Dottorato di ricerca in “Storia e letteratura dell’età moderna e contemporanea”. Istituto di Storia moderna e contemporanea. NEL RUOLO DI DOCENTE A CONTRATTO: Università degli Studi del Molise (Campobasso/Isernia) A. A. 2005-2006 – Corso di Storia degli antichi Stati d’Italia – 24 ore – Facoltà di Scienze Umane e Sociali. Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali e Ambientali. A. A. 2004-2005 – Corso di Storia degli antichi Stati d’Italia – 32 ore. Facoltà di Scienze Umane e Sociali. Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali e Ambientali. A. A. 2003-2004 – Corso di Storia medievale – 32 ore – Centro Ricerca e Servizio di Ateneo per la Formazione “G. A. Colozza”. Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali e Ambienta A. A. 2003-2004 – Corso di Storia degli antichi Stati d’Italia – 32 ore. Centro Ricerca e Servizio di Ateneo per la Formazione “G. A. Colozza”. Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali e AmbientaliA. A. 2002-2003 – Corso di Storia moderna – 32 ore – Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali e Ambientali. A. A. 2001-2002 – Corso di Temi della Storia Medievale e Moderna – 30 ore – Centro Ricerca e Servizio di Ateneo per la Formazione “G. A. Colozza”. Scuola di Specializzazione all’insegnamento Secondario. A. A. 2001-2002 – Corso di Storia moderna – 27 ore – Centro Ricerca e Servizio di Ateneo per la Formazione “G. A. Colozza”. Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria. A. A. 2000-2001 – Corso di Storia moderna – 30 ore – Centro Ricerca e Servizio di Ateneo per la Formazione “G. Colozza”. Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria. NEL RUOLO DI ASSISTENTE ALLA DIDATTICA: Università Cattolica del S. Cuore (Milano/Piacenza) A.A. 2001-2002 – Corso di Storia moderna, Corso di Laurea in Scienze della formazione, (Piacenza) prof. D. Zardin. A. A. 2001-2002 – Corso di Storia moderna e contemporanea, Corso di Laurea in Scienze della formazione (Piacenza), prof. Zardin. A. A. 2000-2001 – Corso di Metodogia della ricerca, Università Cattolica del S. Cuore, Corso di Laurea in Scienze della formazione (Piacenza), prof. D. Zardin. A. A. 2000-2001 – Corso di Storia moderna, Corso di Laurea in Scienze della formazione primaria (Milano), prof. D. Zardin. A. A. 1999-2000 – Corso di Storia moderna, Corso di Laurea in Scienze della formazione primaria (Milano), prof. D. Zardin. A. A. 1998-99 – Corso di Storia moderna, Corso di Laurea in Scienze della formazione primaria (Milano), prof. D. Zardin.
PERCORSI DI RICERCA DEGLI ULTIMI ANNI: Nel 2003, i miei interessi di ricerca, sino a quel momento incentrati sul tema dell’assistenza ai poveri tra Ancien Régime e medio-Ottocento, si sono aperti al tema delle letture dei religiosi regolari e secolari italiani del secondo Cinquecento, nel quadro dell’applicazione degli Indici universali dei libri proibiti e del mutamento dell’offerta edito- riale europea. A siffatta maturazione di interessi, ha concorso la mia collaborazione con il C.I.B.I.T. (“Centro Interuniversitario Biblioteca Italiana Telematica”) diretto dal prof. A. Quondam, presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, intento nell’analisi della base-dati EDIT16 (“Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo”) con l’obiettivo della schedatura su supporto elettronico dell’intero patrimonio librario di argomento religioso e- dito nel corso del Cinquecento. Ulteriori stimoli all’avvio del nuovo percorso di indagini sono giunti dal mio coinvol- gimento nella ricerca inter-universitaria denominata “Ricerca sull’inchiesta della Congrega- zione dell’Indice” (RICI) finalizzata alla trascrizione degli inventari compresi nei codici Vati- cani Latini 11266-11326; all’identificazione bibliografica delle opere elencatevi; all’allestimento di una banca dati on line degli esiti della inquisitio promossa dal dicastero pontificio tra 1596 e 1603 (cfr. oggi: http://rici.vatlib.it/index.asp). Nel 2004, il mio principale oggetto di studi sono diventati il patrimonio librario (e col- lezionistico), le dotazioni culturali e il circuito relazionale di Filippo Neri (1515-1595). Ho esposto i primi esiti e le prospettive delle mie ricerche nel corso della conferenza intitolata «Valete sollecitudines, beata tranquillitas» fra libri e collezioni. Filippo Neri nel suo studiolo, tenuta presso l’Istituto di Storia moderna e contemporanea dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano), il 14 dicembre 2006. Così pure, nella cornice di due cicli di lezioni tenute presso l’Università della Calabria, rispettivamente intitolate Biblioteche e studioli del XVI secolo. Un percorso e Lo studiolo di Filippo Neri (1515-1595). Lineamenti di una ricerca in corso (26-27-28 novembre 2008). I risultati delle mie indagini (favorite tra il 2007 e il 2008 da un assegno di ricerca dell
Docente di storia moderna e contemporanea presso la Facoltà Teologica Pugliese e direttore dell’archivio storico diocesano di Taranto.
La casuistica (o casistica) è una scienza pratica del consiglio, la cui funzione è quella di fare da guida ai comportamenti e alla condotta quotidiana dell’uomo di fede, in ideale coerenza con le leggi divine. Si sviluppa e raggiunge la sua massima diffusione, distinguendosi dalla teologia morale speculativa, nel XVI e XVII secolo, favorendo in particolare la produzione di testi e manuali (somme casistiche) per supportare l’azione pastorale di confessori e padri spirituali, chiamati a rispondere tanto ai casi particolari dell’ultimo dei penitenti come alle grandi questioni di Stato poste sul tappeto da principi e sovrani. A partire dalla riflessione teologica («dalle conclusioni già solidamente provate dai sommi moralisti», I. Tarocchi, Casistica, 981), essa valuta i dubbi che insorgono nella coscienza del singolo posto di fronte a scelte che possono presentare più opzioni. Infine propone una soluzione moralmente accettabile. È dunque applicazione della dottrina ai fatti pratici della vita, «atto morale concreto, azione in situazione», nella definizione dello storico Louis Vereecke (Da Guglielmo d’Ockham, 38).
Sempre Vereecke ha individuato due estremi nello sviluppo di questa ricca esperienza: da un lato l’introduzione nei collegi della Compagnia di Gesù a partire dal secondo Cinquecento dei corsi di casi di coscienza, come richiesto dal concilio di Trento: «un ciclo breve di teologia morale pratica» orientato alla formazione degli studenti per risolvere casi concreti di morale, poi precisato nel programma di formazione della Ratio studiorum gesuitica e nel 1600 dalle Institutiones morales di Giovanni Azor; e, all’estremo opposto, l’opera di Alfonso de Liguori († 1787), che nella sua Theologia moralis riassume l’essenziale del lavoro dei teologi dei secoli XVII e XVIII, pochi anni prima che la rivoluzione francese travolga «come in un turbine le istituzioni civili e religiose dell’Ancien Régime» (ibid., 33, 36 ).
Il periodo di maggiore fortuna della casuistica si colloca dunque entro due gravi crisi della dottrina cristiana: da un lato quella teologica, luterana, di inizio ’500, a cui si sommano anche le novità filosofiche e politiche dell’epoca rinascimentale e le conseguenze della scoperta del continente americano (ci si chiese per esempio: i coloni avevano il diritto di occupare quelle terre? Era possibile celebrarvi l’eucaristia in mancanza di vino e frumento? Si doveva costringere gli indigeni ad abbracciare la fede cristiana? ibid., 597-598); dall’altro la crisi culturale che innesca a partire dalla fine del Seicento, sulla scia della rivoluzione scientifica, la cosiddetta “crisi della coscienza europea”, accompagnando i profondi mutamenti del secolo successivo (rivoluzioni politiche e rivoluzione industriale): questa svolta, portando a compimento il processo di definitiva emancipazione delle scienze dal testo sacro (Bibbia) e dalla sua tradizione interpretativa (teologia), apre la strada a una forma mentis secolarizzata che tende a rintracciare unicamente nelle proprie facoltà raziocinanti il fondamento della conoscenza.
All’origine della stagione della casuistica vanno posti anche i profondi cambiamenti economici e sociali degli ultimi secoli del medioevo – si pensi all’affermazione del capitalismo finanziario, con la sua forte impronta individualistica, e al plurisecolare dibattito sull’usura che ne deriva – a cui si affiancano quelli culturali prodotti dalle correnti dell’umanesimo (la riflessione dei teologi sui temi economici, la proposta politica di Machiavelli e la risposta dei teorici della ragion di stato cristiana, il rigore filologico erasmiano ed esperienze come quella della devotio moderna). Insieme con la rottura luterana, tali trasformazioni incidono in profondità sulla spiritualità cristiana: si diffonde ed emerge una religione dell’interiorità, sottratta alla speculazione teologica e basata sull’imitazione di Cristo. La centralità dell’individuo, la sua solitudine di fronte a Dio, l’affermarsi di posizioni che tendono a favorire una concezione della morale non più come obbedienza ma come auto-governo, pongono inizialmente il cristiano in una condizione di incertezza, di debolezza e disperazione, rendendo necessaria l’attività di consiglio degli esperti di morale.
A sollecitare e legittimare questo intervento non è solo la volontà di controllare e disciplinare i fedeli propria delle chiese e degli stati nell’età cosiddetta confessionale; vi è soprattutto, come ha scritto Adriano Prosperi, «una costrizione interna ben più forte […] I dubbi pullulavano davanti alle infinite complicazioni della casistica; l’unico in grado di guarire dalle pene mortali dei dubbi era il confessore, depositario di un potere sacrale, ma soprattutto padrone di una scienza in grado di far chiarezza negli ingarbugliati conti di una coscienza ridotta a partita contabile» (A. Prosperi, Intellettuali e Chiesa all’inizio dell’età moderna, in C. Vivanti (ed.), Storia d’Italia, Annali, 4, Intellettuali e potere, Einaudi, Torino 1981, 159-252: 232-233). In questo bisogno va dunque rintracciata l’enorme fortuna dei testi di teologia morale di età moderna (diffusi non solo in area cattolica ma anche tra le chiese riformate), frutto del confronto talora serrato e polemico tra le scuole degli ordini religiosi (dove si trasferisce il centralissimo dibattito sulla grazia ed il libero arbitrio già motivo della frattura dell’unità dei cristiani) e delle singole chiese nazionali (con le loro differenti tradizioni universitarie).
In una condizione di arretratezza rispetto all’area francese e spagnola (forti delle loro prestigiose università: Sorbona, Salamanca, Alcalá de Henares), Roma, la sede del papato, il centro della cristianità, si presenta a metà Cinquecento ancora priva di una propria originale elaborazione teologica, ed è solo a partire dai decenni successivi, attraverso le università dei nuovi ordini, in particolare il Collegio Romano della Compagnia di Gesù, e l’attività intellettuale di figure come Cesare Baronio e Roberto Bellarmino, che conquista una posizione di primo piano. Dall’incontro-scontro con le scuole teologiche spagnole, mentre incombono urgenze anche politiche, traggono alimento le discussioni teologiche che fanno da sfondo alla produzione casuistica barocca (Broggio, La teologia e la politica).
Il carattere pratico della casuistica (sua l’adattabilità alle circostanze di luogo e di tempo) implica una disamina, in alcuni autori quasi maniacale, delle molteplici situazioni che chiamano l’individuo a scelte coerenti con i dettami della propria fede. Di qui l’attitudine forse più straordinaria e affascinante degli scrittori di casuistica: quella di indagare gli aspetti più minuti della vita quotidiana, di penetrare ogni particolare più recondito dell’esistenza, intervenendo su questioni di ogni genere (economiche, politiche, militari), comprese le più intime e segrete (sessuali). Sottoposti al vaglio delle loro competenze e della loro autorevolezza, i comportamenti umani vengono meticolosamente sezionati e discussi, con l’obiettivo di risolvere difficoltà e dubbi, fornire indicazioni comportamentali, in una parola consigliare. Solo per l’Italia, dall’invenzione della stampa al 1650, Miriam Turrini ha censito la pubblicazione di oltre 1350 opere in latino e in italiano “finalizzate alla pratica della confessione”; pubblicate in gran parte nel maggiore centro tipografico della penisola, Venezia (in media circa il 47% delle edizioni, con una percentuale addirittura del 90% nel decennio 1551-1560), seguita da Roma e Firenze (Turrini, La coscienza e le leggi, Appendice).
Subendo gli influssi dei differenti contesti sociali e geografici e le conseguenze delle trasformazioni tecniche, incontrandosi e scontrandosi con riflessioni di carattere filosofico e giuridico (i concetti di legge e ragione naturale, il definirsi di uno spazio di libertà interiore, l’affermarsi del relativismo nell’incontro con l’”altro”), la casuistica è chiamata a un processo di adattamento a condizioni fattuali in continuo mutamento: infatti «il fattore storico svolge un ruolo essenziale fin nel più intimo della teologia morale» (L. Vereeckhe, Da Guglielmo d’Ockham, 489). Suo carattere precipuo è dunque questa dinamicità, questo confronto incessante con i cambiamenti che investono individuo e società, da cui derivano sia la sua forza, attenzione e capacità di consiglio appunto, sia i suoi limiti: quel frantumarsi del consiglio stesso in una gamma di opzioni non sempre condivise e autorevoli, di opinioni “meno probabili” come vennero dette (proprio per questo giudicate foriere di atti peccaminosi) ma lecite tanto quanto quelle opposte sebbene “più probabili” e moralmente certe.
Si è letto proprio in questi esiti contraddittori, amplificati dall’alternarsi di interventi papali ora di condanna ora di assoluzione di alcune proposizioni contenute nei manuali di casuistica sei-settecenteschi, una crisi della riflessione teologica di quei secoli. Certo è che l’affermarsi di morali lassiste (alla ricerca della soluzione più benigna per tranquillizzare la coscienza, come avviene con la dottrina del probabilismo), probabilioriste (proprie di chi consiglia di seguire l’opinione più probabile, più sicura perché sostenuta da un numero maggiore di autorità) e rigoriste (come nel caso del tutiorismo giansenista, favorevole al massimo rigore) comporta scontri talora molto aspri – come nel caso delle Lettere provinciali scritte dal giansenista Blaise Pascal contro la morale dei gesuiti – contrapponendo i diversi indirizzi e i loro sostenitori in lunghe e annose dispute. Tuttavia «il lassismo non fu mai un sistema organicamente strutturato, se non altro per il fatto che era seguito da autori appartenenti a scuole diverse; esisteva piuttosto una tendenza a presentare come sicure opinioni molto dubbie, solo apparentemente probabili, tali da rilassare le norme di un’autentica vita cristiana» (M. Petrocchi citato in L. Vereecke, Da Guglielmo d’Ockham, 724). Tutto questo farà dire ad Alfonso de Liguori, di formazione giuridica e teologicamente cresciuto all’ombra dei seguaci del probabiliorismo: «la morale è un caos che non finisce mai» (ibid., 59).
La dimensione “del consigliare” pone la casuistica in stretta relazione anche con la pratica politica, con il “dovere di consiglio” costantemente ribadito dalla trattatistica sul principe cristiano della prima età moderna, che giustifica la presenza a corte, a fianco dei re e dei loro ministri, a Parigi come a Madrid, a Vienna come a Milano, di teologi e confessori di appartenenza regolare, ovvero l’istituzione di consigli e giunte di coscienza. Ai manuali ove ogni direttore dell’anima può trovare risposta ai quesiti posti dal più umile dei peccatori fanno così da contrappunto i lunghi elenchi di casi dubbi proposti ai propri teologi da principi e sovrani: sulla liceità di alleanze militari con re di altra fede, la facoltà di imporre nuovi tributi, la legittimità del duello o del tirannicidio. Pareri e discussioni si susseguono, il confronto avviene nelle chiese, nei conventi, nelle scuole. Negli anni Sessanta del ‘500, nel collegio dei gesuiti di Palermo, è l’autorità secolare locale a porre al noto teologo spagnolo Juan de Mariana il quesito se sia legittimo assassinare il sovrano tiranno addirittura attraverso l’inganno (l’avvelenamento). La Sicilia spagnola rimane per tutto il secolo il centro di una produzione casuistica che trova nel teatino Antonino Diana il suo maggiore esponente: 82 trattati divisi in dieci tomi “per un totale di poco meno di seimilaseicento opinioni su circa ventimila casi riguardanti, per limitarci a qualche esempio, i sacramenti, le assoluzioni riservate, la giurisdizione episcopale, l’immunità ecclesiastica, le ore canoniche, il giubileo, le indulgenze, i digiuni, la scomunica, la censura, l’interdetto, l’aborto, l’eresia, l’usura, il diritto di guerra, la lussuria” (Burgio, Teologia barocca, 8).
