Anticlericalismo – vol. II

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    Autore: Belluomini Flavio

     

    Il termine “anticlericalismo” è espressione di un fenomeno tipico dell’epoca contemporanea. Infatti, se attività anticlericali – cioè un agire contro clero – precedono questa epoca, esse non devono essere confuse con l’anticlericalismo che si sviluppa nel contesto dello Stato laico.

    Analizzare le circostanze in cui sorge la parola “anticlericalismo” permette di comprendere le caratteristiche di quella realtà, sviluppatasi nel XIX secolo, di cui il lemma è espressione. Nel 1848, in Francia, i sostenitori della repubblica cominciarono ad usare l’aggettivo “clericale”, che fino ad allora designava chi apparteneva al clero distinguendolo dal laico, per indicare chi sosteneva la monarchia confessionale. L’aggettivo “clericale” fu sostantivato intorno agli anni ’60, facendo sì che il suo uso influisse sulla parola “laico” che, dal significare chi non era chierico, iniziò ad indicare chi assumeva un atteggiamento di autonomia dalla Chiesa o addirittura di ostilità verso di essa. Le parole “clericale” e “laico” subirono così un mutamento semantico, ricevendo una connotazione politica. In tale contesto, l’anticlericale era colui che, in contrapposizione al clericale, difendeva in modo deciso e polemico lo Stato laico. I termini “clericalismo” e “anticlericalismo” iniziarono ad esistere verso la fine degli anni ’60, indicando nella forma astratta la suddetta dimensione politico-polemica, nel contesto del II Impero francese.

    La parola “clericale” fu utilizzata in Italia col suddetto significato nel Piemonte preunitario. Dal 1860 e nel successivo quindicennio, ossia nei primi anni del Regno d’Italia, troviamo il suo impiego nell’ambito politico. Su questa scia di progressivo utilizzo politico del termine “clericale”, lentamente si sarebbero affermati i termini “anticlericale” e la forma astratta “anticlericalismo”, già in uso in Francia.

    Da quanto detto, ci accorgiamo che il lemma esprime la lotta per la laicità dello Stato che, sulla base dei principi della Rivoluzione francese, rivendicava la sua aconfessionalità e il conseguente separatismo. L’anticlericalismo, durante la storia del nostro paese, si espresse con idee, atteggiamenti e scelte giuridiche ostili alla Chiesa gerarchica e ai suoi tentativi d’influire sullo Stato, giungendo, in certi casi, a voler eliminare lo stesso sentimento religioso. Tale avversità dall’ambito politico si sarebbe riverberata in quello sociale, col sottrarre alla Chiesa servizi di utilità pubblica e culturale, volendo creare una mentalità laica. Il lemma quindi contiene in sé un atteggiamento di scontro con tutto quello che, in modo reale o presunto, è ritenuto il nemico principale dello Stato laico e cioè il clericalismo.

    Vista la complessità e trasversalità dell’anticlericalismo è necessario prendere in considerazione alcuni esempi del suo esprimersi nella storia italiana.

    Nei primi anni dell’Italia unita, i rapporti della classe dirigente con la Chiesa furono dominati dalla “questione romana”. La politica del governo italiano, pur prevedendo il separatismo, cercò di mantenere una linea conciliatorista, ritenuta utile anche per lo Stato. In questi primi anni solo una minoranza propose leggi decisamente ostili alla Chiesa, come quella di una costituzione civile del clero, presentata il 27 gennaio 1864, che però non fu nemmeno ammessa alla lettura nella Camera dei deputati. Dello spirito di questo periodo sono espressione scritti polemici contro la gerarchia cattolica, come Il Papato, l’Impero e il Regno d’Italia di Francesco Liverani e periodici del taglio dell’Emancipatore cattolico che insistono sulla rinuncia al potere temporale e ai privilegi ecclesiastici, presentati per altro come motivo di impedimento per una reformatio Ecclesiae. È un anticlericalismo religioso che rivendica la libertà di azione dello Stato, ma ammette la religione e non nega il suo influsso benefico sulla società. Da questo si distingue un anticlericalismo minoritario di ispirazione razionalistica, legato a Giuseppe Ferrari e Ausonio Franchi, che però darà i suoi frutti successivamente, quando le sue proposte confluiranno nelle società dei liberi pensatori.

