Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa

Dizionario Storico Tematico La Chiesa in Italia
Dalle origini all'Unità Nazionale
Roma 2015
Copyright © 2015

Satira - vol. I


Autore: Paolo Poli

La satira è un genere letterario che, servendosi del paradosso e della giustapposizione umoristica, tende a criticare, mettendo in ridicolo, un gruppo sociale (o una singola persona) sulla base dell’incoerenza tra la sua condotta effettiva e l’ideale che si propone di perseguire. Da un punto di vista etimologico il termine deriva dal latino satura lanx, piatto ricolmo (satur) di cibo di vario genere che nell’antichità veniva dato in offerta a Cerere e Bacco: proprio per la particolare eterogeneità dei suoi contenuti il termine si rivela appropriato per gli autori che vanno man mano delineando questo genere letterario. La satira si delinea sempre più a partire da autori classici latini quali Varrone, Orazio, Persio, Giovenale, Marziale, Seneca e Petronio [Fig. 1]. La satira può avere varie forme di rappresentazione: dal poema vero e proprio al breve componimento, dall’aforisma alla riproduzione grafica. Inoltre, elementi satirici possono essere presenti in racconti, romanzi, opere teatrali e immagini che non presentano caratteristiche esclusivamente satiriche.

Fig. 1 – T. COUTURE, I romani durante la decadenza dell’impero, 1847, Museo d’Orsay, Parigi. L’illustrazione mette in evidenza i vizi degli antichi romani, riassunti nella decadenza generale dei costumi: questa, secondo l’accusa già lanciata dagli scrittori satirici, fu la causa della caduta dell’impero.

Nel campo specifico della storia della chiesa si possono ritrovare due livelli di satira: il primo, indubbiamente minoritario, che ha come autori uomini di chiesa che vogliono difendere i principi e i diritti della propria istituzione denigrando gli avversari anche attraverso questo mezzo; il secondo, quello più diffuso, che, al contrario, fa degli uomini di chiesa e dei loro comportamenti l’oggetto del proprio scherno.

Dal Tardo-Antico all’Alto Medioevo

La cristianizzazione dell’Europa, e quindi anche dell’Italia, fu un processo graduale e diversificato a seconda delle situazioni: vi furono, pertanto, sacche di resistenza al cristianesimo che persistettero per secoli in seno alla cristianità. Questo fatto si realizzava specialmente nel caso delle conversioni di massa; è il caso, piuttosto frequente, di nuovi popoli che si affacciavano sulla scena europea e aderivano alla nuova religione in seguito all’attività evangelizzatrice di un missionario (o di un gruppo di missionari) che puntava alla conversione del capo per ottenere quella di tutto il clan.

Pertanto, l’adesione di larghe porzioni della popolazione al cristianesimo era sancita, in questi casi, dal battesimo e da un’istruzione dottrinale più o meno sommaria. Questo fenomeno determinava la permanenza di tradizioni e usanze pagane quando non, addirittura, di vere e proprie contestazioni alla nuova religione attraverso attacchi fisici e verbali al clero e ai fedeli laici. Soprattutto nelle campagne, ampie fasce della popolazione restavano legate al culto della terra o a quello di determinati alberi e fonti [FIG. 2]. Da un punto di vista letterario, queste forme di contrasto al cristianesimo non arrivavano mai ad una forma espressiva esplicita; in questo caso si ha notizia di ciò in maniera indiretta, quasi in controluce, attraverso le stesse agiografie dei santi o i racconti delle loro gesta o del culto tributato ad essi. Queste testimonianze, infatti, riportano sovente episodi in cui, assieme alle gesta del santo evangelizzatore, ai suoi miracoli, alle sue reliquie e alle celebrazioni a lui connesse, emergono in chiaroscuro personaggi che rifiutano di credere alle reliquie, di rinunciare al proprio lavoro nel giorno della festa del santo, di prestar fede all’autenticità dei suoi miracoli e lo irridono, schernendolo in maniera più o meno velata; oggetto di irrisione è, inoltre, la creduloneria della gente verso tali fenomeni. Pur non ritrovandosi, in questo periodo, un genere letterario specifico o vicino alla satira, tuttavia è utile tenere presente questo milieu paganeggiante o sincretista che accompagna in maniera alternativa il processo dell’instaurazione del cristianesimo in Europa.FIG. 2 – GIOVANNI D’ALEMAGNA, Sant’Apollonia distrugge un idolo pagano, 1442-1445 circa, National Gallery of Art, Washington. L’immagine vuole rappresentare la fase dell’antichità e della tardo – antichità in cui il cristianesimo si impose al mondo pagano anche attraverso atti di forza. L’episodio raffigurato in quest’opera riguarda una martire del III secolo; tuttavia, è noto che anche in Europa i missionari (tra cui ricordiamo in particolare San Martino di Tours) non esitarono ad utilizzare metodi radicali nell’estinzione del paganesimo: ciò comportò nondimeno la prosecuzione di una certa resistenza al cristianesimo. Questa arrivò a manifestazioni di dissenso: talune nascoste (riti pagani), talaltre meno (organizzazione di sette o gruppi para-ecclesiali, perseguiti poi dalla chiesa come eretici).