Più in generale i casuisti politicamente impegnati intervengono sul rapporto tra coscienza e normativa positiva, sull’obbligo morale del suddito di obbedire alle autorità civili e alle loro leggi. «La teologia poteva stabilire quando un tributo fosse giusto; contestarlo, se necessario; moderarlo nell’esercizio della confessione e nel consiglio ai sovrani» (V. Lavenia, L’infamia e il perdono, 351). È un aspetto, questo, che deve richiamare l’attenzione sul profondo legame tra etica (cristiana) e politica: legame che continua a caratterizzare sul lungo periodo e ovunque in Europa fino alla svolta settecentesca tanto la riflessione teorica come la pratica quotidiana dell’esercizio del potere.
Molto si è discusso sui caratteri di modernità (o di conservazione) dei differenti indirizzi della teologia morale cinque-seicentesca, impegnati a formare con metodi profondamente diversi tra loro la coscienza individuale dei cattolici. Emblematicamente, e semplificando, la contrapposizione tra le dottrine gesuitiche e quelle dei giansenisti ha incarnato a lungo la battaglia, un vero e proprio duello come quello immortalato nella Via lattea di Louis Bunuel (1969), non solo tra lassismo e rigorismo, ma anche tra conservazione e modernità. La discussione oggi rimane aperta. Controcorrente, Leszek Kolakowski ha scritto: alla fine vinse lo spirito di modernità dei gesuiti, non con le loro opinioni lassiste ma con la loro fede nella capacità di riscatto dell’uomo (L. Kolakowski, God owes us nothing. A brief remark on Pascal’s religion and on the spirit of jansenism, The University of Chicago Press, Chicago and London 1993, 3, 108).
Fonti e Bibl. essenziale
P. Hazard, La crisi della coscienza europea, UTET, Torino, 2007 (ed. originale 1935); I. Tarocchi, Casistica, in Enciclopedia cattolica, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico, Roma 1949, III, 981-983; M. Petrocchi, Il problema del lassismo nel secolo XVII, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 1953; G.C. Angelozzi, L’insegnamento dei casi di coscienza nella pratica educativa della Compagnia di Gesù, in G.P. Brizzi (ed.), La Ratio studiorum. Modelli culturali e pratiche educative dei gesuiti in Italia tra Cinque e Seicento, Bulzoni, Roma 1981, 121-162; E. Leites (ed.), Conscience and Casuistry in Early Modern Europe, Cambridge University Press-Maison des Sciences de l’Homme, Cambridge-Paris 1988; L. Vereecke, Da Gugliemo d’Ockham a sant’Alfonso de Liguori. Saggio di storia della teologia morale moderna, Edizioni Paoline, Milano 1990; M. Turrini, La coscienza e le leggi. Morale e diritto nei testi per la confessione della prima età moderna, Il Mulino, Bologna 1991; A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, Torino 1996; S. Burgio, Teologia barocca. Il probabilismo in Sicilia nell’epoca di Filippo IV, Catania 1998; G. Todeschini, I mercanti e il tempio. La società cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza fra Medioevo ed Età Moderna, Il Mulino, Il Mulino 2002; V. Lavenia, L’infamia e il perdono: tributi, pene e confessione nella teologia morale della prima età moderna, Il Mulino, Bologna 2004; P. Hurtubise, La casuistique dans tout ses états. De Martin Azpicueta à Alphonse de Liguori, Novalis, Ottawa 2005; M. Pelaya – L. Scaraffia (edd.), Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia, Laterza, Roma-Bari 2008; P. Broggio, La teologia e la politica. Controversie dottrinali, curia romana e monarchia spagnola tra Cinque e Seicento, Leo Olschki, 2009; F. Alfieri, Nella camera degli sposi. Tomás Sánchez, il matrimonio, la sessualità (secoli XVI-XVII), Il Mulino, Bologna, 2010.
L’Italia dei Catari, animata prevalentemente dal diffuso spirito anticlericale, era lo specchio delle divisioni interne al movimento ereticale e alla sua organizzazione, a cui mancava un simbolo di fede comune.
La tardiva testimonianza (1270) di Alessandro di Alessandria, Inquisitore francescano, faceva giungere il catarismo nelle regioni dell’Italia settentrionale e centrale, prima del 1170, a seguito della predicazione itinerante proveniente dalla Francia meridionale. Sembra, invece, che, durante gli ultimi decenni del XII sec., i rapporti degli Italiani con esponenti catari abbiano avuto origine attraverso contatti con la Francia settentrionale e con i Bogomili di area bizantina e balcanica, tuttavia la struttura gerarchica e le estensioni territoriali italiane si svilupparono e si frammentarono rinsaldando i legami con le varie correnti e fazioni del catarismo. Si trattò di un fenomeno per nulla omogeneo e compatto. Furono costituite le chiese catare di Desenzano sul Garda, di Concorezzo (Monza), di Bagnolo San Vito (Mantova), di Vicenza (o della Marca di Treviso), di Firenze e di Spoleto e Orvieto. Per circa un secolo queste chiese restarono fra loro separate, sebbene Desenzano, Firenze, Spoleto e Orvieto professassero un dualismo assoluto, proprio dell’ordine di Drugunthia della chiesa di Dragovitza, mentre Concorezzo condivise il dualismo moderato dell’ordine di Bulgaria, e Bagnolo San Vito insieme a Vicenza fu vicina ai Bogomili della Bosnia. A vescovi italiani risalgono due rare testimonianze della letteratura catara: il Liber de duobus principiis di Giovanni di Lugio, autorevole teorico del catarismo e vescovo di Desenzano; e l’Interrogatio Iohannis (apocrifo bogomilo, detto anche Cena segreta) portata in Italia da Nazario, vescovo di Concorezzo.
Intorno al 1250 il computo, abbastanza verosimile, dell’inquisitore domenicano Raniero Sacconi, ex cataro convertito da s. Pietro martire, distribuiva i 4.000 Perfetti (il grado supremo della gerarchia catara) a seconda della loro appartenenza alle chiese catare italiane: 1.500 a Concorezzo, 500 a Desenzano, 200 a Bagnolo San Vito, 100 a Vicenza e altri 100 a Firenze e a Spoleto e Orvieto. Era, comunque, un calcolo approssimativo perché a questi si devono aggiungere altri 200 emigrati dalla Francia meridionale e, inoltre, si deve tenere conto che il calcolo riguardava soltanto i Perfetti, cioè la componente gerarchica più elevata e minoritaria della compagine catara. I dati, tuttavia, rendono l’idea della larga diffusione del catarismo nell’Italia centro-settentrionale e spiegano la forte preoccupazione da parte della Chiesa cattolica, nonché la sua reazione dinanzi al propagarsi dell’eresia.
Il rigore etico vissuto dai Perfetti, insieme al prestigio personale acquisito dai catari italiani, corrispondeva all’esigenza di autentico impegno religioso avvertita specialmente in seno al laicato. Perciò il catarismo ebbe larga accoglienza fra i cittadini agiati delle dinamiche città italiane centro-settentrionali; essi rappresentarono, tra la fine dell’XI e gli inizi del XIV sec., il terreno più fertile per i numerosi movimenti di rinnovamento spirituale che circolarono lungo la penisola. Per altro, la presenza catara venne agevolata dalla politica antipapale e filoimperiale dei comuni di tradizione ghibellina, ma dopo la morte di Federico II (1250) e la definitiva vittoria (1266) di Carlo d’Angiò, la prevalenza della parte guelfa all’interno delle amministrazioni cittadine consentì all’Inquisizione di muoversi più agevolmente e di operare con maggiore efficacia la repressione dei Catari. In area italiana, comunque, la confutazione degli errori catari è testimoniata dalle ritrattazioni, sotto forma di trattati, di ex catari pentiti: la Manifestatio heresis catarorum (ante 1190) del milanese Bonacursus, il Liber contra varios et multiplices errores (1200 ca) di Maestro Vacario e il Liber supra stella (1235 ca) di Salvo Burci. Ugualmente significative furono le confutazioni, non soltanto del catarismo, elaborate successivamente da alcuni eretici convertiti, quali furono il francescano Giacomo Cappelli e i domenicani s. Pietro martire, Moneta di Cremona e Raniero Sacconi.
La presenza, poi, degli ordini mendicanti – benvoluti dalla popolazione per lo stile di vita evangelico che propagavano – e la loro attività finalizzata anche al coinvolgimento dei laici nei terz’ordini e nelle confraternite, favorirono il controllo e la direzione della vita religiosa dei fedeli, incentivarono le conversioni e contribuirono al dissolversi del catarismo. D’altro canto, con la svolta politica filopapale dei comuni, l’Inquisizione poté svolgere un’intensa azione repressiva, nonostante talune forti resistenze. A differenza dei francesi, i Catari italiani avevano goduto di maggiori libertà e molto più tardi, rispetto ai primi, furono costretti alla clandestinità. Emblematico è il caso di Armanno Pungilupo, figlio di genitori catari, coniugato, viaggiatore e frequentatore di ambienti eterodossi. Egli non era un teorico, ma è stato definito semplicemente “un eretico quotidiano”. Alla sua morte, avvenuta a Ferrara il 16 dicembre 1269, intorno alla sua tomba si verificarono eventi prodigiosi e miracoli che alimentarono la sua fama di santità. Questo culto popolare venne stroncato nel 1301, al termine di un processo per eresia istruito dall’inquisizione. Nonostante l’opposizione del clero ferrarese, durante il processo venne sostenuta l’affettata santità di Armanno. Questi era stato un cataro di Bagnolo San Vito, inquisito nel 1254. Dopo l’abiura egli era tornato a frequentare ambienti eterodossi. Perciò la sua salma venne riesumata e bruciata sul rogo, mentre le sue ceneri furono disperse nel Po.
Nel frattempo, Mastino e Alberto della Scala avevano espugnato la Rocca di Sirmione, dove nel 1276 avevano trovato rifugio i vescovi di Desenzano e di Bagnolo San Vito insieme ai Perfetti italiani e occitani. Arrestati e processati a Verona, i 174 catari vennero arsi nell’arena il 13 febbraio 1278. Il declino del catarismo italiano era stato segnato irreversibilmente e dopo il primo ventennio del XIV sec. forse sopravvisse segretamente, ma ridotto ad un numero esiguo di adepti.
Fonti e Bibl. essenziale
Ilarino da Milano, La Manifestatio heresis catarorum quam fecit Bonacursus secondo il cod. ottob. lat. 136 della Biblioteca Vaticana, in «Aevum», 12 (1938), 281-333; Id., Il “Liber supra stella” del piacentino Salvo Burci contro i Catari e altre correnti ereticali, ibidem, 19 (1945), 281-341; Id., L’eresia di Ugo Speroni nella confutazione del maestro Vacario. Testo inedito del secolo XII con studio storico e dottrinale, Città del Vaticano 1945; Id., Il dualismo cataro in Umbria al tempo di san Francesco, in «Filosofia e cultura in Umbria tra medioevo e Rinascimento. Atti del IV Convegno di studi umbri, Gubbio, 22-26 maggio 1966», Gubbio 1967, 176-216; S. Savini, Il catarismo italiano ed i suoi vescovi nei secoli XIII e XIV. Ipotesi sulla cronologia del catarismo italiano, Firenze 1958; R. Manselli, L’eresia del male, Napoli 1980; Medioevo ereticale, a cura di O. Capitani, Bologna 1983; Mariano d’Alatri, Eretici e inquisitori in Italia. Studi e documenti, 2 vol., Roma 1986-1987; G. Zanella, Itinerari ereticali. Patari e catari tra Rimini e Verona, Roma 1986; A. Vauchez, Movimenti religiosi fuori dell’ortodossia nei secoli XII e XIII, in Storia dell’Italia religiosa, I, a cura di A. Vauchez, Roma-Bari 1993, 311-346; V. Sabbadini, Gli eretici sul lago. Storia dei catari bagnolesi, San Nicolò Po di Bagnolo San Vito 2003; Libro dei due principi. Liber de duobus principiis, a cura di G. Bettini, Bologna 2010; E. Gerosa, I Catari di Concorezzo, Concorezzo 2006; G.G. Merlo, Eretici ed eresie medievali, Bologna 2011.
Periodizzazione. A partire da uno stadio zero con cui indichiamo la situazione di “stato nascente” del movimento di Gesù e dei suoi discepoli, tipico del I secolo, possiamo distinguere due grandi periodi: secoli II-XV e secoli XVI-XIX.
Lo stadio zero è caratterizzato dalla relazione privilegiata con Gesù e con le persone che lo hanno conosciuto direttamente. Attraverso la conversione, questa relazione fa sì che uomini e donne si stacchino dal proprio ambiente e producano al posto di questo una entità sociale e culturale nuova che permette di ristrutturare tutta la vita alla luce della sequela Christi. Si attua una rivoluzione. Le persone si sentono avvolte in uno stato emozionale e mentale che li spinge a considerare il tempo precedente una prigionia. Solo adesso si respira aria di libertà e novità di vita. Dato il carattere volontaristico dell’esperienza e la non necessaria appartenenza etnica, la situazione di “stato nascente” si ripresenta ogni qualvolta un individuo decide di convertirsi a Cristo ed entrare nella sua chiesa. Cosicché ciò che è avvenuto alle origini si ripresenta come una linea di continuità attraverso i secoli pur nella differenza fenomenica.
Le età tardo-antica e medievale costituiscono un continuum, nonostante le vistose e molte diversità. L’unità di fondo è data dalla dimensione comunitaria dell’iniziazione alla fede e della vita cristiana e, insieme, dalle leggi della comunicazione orale, che tende ad una catechesi “per immersione globale”, cosicché, anche con la presenza di una vasta pubblicistica a carattere catechistico, il ruolo formativo è legato alla predicazione e al vissuto familiare e sociale. Appaiono i sussidi per il contesto liturgico: sermonari, omeliari, artes praedicandi; per la vita cristiana: specchi, penitenziali, libretti d’ore e di preghiere, manualetti per la pastorale catechistica; per la missione: sermoni di primo annuncio per i rustici e i pagani, scritti apologetici e primi tentativi di dialogo con gli ebrei e i musulmani.. Se gli scritti sono per gli alfabetizzati, per tutti gli altri (più del 90%), le immagini costituiscono un catechismo visivo e un devozionario. L’altro elemento unificatore è il formarsi, rinsaldarsi e disgregarsi di quella realtà sociale, economica, politica e religiosa che è stata la christianitas, con la sua profonda tensione all’unità, spesso tradotta in uniformità costrittiva e violenta. Questo periodo può essere suddiviso in: secoli: II-VII; VIII-X; XI-XIII; XIV-XV.
