Autore: Domenico Rocciolo
Nel linguaggio religioso dell’Ottocento il termine pietà voleva dire intensa unione con Dio, dalla quale scaturivano l’amore per il prossimo e tutte le virtù cristiane. Essa non si identificava con la devozione, né era equivalente al concetto di spiritualità. Nutrita da una tradizione plurisecolare di manifestazioni di fede, si rinnovava all’interno di un esteso movimento di associazioni, di fondazioni religiose e di strutture ecclesiastiche, che raccogliendo la ricca eredità spirituale del passato, operava con appassionato dinamismo caritativo e un denso attivismo pastorale. Spiritualità e apostolato, vie della pietà, attingevano alla vita di preghiera, alla meditazione, alla comunione frequente e alle devozioni soprattutto eucaristica e mariana. L’impegno di testimonianza di fede profuso dalla Chiesa italiana sullo scorcio del secolo si esprimeva in un clima mosso da pressioni del mondo culturale laicista e dalla diffusione degli ideali anticlericali. All’indomani dell’Unità d’Italia, al processo di espansione capitalistica, che progressivamente si radicava nella Penisola trascinando con sé sacche di mali sociali profondi e altrettante miserie morali, molti uomini e donne di Chiesa opponevano esperienze forti di spiritualità e di carità, inducendo non pochi a definirle forme alte e modelli di pietà. Il termine pietà fletteva così verso il concetto di santità declinata come espressione di una vocazione evangelica fondata sull’orazione, sulla vita sacramentale, sulla devozione, ma anche sul conforto e sul sostegno dei più deboli, degli emarginati e dei sofferenti. Non vi erano inflessioni sentimentali di religiosità, ma riflessi profondi dell’intimo rapporto esistente tra Dio e gli uomini. Questa accezione del termine pietà veniva ripresa nel Novecento e diveniva cara allo storico lucano don Giuseppe De Luca, che documentava nei suoi studi come il mistero della pietà si rinnovasse sistematicamente nella relazione d’amore che univa l’uomo a Dio. Se alla fine dell’Ottocento gli ambienti cattolici saldavano il concetto di pietà alle battaglie ideologiche per difendere la Chiesa e legavano l’esperienza religiosa alla vita di una comunità, dove era possibile sperimentare la consolazione, la fraternità e la carità, nei primi decenni del secolo successivo faceva breccia una prospettiva più aperta e di più ampio respiro, per la quale la pietà appariva sganciata da ancoraggi istituzionali e si caratterizzava per la profondità della coscienza, dalla quale proveniva l’autentica testimonianza cristiana. In sostanza, l’esperienza religiosa dei credenti si distingueva per lo sforzo di essere testimoni della fede nella consapevolezza di dover vivere la contingenza temporale al fine di innestarvi la radice eterna. Nel rapporto bipolare tra intimità della coscienza e impegno di carità, si misurava la pietà, la quale poteva assumere accenti fortemente marcati dalle responsabilità verso i bisognosi. Nel 1943, di fronte agli orrori della guerra e ai dolorosi gemiti delle popolazioni, Pio XII rivolgeva al mondo cristiano «un grido di invocazione di aiuto e di pietà». Solo la conoscenza del Padre celeste e l’offerta di conforto e di aiuto potevano sanare le ferite inferte dalle terribili devastazioni in corso.
Il Concilio Vaticano II riproponeva l’esercizio della fede, della speranza e della carità e la propensione alla santità in una prospettiva di rinvigorimento dell’attività missionaria e dell’apostolato. Nel frattempo, cultori di storia, teologia, sociologia, psicologia e antropologia culturale, manifestavano un crescente interesse per la religione popolare. La storiografia tardo ottocentesca aveva proposto il recupero delle memorie locali in un’ottica di storia patria, ma anche aveva contribuito a svalutare la pietà popolare ritenendola un groviglio di superstizioni, un’espressione minima dello spirito, un relitto di tempi tramontati. Il Concilio ribaltava questo giudizio e apriva la strada ad un profondo ripensamento sulla religione popolare. In particolare, a proposito del culto della Beata Vergine, esortava i fedeli ad avere in grande stima le pratiche e gli esercizi di pietà, raccomandati costantemente dal magistero nel corso dei secoli, restando consapevoli che la vera devozione non consisteva in uno sterile e passeggero sentimentalismo, né in una vana credulità, bensì procedeva dalla fede autentica, dalla quale si era portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio. Sulla base di questi fondamenti, la Chiesa prendeva maggiormente in considerazione il fenomeno della religione popolare e liberandola dalle modulazioni antropologiche e sociologiche tipiche della cultura coeva, la riproponeva come preziosa forma di pietà, che purificata, interiorizzata, maturata e vissuta quotidianamente nel rapporto con Dio, era capace di evangelizzare e di curare le piaghe della sofferenza, sia esteriore che interiore. La distanza tra i termini religiosità popolare e pietà popolare veniva pressoché annullata, laddove entrambe erano considerate espressioni di fede adulta e esternazioni del senso profondo del divino.
