Archivi ecclesiastici – vol. I

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    Autore: Emanuele Boaga †

    Origine e sviluppi degli archivi ecclesiastici in Italia. Gli archivi della Chiesa nascono nei secoli I-III con la formazione e lo sviluppo delle strutture delle comunità cristiane, fin dalle loro origini. Detti archivi si venivano formando dietro varie necessità liturgiche, pastorali e amministrative, quali: la conservazione oltre che dei testi sacri della Bibbia, quelli delle memorie dei martiri o Gesta martyrum e delle loro Passiones, le matricole del clero e dei poveri, l’amministrazione del patrimonio costituito dai luoghi di culto, cimiteri. Un’idea di cosa contenessero questi archivi è fornita da Eusebio di Cesarea, nella sua Historia Ecclesiastica: particolarmente ricchi erano quelli di Roma. Con l’applicazione del I editto della persecuzione di Diocleziano vennero distrutti gran parte di questi archivi.

    Dopo l’editto costantiniano di Milano (313), si ebbe, nel corso del IV secolo, la riorganizzazione delle chiese locali, il che portava a rinnovare gli archivi e ad adeguarli alla nuova situazione. Così in Roma esisteva già nel secolo IV un archivio, chiamato “Chartarium Ecclesiae Romanae” da San Girolamo e trasportato verso la metà del VII secolo nel palazzo lateranense. Contemporaneamente venne istituito un altro archivio presso la Confessione della basilica di S. Pietro, dove furono gelosamente custoditi importanti documenti tra i quali la “cautio” prestata dall’arcivescovo di Ravenna Felice, le donazioni di Pipino e di Carlomagno, e il “pactum” di Ottone I. Un terzo archivio sorse a Roma intorno al 1083 alle pendici del Palatino, in prossimità dell’arco di Tito, nella cosiddetta “Turris chartularia” che raccolse soprattutto documenti relativi alla amministrazione dei beni della S. Sede. Questa torre, venuta in possesso dei Frangipane, fu da essi distrutta nel 1197 con quanto eravi dentro, archivio compreso. L’attuale Archivio Segreto Vaticano – che raccoglie la documentazione prodotta dai papi e dai vari uffici della Curia pontificia – è però più recente rispetto i casi presentati, perché istituito da Paolo V nel 1612.

    Negli archivi delle varie chiese locali o diocesi, diffuse dal IV secolo in poi, si rifletteva man mano la loro funzione non solo nel campo strettamente spirituale e di culto, ma anche in quello cittadino con il ruolo importante svolto in esso a lungo dal vescovo, specialmente in materia di foro misto. La varietà degli sviluppi del patrimonio ecclesiastico (mensa vescovile) ne introduceva in detti archivi anche i documenti relativi (inventari di beni, di beneficiari, ecc.).

    Superati i tempi duri dell’invasioni barbariche e un periodo di grande decadenza degli archivi, essi ripresero in epoca medievale e ancor più nell’età moderna moderna. Oltre agli archivi vescovili si svilupparono così altri tipi di archivi ecclesiastici legati alle collegiate, ai capitoli cattedrali, alle parrocchie, alle confraternite, alle varie associazioni caritative ed educative, e a tutta la variegata gamma degli archivi monastici, di quelli dei mendicanti e delle case degli istituti religiosi moderni maschili e femminili, con la documentazione tipica delle loro attività, anche fuori i confini d’Italia (come ad esempio nelle missioni nei vari continenti). In detti archivi anche oggi si conservano preziose raccolte di pergamene, cartulari, codici, cronache, matricole, registri contabili, inventari patrimoniali, registri anagrafici e meticolose e puntuali segnalazioni sulla prassi sacramentale. Purtroppo molto materiale documentario è andato perduto per le alterne vicende storiche di ogni istituzione ecclesiastica, e le alienazioni avvenute con le soppressioni, soprattutto del Settecento e dell’Ottocento.

    Gli archivi ecclesiastici presentano quindi una duplice valenza: da una parte sono espressione e mezzo a servizio delle attività proprie di ciascuna istituzione ecclesiastica, dall’altra possono essere considerati come sedimentazione storica e documentaria della vita e delle vicende della predicazione, dell’esperienza religiosa cristiana, delle peculiarità ed esigenze proprie delle popolazioni cristiane nei vari territori e degli sviluppi organizzativi della prassi pastorale e delle istituzioni ecclesiastiche, con apporto pure alla conoscenza di trasformazioni e condizioni sociali delle varie località.