L’età moderna (XVI-XIX) è l’era del catechismo, considerato lo strumento principale della formazione cristiana, del rinnovamento della chiesa e la risposta a qualsiasi carenza della vita cristiana, causata, secondo le convinzioni del tempo, dalla persistente ignoranza del popolo cristiano. Il Catechismo Romano è lo strumento-base che permea di sé tutta la pastorale catechistica tridentina, ma preceduto, affiancato e seguito da una grande molteplicità di catechismi per i fanciulli e i rudes. Tutta l’Europa diventa campo di missione e le zone più interne, raggiungibili tra molte difficoltà, della Calabria, della Sicilia e della Sardegna sono considerate “le nostre Indie” al pari dei luoghi delle missioni estere, che vedono la splendida attività catechistica, rispettosa delle culture, degli italiani A. Valignano, M. Ruggieri, M. Ricci, R. De Nobili, F. Ingoli, primo segretario di Propaganda Fide (1622). Le due riforme, cattolica e protestante, animate dall’urgenza della salus animarum, insieme all’incipiente cultura legata alla nascita della stampa, costituiscono una frattura nei confronti dell’epoca precedente. Il “catechismo”, libro-formulario, scritto nelle varie lingue locali e diffuso dai missionari popolari, e, insieme, istituzione capillare, promossa dalle Confraternite delle Dottrina cristiana, ha come compito principale quello di trasmettere, autorevolmente, la sana dottrina in maniera chiara, elementare ed esatta (si distingue tra verità di precetto, da sapere a memoria, pena la dannazione eterna, e le verità di mezzo che completano la formazione del buon cristiano). Il linguaggio dei catechismi-formulari diventa sempre più tecnico e dottrinale per essere appreso, pedissequamente parola per parola, a memoria, con l’aiuto della versificazione, della ritmicità della frase e del canto, con la conseguenza di far prevalere la dottrina sulla vita di pietà.
Dal punto di vista della letteratura catechistica i due periodi possono essere segnati: dalla Dimostrazione della predicazione apostolica di Ireneo (II sec.); dal De Agone Cristiano (396); dal De parvulis ad Christum trahendis (1406), che pone al centro della pastorale catechistica i fanciulli e inaugura l’epoca dei catechismi moderni; dal Catechismo Romano (1566); dagli Atti dei Concili Provinciali di Milano (1565-1579); da Dell’educazione cristiana e politica dei figliuoli di Silvio Antoniano (1584), tipico esempio di pedagogia e catechesi controriformista; dall’Acerbo nimis di Pio X (1905), che rilancia il catechismo come Summa credendi et agendi.
Dal punto di vista catechetico ricordiamo come marcatori: De catechizandis rudibus (405) di Agostino, Theologia catechetica di Antonio Possevino (1593), Instructio practica de munere concionandi, exhortandi, catechizandi di Tobia Lohner (1699), l’elaborazione di quattro manuali, attenti alla metodologia catechistica e all’uso di un linguaggio adatto agli uditori (Hortus pastorum di G. Marchand del 1626), Trésor de la Doctrine chrétienne di N. Turlot del 1620 ca., Pédagogue chrétien di Ph. D’Outreman del 1622, la Dottrina cristiana, ricca di riferimenti biblici, del chierico regolare G. Savonarola del 1773), l’istituzione, a fine settecento, della Cattedra di Teologia pastorale nelle università di lingua tedesca, che si fanno promotrici della catechesi storico-biblica, il Metodo normale di von Felbiger (1724-1788), tradotto in Italia da P.Soave e applicato da G.A. De Cosmi nel Regno delle Due Sicilie (1788), il rinnovamento pedagogico a cavallo dell’Ottocento-Novecento (pedocentrismo, attivismo, centri di interesse), con la nascita della Catechetica come scienza fondata teologicamente e strutturata scientificamente, in cui le discipline teologiche dialogano interdisciplinarmente con le scienze dell’educazione a favore dell’uomo educabile e capace di relazionarsi con Dio nel suo contesto esistenziale, ecclesiale, sociale e culturale, storicamente determinato.
Secoli II-XV. I primi quattro secoli, attraverso l’inculturazione ellenistico-romana del vangelo, producono un’unità culturale e un patrimonio comune di pensiero, donando ai secoli futuri un’organizzazione formativa di base, cioè il catecumenato e un nucleo catechistico fondamentale (il Credo, espresso dal Simbolo e dal segno di Croce, il Padrenostro, i Sacramenti e il Decalogo, unito alle liste di vizi e virtù). Il “catecumenato”, prima di essere una struttura formativa ben organizzata, è l’esperienza di una Chiesa che, in tutti i suoi membri, si sente madre e accoglie nel suo seno coloro che accolgono la novità di Cristo, li nutre e li educa al discepolato. Dopo il battesimo il neofita non è più un catecumeno, ma sarà sempre un discepolo ed è chiamato a divenirlo sempre di più fino alla piena conformazione a Cristo. In questo modo, il discepolato, che era l’elemento strutturale cardine del movimento di Gesù, resta vivo anche all’interno della comunità cristiana istituzionalizzata, e riesce a conglobare, a livello mistico, l’altra struttura portante della società che è la parentela. I credenti formano la familia Dei. Il catecumenato, come istituzione pastorale-liturgica si è affermato alla fine del II secolo e si è diffuso rapidamente in tutte le comunità cristiane, raggiungendo il suo periodo d’oro nel III secolo (come ci testimonia la “La Tradizione Apostolica” di Ippolito), mentre comincia a sentire i primi limiti nella seconda metà del IV secolo, a decadere nel V per scomparire completamente nel VI e VII secolo. Nel catecumenato si distinguono tre momenti fondamentali, caratterizzati dai principi di progressività, essenzialità, organicità ed esistenzialità: la preparazione remota al battesimo dei catechoumenoi/audientes; la preparazione immediata, dei photizomenoi/electi; e la catechesi mistagogica dei neofiti. Durante la profonda crisi del catecumenato i vescovi non smettono di ricordare le esigenze della vita battesimale e i principi di una sana e seria iniziazione, ma imparano ad adattarsi ai tempi nuovi e a ripiegare sul catecumenato quaresimale. Agostino, rifiutando l’eccesso donatista che tende a formare una “chiesa di puri”, esorta ad unire insieme fermezza e bontà <senza mostrarci deboli in nome della pazienza, né duri con il pretesto dello zelo> (De fide et operibus,5.7). Ma verso il VI secolo ingresso nel catec. e celebrazione del battesimo avvengono nello stesso giorno: ormai il catec. è svuotato del suo significato e Severo di Antiochia (+ 518) usa il termine catechesi come termine tecnico per designare l’istruzione specifica dei candidati al battesimo.
La catechesi assume le caratteristiche della comunità cristiana che la esprime o del pastore-catecheta che l’anima. Così possiamo parlare di una catechesi bizantina come quella svolta dai monaci basiliani, dal VI-VIII sec. in Sicilia e Calabria, tutta incentrata sulla sinfonia fra le cose divine e gli affari umani per formare un cristiano, che si percepisce “servo e familiare” di Dio e dell’imperatore, membro della grande famiglia dei figli di Dio; e anche di una catechesi romana, come quella realizzata da Ambrogio di Milano (333/34-397). Per lui la vita cristiana è vita in Cristo, ma si sostanzia di una sintesi armonica tra i valori del cristianesimo e quelli della romanità, al punto da far coincidere l’umanesimo romano con l’umanesimo cristiano. Nelle sue opere (De Abraham, Explanatio Simboli, De Sacramentis, De Mysteriis, De officiis, e gli Inni) possiamo cogliere la visione di una catechesi come educazione alla vita cristiana, articolata sulla triplice dimensione di natura, fede e grazia; e l’elaborazione di un discorso catechistico, organizzato in maniera storico-narrativo, che segue i principi didattici della gradualità, progressività e ciclicità in modo da permettere all’ascoltatore di interiorizzarne la dimensione, morale, dogmatica, misterica e trarne luce per la propria esistenza. Mentre il tardo-antico trascolora nelle tinte medievali, il monachesimo occidentale, manifesta la sua forte carica evangelizzatrice. L’unione tra peregrinatio eremitica, evangelizzazione e martirio, insieme alla realizzazione di un corpus di scritti catechistici ad uso dei missionari come il De correctione rusticorum di Martino di Braga (†579), lo Scarapsus di Pirmino (†753/8), i Sermoni di Cesario di Arles (†542), l’Indiculus superstionum (743), gli epistolari di Alcuino (†804), e di Bonifacio (†754), la Disputatio puerorum, la Storia ecclesiastica degli Angli di Beda (†735), fa sì che dai monasteri escano i padri e i maestri del popolo cristiano. Ricordiamo quelli che possiamo considerare i “fondatori” del medioevo, poiché hanno inserito la c. in un piano globale di educazione cristiana: Cassiodoro (†580) che con le sue Istituzioni fa del Vivarium calabrese un centro di cultura al servizio della conoscenza della S. Scrittura e della formazione del popolo cristiano nella fede retta e nella vita onesta; Colombano (†615) che, missionario tra i pagani e riformatore tra i cristiani, nei suoi sermoni, tenuti a Milano tra il 612 e il 615, traccia un itinerario di fede, intessuto di semplicità di cuore, di pietà e timore di Dio, di preghiera (Credo e Padrenostro), di penitenza, di fuga dal peccato e di perseveranza nella vita battesimale; Benedetto da Norcia (†547 ca.) che evangelizza le genti delle campagne, trasformando il sacro pagano in segni cristiani, e le affida alla cura pastorale dei suoi monaci; Gregorio Magno (†604), promotore della cura animarum (Regola pastorale, Omelie, Moralia, Dialoghi in cui ci dà uno spaccato sull’evangelizzazione delle campagne italiche) e dell’ evangelizzazione degli Anglosassoni, all’insegna della libera adesione dell’intelligenza e del cuore al messaggio evangelico, dell’adattamento alla cultura locale, della tolleranza; Isidoro di Siviglia (+636), che trasmette alla chiesa una vera enciclopedia del sapere (De natura rerum, De ecclesiasticis officiis, Sententiarum libri), utile a guidare i credenti sulla duplice via della contemplazione del careato e dell’ ascolto della Scrittura, per giungere alla beatitudine eterna. Dopo la caduta del regno longobardo (774), Carlo Magno si trova nella necessità di integrare in unità i vari popoli del suo vasto impero e si avvale dell’opera di un’élite culturale (Alcuino, Paolino di Aquileia, Rabano Mauro et alii), capace di fornire un quadro culturale e religioso sopranazionale e cattolico-umanitario, e, conseguentemente, di promuovere un serio impegno pastorale nei confronti del popolo, considerato “familia Christi”. Assistiamo così a un grande sforzo per formare un clero capace di educare il popolo credente con un minimo di conoscenze religiose (Credo e Padrenostro, opere di misericordia, SS. Trinità, incarnazione di Cristo e redenzione, vizi, peccati e virtù) e con un inquadramento socio-religioso adatto a sostenerlo nella vita cristiana. L’imperatore Lotario nel capitolare di Corteolona dell’825 applica all’Italia settentrionale tutte le normative precedenti (Admontio generalis del 789, Litteris colendis del 794/797, concilio di Attigny dell’822) ed organizza una vasta rete di scuole episcopali con centri a Pavia, Ivrea e Torino. La meta è “l’unità nella retta fede”, mediante una prassi cristiana uniforme. Si vuole l’unità del movimento monastico attraverso l’imposizione a tutti della Regola benedettina, l’unità pastorale dei vescovi mediante la Regola pastorale di Gregorio Magno, l’unità del clero con le Regole di Aquisgrana, l’unità dei laici mediante il De institutione laicali di Giona di Orleans, la formazione dei re con il De institutione regia. Si afferma una sola liturgia, quella romana, una sola lingua sacra, quella latina. Paolino d’ Aquileia (†802) è l’animatore principale della pastorale catechistica del Nord-Italia: per mantenere i fedeli nella retta fede, scrive per i preti la Regula fidei affinché li istruiscano in maniera uniforme ed esorta gli uni e gli altri ad apprendere e recitare a memoria il Simbolo e il Pater; compone, inoltre, Inni ritmici e Cantici spirituali in modo che, con la dolcezza del ritmo e della melodia, vengano interiorizzate le verità della fede, imitate le virtù degli uomini biblici, e gli animi vengano orientati alla celebrazione del mistero di Cristo; scrive anche uno specchio Libro dell’esortazione dove svolge una catechesi cristocentrica, utile all’esercizio fervente della vita cristiana. Mentre la chiesa carolingia è nel suo splendore, la Sicilia cade progressivamente (827-902) nelle mani dei musulmani e la fede cristiana sopravvive tra grandi difficoltà, grazie alla profonda cristianizzazione operata dai monaci basiliani di indirizzo studita, nel secolo VIII, mediante la predicazione, l’agiografia e l’innologia.
Nei secoli XI-XV si impone con forza il problema pastorale-catechistico della comunicazione della fede agli infedeli e ai cristiani semplici. Non basta credere, ma bisogna conoscere ciò che si crede. Ragione e fede sono considerate due vie complementari di conoscenza, in cui bisogna progredire. Mentre il clero è tenuto a conoscere esplicitamente le verità della fede, a motivo del proprio ministero, ai minores è sufficiente l’adesione alla fede della Chiesa ed impegnarsi ad ascoltare la predicazione, a recitare devotamente il Credo, il Padrenostro e (dal sec. XII) l’Avemaria, segnarsi con il segno della croce, partecipare alle feste dell’anno liturgico e accostarsi alla confessione. Siamo di fronte ad una “devotio” che è sostenuta dalla cristianizzazione dello spazio e del tempo per cui tutto parla di fede e, quindi, da una forte socializzazione religiosa costrittiva. Ma il desiderio che ogni cristiano giunga a possedere una fede consapevole, retta, viva, autentica, spinge concili e pastori a prescrivere, elaborare e diffondere tra il clero e i laici piccoli formulari e compendi della fede. È il tempo della moltiplicazione degli “Specchi” (descrizioni del profilo virtuoso del cristiano), dei Lucidari, dei Settenari e degli Interrogatori ad uso dei confessori. Il lucidario più famoso, che attraversa i secoli fino all’età moderna con il titolo Libro del Maestro e del discepolo, stampato più volte nel sec. XV a Milano, Brescia, Venezia, Ferrara e diffuso in tutti i paesi europei, è l’Elucidarium di Onorio di Autun. I Settenari espongono la dottrina cristiana con formule impostate sul numero sette. Famosi sono stati: il settenario di Ugo di S. Vittore, gli opuscoli di. Tommaso d’Aquino, e la Somme-le-Roi. Questa, compilata dal frate domenicano Lorenzo (1279) e tradotta anche in siciliano, contiene i dieci comandamenti, i dodici articoli del Credo, i sette peccati capitali, le sette domande del Pater, i sette doni dello Spirito Santo, le stette virtù, le beatitudini. Il metodo settenario, iniziato da Ugo di S. Vittore (1096-1140) col suo munusculum de quinque septenis per fornire al buon cristiano ciò che è necessario alla salvezza, trova la sua “consacrazione” nella Summa vitiorum ac virtutum del domenicano Guglielmo Peralto. Gli opuscoli catechistici di Tommaso d’Aquino contengono la sua predicazione al popolo napoletano, durante la quaresima del 1275; essi tracciano un cammino di fede, che spinge alla pratica delle tre virtù teologali mediante l’apprendimento e l’interiorizzazione del Credo, del Pater (insieme all’Ave Maria) e del Decalogo, sintetizzato nel duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Lo strumento principale della formazione cristiana del popolo è proprio la predicazione degli ordini mendicanti. Essi sono capaci di coinvolgere la mente, la memoria e la volontà degli ascoltatori, avvolgendoli in un ricco immaginario fisico (pitture, mosaici, sculture, ancone, vetrate, xilografie) e mentale carico di insegnamenti e di stimoli spirituali, e trasformano il cristianesimo in una religione veramente popolare. Seguendo le espressioni del Manipulus curatorum di Guido de Monte Rocheri e le prescrizioni del Conc. di Tortosa (1429), possiamo dire con Matteo d’Agrigento (1380ca.-1450) che essi si fanno obbligo di insegnare: ciò che bisogna credere (Credo), ciò che bisogna chiedere (Pater), ciò che bisogna fare ed evitare ( Comandamenti), ciò che bisogna sperare (Gloria del paradiso), ciò che bisogna temere (le pene dell’Inferno). Cicli interi di predicazione diventano catechismi; per es. le prediche di Maria da Gennazzano (1484-89) o il Libro de la divina legge (1486) di Marco da Montegallo. Tra i grandi predicatori ci limitiamo a ricordare i nomi di Antonio di Padova, Bernardino da Siena, Giovanni da Capestrano, Giacomo della Marca, Matteo d’Agrigento e Antonino di Firenze; quest’ultimo con il suo catechismo Libretto della doctrina cristiana ricorda a tutti la meta da conseguire: <sapere, servire et onorare Idio benedetto et schivare le temptationi et peccati> (1473). Alla fine del medioevo il catechismo diventa un fenomeno diffuso: è presente nei conventi; nelle parrocchie ove si é obbligati ad usare il catechismo scritto dal proprio vescovo; nelle case ove i genitori devono educare cristianamente i figlioli e istruirli nella fede; nelle scuole sia umanistiche che di abaco, ove si apprende a leggere sul salterio o sul catechismo, oltre a ricevere dal proprio maestro una guida ferma all’esercizio della vita devota. Ricordiamo le scuole più famose, e cioè la Casa giocosa di Vittorino da Feltre (†1446) e la Scuola-convitto di Guarino Veronese (†1460), la Scuola del Paradiso di Angelo Porro, le scuole ambulanti di Albertino Bellerati di Busto Arsizio, l’opera di Maffeo Grassi (Liber formule vite insipienti et docti), sostenitore e promotore del progetto di educazione e istruzione voluto da Filippo Maria Visconti; ma non dobbiamo dimenticare tutti quei comuni e corporazioni che si facevano un onore di gestire l’educazione e la formazione cristiana dei fanciulli affinché acquistassero una personalità armonica, ricca di virtù cristiane e civiche. La nuova sensibilità catechistica trova il suo paladino in Giovanni Gersone (†1429), autore del “De parvulis ad Christum trahendis” (1406).