    La situazione sarebbe però peggiorata per motivi dottrinali e politici. L’8 dicembre 1864 l’emanazione del Sillabo da parte di Pio IX riaffermò il valore e la necessità del potere temporale, il rifiuto del separatismo e la netta negazione della libertà di coscienza. Di fronte a tale atto magisteriale si registrò un irrigidimento dei liberali e alcuni cattolici moderati si spostarono verso il liberalismo. La guerra del 1866, pur comportando per l’Italia l’annessione del Veneto, rivelò la debolezza del giovane Stato italiano. Il bisogno di consolidamento interno e il timore di un clero reazionario condussero il governo ad azioni più determinate. Un esempio di tale irrigidimento è offerto dalla legge del 17 maggio 1866, sul domicilio coatto, applicata con durezza negli anni successivi nei confronti dei cattolici e del clero, quando questi erano ritenuti presunti sostenitori dei regimi preunitari.

    Un contributo allo spirito anticlericale lo dette la massoneria che, con il Grande Oriente d’Italia costituitosi nel 1859, riuscì a stabilire un coordinamento tra i vari gruppi della penisola. Alla massoneria aderirono uomini di cultura e uomini politici. Questo fece sì che i massoni incidessero nella vita politica italiana, contribuendo alla nascita di associazioni anticlericali e influenzando la formulazione di leggi avverse alla Chiesa.

    A metà degli anni ’60, nella classe borghese, si diffuse una mentalità razionalistica, grazie a gruppi, iniziative e periodici. Tra questi ultimi, Il Libero pensiero e Il Libero pensatore, pur esprimendo posizioni spesso alternative al governo, avevano nel loro programma la lotta alla religione e alla Chiesa, ritenute nemiche della ragione. In questo caso un anticlericalismo di matrice razionalistica propugnava un’avversione ad ogni religione rivelata, conducendo ad una visione nettamente atea. Questa non toccava solo la sfera politica, ma si estendeva anche a quella culturale, presentando la religione come un male in sé da debellare come tale.

    Nel decennio che va dal 1866 al 1876 – il periodo della Destra storica – si manifestò un sentimento anticlericale che venne a formularsi nella durezza delle leggi. Il 7 luglio 1866 furono soppressi gli ordini religiosi e il 15 agosto 1867 si procedette all’incameramento dei beni ecclesiastici. Nel 1869 fu stabilito che gli ecclesiastici partecipassero alla leva militare, successivamente, nel 1873, vennero abolite le facoltà di teologia delle università statali.

    Lo scontro tra il papato sostenuto dai clericali, da una parte, e il governo e gli anticlericali, dall’altra, fu alto e non venne a mutare con la celebrazione del Concilio Vaticano I. Nel concilio, iniziato l’8 dicembre 1869, fu ribadita la posizione del Sillabo di fronte alla società moderna e riaffermato l’assolutismo papale, fino a giungere alla proclamazione dell’infallibilità pontificia. Oltre a manifestare contro gli ecclesiastici che si recavano al concilio, le varie forze anticlericali, tra cui le società di libero pensiero, organizzarono un anti-concilio a Napoli con l’intento di celebrare la ragione e la libertà. Il Vaticano I si interruppe per la presa di Roma da parte dell’esercito italiano il 20 settembre 1870. La fine dello Stato Pontificio per l’opera delle truppe del Regno d’Italia – dichiarato dal papa «illegittimo e usurpatore» – approfondì il solco tra i cattolici e liberali. La frattura venne ad aumentare con il non expedit del 1874 che proibiva la partecipazione dei cattolici alla vita politica del nuovo Stato italiano.

    L’anticlericalismo avrebbe continuato ad intervenire nella compagine del governo dopo l’avvento al potere della Sinistra Storica nel 1876. Alla formulazione di alcune leggi che risentivano dello spirito anticlericale, si aggiunsero manifestazioni esteriori con la partecipazione o il tacito assenso di esponenti del governo.