    Prassi e normativa ecclesiastica. Anche se si conosce l’esistenza degli archivi ecclesiastici fin dai primi tempi del cristianesimo, tuttavia poco si conosce sui metodi di ordinamento e di conservazione dei documenti. Certamente agli inizi si seguiva il metodo usato negli archivi degli uffici dell’Impero Romano, da cui la Chiesa imparò a formare gli archivi. Si sa poi della disposizione data da Giulio I (341-352) di raccogliere nell’archivio della Chiesa Romana tutti gli atti riguardanti le donazioni alla Chiesa. Però, per lungo tempo non si hanno in merito ai metodi di ordinamento e di conservazione dei documenti né indicazioni, né leggi che obbligassero a conservare certi tipi di documenti; facilmente si seguiva le prassi usate dalle cancellerie regie, o il proprio buon senso.

    Le prime prescrizioni conosciute intorno agli inventari dei beni della Chiesa per conservarne la proprietà sono del secolo XIV e appaiono in concili provinciali e in sinodi diocesi di quel tempo. Ad esempio può essere citato il concilio provinciale di Padova del 1350. Ma praticamente fino al concilio di Trento non si conosce nessuna legge generale intorno agli archivi ecclesiastici, anche se nel caso degli ordini monastici e medicanti, si trovano nelle rispettive costituzioni norme e disposizioni sui loro archivi e rispettivi contenuti.

    Il concilio Tridentino (1545-1563) incluse tra i suoi decreti anche l’obbligo per i parroci di redigere e conservare i libri appositi per i battesimi, e per i matrimoni. Ciò costituì l’occasione di una elaborazione delle leggi ecclesiastiche intorno agli archivi, come è accaduto soprattutto nei sinodi diocesani e nei concili provinciali, che hanno discusso e tradotto in pratica le decisioni tridentine stabilendo norme più o meno esaurienti intorno all’ordinamento e alla conservazione degli archivi ecclesiastici dei loro territori.

    A questo riguardo è da segnalare l’opera di S. Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano. Egli, in diversi sinodi, fin dal 1565-1572 si interessò accuratamente degli archivi ecclesiastici, stabilendo prima di tutto la loro istituzione in quelle chiese che ancora non li avessero. Poi indicò il modo di compilare gli inventari dei beni e dei diritti delle singole chiese, di cui una copia doveva essere tenuta in archivio e l’altra in quello della diocesi. Elencò pure le serie archivistiche da tener presenti nell’ordinamento degli archivi e diede infine una serie di norme precise sulla custodia degli stessi archivi.

    Nei secoli XVI-XVII appaiono i primi manuali di archivistica o sul modo di tenere gli archivi. Tra di essi, per l’Italia, si possono ricordare in modo specifico quelli dovuti a Baldassare Bonifacio (1584-1659, vescovo di Capodistria) e al sacerdote milanese Nicolò Giussani. Bonifacio pubblicò nel 1632 a Venezia il De archivis liber singularis, in cui trattava degli archivi sotto gli aspetti giuridico, storico e letterario; un testo che ebbe un grande successo e diverse edizioni, mentre Giussani con il suo Methodus archivorum (Milano 1684) offriva una trattazione tecnica di maggior respiro. Nel secolo XVIII esercitò influenza anche il De’ pubblici archivi e notai (Lucca 1749) di Ludovico Antonio Muratori.

    Disposizioni pontificie per gli archivi ecclesiastici in Italia. Poco dopo i decreti del sinodo provinciale milanese del 1565, approvati ed estesi a tutta la Chiesa da Pio V il 6 giugno 1566, si ha un’altra sua disposizione in data 1 marzo 1571 con cui prescriveva ai vescovi siciliani di redigere ogni anno l’inventario degli atti criminali e custodirli nei loro archivi. Pochi anni dopo Sisto V, con il Motu proprio Provida Romani Pontificis del 29 aprile 1587, ordinava che entro un anno fossero depositati tutti gli inventari degli archivi ecclesiastici d’Italia nell’appena istituito “Archivum generale ecclesiasticum” con sede nel Palazzo Apostolico.

    Altre disposizioni rilevanti per gli archivi ecclesiastici d’Italia si trovano tra i decreti del Concilio Romano del 1725, celebrato sotto Benedetto XIII (detto “il papa archivista”). Infatti tra questi decreti si trova l’ingiunzione ad ogni vescovado, capitolo di canonici, chiesa, ospedale, confraternita, congregazione ecc. di confezionare, entro un anno, un inventario dei beni e delle relative scritture dei titoli di proprietà, in duplice copia, di cui una da rimanere presso l’istituzione o ente ecclesiastico medesimo, e l’altra da depositare nell’archivio diocesano o in quello generale apostolico a Roma.