Degna di nota è la “catechesi politica” realizzatasi, ad opera della predicazione francescana, nella Sicilia aragonese, in una situazione di pluralismo religioso. L’opera missionaria-catechistica (spesso forzata) si muove in un intreccio di due atteggiamenti opposti: il primo aperto alla conoscenza e, quindi, al dialogo e alla valorizzazione della cultura ebraica e musulmana, connesso alla visione francescana della missione come testimonianza ed evangelizzazione esplicita; il secondo di carattere polemico e controversista, animato da sentimenti di superiorità che facilmente sfociano nella crociata violenta o in leggi discriminatorie. Questi due atteggiamenti li ritroviamo anche nella proposta della costruzione di una società cristiana presentata e caldeggiata da Villanova (1238 ca-1311) con il suo Alphabetum catholicorum, da Lullo (1232-1316) con la sua vasta pubblicistica (particolarmente Liber clericorum, Doctrina pueril, Blanquerna e Ars Magna), da Eiximènis (1327?-1409) con Regiment de la cosa publica e El Crestià; e da Matteo d’Agrigento (1380ca-1450) con i suoi sermoni. A partire dalla fede in Cristo crocifisso, modello di carità operosa, essi presentano i valori della fides, caritas, et fidelitas come i pilastri del bene comune della res publica. La loro interiorizzazione è il nucleo-base per la formazione del suddito/cittadino come fidelis, amico di Cristo, e civis leale e onesto, al punto che il discrimine tra fedele e infedele non viene dato tanto dal battesimo ma dalla partecipazione alla realizzazione del bene comune. È la carità operosa, fatta di generosità e liberalità, il cuore della vita e della società cristiana, strutturata monarchicamente o in maniera pattizia. Per cui può avvenire che il vero infedele per es. è l’usuraio o il lussurioso o il vagabondo o l’amante del lusso, che priva di risorse la società cristiana, e non l’ebreo o il musulmano che con la loro operosità possono essere cittadini fedeli. E inoltre l’aspetto operativo della carità insieme alla fiducia e alla lealtà comunitaria fanno sì che il mercante diventi la figura del cristiano ideale, che trova nella conformazione a Cristo quella sapienza capace di fare fruttificare la saggezza e le perizie umane per la costruzione del bene comune. In lui, le virtù civiche (industriosità, operosità) si intrecciano con le virtù ascetiche del digiuno e del corretto uso delle ricchezze, in modo tale che può divenire la punta di diamante dell’espansione della società cristiana e dell’evangelizzazione degli infedeli.
Secoli XVI-XIX. La seconda metà del sec. XV segna la fine della società e della chiesa medievale. È un universo che si sgretola e spinge il fedele cristiano a cercare Dio camminando verso il centro della propria anima, ove sono i segni della sua presenza. Siamo di fronte ad un cammino interiore (opposto all’esteriore che è vanità), che trova il suo linguaggio nella tradizione e in un equilibrio, in verità instabile, fra soggettività credente e oggettività della fede. Si afferma una nuova immagine della plantatio ecclesiae e del buon cristiano devoto, con il passaggio da un cristianesimo a carattere collettivo a un cristianesimo a carattere individuale, fondato sulla coscienza individuale consapevole della propria fede, ma, nello stesso tempo, inquadrato rigidamente e uniformemente nella struttura ecclesiale. Si passa lentamente da una catechesi, obbediente alle leggi della comunicazione orale, ad una catechesi legata alla nascita della stampa; da una catechesi ambientale, ad una catechesi di istruzione attraverso i catechismi dottrinali. Diventa certezza comune, sancita anche dal Concilio di Trento, che “senza un minimo di conoscenza non si può essere salvati”. Per cui i padri conciliari fanno obbligo ai vescovi e ai responsabili della cura d’anime di predicare frequentemente (tutte le domeniche e feste solenni e quotidianamente o almeno tre volte la settimana in Avvento e Quaresima), di fare, nelle medesime circostanze, il catechismo serale agli adulti e di curare diligentemente l’istruzione dei fanciulli nei rudimenti della fede e nell’obbedienza a Dio e ai genitori. Per aiutare il clero nello svolgimento della sua missione, il Concilio si fa promotore della compilazione di un catechismo, affidato a un gruppo redazionale di teologi tomisti, che viene alla luce nel 1566 con il titolo Catechismus ex decreto Concilii Tridentini ad Parochos. Questo, tradotto nello stesso anno in italiano da A. Figliucci, si diffonde subito per tutta l’Italia e diventa oggetto di riassunti, parafrasi, commenti, suddivisioni in lezioni, per le domeniche dell’anno liturgico, da leggersi durante la celebrazione delle messe (A. Ferentillo 1570; A. Sauli, Pavia 1581; G. Bellarino, Brescia 1601, 1610); E. Nieremberg (Roma 1658, Venezia 1676, Milano 1691). Ma è nell’organizzazione sistematica e capillare del catechismo alle nuove generazioni che viene riposta la fiduciosa speranza di potere riformare la società cristiana. <Si dee penetrare che la via prencipale di riformare il mondo e la Chiesa è la buona e santa institutione della gioventù, castigando li figliuoli et allevandogli col timor di Dio>. Così si esprimono gli anonimi Avertimenti et brievi ricordi circa il vivere christiano, editi a Bologna nel 1563 e similmente quelli del De Torres, arcivescovo di Monreale, nel 1638. Il primo obbligo educativo spetta ai genitori, che devono istruire i loro figli “nella pietà e devozione”, devono correggerli con “discrezione” e “senza crudeltà” e insieme alle parole devono dare il “buon esempio”. La loro azione è sostenuta, completata e, spesso, sostituita dai membri (chierici e laici) della Congregazione della Dottrina cristiana (famosa quella fondata da Castellino da Castello a Milano nel 1536, autore anche di un Interrogatorio del maestro e del discepolo, e fondamentale per la sua azione coordinatrice l’Arciconfraternita della Dottrina cristiana di Roma), dai maestri di scuola, dalle Congregazioni devote e di perseveranza, e dalle molteplici iniziative e strutture educative create da Girolamo Miani (†1537) con i suoi Somaschi, dai Gesuiti con i loro Collegi, da Angela Merici (†1540) con le sue Orsoline, da Antonio M. Zaccaria (†1539) con i suoi Barnabiti, dai Dottrinari di Cesare de Bus (†1606), la cui ricerca di una catechesi viva ed inventiva trova una bella espressione negli italiani O. Imberti (1650-1731) e G.D. Moriglioni (1652-1735), dagli Scolopi di Giuseppe Calasanzio (†1648), dai Fratelli delle Scuole Cristiane di Giovanni Battista de La Salle (†1719). L’insegnamento del catechismo diventa il fulcro delle stesse missioni popolari, promosse da Gesuiti, Redentoristi, Cappuccini, Preti della Missione, Pii Operarij, Barnabiti, Teatini. Essi mettono in moto un grandioso processo di ricristianizzazione delle popolazioni, cittadine e rurali, anche le più disperse, servendosi, anche di. catechismi propri come il Piccolo metodo di Vincenzo de’ Paoli (†1660), il Compendio della dottrina cristiana (1743), Breve dottrina cristiana (1762), e Istruzione al popolo (1768) di Alfonso de Liguori (†1787), il Piccolo catechismo di G. Calasanzio (†1648). Ben presto i catechismi si moltiplicano rapidamente nel tentativo di trasmettere la dottrina e l’esercizio della vita cristiana in maniera facile e chiara. La stessa impostazione teocentrica dei catechismi, cerca di superare l’astrattezza teologica per coniugarsi alla vita cristiana dei fedeli, che devono diventare sempre più consapevoli della loro fede. Decisiva è l’influenza esercitata dai catechismi del card. Bellarmino (1542-1621): la Doctrina Christiana breve (1597) e la Dichiarazione più copiosa (1598) Per la chiarezza del contenuto, per la praticità del loro uso, grazie alla brevità e ritmicità delle frasi, la ricchezza di esempi tratti dalla vita quotidiana, la sottolineatura dell’oggettività delle verità di fede, vengono tradotti nelle varie lingue regionali italiane, oppure adattati con aggiunte, modifiche, riduzioni da teologi, vescovi zelanti, missionari in infinite edizioni fino al sec. XX. Altri testi di notevole successo sono i catechismi del Canisio (1524-1597) (grande, piccolo, minimo, redatti rispettivamente nel 1555,1556,1559), di Ledesma (1519-1575) il cui formulario del 1567 conosce una vasta diffusione in tutta l’Italia continentale ed insulare), di Montorfano (Venezia 1629), di G. Paleotti (Bologna 1578), di A. Gagliardi (Milano 1584), di GB. Eliano (1587), di GP. Pinamonti (1632-1703). Alla fine del XVI secolo alcune innovazioni catechistiche sono ormai un fatto assodato: a) l’organizzazione del catechismo e la sua diffusione capillare è un ministero pastorale fondamentale, diretto particolarmente ai fanciulli e alla gente semplice; b) il catechismo si configura come un insegnamento umile, familiare, avulso dalle regole dell’arte oratoria, capace di ritagliarsi i suoi spazi nella vita quotidiana del popolo; c) lo strumento didattico per eccellenza è il formulario a domande e risposte, che può essere accompagnato da melodie e composizioni in versi; d) la prevalenza dei catechismi dottrinali, sono ritenuti i migliori strumenti per difendere la retta fede. Nel settecento la nuova mentalità antropocentrica e razionale dell’illuminismo se da un lato porta un nuovo slancio catechistico, promosso dai vescovi, sostenuto da preti zelanti, riuniti nelle Congregazioni clericali della Dottrina cristiana, dall’altro genera una deriva moralistica della catechesi e una sua strumentalizzazione in ordine alla formazione di un cittadino ossequioso delle leggi, sottomesso alla guida del principe illuminato. Si va alla ricerca di nuovi metodi di insegnamento, particolarmente di quelli induttivi basati sulla storia biblica, attenti ai processi del pensiero, per facilitare nei fanciulli e nella gente semplice un apprendimento significativo. Per cui si compilano nuovi catechismi più idonei al processo formativo, tanto da favorire la proliferazione di una grande quantità di catechismi in una stessa diocesi. Particolarmente significativa mi appare la situazione siciliana, crogiuolo di multiculturalità. Influssi spagnoli, francesi, inglesi, asburgici, sabaudi, borbonici si intrecciano lasciando il loro segno nella prassi catechistica e dando origine a prodotti originali. Molti vescovi siciliani si dedicano all’impresa con il desiderio di promuovere nei loro fedeli una fede consapevole e una vita cristiana devota e sobria, moralmente irreprensibile e osservante della “creanza cristiana” Se S. Ventimiglia di Catania rifiuta il Catechismo di Bossuet, impostogli dal vicerè Fogliani e pubblica un suo catechismo siciliano ispirandosi al Catechismo Romano e al Bellarmino, F. Testa di Monreale elabora un suo catechismo diocesano in siciliano prendendo come fonte principale proprio il Bossuet. Di Blasi e Gambacurta di Messina compila il suo catechismo rifacendosi al Ledesma e al Bellarmino, mentre G. Gasch di Palermo traduce in siciliano la Dottrina copiosa del Bellarmino. Mineo di Patti, pur rifacendosi al Bellarmino, si preoccupa della gradualità di un insegnamento catechistico, che vuole integro e capace di promuovere la vita cristiana dei fanciulli. Il giansenismo non riesce ad attecchire, ma sono presenti ed usati i testi di Pouget, di Mésenguy, di Gourlin per la loro impostazione didattica. Il catechismo storico-biblico di C. Fleury viene ampiamente usato nelle scuole di metodo normale e nelle scuole lancastriane e trova un imitatore nel palermitano Domenico Campione (1827), convinto seguace delle teorie pedagogiche di Ch. Rollin (1661-1741); mentre il catechismo, ricco di citazioni scritturistiche, dell’edimburghese Giorgio Hay viene apprezzato come testo adatto alla comprensione del semplice fedele. e tradotto dal palermitano Domenico Turano.
Il secolo XIX, vede il trionfo della neoscolastica con la produzione di catechismi dottrinali che, all’interno di una pastorale difensiva e di “riconquista” e di un progetto formativo popolare, che si avvale dell’incremento delle devozioni, della pietà popolare, della predicazione quaresimale e delle missioni, sono considerati lo strumento prezioso per difendere i semplici fedeli dagli errori della modernità. Essi intendono trasmettere una dottrina universale, eterna, immutabile, le cui verità sono garantite da Dio e strutturate in maniera sistematica con un rigoroso linguaggio filosofico-teologico, che trova la sua esemplare espressione nel catechismo di J. Deharbe (1865). In genere si articolano in tre testi: uno per la prima confessione, uno per la prima comunione e uno di perseveranza. Ma i nuovi catechismi si assommano a quelli dei secoli precedenti, che sono ancora in circolazione. Potremmo distinguere tre filoni: il primo fa capo ai testi del Bellarmino, che godono di ampio uso nel nord-est, a Roma e in Sicilia; il secondo fa riferimento al Compendio della dottrina cristiana (1765) di M. Casati, che viene scelto dagli episcopati piemontesi e lombardi come testo unico; il terzo filone potrebbe essere costituito da tutti quei tentativi, che pur all’interno della scelta dottrinale, aprono vie nuove in campo pedagogico e didattico sulla scia della riflessione di A. Rosmini (1797-1855), F. Aporti, G.A. Rayneri (1810-1867) o sulla scia del metodo normale come cerca di fare il Catechismo graduato del messinese G.S. Burrascano (1841-1903). L’Ottocento si chiude con il desiderio espresso dal Vaticano I (1870) di superare la pluralità dei catechismi con l’elaborazione di un unico catechismo, adatto a trasmettere in maniera autorevole le verità della fede cattolica.