Tra Basso Medioevo e Umanesimo

Prima di scendere nel concreto occorre precisare, alla luce dell’universalismo medievale, che fino all’epoca moderna è difficile parlare di un pensiero o di una cultura nazionale (come nel caso dell’Italia): conviene, pertanto, inquadrare il contesto europeo per cogliere nello specifico la sensibilità italiana. Dall’XI secolo la chiesa si strutturò sempre più gerarchicamente e indipendentemente rispetto all’impero grazie a  quei  passaggi  storici  generalmente  noti  come “riforma gregoriana” e “lotta per le investiture”. In Europa, con l’assestamento e la conversione degli ultimi popoli provenienti da nord-est quali i normanni e gli ungari, si instaurò sempre più un regime di christianitas che segnò in maniera decisiva tutti gli aspetti della vita sociale del tempo. In questo clima di rinnovamento e di fervore nacquero, a partire dall’XI secolo e a non molti decenni di distanza tra loro, grandi movimenti spirituali, filosofici, teologici e artistici: i nuovi ordini monastici (tra i più potenti ricordiamo i certosini e cistercensi, nonché il già attivo ordine cluniacense in seno alla grande famiglia benedettina), i grandi ordini mendicanti, le universitates studiorum, il sistema di pensiero della Scolastica, gli originali stili architettonici quali il romanico e il gotico. Non mancarono in questo frangente storico le contestazioni, anche radicali, a tutto ciò: si trattava di eretici, catari, albigesi e valdesi.

Tuttavia, anche in seno alla società cristiana sorsero movimenti di contestazione che, pur rimanendo nell’alveo della piena ecclesialità, si fecero interpreti di un sentimento diffuso, ovvero lo sdegno verso un clero corrotto e avvertito come inadeguato alla propria missione: trovandosi in una posizione socialmente e culturalmente egemonica, il clero visse spesso la tentazione di una condotta di vita rilassata, tendente più alla conservazione dei propri privilegi che non alla realizzazione della propria missione ecclesiale. In genere, come già accennato, per tutto il Medioevo la satira fu un genere letterario assai diffuso e presente in maniera più o meno esplicita dal nord al sud dell’Europa; per quanto riguarda l’Italia, che di seguito esamineremo approfonditamente, occorre tenere presente come questo genere fosse ben presente in maniera più o meno esplicita negli autori che rappresentano il vertice della cultura medievale italiana e che al tempo stesso anticipano già le novità del Rinascimento, quali Dante e Petrarca: nei loro scritti il genere letterario satirico è sempre molto diffuso. Per quanto riguarda nello specifico il Basso Medioevo, è possibile riscontrare una suddivisione del genere letterario satirico in due strati. Il primo è quello che vede la contrapposizione tra le diverse famiglie religiose che rivendicano, l’una a dispetto dell’altra, l’autenticità della propria opera di riforma. Il secondo strato di satira è quello che si registra tra quegli scrittori (quasi sempre laici) che irridono le contraddizioni tra la predicazione e lo stile di vita degli uomini di chiesa, talvolta al fine di sollecitarne la correzione, talvolta per irriderli. Alcuni esempi del primo filone, quello della tensione fra ordini religiosi (e tra questi e il clero secolare) possono essere riscontrati nella predicazione e negli scritti, talora a tratti veementi, di San Pier Damiani (che scrisse il Liber Gomorrhianus) e San Bernardo di Chiaravalle nonché nelle omelie di Sant’Antonio di Padova, che stigmatizza con forza l’attaccamento del clero ai beni mondani. Un altro francescano, Gilberto di Tournay, compose la Collectio de scandalis ecclesiae, proposta al Concilio di Lione del 1274: essa passa in rassegna una serie di problematiche connesse alla decadenza morale e disciplinare della vita religiosa del suo tempo. Se oltralpe durante il Basso Medioevo si sviluppa un vero e proprio genere letterario satirico esplicito e dai toni sferzanti o grotteschi contro le incoerenze del clero in genere – basti citare poemi o scritti quali l’Ynsegrimus, la Metamorphosis Goliae, il Discipulis Goliae de grisis Monachis, sino al De nugis curialium di Walter Map e al Roman de Renart sino ai Carmina Burana [FIG. 3] – in Italia tale genere sarà relativamente moderato e spesso localizzato nella predicazione dei religiosi, che avevano come scopo quello di voler scuotere l’uditorio. Tale genere di critica certamente è riscontrabile nei già citati Pier Damiani e Antonio di Padova ed arriva fino a San Bernardino da Siena. È bene precisare che in questi autori ecclesiastici non si può parlare di satira vera e propria in quanto nei loro sermoni e nelle loro opere mancava, di fatto, l’intento di suscitare il riso nei propri uditori. Tuttavia, è bene che siano ricordati in questa sede poiché i toni dei loro discorsi erano forti, ovvero ricchi di pathos e di verve, e l’intento di condannare ogni tipo di abuso da parte del clero era risoluto.