Nel 1975, con l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, Paolo VI invitava la Chiesa a guardare con favore alle forme particolari della ricerca di Dio e della fede manifestate dal popolo. Per lungo tempo le espressioni della fede popolare erano state considerate contaminate dal profano e talvolta erano state disprezzate, ma era il momento di riscoprirle e di valorizzarle. Il Papa apprezzava la pietà dei semplici e dei poveri, che se ben orientata mediante un’adeguata pedagogia di evangelizzazione, era ricca di valori e generava atteggiamenti spirituali autentici. Per questa ragione la definiva pietà popolare, nel senso di religione del popolo, piuttosto che religiosità. Il Papa confermava la linea di pensiero che aveva già enunciato nel 1967 con l’esortazione apostolica Signum Magnum e nel 1974 con la Marialis Cultus, ambedue dedicate alla pietà mariana. Soprattutto con quest’ultima aveva sostenuto che le devozioni erano una preziosa ricchezza per la Chiesa e che bisognasse rinnovarle, depurandole degli elementi caduchi per dar valore a quelli perenni, incorporando i dati dottrinali acquisiti dalla riflessione teologica e proposti dal magistero ecclesiastico. Alle Conferenze episcopali, alle Chiese locali, alle famiglie religiose e alle comunità dei fedeli, rivolgeva l’invito a generare una genuina attività creatrice e a procedere ad una revisione degli esercizi di pietà verso la Beatissima Vergine. Alcuni anni più tardi, nel 1979, anche Giovanni Paolo II interveniva sull’argomento e parlava della pietà popolare come espressione non di un sentimento vago e carente di solida base dottrinale, ma come rivelazione dell’anima di un popolo, in quanto toccata dalla grazia e forgiata dall’incontro tra l’opera di evangelizzazione e la cultura locale. Guidata, sostenuta e se necessario purificata dall’azione dei pastori ed esercitata ogni giorno, questa forma di pietà apparteneva ai poveri e ai semplici, i quali, prediletti da Dio, traducevano nei loro atteggiamenti umani il mistero della fede che avevano ricevuto. Pochi anni più tardi il Codice di diritto canonico statuiva che nei santuari si offrissero i mezzi della salvezza annunziando la parola di Dio, incrementando la vita liturgica e coltivando le forme sane della fede popolare. Nel 1992, il Catechismo della Chiesa cattolica definiva le forme di pietà popolare radicate nelle diverse culture, circa le quali pur vigilando per illuminarle con la luce della fede, la Chiesa le favoriva, perché esprimevano un istinto evangelico e una saggezza umana e arricchivano la vita cristiana. Quindi, nel 2002, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti pubblicava un Direttorio su pietà popolare e liturgia, nel quale qualificava la pietà popolare come forma e manifestazione cultuale di carattere privato o comunitario, che nell’ambito della fede cristiana si esprimeva con i moduli della liturgia, ma con le peculiarità derivanti dal genio e dalla cultura di un popolo. Considerata un vero tesoro spirituale della Chiesa, la pietà popolare era congiunta alla liturgia e mostrava pienamente la sete di Dio che solo i semplici e i poveri potevano conoscere, rendeva capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo e comportava non solo il senso della paternità, della provvidenza e della presenza amorosa e costante di Dio, ma l’insorgere di genuini atteggiamenti interiori come la pazienza, il senso della croce, il distacco dai beni materiali, l’apertura agli altri e la devozione. I sinodi diocesani raccoglievano le istruzioni della Congregazione e ascoltate le relazioni delle commissioni liturgiche e della pietà popolare, intervenivano per accrescere e regolare le manifestazioni di fede del popolo legate all’anno liturgico.
Nel 2007, il Santo Padre Benedetto XVI, con l’esortazione apostolica Sacramentum Caritatis, interveniva su un aspetto centrale della pietà del popolo di Dio, raccomandando ai pastori della Chiesa e ai fedeli di vivere intensamente l’adorazione eucaristica: una consuetudine di preghiera e di raccoglimento, che si aggiungeva ad altre forme di venerazione del SS.mo Sacramento, quali la processione del Corpus Domini, le Quarant’ore e i congressi eucaristici locali, nazionali e internazionali.
Fonti e Bibl. essenziale
Discorsi e radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. V, Città del Vaticano, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1955, 160; G. De Luca, Introduzione alla storia della pietà, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1962; I documenti del Concilio Vaticano II, Roma, Edizioni Paoline, 1966, 142-144; S.S. Paolo VI, Encicliche e discorsi, vol. XXVI, Alba, Edizioni Paoline, 1976, 651-652; Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. II, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1979, 293-294; G. De Rosa, La religione popolare. Storia, teologia, pastorale, Roma, Edizioni Paoline, 1981; Codice di diritto canonico. Testo ufficiale e versione italiana, Roma, Unione Editori Cattolici Italiani, 1983, can. 1234 § 1; Catechismo della Chiesa cattolica, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1992, n. 1679, 429; A. Prosperi, Storia della pietà, oggi, in «Archivio italiano per la storia della pietà», IX (1996) 3-29; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2002, 21; Insegnamenti di Benedetto XVI, III, 1-2007, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2008, 292-375.