Fonti e Bibl. essenziale
Alberich – U. Gianetto, Il catechismo ieri e oggi. Studi sul significato dei catechismi nel passato e nel presente della catechesi della Chiesa, Ldc, Leumann 1987; G. Biancardi, Per Dio e per le anime. Studi sulla pastorale e la catechesi dell’Ottocento, LAS, Roma 2010; F. Bisconti, Primi cristiani, Lev, Vittà del Vaticano 2013; a. Bollin – F. Gasparini, La catechesi nella vita della Chiesa. Note di Storia, Paoline, Roma 1990; L. Bolzoni, La rete delle immagini. Predicazione in volgare dalle origini a Bernardino da Siena, Einaudi, Torino 2009; M. Catto A, Un Panopticon catechistico. L’arciconfraternita della dottrina cristiana a Roma in età moderna, Ed. Storia e Letteratura, Roma 2003; G. Cavallotto, Catecumenato antico, EDB, Bologna 1996; E. Combi – R. Rezzaghi, Catechesi. Che cos’è Come si vive, Paoline, Cinisello Balsamo 1993; L. Csonka, Storia della catechesi, in P. Braido (ed.), Educare. Sommario di Scienze pedagogiche, vol. III, Pas-Verlag, Zurich 1964; P. Evangelisti, I Francescani e la costruzione di uno Stato, Ed. Francescane, Padova 2006; P. Braido, Storia della catechesi. 3 Dal “tempo delle riforme” all’età degli imperialismi (1450-1870), LAS, Roma 2015; F. di Natale, Francesco Testa. Il “Bossuet siciliano”. Chiesa e Catechesi a Monreale nel Settecento, Coop. S. Tom-Ldc, Messina 2006; U. Gianetto, Identificazione e storia della catechesi, in B. Seveso – L. Pacomio (ed.), Enciclopedia di Pastorale vol. 2, Piemme, Casale Monferrato 1992, 37-51; L. La Rosa, La trasmissione della fede. Percorsi storici (secc. IV-XV), Itst – Ldc, Messina 2009; Id., Scenari della catechesi moderna (secc. XVI-XIX), Itst – Ldc, Messina 2005; J. Leclercq, Predicare nel medioevo, Jaca Book, Milano 2001; E. Mazza, La mistagogia. Le catechesi liturgiche della fine del quarto secolo e il loro metodo, CLV – Ed. Liturgiche, Roma 1996; M.G. Muzzarelli, Pescatori di uomini. Predicatori e piazze alla fine del Medioevo, Il Mulino, Bologna 2005; G. Palumbo, Speculum Peccatorum, Liguori, Napoli 1990; S. Settis, Iconografia dell’arte italiana 1100-1500, Einaudi, Torino 2005; T. Verdon, Il Catechismo della Carne. Corporeità e arte cristiana, Cantagalli, Siena 2009; G.M. Viscardi, Tra Europa e “Indie di quaggiù”, Ed. Storia e Letteratura, Roma 2005; P. Vismara Chiappa, Il “Buon Cristiano”, La Nuova Italia, Firenze 1984; La catechesi nell’antichità, Giotto arte della stampa, Messina 2017.
Negli anni che hanno visto la nascita dell’Unità d’Italia e nel trentennio immediatamente successivo, la Chiesa ha concepito se stessa come una cittadella assediata dalle forze anticlericali, liberali, massoniche e laiciste, per cui ha sentito il bisogno di compattare le fila dei suoi fedeli intorno alla gerarchia, che aveva il suo fulcro nel papa. Ha prevalso così il modello ecclesiologico istituzionale-piramidale, difeso ad oltranza dal clero intransigente, fautore di una pastorale difensiva, fondata sul binomio: pastore-gregge. Di fronte al pastore, soggetto attivo, sta il gregge dei fedeli, affidato alla cura della gerarchia, assistita dall’azione dello Spirito Santo. Espressione di questa pastorale sono state: una fitta rete di organizzazioni di fedeli laici in completa dipendenza dalla gerarchia; un progetto catechistico teso a salvaguardare la fede del popolo dai pericoli del secolo; la formazione alla vita devota mediante il controllo della religiosità popolare e l’opera formativa delle missioni; e soprattutto la formazione di un clero più preparato, culturalmente secondo la tradizione tomista, spiritualmente mediante la vita devota, caratterizzata dai sacramenti della confessione e della comunione, e pastoralmente mediante l’acquisizione della consapevolezza del proprio compito di pascere (amministrare i sacramenti), docere (fare il catechismo) e praedicare. La meta dell’institutio catechetica è in stretta continuità con quella dei secoli precedenti: si vuole “formare” il “devoto cristiano praticante”, ricco di sentimenti di fede, speranza e carità, capace di instaurare un rapporto individuale con il Signore, come fondamento di tutta la vita. Ogni credente, attraverso il disciplinamento della pratica sacramentale, è chiamato a divenire un buon cristiano e per ciò stesso un buon cittadino, abituato alle regole della “creanza cristiana”. Egli deve essere consapevole che nella vita quotidiana, nell’attimo presente si gioca l’affare più importante della sua esistenza, cioè l’eternità. Ma le voci critiche non mancano e sottolineano la sterilità di tanta istruzione cristiana, fatta di formule e pratiche devozionali. Cito due personaggi, posti agli estremi di un periodo di lunga durata: Mons. Filangeri, arcivescovo di Palermo e autore di un Breve Compendio della Dottrina Cristiana, mons. Angelo Ficarra (vescovo di Patti dal 1936 al 1957). Il Filangeri in una sua lettera pastorale del 1770 si lamentava che «la cristiana religione… salvoché in pochissimi, ormai è spenta: siamo Cristiani materiali, e di solo nome, senza averne lo spirito. No che non è vero Cristiano colui, che solo si prefigge l’ascoltare cotidianamente la Messa, il frequentare i Sagramenti, il digiunare ne’ prescritti giorni, lo udire le prediche, il concorrere alle processioni, il recitare alcune preci, il portare addosso delle Reliquie de’ Santi, il baciarne le Immagini; simiglianti azioni, quantunque sante e lodevolissime, non costituiscono però il verace spirito del Cristiano, che Gesù Gristo ne’ suoi seguaci richiede…». Ciò che doveva essere un mezzo, e cioè la pratica delle devozioni e la stessa sacramentalizzazione, unito a una persistente e profonda ignoranza, a dispetto di tanti catechismi, si era tradotto nell’animo popolare in un “materialismo religioso” greve e poco evangelico. Allo stesso modo il Ficarra scriveva nel 1923 (Le devozioni materiali, La Zisa, Palermo 1990, 62): «Una gran parte del nostro popolo non concepisce la religione come una liberazione dalla pressura del male, una purificazione interiore e un’elevazione spirituale, ma come un complesso di riti, di mezzucci, di pratiche esterne, di palliativi, di devonzioncelle, di talismani, di pannicelli caldi da mettere sulla coscienza incancrenita».
Così l’età contemporanea si apre con il grido battagliero “Torniamo al catechismo” e si proietta in avanti, tesa tra nostalgia del passato e rischio creativo, tra consapevolezza della necessità di superare il modello della catechesi tradizionale e l’esaltazione del ruolo della dottrina per contrastare il relativismo e il soggettivismo del tempo post-moderno, in modo da cercare un nuovo paradigma catechistico personalizzante, iniziatico, ermeneutico significativo, comunitario, aperto al dialogo, fatto di discernimento evangelico e di simpatia, con il mondo e la storia, luogo delle mirabilia Dei. Il momento spartiacque di questo movimento è costituito dal Vat. II (1962-1965), che, pur non avendo una trattazione specifica sulla catechesi, contiene molte suggestioni operative che traghettano il concetto di catechesi da atto di istruzione a processo formativo (cf. CD 13-14 e 44; GE 2; SC 64; AG 44) adatto alla mentalità, alle capacità e alle condizioni di vita degli uditori per guidarli al raggiungimento della statura della pienezza di Cristo, alla capacità di testimoniare la fede e di promuovere l’elevazione in senso cristiano del mondo, e inoltre fornisce risposte nuove sulla rivelazione, come parola-evento, sulla fede, sulla Chiesa, sull’uomo e sul mondo, elementi tutti essenziali per la prassi catechistica. Il momento di inizio di questo movimento può essere indicato nel Congresso catechistico del 1889, organizzato dalla rivista Il Catechista cattolico (nata nel 1876 per opera di G.B. Scalabrini). Esso galvanizza intorno a sé gli interessi, le proposte, le problematiche di tutti coloro che hanno a cuore le sorti del catechismo. Gli argomenti di discussione riguardano la necessità dei catechismi per ogni ordine di età (a cominciare dagli adulti), la concentrazione cristocentrica del contenuto della fede e suo svolgimento storico-biblico, la centralità del mistero pasquale, la necessità del rinnovamento metodologico facendo posto al metodo intuitivo-induttivo. Alcune idee del Congresso vengono riprese da Pio X nell’enc. Acerbo nimis (1905) e realizzate, in parte, con il Catechismo maggiore (1905) e il Catechismo del 1912 (un piccolo compendio teologico neoscolastico con un formulario ritmico facile per la memorizzazione) e da Pio XI nel decreto Provido sane(1935), che dà nuova linfa al movimento catechistico attraverso un’accurata organizzazione (erezione del Sodalizio della dottrina cristiana in ogni parrocchia, istituzione della scuola domenicale di catechismo, il catechismo per gli adulti, erezione dell’U.C.D., nomina degli ispettori di religione nelle scuole pubbliche, istituzione della giornata catechistica, formazione dei catechisti). Si attua intanto una svolta metodologica con il superamento del metodo deduttivo, grazie allo sviluppo delle nuove esperienze pedagogiche (Herbart, Piaget, Freinet, Ferrière, Decroly, Montessori, Agazzi, Dewey) che rifluiscono nella prassi catechistica (Metodo di Monaco, Metodo Quinet, Metodo psicologico di Fargues, metodo storico-induttivo e metodo educativo liturgico).
In Italia si afferma l’organizzazione catechistica in forma di vera scuola con metodo ciclico-intuitivo di Pavanelli (1876-1945) e Vigna (1876-1940), che affiancano il Catechismo di Pio X con una batteria di sussidi didattici Fede mia, vita mia!, con relative Guide didattiche. Il loro insegnamento viene emulato da tanti altri, come per es. da Vincenzo Bonetti S.J. che nel 1915 pubblica a Palermo una serie di sussidi con il titolo Fede Legge Grazia. Con il secondo dopoguerra si afferma come metodo proprio del catechismo l’attivismo, per merito degli studi di Mario Casotti, Gesualdo Nosengo, Silvio Riva, per l’azione teorico-pratica di Candido Chiorra e di Francesco Tonolo, per l’attività vasta e frenetica di Leone di Maria, e per l’esperienza pratica dell’A.C. (le Guide didattiche annuali CENAC) che produce i primi testi attivi di cultura religiosa Il Credo, la Legge, la Grazia ed è condiviso dal primo direttore dell’Ufficio catechistico centrale Carlo Maria Veneziani. Tuttavia, bisogna sottolineare che in moltissimi ambienti parrocchiali sostenuti, da pubblicazioni come Il Prontuario del Catechista. Il Buon Maestro che attraversa il tempo dagli anni trenta agli anni sessanta mettendo al centro la spiegazione del catechismo di Pio X, non viene colto il valore dei nuovi orientamenti pedagogici e metodologici, per cui ripetizione, memorizzazione meccanica e interrogazione sono considerati strumenti idonei alla fissazione e all’interiorizzazione, anche senza una piena comprensione. Ricordiamo la contestazione di don Milani negli anni cinquanta. Il movimento catechistico viene sostenuto, promosso e diffuso dai Fratelli delle Scuole cristiane, che già nel 1910 (Manuale del Catechista. Metodica per l’insegnamento della religione) introducono le conquiste della didattica nel catechismo, da vari Centri catechistici come quello Salesiano e Paolino, dalle Riviste catechistiche, dalle Collane editoriali insieme alle pubblicazioni di metodologia catechistica e dai Congressi (fondamentali quelli di Milano (1910) Brescia (1912), Roma (1929) ).
Il primo Centro, fondato da Pietro Ricaldone nel 1939 a servizio della Congregazione salesiana, estende la sua azione a tutta la Chiesa italiana nel 1947 per sensibilizzare le comunità ecclesiali ai problemi della catechesi e dell’I.R. nella scuola ed offrire strumenti di lavoro ai catechisti e ai catechizzandi. Il secondo viene costituito nel 1952 per volontà di Giacomo Alberione con il chiaro proposito di portare “tutto l’uomo (volontà, mente e cuore) a Cristo, Via Verità e Vita”. Le riviste catechistiche italiane nate tra il 1919/1950 sono: Catechesi, Via Verità e Vita, Catechisti parrocchiali, Rivista del Catechismo e Sussidi per la Catechesi,L’Informatore). Fra le Collane ricordiamo quelle della LDC Fondamenti di una catechesi rinnovata, Quaderni di Pedagogia catechistica e quella delle Paoline Bibbia e Catechesi. Fra gli anni ’43 e ’60 si prende coscienza dei limiti dell’approccio metodologico seguito, che intanto si arricchisce degli apporti del movimento personalistico (insistenza sulle categorie pedagogiche di personalizzazione e socializzazione) con il metodo dei modelli di Antonio Cojazzi, con gli interventi sull’educazione religiosa scolastica di Angelo Zammarchi sulla rivista Scuola Italiana Moderna e con la psicologia personalistica di Roberto Zavalloni. Non solo bisogna salvaguardare l’originalità della rivelazione e della trasmissione della fede, ma ci si rende conto che il metodo coinvolge il problema dei fini e del contenuto stesso della catechesi (termine che soppianta ed include il termine “catechismo”, che viene affiancato da “sussidi” e perfino sostituito dal “quaderno attivo”).
La prassi catechistica si muove tra due indirizzi: quello che insiste sulla trasmissione di verità (opzione dottrinale e coscienza di chiesa piramidale gerarchica) legato strettamente al formulario da memorizzare, e quello preoccupato di tracciare itinerari di fede nella storicità del divenire della salvezza (opzione esistenziale e coscienza di chiesa comunionale). Intanto bisogna riconoscere all’A.C. il merito di essere uscita dalle strettoie contenutistiche tradizionali fornendo con i suoi testi un vero e proprio itinerario catecumenale post-battesimale e ai Convegni catechistici “Amici di Catechesi”, organizzati dal Centro Catechistico Salesiano (1959, 1960, 1962, 1966), di avere affrontato i temi della natura dell’atto catechistico, delle mete, del metodo e del contenuto, considerato come storia della salvezza nella triplice dimensione biblica, liturgica ed ecclesiale, luogo di incontro tra Dio e l’uomo in Cristo. Ma già dal 1950, data del 1° Congresso catechistico internazionale di Roma, il movimento catechistico italiano si è aperto sempre più al movimento più vasto di tutta la Chiesa, risentendone un benefico influsso e uno stimolo fecondo di nuovi sviluppi, che lo vedono protagonista durante le varie fasi, che denominiamo: kerigmatica, antropologica e politica. La fase kerygmatica, lanciata dal Congresso catechistico di Eichstat del 1960 sostiene le seguenti linee per una nuova catechesi: la c. si situa nella missione della Chiesa; il vero problema della c. non è il metodo, ma il contenuto; il cristianesimo non è un insieme di verità, ma un messaggio-persona e cioè Cristo, salvezza del mondo, cosicché la c. deve essere personalistica, cristocentrica e relazionale. Si abbandona l’ordine logico dei catechismi e la catechesi diventa fondamentalmente biblica, narrativa e dialogica; essa vuole narrare la storia della salvezza, che il credente vive nell’oggi della sua esistenza alla luce del mistero pasquale di Gesù. La prima realizzazione riuscita di questa fase è stato il Catechismo cattolico delle diocesi tedesche (1955), in cui le lezioni sono svolte in maniera espositiva, tendente a spiegare non formule dottrinali, ma la vita cristiana. In Italia, il più bel testo di questo indirizzo è La scoperta del Regno di Dio, che mantiene un raro equilibrio tra le varie dimensioni dell’atto catechistico: Bibbia, liturgia, vita, sono considerati fatti-segni per un incontro con Cristo, che trova un momento di riflessione nella dottrina. L’approfondimento dell’indirizzo kerygmatico porta, come a sua naturale conseguenza, alla fase antropologica poiché il messaggio salvifico è rivolto all’uomo, che è chiamato ad accoglierlo con libertà e responsabilità. Non si può parlare di Dio senza parlare dell’uomo.
