Catari – vol. I

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    Autore: Luigi Michele de Palma

    L’Italia dei Catari, animata prevalentemente dal diffuso spirito anticlericale, era lo specchio delle divisioni interne al movimento ereticale e alla sua organizzazione, a cui mancava un simbolo di fede comune.

    La tardiva testimonianza (1270) di Alessandro di Alessandria, Inquisitore francescano, faceva giungere il catarismo nelle regioni dell’Italia settentrionale e centrale, prima del 1170, a seguito della predicazione itinerante proveniente dalla Francia meridionale. Sembra, invece, che, durante gli ultimi decenni del XII sec., i rapporti degli Italiani con esponenti catari abbiano avuto origine attraverso contatti con la Francia settentrionale e con i Bogomili di area bizantina e balcanica, tuttavia la struttura gerarchica e le estensioni territoriali italiane si svilupparono e si frammentarono rinsaldando i legami con le varie correnti e fazioni del catarismo. Si trattò di un fenomeno per nulla omogeneo e compatto. Furono costituite le chiese catare di Desenzano sul Garda, di Concorezzo (Monza), di Bagnolo San Vito (Mantova), di Vicenza (o della Marca di Treviso), di Firenze e di Spoleto e Orvieto. Per circa un secolo queste chiese restarono fra loro separate, sebbene Desenzano, Firenze, Spoleto e Orvieto professassero un dualismo assoluto, proprio dell’ordine di Drugunthia della chiesa di Dragovitza, mentre Concorezzo condivise il dualismo moderato dell’ordine di Bulgaria, e Bagnolo San Vito insieme a Vicenza fu vicina ai Bogomili della Bosnia. A vescovi italiani risalgono due rare testimonianze della letteratura catara: il Liber de duobus principiis di Giovanni di Lugio, autorevole teorico del catarismo e vescovo di Desenzano; e l’Interrogatio Iohannis (apocrifo bogomilo, detto anche Cena segreta) portata in Italia da Nazario, vescovo di Concorezzo.

    Intorno al 1250 il computo, abbastanza verosimile, dell’inquisitore domenicano Raniero Sacconi, ex cataro convertito da s. Pietro martire, distribuiva i 4.000 Perfetti (il grado supremo della gerarchia catara) a seconda della loro appartenenza alle chiese catare italiane: 1.500 a Concorezzo, 500 a Desenzano, 200 a Bagnolo San Vito, 100 a Vicenza e altri 100 a Firenze e a Spoleto e Orvieto. Era, comunque, un calcolo approssimativo perché a questi si devono aggiungere altri 200 emigrati dalla Francia meridionale e, inoltre, si deve tenere conto che il calcolo riguardava soltanto i Perfetti, cioè la componente gerarchica più elevata e minoritaria della compagine catara. I dati, tuttavia, rendono l’idea della larga diffusione del catarismo nell’Italia centro-settentrionale e spiegano la forte preoccupazione da parte della Chiesa cattolica, nonché la sua reazione dinanzi al propagarsi dell’eresia.

    Il rigore etico vissuto dai Perfetti, insieme al prestigio personale acquisito dai catari italiani, corrispondeva all’esigenza di autentico impegno religioso avvertita specialmente in seno al laicato. Perciò il catarismo ebbe larga accoglienza fra i cittadini agiati delle dinamiche città italiane centro-settentrionali; essi rappresentarono, tra la fine dell’XI e gli inizi del XIV sec., il terreno più fertile per i numerosi movimenti di rinnovamento spirituale che circolarono lungo la penisola. Per altro, la presenza catara venne agevolata dalla politica antipapale e filoimperiale dei comuni di tradizione ghibellina, ma dopo la morte di Federico II (1250) e la definitiva vittoria (1266) di Carlo d’Angiò, la prevalenza della parte guelfa all’interno delle amministrazioni cittadine consentì all’Inquisizione di muoversi più agevolmente e di operare con maggiore efficacia la repressione dei Catari. In area italiana, comunque, la confutazione degli errori catari è testimoniata dalle ritrattazioni, sotto forma di trattati, di ex catari pentiti: la Manifestatio heresis catarorum (ante 1190) del milanese Bonacursus, il Liber contra varios et multiplices errores (1200 ca) di Maestro Vacario e il Liber supra stella (1235 ca) di Salvo Burci. Ugualmente significative furono le confutazioni, non soltanto del catarismo, elaborate successivamente da alcuni eretici convertiti, quali furono il francescano Giacomo Cappelli e i domenicani s. Pietro martire, Moneta di Cremona e Raniero Sacconi.