    Lo stesso Benedetto XIII – che quand’era arcivescovo di Benevento aveva seguito l’esempio di S. Carlo Borromeo e aveva raccolto tra altro nella sua diocesi 13.837 pergamene, restaurandole e ordinandole per una facile consultazione – continuò la sua attività a vantaggio degli archivi ecclesiastici e per questo suo interessamento giunse a pubblicare il 14 giugno del 1727 la famosa costituzione Maxima vigilantia. Questa costituzione emanata per l’Italia e le isola adiacenti, servì poi d’esempio per le altre nazioni cristiane sparse nel mondo e servirà di base per l’elaborazione della legislazione archivistica ecclesiastica riportata nel Codice di Diritto canonico del 1917.

    Nella Maxima vigilantia si stabiliva, ove già non esistesse, la istituzione entro sei mesi dell’archivio proprio delle diocesi, dei capitoli delle cattedrali o delle collegiate, delle parrocchie, dei religiosi, ecc. Di ogni archivio si doveva redigere l’inventario generale in duplice copia, i vescovi e i visitatori ordinari o apostolici erano tenuti ad ispezionare gli archivi nelle loro visite canoniche; ogni archivio doveva avere il suo archivista. Alla costituzione erano poi allegata, in lingua italiana, le norme sull’ordinamento e la custodia degli archivi.

    Per Roma e per gli Stati Pontifici si registrano anche alcuni interventi pontifici specifici. Urbano VIII il 16 nov. 1625 istituiva in Roma l’Archivio Generale detto Urbano, come archivio notarile, e il 15 dicembre 1625 costituiva l’archivio del collegio dei Cardinali; mentre, a completare l’organizzazione archivistica papale in Roma, Clemente XI erigeva l’11 gennaio 1671 l’archivio della Dataria Apostolica.

    Per tutti gli Stati Pontifici si ebbero poi due interventi del Cardinale Camerlengo sotto Clemente XI, il 30 sett. 1704 e il 14 maggio 1712, con norme per la conservazione dei documenti e sul controllo da parte del clero secolare e regolare sulla loro vendita per evitare dispersioni. Sotto Innocenzo XIII ancora un editto del 25 agosto 1721 dell’allora Cardinale Camerlengo riportava istruzioni e norme per gli archivi notarili riguardo alla conservazione dei contratti in modo da prevenire frodi e ingiuste occupazioni. Al tempo di Benedetto XIII, il 1 giugno 1748, ancora un editto del Cardinale Camerlengo confermava i bandi precedenti e completava le norme riguardo alla istituzione degli archivi e alla dovuta conservazione dei documenti.

    Fonti e Bibl. Essenziale

    Enchiridion Archivorum Ecclesiasticorum. Documenta potiora Sanctae Sedis de archivis ecclesiasticis a Concilio Tridentino usque ad nostros dies, quae collegerunt Rev.dus Dom. Simeon Duca et P. Simeon a S. Familia, O.C.D., Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano, 1966; E. Boaga – S. Palese – G. Zito, Consegnare la memoria. Manuale di archivistica ecclesiastica, Giunti, Firenze, 2003, 13-104, 203-238; E. Boaga, La tutela e la gestione degli archivi religiosi dalle esperienze storiche alle esigenze attuali, in Archiva Ecclesiae, 42 (1999), 25-62; E. Casanova, Archivistica, Arti Grafiche Lazzeri Siena, 1928 (ed. anastatica: Torino Bottega d’Erasmo, 1966), 291-388 (storia degli archivi e dell’archivistica); S. Duca – B. Pandzic, Archivistica ecclesiastica, presso Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano, 1967, 135-150 (storia degli archivi); H. L. Hoffman, De influxu Concilii Tridentini in archivis ecclesiasticis, in Apollinaris, XX (1967), 242-263; H.L. Hoffman, De Sancto Carolo Borromeo qua archivorum ecclesiasticorum sanctificatore, Romae, 1961; E. Lodolini, Storia dell’archivistica italiana. Dal mondo antico alla metà del secolo XX, Angeli, Milano, 2001; E. Loewinson, La costituzione di papa Benedetto XIII sugli archivi: un papa archivista, in Gli archivi italiani, III (1916), 157-207; A. Palestra – A. Ciceri, Lineamenti di Archivistica Ecclesiastica, Edikon, Milano, 1965 (cf. all’indice storia degli archivi eccl.); Simeone della Sacra Famiglia, Brevi appunti di archivistica generale ed ecclesiastica, Postulazione Generale OCD, Roma, 1986 (3ª ed. riveduta e aggiornata), 18-21, 59-69 (storia degli archivi). Si segnala inoltre la rivista Archiva Ecclesiae, edita dal 1958 dall’Associazione Archivistica Ecclesiastica, in cui appaiono numerosi articoli riguardo alla storia di archivi ecclesiastici e religiosi.


    LEMMARIO