Siamo di fronte alla fase antropologica, che si specifica come esistenziale ed esperienziale sulla scia della riflessione teologica (J. Mouroux, P. Roqueplo, P. Tillich, E. Scillebeeckx, K. Rahner, L. Boff, L. Sartori, J. Gevaert, A. Godin, Z. Trenti et alii), che introduce nella catechesi i concetti di correlazione, di concentrazione cristocentrica, di ermeneutica, di interpretazione-illuminazione dell’esistenza come intervento salvifico di Dio. La Settimana catechistica internazionale di Bangkok (1962) e il Congresso di Manila (1967) si fanno promotori della fase antropologica parlando non solo di adattamento e, quindi, di pre-evangelizzazione e di pre-catechesi, ma anche di incarnazione del messaggio nelle varie culture e della necessità del dialogo. Come frutti possiamo indicare il Catechismo Olandese (1966) e il Nuovo Catechismo tedesco (1969). Intanto il riconoscimento della centralità del soggetto apre la strada dell’accoglienza nella prassi catechistica delle teorie dell’apprendimento, della dinamica di gruppo, della ricerca di una didattica olistica, della programmazione curricolare, dei linguaggi multimediali e di quelli non verbali, delle riflessioni sulle esigenze della comunicazione. Particolarmente significative e utilizzate nella prassi catechistica sono state le analisi della psicologia umanistica, la teoria del campo di K. Lewin e la non-direttività di C. Rogers. Dal punto di vista del Magistero l’accoglienza della via antropologica trova il suo punto più alto nella Redemptor hominis con l’affermazione che l’uomo è <la prima e fondamentale via della Chiesa> (nn. 10-14).
Con la II conferenza del CELAM a Medellin (1968) esplode la fase politica, che sottolinea il ruolo del messaggio cristiano nella salvezza integrale dell’uomo e quindi il suo incarnarsi nei processi di promozione umana, superando ogni tipo di dualismo, con l’opzione per una Chiesa povera che sa parlare ai poveri e ne sostiene le rivendicazioni di giustizia e di pace. Così il metodo si arricchisce, sostenuto anche dalla riflessione pedagogica di Paulo Freire e di Ivan Illich, dei criteri metodologici di liberazione, esperienzialità, esistenzialità, situazionaltà, coscientizzazione, creatività, descolarizzazione, contestualizzazione e i testi catechistici che vi si ispirano sono: Mondo più giovane e il Catechismo dell’Isolotto di Firenze Incontro a Gesù (1968-69), ritmato sulla triade metodologica “dalla vita-al vangelo-alla vita”. La catechesi liberatrice, che ha trovato il suo fulcro nella vita della Chiesa latino-americana, è stata tradotta in Europa, all’interno di una pedagogia liberatrice, come liberazione dell’uomo da ogni forma di schiavitù/alienazione o di dipendenze che feriscono la dignità dell’uomo per vivere l’amore universale di Cristo, con responsabilità e partecipazione, nel concreto divenire storico vissuto dagli uomini e dalla comunità cristiana. Questo orientamento è presente anche nel II Congresso Internazionale della Catechesi (Roma 1971).
Lo “spirito del concilio” con i suoi tre slogans “aggiornamento”, “sviluppo”, “ritorno alle fonti” fa sorgere una nuova primavera nella Chiesa, spinge ad andare avanti, apre spazi al dialogo, al pluralismo teologico (riabilitazione della nouvelle théologie e superamento dei manuali teologici caratterizzati da metodi giuridici e astorici), alla ricerca di un modo nuovo di essere chiesa tenendosi lontani da ogni orizzontalismo puramente intramondano o verticalismo ignaro della vita degli uomini. Ma le tensioni sono forti tra i cosiddetti progressisti e i tradizionalisti, si ha paura che il vangelo venga snaturato e la chiesa destrutturata per cui si afferma una corrente normalizzatrice del Concilio, che fa sentire il suo influsso determinante anche sulla nuova catechesi spingendola o riducendola verso le forme “tradizionali” del “sapere”. È il primato della “verità”, del depositum fidei (pensato come intangibile e sostanzialmente immutabile), custodito autorevolmente dal magistero nella sua purezza e interezza, e che deve essere trasmesso nella sua integrità. L’apprendimento di tutti i punti della dottrina, definita nella sua oggettività, costituisce una sorta di vademecum, che consente alle persone, credenti o non di abbracciare facilmente l’intero patrimonio della chiesa, e, nel contempo, la sua piena accettazione costituisce la via della liberazione e della salvezza dei popoli. I tre nuclei dottrinali fondamentali per Giovanni Paolo II (espressi già a Puebla nel 1979) sono: Cristo (la sua persona, il suo insegnamento, la promessa del Regno); la Chiesa, germe e inizio del Regno, che ha la missione fondamentale di evangelizzare, come soggetto unitario; l’uomo, la cui dignità, espressa nella creazione e nella redenzione, viene difesa dalla Chiesa sia a livello individuale (libertà, libertà religiosa, integrità fisica e morale, accesso ai beni essenziali della vita) sia a livello sociale e politico (diritto di partecipazione, diritto di non essere sottoposti a coercizioni ingiuste e illegittime). Queste verità insieme alle esigenze etiche che ne derivano e alla dottrina sociale della Chiesa devono essere il contenuto della nuova evangelizzazione, che si potrà attuare con la preghiera, i sacramenti, il precetto domenicale, l’educazione dei giovani, la chiamata alla santità e alla conversione interiore. Questo pensiero diventa più stringente nell’impianto apologetico di papa Ratzinger (dal Rapporto sulla fede del 1985 a Regensburg (2006) e a numerosi interventi in qualità di pontefice) quando stabilisce un nesso intrinseco tra libertà e verità, tra Dio e uomo, che trova in lui la sua dignità, tra ragione e fede per cui l’ortodossia si traduce inevitabilmente nell’ortoprassi, pena lo snaturamento dell’una e dell’altra, e vede la sintesi catechistica della verità nei quattro pilastri dottrinali/morali: Credo, sacramenti, decalogo e preghiera. Questa centralizzazione della dottrina è bene espressa dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), offerto alla Chiesa universale non solo come punto di riferimento per l’elaborazione dei catechismi nazionali, ma come testo da usare direttamente nella catechesi; dal Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (2005), che il Motu proprio di approvazione, per la sua brevità, chiarezza e integrità, offre a <ogni persona che,vivendo in un mondo dispersivo e dai molteplici messaggi, desidera conoscere la Via della Vita, la Verità, affidata da Dio alla Chiesa del suo Figlio>; e da Youcat (2011), offerto, nella “Premessa”, da Benedetto XVI ai giovani con l’esortazione:<Dovete sapere che cosa credete; dovete conoscere la vostra fede con la stessa precisione con cui uno specialista di informatica conosce il sistema operativo di un computer>. Compito della catechesi è la trasmissione e volgarizzazione delle verità cristiane in modo razionalmente convincente per tutti e in modo da raggiungere una fede adulta, criterio basilare per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità.
Ma se consideriamo l’insieme dei documenti magisteriali (Christus Dominus 1965; Rinnovamento della Catechesi 1970; Direttorio catechistico generale 1971 e Direttorio generale della Catechesi 1997; Evangelii nuntiandi 1974; Messaggio al Popolo di Dio del IV Sinodo dei Vescovi 1977; Catechesi tradendae 1979; Codice di Diritto Canonico 1983, Catechismo della Chiesa Cattolica 1992, Itinerario per la vita cristiana 2000, le tre Note della CEI 1997, 1999, 2003 con gli Orientamenti pastorali per il decennio del 2000), anche quelle parti che tendono a ridurre il ruolo della catechesi alla conoscenza e al sapere, accanto alla riflessione catechetica (ricordo i primi due manuali italiani di catechetica: Catechetica voll. 1-3 di Anselmo Balocco del 1950 ed Educare, vol. 1-3, edito dal PAS nel 1964) ci troviamo di fronte a un’idea di catechesi di ampio respiro, fedele a Dio e all’uomo: essa è contemporaneamente e in maniera indissolubile istruzione/apprendimento, educazione e iniziazione (DGC68). In quanto istruzione la c. tende all’apprendimento/interiorizzazione da parte del soggetto delle verità di fede in maniera certa, chiara ed ortodossa; da qui l’importanza della elaborazione e memorizzazione dei Simboli della fede, della realizzazione dei catechismi-compendio, delle molteplici strategie didattiche attente all’oggettività e integrità del contenuto, al rispetto della gerarchia delle verità, al cristocentrismo e alle esigenze di una comunicazione efficace. In quanto azione educativa la c. tende allo sviluppo di una personalità umana e cristiana fino al raggiungimento della mentalità di fede (cf. Convegno di Assisi 1960). Si attua come un processo educativo permanente attento a far sì che la trasmissione-elaborazione delle conoscenze di fede si intrecci con la maturazione di esperienze umane basilari, che sono il presupposto di ogni autentica crescita cristiana e, nello stesso, tempo si preoccupa di interpretare la cultura e la vita dei soggetti alla luce della fede e di ripensare le verità di fede alla luce e alle istanze della cultura e alle sfide della vita, in modo che la parola di Dio che risuona sulla bocca del catechista sia <un’apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori ed insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni>(RdC 52).
La c. viene così a strutturarsi in un cammino educativo, intessuto di fede, speranza e carità, per formare il discepolo di Cristo, iniziandolo all’incontro con Lui e, progressivamente, sviluppando nel soggetto la conoscenza e l’accoglienza della fede, nutrendolo con la parola di Dio, introducendolo alla celebrazione sacramentale e qualificandolo al servizio della comunità umana, in modo che egli realizzi una vera integrazione tra fede e vita. Proprio per questo si realizza pienamente come iniziazione, cioè come tirocinio di vita cristiana. ad itinerario catecumenale e mistagogico, sviluppato nel contesto di una comunità-comunione che annuncia, testimonia e celebra la sua fede e, quindi, capace di facilitare un’esperienza integrale di vita cristiana. Siamo di fronte a una nuova impostazione della pastorale catechistica, non più all’interno della “cura animarum” ma del tentativo di attualizzazione del mistero della salvezza nella storia, da parte di tutta la Chiesa con la partecipazione di tutti i suoi membri. La c. così intesa è come un grande albero che affonda le sue radici, attraversando molteplici percorsi storici e strutturandosi in modalità varie a seconda della particolare coscienza ecclesiologica, delle correnti esperienziali e/o teologiche, delle circostanze, degli ambienti, dei destinatari e dei metodi, nella c. apostolica e patristica.
Penso che sia un merito della Chiesa italiana di mantenere, anche se in un instabile equilibrio, la complessità della prassi catechistica con il suo “Progetto catechistico”, che affonda le sue radici ne Il Rinnovamento della catechesi (1970). Tra gli anni 1970/1982, a partire da questo documento base, che ha lo scopo di preparare le comunità cristiane all’esercizio responsabile della nuova catechesi e all’accoglienza dei nuovi catechismi, vengono pubblicati ad opera della CEI otto testi diretti ad ogni fascia di età e tali da costituire insieme l’unico catechismo nazionale per la vita cristiana. È un periodo di grande fervore e dinamismo catechistico, che coinvolge tutte le regioni e si prolunga negli anni 1984-1987, come tempo di verifica che sfocia nella nuova redazione dei testi stessi (1991-1997) con delle significative variazioni, attenti al “sapere della fede”, inserito nel processo di iniziazione cristiana. Cosicché la catechesi si configura essenzialmente come kerigmatica-esperienziale, attenta a trasmettere l’integrità della fede in maniera ciclica e induttiva, al soggetto, considerato nel suo dinamismo verso la maturità di fede, e alla comunità come luogo di esperienza di fede, mentre cerca di intrecciare in sapiente equilibrio la dimensione biblica, esperienziale, liturgica e dottrinale, offrendo ai catechisti la possibilità di realizzare, a seconda del contesto, vari itinerari (biblico-dottrinali, liturgico-spirituali, relazionali-ecclesiali, educativo-esperienziali) tesi al conseguimento della mentalità di fede e, quindi, necessariamente aperti agli apporti delle scienze umane. Questo impianto viene ribadito nei due Convegni catechistici nazionali di Roma (1988 Catechisti per una chiesa missionaria e 1992 Testimoni del Vangelo nella città degli uomini), nel documento Annuncio e catechesi per la vita cristiana (2010) e negli orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo. Nel frattempo il movimento catechistico si coniuga e si inserisce nel rinnovamento della pastorale (1973 ad oggi) della chiesa italiana che ha fatto suo, il primato dell’evangelizzazione articolandolo in varie tappe decennali (Ev. e sacramenti; Comunione e comunità; Ev. e testimonianza della carità; Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia; Educare alla vita buona del Vangelo) e ritmandolo con i Convegni ecclesiali (Ev. e promozione umana – Roma 1976; Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini – Loreto 1985; Il vangelo della Carità per una nuova società in Italia – Palermo 1995; Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo – Verona 2006 ).
Prima di concludere è necessario dire una parola sulla “catechesi scolastica”. Così indica il DB l’insegnamento della religione (IR) nella scuola, considerato come espressione della cura educativa della Chiesa nei confronti dei suoi figli, ma già aperto al rispetto della natura e delle finalità della scuola stessa. Tale apertura fa sì che si arrivi alla costituzione dell’IRC come autentica disciplina scolastica (anche se atipica), riconosciuta dalla revisione del Concordato del 1984 e dai relativi Accordi di Villa Madama. L’IRC è presente nella scuola secondo le potenzialità e le finalità della scuola pubblica dello stato laico; è una disciplina scolastica curricolare; contribuisce, paradossalmente, con la sua presenza a salvaguardare la laicità stessa della scuola, poiché l’esclusione radicale della dimensione religiosa della vita e del fenomeno religioso sarebbe puramente laicismo emarginante e quindi non democratico. Possiamo dire di essere passati da una “laicità escludente”, tipica dello stato liberale positivista, a una “laicità inglobante”, realizzatasi con la riforma Gentile, a una nuova “laicità dialogante”. A partire dalla netta separazione tra sfera pubblica e privata e in base alla convinzione che la religione è un fatto privato e tale deve rimanere la Sinistra (storica) al potere si mosse decisamente, con un insieme di circolari, decreti e regolamenti, per estromettere la religione dalla scuola pubblica: nel 1870 il ministro Correnti rendeva facoltativo l’IR nelle elementari; nel 1877 veniva abolito l’ufficio del Direttore spirituale, che curava l’IR nelle superiori, e la Legge Coppino, regolamentando l’obbligo scolastico dai 6 ai 9 anni, dimenticava di inserirlo nei programmi; nel 1883 l’IR veniva abolito nelle magistrali; nel 1904 con la nascita della scuola popolare (classi V e VI delle elementari) se ne escludeva del tutto l’IR; nel 1908 il Regolamento Rava ne riconfermava la facoltatività e lo abbandonava all’arbitrio dei Consigli comunali; subito dopo seguiva la mozione Bissolati alla Camera dei Deputati affinché venisse definitivamente abolito l’IR anche nelle elementari; anche se la mozione venne respinta la situazione restò nella sua ambiguità e nella reale difficoltà di espletare l’insegnamento nella scuola (basta pensare al Decreto Credaro del 1910 che prescriveva di tenere l’istruzione religiosa fuori dai locali e dagli orari scolastici e si proibiva ai Comuni di distribuire alle famiglie i moduli per farne richiesta per i propri figli) fino a quando si arrivò al compromesso politico con il Patto Gentiloni, voluto da Giolitti in cambio dei voti dei cattolici ai liberali moderati.
Con il cambiamento culturale provocato dall’idealismo la religione è entrata a pieno diritto nella scuola, non per la sua intrinseca identità, ma in quanto momento del divenire dialettico dello Spirito (arte, religione, filosofia) che si incarna nella Nazione. Su questa premessa si affermava la valenza culturale della religione come iniziazione alla comprensione elementare della realtà e di fondamento della formazione morale. Cosicché nella Riforma Gentile, non solo l’IR rientrava nella scuola elementare come fondamento e coronamento secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica (e quindi il catechismo che ne è lo strumento tipico), ma con il Concordato del 1929 di tutta l’istruzione pubblica. Oggi, forse siamo su una “via italiana” della laicità dialogante, lontana dal laicismo anticlericale o dalla strumentalizzazione ideologica, e intesa, non come indifferenza o addirittura negazione di ogni ruolo pubblico della religione, ma come garanzia dello Stato per salvaguardare la libertà di religione in un contesto di pluralismo religioso e culturale e di servizio nei confronti della centralità della persona in una scuola pubblica e democratica. Credo che ciò sia possibile perché non ci troviamo più di fronte a uno Stato giurisdizionalista, o confessionale o etico, ma ad uno Stato che si pone a servizio della persona e delle concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini; ci troviamo di fronte ad una scuola pubblica, luogo di cultura, che, educando in rete, vuole essere “scuola di tutti, per tutti e mediante tutti”; e siamo di fronte a un nuovo volto di Chiesa, aperta al mondo e impegnata nel dialogo sincero con la cultura/e e le religioni. Per cui lo Stato laico può riconoscere pieno diritto alle religioni di avere uno spazio pubblico e di stringere accordi su determinate materie in vista del bene comune. La sua neutralità e la sua autonomia consistono nel trovare i valori, i criteri e le norme con cui regolare la vita associata nelle tradizioni che sostanziano la sua Costituzione. Cosicché alla luce dei principi costituzionali di sussidiarietà, di equità e di solidarietà, insieme al rispetto della natura e delle finalità (Riforma 2003) della scuola pubblica, luogo autonomo (1999) di trasmissione/produzione della cultura e di educazione attraverso l’istruzione, ci può essere spazio per un IRC culturale, realizzato come un servizio offerto alla persona del cittadino per la sua formazione integrale; come strumento di socializzazione che permette di vivere consapevolmente il proprio contesto socioculturale; come strumento per acquisire competenze e valori utili alla vita democratica; come strumento di alfabetizzazione, di ricerca e di confronto critico alla realtà della religione cattolica e delle religioni.