    La presenza, poi, degli ordini mendicanti – benvoluti dalla popolazione per lo stile di vita evangelico che propagavano – e la loro attività finalizzata anche al coinvolgimento dei laici nei terz’ordini e nelle confraternite, favorirono il controllo e la direzione della vita religiosa dei fedeli, incentivarono le conversioni e contribuirono al dissolversi del catarismo. D’altro canto, con la svolta politica filopapale dei comuni, l’Inquisizione poté svolgere un’intensa azione repressiva, nonostante talune forti resistenze. A differenza dei francesi, i Catari italiani avevano goduto di maggiori libertà e molto più tardi, rispetto ai primi, furono costretti alla clandestinità. Emblematico è il caso di Armanno Pungilupo, figlio di genitori catari, coniugato, viaggiatore e frequentatore di ambienti eterodossi. Egli non era un teorico, ma è stato definito semplicemente “un eretico quotidiano”. Alla sua morte, avvenuta a Ferrara il 16 dicembre 1269, intorno alla sua tomba si verificarono eventi prodigiosi e miracoli che alimentarono la sua fama di santità. Questo culto popolare venne stroncato nel 1301, al termine di un processo per eresia istruito dall’inquisizione. Nonostante l’opposizione del clero ferrarese, durante il processo venne sostenuta l’affettata santità di Armanno. Questi era stato un cataro di Bagnolo San Vito, inquisito nel 1254. Dopo l’abiura egli era tornato a frequentare ambienti eterodossi. Perciò la sua salma venne riesumata e bruciata sul rogo, mentre le sue ceneri furono disperse nel Po.

    Nel frattempo, Mastino e Alberto della Scala avevano espugnato la Rocca di Sirmione, dove nel 1276 avevano trovato rifugio i vescovi di Desenzano e di Bagnolo San Vito insieme ai Perfetti italiani e occitani. Arrestati e processati a Verona, i 174 catari vennero arsi nell’arena il 13 febbraio 1278. Il declino del catarismo italiano era stato segnato irreversibilmente e dopo il primo ventennio del XIV sec. forse sopravvisse segretamente, ma ridotto ad un numero esiguo di adepti.

    Fonti e Bibl. essenziale

    Ilarino da Milano, La Manifestatio heresis catarorum quam fecit Bonacursus secondo il cod. ottob. lat. 136 della Biblioteca Vaticana, in «Aevum», 12 (1938), 281-333; Id., Il “Liber supra stella” del piacentino Salvo Burci contro i Catari e altre correnti ereticali, ibidem, 19 (1945), 281-341; Id., L’eresia di Ugo Speroni nella confutazione del maestro Vacario. Testo inedito del secolo XII con studio storico e dottrinale, Città del Vaticano 1945; Id., Il dualismo cataro in Umbria al tempo di san Francesco, in «Filosofia e cultura in Umbria tra medioevo e Rinascimento. Atti del IV Convegno di studi umbri, Gubbio, 22-26 maggio 1966», Gubbio 1967, 176-216; S. Savini, Il catarismo italiano ed i suoi vescovi nei secoli XIII e XIV. Ipotesi sulla cronologia del catarismo italiano, Firenze 1958; R. Manselli, L’eresia del male, Napoli 1980; Medioevo ereticale, a cura di O. Capitani, Bologna 1983; Mariano d’Alatri, Eretici e inquisitori in Italia. Studi e documenti, 2 vol., Roma 1986-1987; G. Zanella, Itinerari ereticali. Patari e catari tra Rimini e Verona, Roma 1986; A. Vauchez, Movimenti religiosi fuori dell’ortodossia nei secoli XII e XIII, in Storia dell’Italia religiosa, I, a cura di A. Vauchez, Roma-Bari 1993, 311-346; V. Sabbadini, Gli eretici sul lago. Storia dei catari bagnolesi, San Nicolò Po di Bagnolo San Vito 2003; Libro dei due principi. Liber de duobus principiis, a cura di G. Bettini, Bologna 2010; E. Gerosa, I Catari di Concorezzo, Concorezzo 2006; G.G. Merlo, Eretici ed eresie medievali, Bologna 2011.


    LEMMARIO