FIG. 3 Renart la volpe, prima metà del XV secolo, Rettoria della Chiesa della Santa Croce, Byfield, Northamptonshire. Tipico esempio di satira bassomedievale del Nord Europa, il Roman de Renart, cui fa riferimento quest’opera, racconta un mondo alla rovescia dove i protagonisti sono animali che, rivestendo diversi ruoli umani, irridono le varie classi della società del tempo.

Il secondo filone satirico, oltre ai testi di satira già accennati per il nord Europa, ha bisogno di essere contestualizzato all’interno del mutamento di orizzonte socio-religioso verificatosi nella penisola nel corso del XIV secolo. Tale processo ha i propri albori nella riscoperta dell’umanità di Cristo (dovuta ai pellegrinaggi e alle crociate in Terra Santa), nella ripresa della predicazione e della pratica religiosa ad opera di francescani e domenicani (per svilupparsi ulteriormente con la devotio moderna proveniente da oltralpe). Questo relativo antropocentrismo, sempre e comunque religioso almeno ai suoi inizi, innescò, unitamente alla scoperta degli autori classici dell’antichità, lo sviluppo di quel movimento culturale che sfocerà nell’Umanesimo. Ciò comportò un cambiamento anche per la letteratura satirica: si passa, come già accennato, da una critica “costruttiva” che, per quanto forte, era sempre finalizzata ad emendare le incoerenze della classe clericale, ad un’altra più ilare, disincantata e atta a suscitare il riso del lettore. Questa tendenza venne intrapresa e sviluppata in Italia da un vero e proprio campione della satira: Giovanni Boccaccio. Questi, con il suo Decameron, porta alla ribalta un originale genere letterario: quello della novellistica [Fig. 4]. Egli opera una vera svolta nella storia della satira: da un punto di vista letterario, le novelle sono semplici storie inventate ma che, al tempo stesso, mantengono sempre un fondo di verosimiglianza con la realtà del tempo; da un punto di vista contenutistico vengono stigmatizzati con sagacia e ironia (non senza arrivare a sfiorare il tono grottesco) i principali difetti del clero e dei fedeli dell’epoca (specie l’avarizia, la lussuria e la creduloneria). Infine, l’obiettivo delle novelle è quello di ridicolizzare quella credenza religiosa che è vicina alla superstizione; egli personalmente non ha niente contro la dottrina e la gerarchia cattolica. L’autore toscano intende farsi portatore di un nuovo modello di vita, fondamentalmente razionale e borghese, che si lascia alle spalle la creduloneria medievale.

FIG. 4 – L. SABATELLI (1772-1850), La peste di Firenze nel 1348, incisione nell’edizione del Decameron da lui data alle stampe. Per Boccaccio la morte e la desolazione, rappresentate come conseguenze della peste, erano in realtà mali profondi della società del suo tempo, diffusi a tutti i livelli: la decadenza esteriore è quasi manifestazione della decadenza morale, interiore.