    Riguardo alla legislazione del periodo della Sinistra, sono da evidenziare la legge Coppino sulla scuola e la legge sulle opere pie. La prima del 1877 stabiliva obbligatorietà e gratuità della scuola, ma interveniva anche abolendo la figura del padre spirituale e proponendo l’insegnamento di una morale laica. L’insegnamento religioso, a cui la legge non faceva cenno, era implicitamente soppresso nelle scuole secondarie, mentre nelle primarie restava facoltativo. Questa situazione creò confusione nell’applicazione della legge, dando occasione di contrasti tra clericali e anticlericali. La laicizzazione delle opere pie nel 1890 sottrasse alla Chiesa un ulteriore ambito di intervento aumentando i dissapori. Ad allargare la tensione si aggiungeva l’azione delle logge massoniche per sobillare l’opinione pubblica e ottenere la possibilità della legalizzazione del divorzio che però trovò un freno nell’Opera dei Congressi e nel sentimento del popolo ancora legato alla visione cattolica della famiglia.

    Manifestazioni anticlericali potevano avvenire in occasione di feste religiose in modo pesante e blasfemo. Emblematico fu nel luglio 1881, l’attacco da parte di gruppi anticlericali alle spoglie mortali di Pio IX che dalla basilica vaticana veniva traslato, per espressa volontà del pontefice defunto, al Verano.

    L’immagine plastica dell’anticlericalismo anticattolico e antipapale di codesto periodo è il monumento a Giordano Bruno, ideato dal Gran Maestro della massoneria ed eretto il l9 giugno 1889 a Roma, a Campo dei Fiori. Sventolando due bandiere con l’effige del demonio, cantando inni a Garibaldi, l’inno di Mameli e la Marsigliese, in sprezzo al pontefice e alla religione ritenuta nemica della libertà e del progresso, veniva esaltato il nome di Crispi che guidava il governo. Proprio sotto il governo di Francesco Crispi nel venticinquesimo anniversario della “breccia di Porta Pia”, su richiesta di movimenti laico-massonici, il 20 settembre divenne festa nazionale.

    L’attività degli anticlericali, anche grazie al coinvolgimento della classe dirigente, pareva aver raggiunto il suo apice. L’affermarsi del socialismo, che in Italia divenne partito politico nel 1892, poneva però sulla scena un nuovo soggetto che avrebbe ridimensionato il vecchio anticlericalismo politico e ne avrebbe fatto sorgere un altro non meno incisivo.

    Tramite i propri giornali, L’Avanti e Critica sociale, i socialisti offrivano proposte sociali a vantaggio dei lavoratori e criticavano la classe dirigente. Gli uomini di Stato erano contestati perché ritenuti responsabili della tragica situazione del proletariato. Il timore che scaturiva da tali critiche portò i liberali a prendere in seria considerazione l’avanzata socialista e a modificare il loro atteggiamento nei confronti della Chiesa e del Vaticano. L’irruzione sulla scena politica del socialismo attenuò l’anticlericalismo dei liberali. Ma anche il socialismo era pervaso da idee anticlericali e, in questo caso, esse erano di impianto decisamente ateo. Critica sociale sosteneva che la religione doveva essere considerata come un fatto privato. La religione e la Chiesa non dovevano incidere sulla società e avrebbero trovato la loro conclusione naturale grazie al progresso, alla scienza e alla nuova condizione economico sociale dei lavoratori. La Chiesa poi era presentata come alleata dei ricchi e il messaggio cristiano, basato sulla speranza ultraterrena, era mostrato come un mezzo della classe privilegiata per mantenere i poveri in stato di soggezione. Da tale visione ne derivava il disprezzo per la religione cristiana in sé e un’accesa critica alle iniziative sociali dei cattolici. La critica dei socialisti si rendeva particolarmente aspra nei confronti del magistero papale e l’enciclica sociale Rerum Novarum, promulgata da Leone XIII nel 1891, fu presentata come una concessione di qualche diritto al lavoratore nel vecchio stile paternalistico. La stampa socialista contribuì sicuramente a far entrare l’anticlericalismo nella sfera della vita quotidiana dei militanti socialisti e quindi anche della classe bassa della società. Accanto all’impegno a vantaggio del mondo del lavoro, la scuola laica diventava uno degli obiettivi del socialismo. Essa doveva essere liberata dall’influsso della Chiesa e da ogni dogmatismo.

