Anticlericalismo – vol. I

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    Autore: Antonio Trampus

    L’espressione anticlericalismo indica generalmente un complesso di idee e di atteggiamenti opposti polemicamente alle posizioni del clero cattolico espresse attraverso il clericalismo e il confessionalismo. L’aggettivo anticlericale, nel senso proprio di chi è ostile al clero, inizia a comparire nella lingua italiana alla metà del XIX secolo, divenendo poi di uso più comune negli anni sessanta e ottanta attraverso periodici come L’anticlericale. Giornale settimanale pubblicato dalla lega popolare anticlericale di Milano (1883) e il saggio di C. Lupano, La gran questione del nostro secolo: clericalismo e anticlericalismo (1889). In questo contesto il clericalismo era identificato nel governo temporale della Chiesa in Italia e l’anticlericalismo, quindi, rappresentava la sintesi delle posizioni di coloro che combattevano questo potere e si battevano per l’unità d’Italia attraverso la scomparsa dello Stato pontificio e con Roma capitale.

    In senso più ampio, l’espressione anticlericalismo nella cultura contemporanea italiana ha finito per indicare retrospettivamente ogni atteggiamento critico nei confronti del clero cattolico e ogni sua tendenza a estendere la sua influenza nell’ambito della società civile e dello Stato, sin dal tardo Medioevo e dalla prima età moderna. Vi vengono riassunte, quindi, tutte le tendenze razionaliste confluite nella cultura libertina di fine Seicento e in quella illuministica del Settecento. Emblematico e precorritore delle idee anticlericali appaiono, in questo senso, gli orientamenti deisti da chi, come Voltaire, sosteneva la necessità di un credo morale, di una religione naturale e di una concezione di Dio che rifiutava tanto le Chiese organizzate, quanto il loro arbitrio sui temi della superstizione e della tolleranza nonché la corruzione e la cupidigia dell’ordine sacerdotale di Antico Regime. Si tratta di atteggiamenti presenti anche in una parte della cultura illuministica italiana e in particolare negli scritti di Carlantonio Pilati e nei suoi atteggiamenti, vicini al panteismo, espressi in Di una riforma d’Italia, ossia dei mezzi di riformare i più cattivi costumi e le più perniciose leggi d’Italia (1767), ove si rinviene un intero capitolo dedicato alla necessità di impedire al clero di abusare del suo potere a danno dello Stato e dei suoi cittadini.

    Un diverso tipo di anticlericalismo è stato poi individuato storiograficamente nelle posizioni di quanti, in età moderna e dall’interno della Chiesa cattolica, si fecero portatori di esigenze di rinnovamento e di riforma che riportassero il cristianesimo ai suoi valori originari, recuperando i caratteri di umiltà e di carità propri del ministero ecclesiale e rivendicando l’immagine di una Chiesa semplice e povera, come sostenuto anche dai giansenisti.

    Le origini politiche dell’anticlericalismo risalgono invece alla rivoluzione francese, quando per la prima volta venne costruito un ordinamento statale laico, divenuto nell’Ottocento un modello per quanti si trovarono a combattere l’alleanza fra il trono e l’altare e la coalizione militare rappresentata dalla Santa Alleanza.

    In questo contesto l’anticlericalismo incontrò le istanze del laicismo e divenne strumento di lotta politica anche attraverso l’esperienza della Carboneria e della massoneria, soprattutto dopo la vicenda della Repubblica romana del 1848-49 e il rafforzamento dell’opposizione antipapale. Nel Regno di Sardegna, nell’agosto 1848, venne soppresso l’ordine dei Gesuiti e tutti i collegi vennero destinati ad usi militari, con una decisione ben presto imitata da altri Stati italiani

    Posizioni anticlericali e antitemporaliste si ritrovano in scrittori come Giovanni Battista Niccolini, Francesco Domenico Guerrazzi e Giuseppe La Farina e nella dimensione filosofica e spirituale di Giuseppe Mazzini. Con le leggi Siccardi (1850, 1855) vennero poi aboliti i privilegi del clero nel Regno di Sardegna, tra cui il foro ecclesiastico, il diritto di asilo e la manomorta fino a che, nel 1855, si giunse su iniziativa di Cavour all’abolizione di tutti gli ordini religiosi privi di utilità sociale e al conferimento dei loro beni nella Cassa ecclesiastica. Le cosiddette leggi eversive degli anni 1866-1867 stabilirono infine incameramento nel Demanio dello Stato di tutti i beni appartenenti agli enti soppressi, fra cui le congregazioni religiose, e la soppressione di tutti gli enti secolari ritenuti superflui per la vita religiosa con eccezione dei seminari, delle cattedrali, delle parrocchie e dei canonicati.

    Con la questione romana l’anticlericalismo divenne un orientamento condiviso da differenti correnti politiche, sia liberali e moderate, sia democratiche, incrociando anche istanze provenienti dalla massoneria. In particolare, la polemica venne assumendo caratteri di radicalità concentrandosi sul potere temporale dei papi, sul clero regolare (specie i Gesuiti, ricostituiti con la Restaurazione) e sul controllo della scuola da parte del clero, almeno fino alla promulgazione delle leggi volute dalla Destra storica. Si tratta di atteggiamenti ripresi e resi popolari anche da Giuseppe Garibaldi attraverso le sue invocazioni a “liberare l’Italia dalla piaga dei preti” e dalla curia vaticana considerata il “governo di Satana”. Si comprendono perciò anche le posizioni assunte dalla massoneria italiana, attraversi il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, che nel 1886 poteva considerare il clericalismo come “destituito dal nerbo principale delle sue forze” e ormai finito “nell’agonia”.

    L’anticlericalismo trovò poi significativo spazio nel movimento fascista delle origini e venne sostenuto da esponenti della cultura futurista tra cui Filippo Tommaso Marinetti che all’adunata nazionale dei fasci a Firenze del 9 ottobre 1919 auspicò lo “svaticanamento d’Italia”. Si tratta di posizioni sostanzialmente abbondante dal partito fascista in coincidenza con le trattative che portarono alla nascita dei Patti lateranensi (1929). Nel secondo dopoguerra l’anticlericalismo nella vita politica italiana venne espresso attraverso il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista e, soprattutto, attraverso il Partito radicale sorto nel 1955 con l’obiettivo principale di promuovere la laicità dello Stato italiano e una revisione dei Patti Lateranensi in accordo, dal 1973, con la Lega italiana per l’abrogazione del Concordato (LIAC). In questo quadro, e come parziale successo degli orientamenti anticlericali, viene posta anche la revisione dei Patti Lateranensi, avvenuta nel 1984, che ha portato ad abbondare la concezione del cattolicesimo come religione di Stato e ha reso facoltativo l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.

    Fonti e Bibl. essenziale

    S. Pivato, Clericalismo e laicismo nella cultura popolare italiana, Milano 1990; F. Traniello, Clericalismo e laicismo nell’età contemporanea (1977), in Id., Città dell’uomo. Cattolici, partito e Stato nella storia d’Italia, Bologna 1990, 15-48; G. Miccoli, Leone XIII e la massoneria, in G.M. Cazzaniga – ed., Storia d’Italia. Annali 21. La Massoneria, Einaudi, Torino 2006, 193-243; A. Di Fant, Alcune considerazioni su polemica antiebraica e polemica anticlericale alla fine dell’Ottocento, in F. Ferrari – ed., Studi in onore di Giovanni Miccoli, Edizioni dell’Università di Trieste, Trieste 2004, 329-345; M. Casella, Anticlericali in Italia 1944-1947, il Mulino, Bologna 2009.


    LEMMARIO