Sulla stessa linea del Boccaccio si collocano Franco Sacchetti (Trecentonovelle), Giovanni Sercambi (Novelle), Gentile Sermini (Novelle) e Masuccio Salernitano (Novellino). Durante il XV secolo, nel pieno sviluppo dell’Umanesimo, si trovano scritti critici e pungenti non più solamente contro l’ipocrisia del clero (come ad esempio il Contra Hypocritas di Poggio Bracciolini), ma anche, quale critica ben più appropriata al nuovo contesto rinascimentale, contro l’ignoranza e la pressappocaggine dei contenuti nella predicazione del clero: in quest’ambito troviamo Coluccio Salutati (De seculo et religione) e Andrea Alciati (Contra vitam monasticam ad Bernardum Mattium epistola).

I fermenti del XVI secolo, la Riforma e la Controriforma

Con il XVI secolo cambia radicalmente il contesto spirituale ed ecclesiale in Europa: si passa dall’unità della christianitas alla frammentazione confessionale ed, infine, alle guerre di religione. In ambito culturale-letterario avviene un decisivo mutamento da una letteratura critica contro le inadempienze del clero (ma al tempo stesso animata da una morale almeno idealmente autentica e ancora fiduciosa in un possibile cambiamento) ad una letteratura che lascia trasparire tutto il disincanto e l’amarezza per una riforma mancata della chiesa. Già i germi di questa svolta sono rintracciabili in Italia con i pungenti scritti di Lorenzo Valla, soprattutto nella critica verso i religiosi (che sarà un vero cavallo di battaglia della Riforma) del De professione religiosorum. Oltralpe ci penserà Erasmo a denunciare in maniera originale i rischi in cui potevano cadere i religiosi del tempo nel celebre Encomium moriae.

Con il consumarsi dello scisma luterano in Italia la letteratura satirica si sviluppò in una duplice direzione. Da una parte si trova quella del mondo protestante (oltralpe) e della cultura popolare (soprattutto a Roma) che insiste sulla condanna dei vizi degli ecclesiastici e della creduloneria del popolo [Figg. 5 e 6]; in questo contesto fa la sua apparizione nell’Urbe l’originale stile delle Pasquinate: queste rappresentavano una modalità di espressione libera e pubblica ed erano indirizzate particolarmente contro la gerarchia ecclesiastica e il papato. Dall’altra parte si sviluppò sempre più un movimento di difesa della dottrina cattolica tradizionale anche attraverso scritti e raffigurazioni dai toni decisamente anti-luterani [Fig. 7].

FIG. 5 – LUCAS CRANACH IL GIOVANE, La vera religione di Cristo e la falsa dottrina dell’Anticristo, 1546. Dittico molto eloquente che raffigura, nella metà di sinistra, la dottrina protestante che si basa sui due soli sacramenti del battesimo e dell’eucaristia mentre, nella metà di destra, la dottrina cattolica con un grande disordine dove, tra le altre cose, le indulgenze vengono vendute a caro prezzo e il frate che predica è consigliato dal diavolo.

FIG. 6 – LUCAS CRANACH IL VECCHIO, Il papa asino a Roma, acquaforte, Wittenberg, 1523. L’illustrazione riprende una figura mostruosa già nota in Roma alla fine del ‘400 che rappresenta il papa in sembianze animalesche; sullo sfondo vi sono due simboli dell’oppressione papale: la fortezza di Castel Sant’Angelo e le carceri di Tor di Nona.

FIG. 7 Lutero compie il patto con il demonio, acquaforte.  La Riforma è rappresentata satiricamente come il patto che Lutero stringe con il demonio sulla stessa Bibbia.

Riguardo al primo filone sono da segnalare alcuni autori principali, tra cui Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca: questi adottò lo stile e fece propri gli argomenti di Boccaccio, soprattutto nella collezione di novelle Le Cene del 1549. Altro autore attivo a tutto tondo in Italia nella prima metà del XVI secolo fu Pietro Aretino: il suo stile satirico, così mordace e pungente, lo ha fatto ritenere addirittura l’inventore delle Pasquinate. Egli, piuttosto, trovò questo movimento già avviato, lo adottò e lo portò a sviluppi notevoli, specie nel suo testo Pasquinate del Conclave. Il secolo XVI secolo fu caratterizzato in Italia da un fervore letterario certamente stimolato dai grandi sconvolgimenti religiosi, ecclesiali e politici di cui la penisola fu teatro: in questo contesto si stagliano le maggiori figure letterarie dell’epoca quali Cesare Caporali e Francesco Berni, oltre al già citato Aretino. Questi rispecchiarono nei loro componimenti l’inquietudine di quel tempo e, anche se non ebbero direttamente a che fare con la satira anti-ecclesiastica, sicuramente alimentarono quel clima di insofferenza, di sfida e di critica aperta verso ogni autorità costituita.