    Come abbiamo visto, il socialismo, percepito come un nemico comune, contribuì a promuovere un processo di ravvicinamento tra liberali e cattolici. In conseguenza, questi ultimi ripresero ad essere presenti sulla scena politica. L’enciclica Il fermo proposito, emanata da papa Pio X nel 1904, permetteva infatti delle eccezioni al non expedit e il “patto Gentiloni” del 1913 portava un’attiva presenza dei cattolici in parlamento. Quello però che avrebbe condotto a un più concreto riavvicinamento fu lo scoppio della prima guerra mondiale. Le avversità del periodo bellico dettero motivo al popolo italiano di unirsi, venendo a rafforzare l’ideale di patria anche in ambito cattolico. Il sostegno morale verso i soldati al fronte e verso le loro famiglie da parte del clero durante il periodo bellico e la dichiarazione di Benedetto XV sull’«inutile strage» posero la Chiesa e il papato in un legame più stretto con la nazione e ne fecero crescere il prestigio a livello internazionale.

    Dopo la Grande Guerra, il sentimento anticlericale, pur presentandosi nelle componenti tradizionali del socialismo e manifestandosi nei Fasci di Combattimento e nei Futuristi che avevano sostenuto dal 1918 la legge sul divorzio e la piena laicizzazione della scuola, non riuscì a prevalere. Il timore di una propagazione a Occidente del comunismo fece percepire la Chiesa come garante dei valori tradizionali e della coesione sociale, portando l’anticlericalismo a ridursi. A questa distensione contribuì, a partire dal 1919, l’azione del Partito Popolare che, pur muovendosi nel solco della dottrina della Chiesa, si presentava svincolato da una visione confessionale, facendo della vita nazionale il centro della sua azione. La mancanza di coesione interna nel Partito Popolare, oltre alla proibizione che questo ricevette dal Vaticano di allearsi con i socialisti, fece sì che il partito non reggesse il confronto col fascismo che in quegli anni si stava affermando. Si aprì così la strada al regime totalitario e in esso si giunse ai Patti Lateranensi del 1929 che permisero la conciliazione tra il Regno d’Italia e la Santa Sede. La suddetta conciliazione non segnò comunque la fine dell’anticlericalismo che si espresse nel movimento fascista in modo più o meno esplicito. Già dopo la firma dei Patti Lateranensi, Benito Mussolini, nei discorsi fatti alle camere, sostenne che la Chiesa aveva libertà perché offertale dallo Stato. La visione fascista prevedeva un monopolio sulle coscienze che partiva dall’educazione nelle scuole e nelle associazioni giovanili. Nel 1931 il duce stabilì lo scioglimento e la perquisizione delle associazioni giovanili cattoliche, cui fece eco l’accesa protesta di Pio XI con l’enciclica Non abbiamo bisogno. In essa il pontefice denunciava le pretese totalitarie dello stato fascista, ribadendo i diritti naturali della famiglia e quelli soprannaturali della Chiesa nell’educazione.