Problemi aperti. La catechesi è prassi, realtà storica, un divenire che sente tutte le sollecitazioni della vita ed è chiamata ad accoglierne le sfide differenziandosi in una molteplicità di forme e di itinerari, alla luce delle scienze della formazione e di indirizzi teologici, adatti a guidare una nuova reinterpretazione (capace della prudenza dell’audacia) del vangelo incarnato nelle culture: anzitutto, la sfida dell’ideologia, che in quanto sistema di pensiero ordinato alla prassi coinvolge tutti, credenti e non, per cui la c. è servita da instrumentum regni, ha educato ad essere sottomessi convincendo della bontà dell’alleanza trono ed altare, ha insegnato la sopportazione passiva delle ingiustizie (anche uomini di grande spiritualità e di attenzione alle necessità degli uomini sono stati ciechi, per es. Las Casas che spese la vita per la libertà degli indios accettò la schiavitù dei neri, per poi farne ammenda alla fine della sua vita, o Valignano, fautore del “metodo soave” e dell’inculturazione del vangelo presso cinesi e giapponesi, non lo riteneva possibile presso gli altri popoli); ciò che rende l’ideologia un fatto negativo, poiché diventa falsa coscienza, è l’acriticità, l’unilateralità, la rigidità assolutista, la pretesa di definitività, tutti aspetti che possono essere combattuti nel seno stesso della catechesi con il discernimento, realizzato con il pensiero critico e la profezia che diventano dialogo, con la ragione e la fede, con la verità e l’amore; la sfida educativa posta dalle nuove generazioni in una società complessa e post-cristiana; la ricerca di una identità umana (dell’umanità dell’uomo) di fronte alle antropologie dell’oltre umano e/o del post-umano; la sterilità dell’iniziazione cristiana; la centralità formativa della parrocchia insieme alla famiglia nonostante i grandi limiti e la precarietà; la presa di coscienza che la catechesi non può essere più un fatto isolato, ma esige una comunità educante, una collaborazione in rete con tutti gli enti formativi e coinvolge necessariamente l’ambiente vitale dei soggetti, tentando di rileggere dal suo interno il vangelo; la necessità inattuale di realizzare una catechesi “lenta”, cioè capace dei tempi lunghi per favorire apprendimenti qualitativamente significativi (valori, relazioni personali, emozioni) nel rispetto dei ritmi individuali e dello sviluppo di una personalità cristiana armonica, intessuta di fede, speranza e carità; la necessità di riscoprire il linguaggio della fede come linguaggio di amicizia nei confronti di questo mondo amato da Dio e, quindi, la realizzazione di un vero dialogo profetico con gli uomini, le culture, le religioni, come espressione della carità-dono per la crescita di tutti verso la pienezza di umanità.
Fonti e Bibl. Essenziale
A. Amato – E. dal Covolo – A.M. Triacca, La catechesi al traguardo. Studi sul Catechismo della Chiesa Cattolica, Las, Roma 1997; C. Betti, Sapienza e timor di Dio. La religione a scuola nel nostro secolo, La Nuova Italia, Firenze 1992; G. Biancardi – E. Genre, Catechesi e catechismo nell’Italia unita, in Cristiani d’Italia, Chiese, società, stato, 1861-2011, Ist. Enciclopedia Ital., Roma 2011, 487-508; E. Buttturini, La Religione a scuola. Dall’unità ad oggi, Queriniana, Brescia 1987; S. Calabrese (ed), Catechesi e formazione, Ldc, Leumann 2004; M. Carminati, Un trentennio di storia della catechesi italiana (1900-1930). Lorenzo Pavanelli e Luigi Vigna e il “Catechismo in forma di vera scuola”, Ldc, Leumann1995; P. Ciardella – A. Montan (ed), Le scienze teologiche in Italia a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, Ldc, Leumann 2011; Franchini, Il rinnovamento della pastorale. Guida alla lettura della pastorale della CEI 1970-1991, Dehoniane, Bologna 1991; G. Gariselli, Dal catechismo di Pio X al catechismo dei fanciulli, EDB, Bologna 1983; U. Gianetto (ed), Catechismi italiani. Bibliografia generale 1970-1997, UPS, Roma 1998; L. Guglielmoni, Il Rinnovamento catechistico in Italia a 25 anni dal “Documento Base”, Ldc, Leumann 1995; D. Marin, I convegni e i congressi catechistici in Italia. Le idee e la prassi catechistica alla luce dei convegni e congressi catechistici nazionali e di alcuni diocesani dal dopoguerra ai nostri giorni, Ldc, Leumann 1995; G. Miccoli, In difesa della fede, Rizzoli, Milano 2007; F. Moog – J. Molinario (ed), La catechesi e il contenuto della fede, Ldc, Leumann 2012; L. Nordera, Il catechismo di Pio X. Per una storia della catechesi in Italia (1896-1916), Las, Roma 1988; E. Preziosi, Piccola storia di una grande associazione. L’Azione cattolica in Italia, AVE, Roma 2013; S. Riva, Il movimento catechistico italiano, dal Vaticano II al sinodo della catechesi, Dehoniane, Bologna 1977; Id., La pedagogia religiosa del novecento in Italia, Antonianum-La Scuola, Roma-Brescia 1972; G. RONZONI, Il progetto catechistico italiano. Identità e sviluppo dal Concilio Vaticano II agli anni ’90, Ldc, Torino 1997; G. Ruta, L’Annuncio di Cristo. Approccio storico al movimento catechistico italiano nel XX secolo, Ed. Oftes, Palermo 1992; Idem, Catechetica come scienza, ITST-Ldc, Messina-Torino 2010; SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC, Insegnamento della religione cattolica: il nuovo profilo, La Scuola, Brescia 2006; G. Ziviani -G. Barbon (ed), La catechesi a un nuovo bivio?, Messaggero, Padova 2010; G. Biancardi-U. Gianetto, Storia della catechesi. 4. Il movimento catechistico, LAS, Roma 2016.
È ormai opinione ampiamente accettata che la posizione intransigente prenda origine dalla reazione cattolica alla trasformazione politico-culturale conseguente alla Rivoluzione francese. Prima della Rivoluzione, infatti, esisteva una società ufficialmente cristiana e il peso della Chiesa nelle strutture della società civile era determinante; la Chiesa vide nelle vicende rivoluzionarie solo aspetti negativi, legati alla scristianizzazione e all’eversione dei principi tradizionali e fondamentali della convivenza, non riuscì a cogliere il senso profondo degli avvenimenti e preferì, invece che analizzare storicamente il fenomeno, rifugiarsi nella teoria del complotto. La conseguenza immediata fu la condanna della Rivoluzione e dei principi da essa proclamati, con l’inizio del contrasto tra Chiesa e mondo moderno che l’età della Restaurazione aveva l’intenzione di superare facendo riassumere al pontefice il ruolo di sovrano temporale e ricostruendo dalle fondamenta la società cristiana. Se il primo passo fu una “Santa Alleanza” dei sovrani e del pontefice in nome dell’Antico Regime, nuovi fermenti culturali, ispirati al romanticismo, favorirono, contro l’Illuminismo, la valorizzazione della parte irrazionale dell’animo, l’aspirazione al ritorno al Medioevo e, in definitiva, una rinascita religiosa, che riscoprì l’utilità sociale della religione, vista come unica possibilità di dare fondamento e contenuto ai concetti di dovere morale e comportamento politico. Tuttavia, le restaurate monarchie dovettero ben presto venire a patti con le borghesie e i princìpi proclamati dalla Rivoluzione; in particolare, la ripresa di politiche giurisdizionaliste e il crescente isolamento diplomatico, finirono con l’attestare saldamente la Santa Sede su una posizione di intransigentismo. Dopo l’età napoleonica appare evidente lo sforzo della cultura cattolica italiana a favorire un clima culturale tendente al ripristino di una mitizzata cristianità medievale, come risposta ai problemi della società contemporanea. Giovanni Marchetti, redattore del Giornale Ecclesiastico, in un’opera stampata nel 1817 (Della Chiesa quanto allo stato civile della città) sosteneva che solo gli ordinamenti civili che si lasciavano modellare dalla gerarchia e riconoscevano il pontefice come capo supremo, erano in grado di costruire una città perfetta. Similmente, nell’ambiente delle “Amicizie cristiane”, gruppi di laici di impronta conservatrice che si formano nei primi anni dell’Ottocento a Torino e a Firenze, si pensava che solo la restaurazione del supremo potere papale potesse favorire il ritorno ad una ordinata e pacifica convivenza. Quello che tuttavia sembra contraddistinguere la letteratura politica reazionaria in Italia, tesi già avanzata dal Salvatorelli e ribadita anche da Ettore Passerin d’Entrèves, è che essa nasce non tanto in contrasto con l’esperienza rivoluzionaria europea, ma con il diffondersi del pensiero liberale. Tale letteratura politica reazionaria contiene perciò anche una critica della stessa Restaurazione e ne forma anzi la parte più caratteristica (L. Salvatorelli, Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, Einaudi, Torino 1941, 191).
In tal senso, per esempio, è lecito ricordare il caso di Monaldo Leopardi, presentato dalla moderna letteratura più nelle vesti di conservatore che di reazionario, anche se alla base delle sue idee si deve collocare un fondamento fideistico che era soprattutto negazione del progresso e della modernità. Sullo stesso versante si può situare anche la parabola del religioso teatino p. Gioacchino Ventura, fondatore e direttore della tradizionalista Enciclopedia ecclesiastica e morale, scrittore politico nel segno di de Maistre e del primo Lamennais durante gli anni della Restaurazione, ispiratore delle linee politiche della prima fase del pontificato di Pio IX, poi sostenitore della causa liberal-nazionale e in contatto, nei mesi della Repubblica Romana, con Mazzini e con Garibaldi nel tentativo, non riuscito, di esercitare una funzione conciliatrice tra le parti in conflitto. L’entusiastica adesione al programma dell’ultramontanesimo è conseguenza della funzione che egli attribuisce alla religione come autentico impegno innovatore della società. E fu proprio su questo terreno che si maturò il distacco dalle posizioni degli ambienti ecclesiastico-politici della Restaurazione, che vedevano nell’ alleanza trono-altare, sostenuta dalla politica di Metternich, la vera e unica difesa nei confronti della rivoluzione. Una posizione che, secondo lo scrittore politico siciliano, finiva per favorire un’obbedienza passiva, che isteriliva il sentimento religioso e favoriva l’indifferenza nei confronti della vita pubblica. La Restaurazione, a suo avviso, non aveva fatto altro che impossessarsi del risultato della rivoluzione e quindi accogliere, per quanto riguardava l’organizzazione politica dello Stato, la sostanza della legislazione rivoluzionaria, in particolare un esasperato centralismo politico-sociale. Il motivo dominante del liberalismo e del costituzionalismo di Ventura sta proprio nella critica al centralismo politico-amministrativo, poiché la vera struttura portante dello Stato costituzionale risiedeva nella libera espressione delle forze operanti nella società civile. Il potere fondato unicamente sulla forza, sulla semplice costrizione, non poteva costituire uno stabile fondamento per i governi; “si può far tutto colle baionette, tranne sedervi sopra”, scrisse Ventura nell’opera Il potere politico cristiano (Milano 1858, pp. 506-507) che raccoglieva i discorsi pronunciati nella cappella imperiale delle Tuileries nel 1857. A partire dagli anni Venti, tuttavia, quella che è stata definita “l’ideologia della cristianità” (Menozzi, 47) sembra esercitare una reale capacità di egemonia culturale, in grado di promuovere anche nuove forme di pietà; dopo il 1815 la religiosità collettiva viene, infatti, risistemata nei suoi cardini: nel 1815 Pio VII istituisce la festa dei Sette Dolori, in ringraziamento a Maria per aver protetto la Chiesa durante le vicende della Rivoluzione e dell’Impero; nel 1832, Gregorio XVI rilancia il patrocinio di Maria, che definisce “sicurissimo baluardo”, “potentissima Ausiliatrice”, “debellatrice di tutte le eresie”, fino ad attribuirle la funzione di “assistere e proteggere il sommo pontefice e “proteggere e difendere Roma”.
La ricostruzione di una società teocratica diviene l’obiettivo che l’insieme dei cattolici dovevano tradurre in realtà ed emerge, nell’età della Restaurazione, un orientamento destinato in seguito ad affermarsi prepotentemente che vede il laicato cattolico in prima linea nel ripristinare l’autorità della Chiesa sulla società civile. Questo è il momento in cui l’insegnamento dei papi in materia politica e sociale fa proprio lo schema emerso negli ambienti tradizionalisti e lo propone a tutti i fedeli. Ormai era chiaro che l’opera politica fatta di scelte concrete nel gioco delle potenze europee non era più perseguibile e che la figura del papa non poteva più essere quella di un cancelliere di uno Stato europeo. Per un effetto solo all’apparenza paradossale proprio la drastica riduzione, tipica della contemporaneità, del ruolo politico della Chiesa, non poté dunque che spingere quest’ultima a politicizzare sempre più la sua azione, a contendere politicamente agli avversari ogni metro di terreno, a divenire anch’essa sempre più modernamente politica, cioè ideologica e sociale (E. Galli Della Loggia, Cristianesimo e modernità, in G.M.Vian (a cura di), Storia del Cristianesimo. Bilanci e questioni aperte, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006, pp. 68-91). Una tendenza che trovò qualche freno durante il pontificato di Pio VII soprattutto in virtù della politica del Segretario di Stato card. Ercole Consalvi più favorevole ad accordi con gli Stati che garantissero effettivi spazi di potere sociale alla chiesa. Tuttavia la sua linea di moderazione nei confronti dei governi europei non metteva in discussione la visione ecclesiologica che nella difesa del primato e nella funzione primaria di intervento nelle vicende politiche appare sostanzialmente simile a quella degli intransigenti. Quando nondimeno il gruppo degli “zelanti” riesce ad imporre Leone XII questi ridette vigore al “Giornale Ecclesiastico” di Roma, che venne a qualificarsi come l’organo della battaglia antigallicana e massimo veicolo della propaganda integralista tra i cattolici italiani ed europei. Diretto dal Ventura, che era allora anche docente di istituzioni di diritto ecclesiastico alla Sapienza, e irrobustito dalla penna polemica di Giovanni Marchetti, il giornale divenne strenuo difensore dell’accordo tra potere civile e autorità ecclesiastica, tipico dell’Antico Regime, individuando come unico rimedio ai disordini della società il riconoscimento dell’autorità politica del papato. Esso denunciava con forza i mali scaturiti dalla rivoluzione invitando i principi cristiani a tradurre in norme coercitive le condanne papali: un progetto analiticamente esposto prima nell’enciclica Ubi primum (1824) e poi nella Quo graviora (1825). Alla morte del papa, dopo il brevissimo pontificato del più moderato Pio VIII (1829-1830), gli “zelanti” ottennero un nuovo successo con l’elezione di Gregorio XVI, fautore di una decisa intransigenza dottrinale e politica.