Dal XVII secolo all’Unità Nazionale

Tra Sei e Settecento in ambito italiano il tenore della satira andò di pari passo con il mutare del contesto socio-politico: esso era caratterizzato da divisione e continue lotte intestine nella penisola tra piccoli staterelli che spesso avevano alle spalle le potenze europee. La faziosità, la cortigianeria, il carrierismo e la corruzione era la regola della classe dirigente di allora. In questa situazione la satira ampliò il raggio della propria attenzione dall’ambito religioso, squisito appannaggio di una società dominata dalle gerarchie ecclesiastiche, a quello civile, politico e delle arti. Pertanto, ad essere presa di mira non fu soltanto la doppia morale dei religiosi incoerenti ma anche la vanità dei nobili, l’incapacità dei governanti, la spregiudicatezza dei mercanti, la falsità dei cortigiani, i capricci delle dame e la superbia degli artisti. Questi grandi temi si trovano, infatti, ove più ove meno, negli autori di satire del tempo, tra cui vanno ricordati senz’altro Salvatore Rosa, Benedetto Menzini e Lodovico Adimari con le rispettive Satire. Nel corso del XVIII secolo tale genere letterario si sviluppò sempre più e si specificò come “Satira del costume”: Il giorno di Giuseppe Parini e le potenti Satire di Vittorio Alfieri fecero scuola in tal senso.

Nel contesto europeo, dopo le grandi guerre di religione e a partire dal nuovo movimento illuminista, soprattutto in Francia, gli autori satirici (tra tutti basti ricordare Moliere e Voltaire) passarono dal contestare la chiesa in virtù della sua mancata coerenza con i propri ideali al mettere in dubbio la stessa natura della chiesa e, di conseguenza, il suo ruolo nella società: in un contesto razionalista la chiesa veniva vista sempre più come una forza conservatrice contraria alle istanze della modernità [FIG. 8].

FIG. 8 – Un’illustrazione satirica ottocentesca raffigura un chierico che vuole fermare il treno con le sue forze; il titolo è eloquente: il “progresso” è rappresentato dal treno guidato da una figura femminile, mentre il “regresso” è personificato dal prete stesso.

Infine, nel corso del XIX secolo in Italia andava sempre più crescendo, soprattutto tra le classi colte e istruite, un sentimento nazionalista unitario: in esso, accanto alla corrente romantica, ve n’era un’altra anti-clericale o, se non altro, anti-papale [FIG. 9]. In quest’ambito vanno ricordati i popolari Sonetti romaneschi di Giuseppe Gioachino Belli nella Roma del papa re, l’aspro componimento Il papato di Prete Pero di Giuseppe Giusti e i Giambi ed Epodi di Giosuè Carducci.

FIG. 9 – Tale illustrazione raffigura polemicamente la presa di Roma da parte del Regno d’Italia: i chierici rappresenterebbero le nuove “oche” che fuggono dal Campidoglio.