    In questo clima di una riconciliazione piena di contrasti, si giunse alla II guerra mondiale. Durante la guerra, la Chiesa e il papa dettero prova di vicinanza nei confronti del popolo italiano, soprattutto nel periodo che seguì il 25 luglio 1943. Il Vaticano non riconobbe la Repubblica di Salò e molti cattolici, tra cui esponenti del clero, parteciparono alla liberazione d’Italia. Alla fine della guerra, le critiche rivolte al Vaticano in relazione al legame con il fascismo, riferite soprattutto ai Patti Lateranensi, non trovarono un ampio terreno. Tra cattolici e laici si stabilì invece un rapporto che avrebbe posto le basi per superare la vecchia visione anticlericale e per costruire l’Italia del dopoguerra. Se nell’Ottocento e nei primi del Novecento i cattolici erano percepiti come l’ostacolo per la tenuta dell’unità italiana, ora, vista la loro maggioranza in parlamento, essi erano i protagonisti dell’Italia che stava rinascendo dopo il lungo periodo bellico. Il voto sull’art. 7 della Costituzione, cui aderì anche il PCI, sancì la sconfitta degli anticlericali e ne evidenziò la marginalità. Proprio questa situazione di forte presenza dei cattolici in parlamento portava però alcuni gruppi politici a riprendere le armi dell’anticlericalismo per il timore delle interferenze vaticane, soprattutto tramite la DC, nella costruzione dell’Italia, ormai divenuta una repubblica. Le forze anticlericali si espressero attraverso periodici come Don Basilio, Il Mercante e Il Pollo. Quest’ultimo vide il direttore socialista Ruggero Maccari condannato a due anni di carcere per offesa alla religione e al clero e per pubblicazioni ritenute oscene. Tali giornali furono interpreti e, nello stesso tempo, fomentatori di un anticlericalismo che, tra il 1946 e il 1947, si manifestò anche con la nascita di circoli ed associazioni. Le pubblicazioni anticlericali, come quelle altrettanto pungenti della parte clericale – tra cui il giornale satirico Il Rabarbaro – contribuirono all’affermarsi di opinioni differenti sulla vita politica e sociale nella nuova realtà democratica.

    Forti polemiche anticlericali si riaccesero poi quando la Chiesa, con un decreto del Sant’Uffizio del 1949, condannò con la scomunica l’ideologia comunista e chiunque votasse candidati comunisti o sostenesse il PCI. Anche in questo caso si contestò l’ingerenza vaticana, visto che, stando al decreto, solo i partiti e candidati che garantivano la difesa della Chiesa e il suo insegnamento nella sfera privata e pubblica potevano essere votati.

    A partire dal 1949, il settimanale Il Mondo, che vedeva tra i fondatori e primo direttore Mario Pannunzio, spingeva per un avvicinamento dell’Italia alle democrazie più evolute, biasimando contemporaneamente l’incidenza clericale e il totalitarismo comunista. La Chiesa era presentata come una delle principali cause dell’arretratezza in cui si trovava l’Italia. Il Mondo insieme a L’Espresso, divennero veicolo per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica per una cultura laica. Ai periodici si aggiunsero alcune iniziative, come i convegni degli Amici de Il Mondo. Nel giugno 1950, su Il Ponte, Piero Calamandrei parlò di «Repubblica pontificia», denunciando l’ingerenza clericale del Vaticano nelle scelte politiche tramite la DC.

    La nascita del Partito Radicale segnò un’ulteriore tappa. Con le proposte di Ernesto Rossi, il partito fece dell’anticlericalismo una delle realtà principali della sua azione negli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta. Rossi scrisse sui suddetti giornali d’ispirazione laica e promosse la pubblicazione della collana Stato e Chiesa, di cui uscirono quindici volumi negli anni 1957-1962. Dopo la crisi interna del 1962, il Partito Radicale vide come figura di riferimento Marco Pannella che mirò a promuovere le riforme laiche che non erano state possibili, né nell’Italia liberale, né nel periodo repubblicano.

    Negli anni tra il 1962 e 1965, la Chiesa cattolica celebrò il Concilio Vaticano II. L’assemblea ecumenica assunse un atteggiamento di dialogo con il mondo, facendo emergere la necessità di una inculturazione del dato rivelato nella contemporaneità. I temi della partecipazione attiva dei fedeli al culto e alla vita della Chiesa e della libertà religiosa avrebbero influito sulla Chiesa e sul suo porsi in rapporto con il mondo moderno, disarmando alcune frange dell’anticlericalismo. Dai documenti conciliari emergeva una Chiesa intesa come «mistero» e come «popolo di Dio», modificando l’impostazione bellarminiana di Ecclesia societas perfecta, intesa come alternativa allo Stato, giunta fino al codice di diritto canonico del 1917. Per inciso, è opportuno notare che nei documenti conciliari si usarono i sostantivi laico e chierico, come pure l’aggettivo clericale nella forma originaria. Ne deriva che l’insistenza nella Chiesa postconciliare, fino ai nostri giorni, sul protagonismo dei laici e sulla necessità di una Chiesa meno clericale non ha a che fare con l’anticlericalismo: in questo caso si può piuttosto parlare di declericalizzazione, cioè di un fatto interno alla Chiesa stessa.