D’altra parte la ripresa dei moti insurrezionali nel 1830, che non risparmiarono gli stessi possedimenti della Chiesa, i rivolgimenti nella tecnologia e nell’industria favorirono l’irrigidimento conservatore del nuovo pontefice. In questa prospettiva anche innovazioni innocenti ed utili erano guardate con diffidenza; è noto che Gregorio XVI non volle introdurre nel suo Stato le ferrovie e nemmeno l’illuminazione a gas, preoccupato forse, ha scritto p. Giacomo Martina, che esse potessero facilitare l’infiltrazione di idee liberali (Martina, p. 162). In effetti la preoccupazione che la diffusione delle idee liberali potesse mettere in discussione il potere temporale divenne preminente ed in tale ottica condannò risolutamente il sacerdote francese Félicité Robert de Lamennais (1782-1854) che, partito da posizioni intransigenti, si era convinto che la Restaurazione non avesse garantito la rinascita della società cristiana auspicando perciò una nuova alleanza tra Chiesa e popolo per una riconquista cattolica della società. Lamennais era convinto che il cattolicesimo dovesse accettare la sfida costituita dai principi liberali rinunciando a qualsiasi privilegio in cambio dell’effettiva libertà; una posizione che provocò la reazione negativa della gerarchia e del papato, che proprio in quell’epoca stava perseguendo una politica di incremento dei concordati con i governi restaurati in direzione opposta a quella indicata dal sacerdote francese. L’enciclica Mirari vos (1832) giunse a dichiarare che le libertà moderne non erano accettabili neppure come strumento, perché non si potevano mettere sullo stesso piano la verità cattolica e l’errore, riconoscendo per esempio la libertà di coscienza. Forti anche del magistero pontificio, alcuni intransigenti si spinsero a combattere risolutamente i fondamenti del nuovo ordine sociale giungendo a contrastare anche la diffusione dell’istruzione. Ne fecero le spese gli asili infantili, avviati nel 1828 dall’abate Ferrante Aporti, che rappresentavano invece un utile sostegno alle classi umili e che furono proibiti nello Stato Pontificio fino al 1847.
Alla luce di tutto questo il giudizio storico sull’intransigenza è stato assai negativo; sovente è mancata la necessaria distinzione tra gli intransigenti dell’età della Restaurazione, che mantengono ancora troppo viva la memoria della rivoluzione, e gli intransigenti della seconda metà del secolo, il cui pensiero e atteggiamento risultano oltremodo condizionati dal compimento del processo unitario, dalla resistenza alle leggi di laicizzazione, dalla difesa dei diritti della S. Sede e della gerarchia. Nel migliore dei casi si riconosce all’intransigentismo la solidità delle critiche rivolte a certe antinomie del liberalismo, oppure, in campo ecclesiologico, di aver favorito una centralizzazione in grado di rispondere meglio all’offensiva liberale ottocentesca; ma resta prevalente il giudizio di sterilità e di mancanza di senso storico e intuito politico (Martina, p. 188). In realtà il movimento, inteso non come sterile esaltazione della tradizione cattolica ma come confronto con le idee rivoluzionarie, mostra sviluppi importanti che in alcuni casi conducono fino alla possibilità di liberare la Chiesa dall’autorità dello Stato. Paradossalmente, più dei giansenisti, più dei cattolici democratici, alla fine furono gli intransigenti con il doppio irrigidimento – teologico e temporale – a favorire quella separazione tra sfera religiosa e sfera civile, strenuamente perseguita negli anni rivoluzionari. Insomma il cattolicesimo intransigente della prima metà dell’Ottocento, evidenziando l’intimo nesso fra religione e società, finì con il sottolineare con forza l’autonomia e l’indipendenza della stessa religione nei confronti del potere politico e del suo ordinamento e con ciò stesso alimentò una tradizione di pensiero politico capace di sollecitare un consapevole impegno di presenza culturale e politica nella società.
Fonti e Bibl. essenziale
G. Verucci, Per una storia del cattolicesimo intransigente in Italia dal 1815 al 1848, in “Rassegna Storica Toscana”, IV (1958), fasc. 3-4, 252-285; R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich. Il pontificato di Leone XII, Morcelliana, Brescia 1963; S. Fontana, La controrivoluzione cattolica in Italia (1820-1830), Morcelliana, Brescia 1968; E. Passerin d’Entrèves, I conservatori e i controrivoluzionari dalla Restaurazione all’Unità, in Bibliografia dell’età del Risorgimento in onore di A.M. Ghisalberti, vol. I, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1971; con l’aggiornamento di N. Raponi, I conservatori e i controrivoluzionari, in Bibliografia dell’età del Risorgimento 1970-2001, vol. I, Leo S. Olschki Editore, Firenze 2001, 263-280; G. Pignatelli, Aspetti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Roma 1974; G. Verucci, Chiesa e società nell’Italia della Restaurazione (1814-1830), Istituto Italiano per la Storia del Risorgimento, Roma 1974; G. Verucci, Félicité Lamennais: dal cattolicesimo autoritario al radicalismo democratico, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli 1975; M. Tesini, Gioacchino Ventura. La Chiesa nell’età delle rivoluzioni, Edizioni Studium, Roma 1988; E. Guccione (ed.), Gioacchino Ventura e il pensiero politico d’ispirazione cristiana dell’Ottocento. Atti del seminario internazionale, Erice, 6-9 ottobre 1988, 2 Voll., Leo S. Olschki Editore, Firenze 1991, in particolare il saggio di M. D’Addio, Gioacchino Ventura: dalla Restaurazione alla Rivoluzione, 1-37; N. Del Corno, Gli “scritti sani”. Dottrina e propaganda della reazione italiana dalla Restaurazione all’Unità, Franco Angeli, Milano 1992; D. Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Giulio Einaudi Editore, Torino 1993; G. Martina, Storia della Chiesa da Lutero ai nostri giorni, vol. 3, L’età del liberalismo, Morcelliana, Brescia 1998, in particolare 159-188; Ph. Boutry, Souverain et pontife: recherches prosopographiques sur la curie romaine à l’âge de la restauration: 1814-1846, École française de Rome, Rome 2002.
La corrente cattolica che si ispira a un netto e deciso rifiuto della modernità, in quanto identifica nel portato delle trasformazioni moderne la causa della rottura del tradizionale assetto di “cristianità”. In Italia, un aspetto specifico di questa polemica era la condanna del processo risorgimentale, in quanto la costruzione politica di uno Stato italiano unitario era giudicata come frutto di correnti anticlericali, laiciste e massoniche, il cui effetto era stato visto dominante in ultima analisi nell’irreversibile frattura con la Chiesa, sedimentatasi attorno alla “questione romana”. La mentalità intransigente affondava le sue radici in una serie di posizioni controriformistiche, anti-illuministe e anti-rivoluzionarie sviluppatesi da parecchi secoli, ma si codificò soprattutto nel corso dell’800. Il contributo di alcuni autori dell’età della Restaurazione venne poi sintetizzato e tradotto in una vera prospettiva collettiva e di massa nell’epoca post-unitaria.
Le origini del movimento cattolico e dell’associazionismo cattolico (v.) post-unitario furono ispirate in modo largamente maggioritario da questo tipo di mentalità. Il rifiuto dell’aggiunta di “aggettivi” al cattolicesimo (si aborriva soprattutto la formula “cattolicesimo liberale”), fu espressa nella “dichiarazione” letta dal conte Vito d’Ondes Reggio al primo congresso cattolico nazionale di Venezia nel 1874 e poi ribadita nei successivi congressi: “Il congresso è cattolico e nient’altro che cattolico. Imperocché il cattolicismo è dottrina compiuta, la grande dottrina del genere umano. Il cattolicismo non è liberale, non è tirannico, non è d’altra qualità; qualunque qualità vi si aggiunga, da per sé è un gravissimo errore…” (Primo congresso cattolico italiano tenutosi in Venezia dal 12 al 16 giugno 1874, Bologna 1874, vol. I, p. 43).
In questa visione rientrava non solo la polemica contro lo Stato. C’era una più ampia battaglia contro le dimensioni culturali della modernità: la laicità delle istituzioni, la libertà religiosa, l’indifferentismo morale, lo scientismo positivista. Non a caso, per fare un solo esempio, gli intransigenti continuarono a opporsi alla concessione dei pieni diritti civili alle minoranze non cattoliche (ebrei e protestanti). Fa parte di uno dei grandi paradossi della modernità, peraltro, il fatto che gli intransigenti cominciassero a sfruttare proprio gli spazi costitituzionalmente protetti della libertà di parola, di associazione, di stampa per avviare un progetto di contestazione radicale dell’ordine esistente. Quando nel 1876 a Bologna incidenti organizzati da militanti anticlericali indussero il prefetto a sciogliere il congresso cattolico, gli intransigenti aprirono una forte polemica contro il mancato rispetto della libertà.
Il primo problema degli intransigenti appariva quindi organizzare l’”Italia reale” contro l’”Italia legale”. Tutto ciò approfondiva il solco decisivo scavatosi tra la coscienza cattolica e le modalità concrete del costituirsi dell’Italia in Stato nazionale. La preoccupazione della classe dirigente liberale per questa deriva all’opposizione di una consistente organizzazione cattolica era evidente: i “neri” rischiavano di indebolire l’ordine pubblico quasi come i “rossi” sovversivi. Quando il movimento, negli anni ’80 e ’90, iniziò a organizzare crescenti strati popolari in nome di una istanza “sociale”, tali caratteri divennero ancora più pressanti. Giocava però a smorzare gli aspetti più battaglieri di questo indirizzo un altro elemento, che mitigava la contrapposizione politica ai “fatti compiuti”: la cultura della sostanziale sottomissione alle autorità costituite, che era un perno indiscusso della mentalità politica degli intransigenti, dato il lungo retaggio di un’interpretazione delle pagine paoline sul potere che insisteva fortemente sul carattere sostanzialmente divino e praticamente indiscutibile dell’autorità civile. Tale cultura ora impacciava e limitava gli intransigenti, proprio mentre organizzavano un’operazione politica sostanzialmente extra-costituzionale. C’era poi in questa stessa direzione una remora di ordine sociale: i primi dirigenti dell’Opera dei congressi erano sostanzialmente degli aristocratici o degli alti borghesi, che tendevano a ritenere l’ordine sociale un bene sostanzialmente da non discutere e quindi non immaginavano di dare contenuto rivoluzionari alla propria protesta anti-statuale.
Sul tronco delle posizioni intransigenti, venne via via a delinearsi una divisione di prospettive, che esplose dopo le repressioni del 1898. I dirigenti più anziani, della generazione del conte Paganuzzi, presidente dell’Opera, erano attestati su posizioni polemiche contro lo Stato, motivate sostanzialmente dalla “questione romana”. I più giovani organizzatori sociali, o coloro che verso la fine del secolo si cominciarono a chiamare “democratici cristiani”, sviluppavano l’intransigentismo in un’altra direzione: la polemica contro lo Stato era motivata soprattutto dalla necessità di appoggiare la spinta all’emancipazione delle masse popolari escluse e sfruttate. Le divergenze dovevano diventare insanabili, come si accorse Pio X, che nel 1904 fu costretto a sciogliere l’Opera. L’”equivoco politico-religioso” dell’intransigentismo veniva così al pettine: prendendo parte alle vicende del paese, finivano ingloriosamente le illusioni di poter evitare le scelte di tipo sociale e politico (cioè appunto di non “aggettivare” il proprio cristianesimo).
La cultura intransigente non spariva però affatto dalla scena dopo il fallimento di tale prima versione del movimento cattolico. Rimaneva anche lungo tutto il ‘900 come un fiume carsico, molto diffusa nel cuore della cristianità italiana, anche se non doveva più riuscire a esprimere una specifica e incisiva posizione culturale e politica. L’intransigentismo doveva ad esempio animare la polemica antimodernista del primo decennio del secolo. Doveva continuare a esprimere posizioni polemiche contro il cattolicesimo liberale e le esperienze democratiche. Minoranze intransigenti al tempo della prima guerra mondiale sostennero ad esempio la neutralità italiana per impedire la guerra alla cattolica Austria degli Asburgo. Il popolarismo fu avversato dagli intransigenti, che si scoprirono per certi versi filofascisti, almeno in quanto il fascismo combatteva l’odiato Stato liberale.
Occorre d’altronde specificare come l’intransigentismo radicale (che venne ad essere nominato anche “integrismo” ai tempi della lotta antimodernista), rimase circoscritto ad alcune riviste, alcuni circoli, alcuni ristretti ambienti ecclesiastici. Che in gran parte confluiranno nell’attiva minoranza anticonciliare all’epoca del Vaticano II. Anche a parte questi gruppi estremisti, la mentalità intransigente condizionò comunque ancora per decenni il corpo ecclesiale italiano. L’epoca “movimentista” avviata dai pontificati di Pio XI e Pio XII fu caratterizzata da una grande ondata di attività volte all’obiettivo di una riconquista cristiana della società di massa. Una parte di questo fervore era ormai animato da una prospettiva di prevalenza dell’interiorità, dall’ipotesi di una animazione dall’interno dei nuovi spazi sociali e civili, oltre che da una riflessione inedita sulla “qualità” della fede da far rivivere. Ma la gran parte di questo attivismo restava segnato da una prevalente mentalità intransigente di “rivincita” sulla modernità. L’utilizzo dei mezzi moderni era condotto fino a prospettive molto spregiudicate: si pensi ai mezzi di comunicazione, ai modelli organizzativi, ai rapporti verticistici e alle forme della mobilitazione del consenso. Ma senza alcuna intenzione di un rapporto critico e costruttivo con i portati della modernità.
Non è un caso che al momento della fondazione della repubblica e della democrazia, in cui una parte dei cattolici italiani forniva un contributo politico e ideale significativo, continuassero a esprimersi remore diffuse e critiche di altre componenti cattoliche verso il modello civile moderno e la stessa democrazia. Nella visione di una parte dello stesso movimento cattolico organizzato, la grande vittoria elettorale della Democrazia cristiana del 1948, fu interpretata come l’occasione per utilizzare finalmente il braccio politico per una ricristianizzazione del paese. L’idea di un governo a prevalente guida cattolica che tollerasse l’esistenza di stampa anticlericale o magari immorale, oppure conservasse agibilità ai nemici ideologici della religione, non era una prospettiva facilmente accettabile da parte degli epigoni dell’intransigentismo.
È stato osservato non senza ragione come proprio questa diffusa eredità intransigente spieghi una parte cospicua del disorientamento cattolico nell’epoca della secolarizzazione. Disabituati al discernimento e all’indagine critica, affidati a una prospettiva di massiccia fiducia nell’abitudine e nella tradizione, molti cattolici esposti alla crisi dei modelli tradizionali sono stati travolti e si sono trovati spesso a divenire – per contraccolpo – estremisti dell’assenso a qualsiasi proposta o ideologia che apparisse come il vero portato della modernità. L’acquisizione di una matura mentalità critica, nella logica presente ad esempio nell’approccio del Vaticano II, capace di sceverare il portato evangelico della rivoluzione moderna, mettendo in guardia dalla sua assolutizzazione o dalle sue forme di sacralizzazione di aspetti della vita umana, non è stata maggioritaria nel cattolicesimo italiano.
In quest’ottica, alcuni dei nuovi movimenti cattolici sorti o diffusisi nella seconda metà del ‘900 hanno rilanciato un’impostazione che è stata non a torto definita “neointransigente”. Di essa non fa più parte – salvo esempi marginali – una velleità di rivincita globale contro la modernità. Il sogno del ripristino della cristianità, che ancora correva fino al secondo dopoguerra in molti ambienti cattolici anche “centrali”, è stato abbandonato sotto i colpi della secolarizzazione. Al suo posto è emersa piuttosto l’ipotesi di organizzare in forme visibili minoranze religiose ispirate a una militanza forte e compatta, che si confrontino nello spazio civile con le altre minoranze, in nome dell’affermazione dei valori cristiani nella società.
Fonti e Bibl. essenziale
D. Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino 1993; A. Riccardi, Intransigenza e modernità. La Chiesa cattolica verso il terzo millennio, Bari-Roma 1996; D. Secco Suardo, I cattolici intransigenti. Studio di una ideologia e di una mentalità, Brescia 1962. M. Tagliaferri, L’Unità Cattolica. Studio di una mentalità, Roma 1993.