Fonti e Bibl. essenziale

L. ADIMARI, Satire, Roger, Amsterdam 1716; V. ALFIERI, Satire, G. FENOCCHIO (ed.), Mimesis, Milano 2017; G. G. BELLI, I sonetti romaneschi di G. G. Belli, L. MORANDI (ed.), Lapi, Città di Castello 1886- 1889 (6 voll.); G. BOCCACCIO, Decameron, C. Segre (ed.), Mursia, Milano 1970; P. BRACCIOLINI, Contra hypocritas, D. CANFORA (ed.), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2008; G. CARDUCCI, Giambi ed epodi, Zanichelli, Bologna 1959; Carmina Burana, P. ROSSI (ed.), Bompiani, Milano 1989; ERASMO DA ROTTERDAM, Elogio della Follia, E. GARIN (ed.), Serra e Riva Editori, Milano 1984; G. GIUSTI, Versi editi ed inediti, Le Monnier, Firenze 1852; A. F. GRAZZINI (IL LASCA), Le cene, R. BRUSCAGLI (ed.), Salerno Editrice, Roma 1976; Il romanzo di Renart la volpe, M. BONAFIN (ed.), Edizioni dell’Orso, Alessandria 1998; J. MANN (ed.), Ysengrimus. Text with translation, commentary and introduction, Brill, Leiden 1987; G. MAPES, De nugis curialium distinctiones quinque, T. WRIGHT (ed.), Camden Society, Londra 1850; B. MENZINI, Le Satire, Berna, 1786; G. PARINI, Il Giorno – Le Odi, G. NICOLETTI (ed.), Rizzoli, Milano 2011; Pasquinate di P. Aretino e anonime per il Conclave e l’elezione di Adriano VI, V. Rossi (ed.), Palermo-Torino 1891; PETRUS DAMIANUS, Opusculum septimum. Liber Gomorrhianus. Ad Leonem IX Romanum Pontificem, in Patrologia Latina CXXXXV, 159-190; S. ROSA, Satire, D. ROMEI (ed.), Milano, Mursia 1995; F. SACCHETTI, Il Trecentonovelle, D. PUCCINI (ed.), Einaudi, Torino 2008; M. SALERNITANO, Il Novellino, A. MAURO (ed.), Laterza, Bari 1940; C. SALUTATI, Colucii Salutati De seculo et religione ex codicibus manuscriptis primum, B. L. ULLMAN (ed.), Olschki, Firenze 1957; G. SERCAMBI, Il Novelliere, L. ROSSI (ed.), Salerno, Roma 1974; G. SERMINI, Novelle, M. MARCHI (ed.), ETS, Pisa 2012; L. VALLA, De professione religiosorum, M. CORTESI (ed.), Antenore, Roma 1986.

Studi

A. ASOR ROSA, Decameron di Giovanni Boccaccio, in ID. (ed.), Letteratura italiana. Le Opere, Volume I, Dalle Origini al Cinquecento, Einaudi, Torino 1992, 473-591; M. BACHTIN, L’opera di Rabelais e la cultura popolare: riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 2001; J. BADA, Il clericalismo e l’anticlericalismo, Jaca Book, Milano 1998; F. BARBIERATO, Politici e ateisti. Percorsi della miscredenza a Venezia fra Sei e Settecento, Unicopli, Milano 2006; H. BLOCH, La rinascita pagana in Occidente alla fine del secolo IV, in A. MOMIGLIANO (ed.), Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, Einaudi, Torino 1975; S. BOESCH GAJANO – M. MODICA (ed.), Miracoli. Dai segni alla storia. Viella, Roma 1999; C. BOTTERO, Appunti per una storia della letteratura antimonastica e antifrancescana con particolare attenzione alla satira (sec. XI-XVI), in «Convivium assisiense» X/2 (2008) 47- 124; C. CASAGRANDE – S. VECCHIO, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo, Einaudi, Torino 2000; P. GOLINELLI, Il Medioevo degli increduli. Miscredenti, beffatori, anticlericali, Mursia, Milano 2009; R. L. GUIDI, Il dibattito sull’uomo nel Quattrocento. Indagini e dibattiti, Tiellemedia, Roma 1999; M. HODGART, La satira, Il Saggiatore, Milano 1969; J. MANN, La poesia satirica e goliardica, in G. CAVALLO, C. LEONARDI, E. MENESTÒ (edd.), Lo Spazio letterario del Medioevo, Volume I, La produzione del testo, Tomo II, Salerno, Roma 1993, 73-109; G. MINOIS, Storia del riso e della derisione, Dedalo, Bari 2004; F. MOSETTI CESARETTO (ed.), Il riso. Capacità di ridere e pratica del riso nelle civiltà medievali, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2005; O. NICCOLI, Rinascimento anticlericale: infamia, propaganda e satira in Italia tra Quattro e Cinquecento, Laterza, Roma-Bari 2005; R. RUSCONI, Predicazione e vita religiosa nella società italiana, Loescher, Torino 1981; Satira, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Istituto Giovanni Treccani, Roma 1936, XXX, 903-905; N. TERZAGHI, Per la storia della satira, D’Anna, Firenze 1976; W. WETHERBEE (ed.), The Metamorphosis Goliae Episcopi. A revised edition, translation, and notes, in The Journal of Medieval Latin 27/2017, Brepols, 41-67.

LEMMARIO