    Quello che restava come motivo di scontro e di cui si fecero interpreti soprattutto i Radicali erano i temi inerenti alla famiglia, alla biogenetica, alla scuola. Questi, ancora una volta, chiamavano in causa la rivendicazione della laicità dello Stato di fronte alla Chiesa che desiderava continuare ad incidere sulle coscienze e in certi casi sulle stesse istituzioni per sostenere la sua dottrina.

    Insieme ad alcuni socialisti, nel 1965, il partito radicale promosse la Lega italiana per il divorzio e, nel 1967, proclamando l’«anno anticlericale», ribadì il fatto che la battaglia per la laicizzazione dello Stato era sempre in corso. Non erano comunque solo le forze anticlericali che si adoperavano perché passasse la legge sul divorzio. Ormai anche i cattolici avevano maturato una mentalità che li portava a pensare ad uno Stato laico e quindi accogliente di una pluralità di pensiero. Nel dicembre 1970, l’approvazione della legge Fortuna introdusse il divorzio nell’ordinamento giuridico italiano, confermato quattro anni dopo dal referendum popolare. L’offensiva dei Radicali per la laicità dello Stato si mosse anche con il desiderio di abrogare il Concordato, attraverso la proposta, nel 1969, di un referendum popolare, fino alla costituzione, nel febbraio 1971, della Lega italiana per l’abrogazione del Concordato. La legge sull’interruzione volontaria di gravidanza del 1978 vide la Chiesa impegnata nel sostenere il referendum abrogativo. La legge venne confermata nel 1981.

    Negli anni a seguire, l’anticlericalismo avrebbe continuato a manifestarsi in modo trasversale a realtà politiche o culturali con la denuncia dell’invadenza vera o presunta della Chiesa nella politica e nella società civile. Quello però che caratterizzerà la situazione italiana negli anni seguenti sarà una crescente indifferenza al dato religioso più che un anticlericalismo. A livello istituzionale, i rapporti tra lo Stato italiano e la Santa Sede sono stati ridefiniti con il concordato del 1983, criticato dai Radicali come ripresentazione aggiornata di quello del 1929, e proseguono tutt’ora senza evidenti difficoltà.

    L’anticlericalismo ha perso vitalità anche perché la laicità dello Stato è ormai parte della vita dei cattolici italiani ed è accolta dalla Chiesa gerarchica. In alcune occasioni però si sono presentati casi di manifestazioni anticlericali, come la protesta contro la Lectio magistralis di Benedetto XVI nel 2008 all’università la Sapienza di Roma, che costrinse il papa a rinunciare all’invito fattogli dal rettore dell’ateneo romano. In un articolo di La Civiltà Cattolica del 2008, col titolo È inevitabile per un laico essere anticlericale?, Giandomenico Mucci, di fronte al perdurare di un atteggiamento anticlericale nella stampa, fa osservare come, da parte della Chiesa, l’intenzione di incidere nel contesto attuale non passi più attraverso una costrizione legale o sociale, ma attraverso l’illuminazione delle coscienze. Per questo egli ritiene l’anticlericalismo anacronistico e pretestuoso, intollerante verso il sentimento religioso stesso.

    L’anticlericalismo e, del resto, il clericalismo, come abbiamo visto, si presentano in modi diversi e in situazioni anche opposte. Lo scontro tra le due realtà ideologiche è ciò che ne permette la reciproca esistenza.

    Di fatto se si vuole conoscere la storia dell’Italia unita è necessario approfondire questo scontro ideologico nei suoi passaggi, visto che lo stesso ha inciso sull’esistenza del nostro paese. Non si può comunque sostenere che tale scontro sia finito. Ormai la Chiesa e lo Stato hanno risolto ampiamente problemi territoriali e sono concordi nella collaborazione sulle questioni sociali. Il problema però resta ancora quando vengono affrontati temi che riguardano la bioetica, la sessualità, la famiglia. La Chiesa fonda il suo insegnamento sul dato rivelato e sulla legge naturale e questo sarà sempre un possibile motivo di contrasto con lo Stato laico.

    Fonti e Bibl. essenziale

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    LEMMARIO