Chierici Regolari – vol. I

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    Autore: Flavio Rurale

    La nascita dei chierici regolari si colloca in una particolare stagione della storia della Chiesa. La maggior parte delle loro comunità sorse infatti in Italia nel XVI secolo, rappresentando la “vera sostanziale novità nell’ambito dell’organizzazione regolare cinquecentesca” (Rosa, Introduzione, 9): nel 1524 Gaetano da Thiene e Gian Pietro Carafa (futuro papa Paolo IV) istituirono i teatini, cui seguirono le fondazioni di barnabiti, gesuiti, somaschi, ministri degli infermi, chierici minori della madre di Dio o caracciolini (nel primissimo ‘600 gli scolopi, verso fine secolo i chierici mariani e nel primo ’700 i chierici scalzi di s. Paolo della Croce). In quei tormentati decenni la popolazione degli antichi stati italiani, al pari dell’intera Europa cristiana, visse un grande fermento religioso e, superata definitivamente l’emergenza protestante (che percorse con esiti drammatici parte della società e i nuovi ordini religiosi), consolidò la propria identità cattolica. Merito, indubbiamente, anche delle nuove congregazioni, immediatamente attive su molti fronti (educazione, predicazione, missioni, assistenza), in virtù di un’organizzazione interna meno vincolante rispetto a quella di monaci, canonici regolari e frati mendicanti (che fino al XVI secolo avevano condiviso la medesima denominazione di chierici regolari, termine di origine antica e significato rimasto a lungo generico, che identificava i chierici viventi in regola con i sacri canoni e perciò distinti dai canonici secolari, F. Andreu, Chierici regolari, 898).

    Il loro contributo non va tuttavia esagerato: la maggior parte delle nuove congregazioni conservò dimensioni ridotte, entro valori di poche centinaia di unità (i barnabiti tra 1600 e 1700 passarono da 322 a 726 membri, i somaschi da 430 a 450, circa 500 erano i caracciolini alla fine del XVII secolo; un incremento straordinario, che ne spiega il successo su scala internazionale e l’assoluta peculiarità, lo conobbero solo i gesuiti: triplicati nel decennio successivo alla morte di sant’Ignazio (1556), già 8519 nel 1600, e ben 19998 nel 1700, J.P. Donnelly, The New Religious Orders, 287-288, 293). Ebbero inoltre scarsa diffusone in Europa, se si escludono i teatini (il cui incremento, dai 400 membri del 1600 ai 1400 del 1700 fu dovuto anche all’attività missionaria intrapresa fuori d’Italia), i barnabiti (presenti in Francia e Austria) e ovviamente i gesuiti (tra i più impegnati su scala mondiale: dalle Americhe, alla Cina, al Giappone).

    Siamo forse lontani dal poter definire queste forze lo strumento principale di cui la Chiesa poté disporre per difendersi dall’attacco luterano (Inquisizione e commissari locali di appartenenza mendicante continuarono ad essere il perno attorno cui ruotò la risposta romana contro l’eresia; anche se, va notato, studi recenti hanno dimostrato il forte coinvolgimento iniziale dei teatini nelle pratiche di controllo, investigazione e denuncia dei reati di fede, Vanni, “Fare diligente inquisizione”, 15). Né, forse, è del tutto corretto definirli ordini della controriforma cattolica, se con tale formula intendiamo forze fresche istituite e organizzate da Roma secondo una precisa e coerente strategia per fronteggiare la sfida religiosa lanciata da Lutero. La loro origine, infatti, non fu direttamente legata alla Riforma: semmai «nacquero come risposta a bisogni religiosi di livello locale, per iniziativa di laici, uomini o donne, o di preti, raramente della gerarchia, mai del papato» (J. P. Donnelly, The New Religious Orders, p. 283).

    Il giudizio di sintesi di J.P. Donnelly, seppure provocatorio per certi aspetti, apre prospettive interpretative di grande interesse, utili a meglio comprendere i caratteri delle nuove formazioni religiose. Non spuntarono dal nulla, frutto di piani di riconquista messi a punto a tavolino negli ambienti romani. Ebbero invece carattere di spontaneità e conobbero una lunga gestazione entro un clima di sperimentazione non priva di eccessi, attraversato da grandi passioni che coinvolsero l’intera società, uomini e soprattutto donne. Solo così si spiegano i sospetti nei loro confronti di chi, istituzioni romane e pontefici, venne poi chiamato a dare una veste istituzionale a quelle esperienze. Fu questo, per esempio, il destino dei barnabiti, legati alle vicende di Paola Antonia Negri e al suo processo milanese degli anni Trenta; o dei gesuiti: l’Inquisizione spagnola indagò ripetutamente su sant’Ignazio e i suoi scritti prima e dopo la fondazione della Compagnia del 1540.

    L’iniziale rifiuto dei voti monastici e delle tradizionali regole, la vita in comune in case private, la convivenza sotto lo stesso tetto di laici e chierici, di uomini e donne, riuniti a discutere anche di questioni dottrinali, l’attività esterna di tipo assistenziale, come nel caso dei somaschi di Girolamo Emiliani e dei ministri degli infermi di Camillo de Lellis (frutto dell’esperienza tre-quattrocentesca della devotio moderna, spintasi anche in territorio italiano ad alimentare nuove forme di spiritualità, e dell’associazionismo a fini caritatevoli degli oratori del divino amore e della carità) sono aspetti importanti nell’originaria formazione dei nuovi sodalizi e dei loro adepti. Il loro destino rimase, in un certo senso, indefinito, aperto a molteplici sviluppi: successi ma anche fallimenti, e poi richieste di connubi con ordini già affermati per superare difficoltà e crisi sempre incombenti, cambiamenti di status giuridico (come i chierici della madre di Dio di s. Giovanni Leonardi, fondati nel 1574 ma trasformati da chierici secolari in chierici regolari nel 1614), infine lunghi e complessi iter per la stesura e l’approvazione di regole e costituzioni.

    Uno degli aspetti più originali della loro storia (legata in molti casi a fondatori ancora laici al momento della concezione del loro progetto, P. Sannazzaro, Storia dell’ordine camilliano, 31) va individuato nella presenza, nella fase istitutiva come nel loro sviluppo, di figure femminili: protagoniste, come accennato, delle vicende fondative dei chierici di San Paolo; altre volte, nelle vesti di visionarie e sante vive, chiamate a legittimare la bontà delle nuove esperienze (evocarono le profezie della beata Francesca Panigarola i gesuiti milanesi); altre ancora capaci, come gentildonne o principesse, di convincere comunità, principi, autorità vescovili dell’utilità dei nuovi insediamenti (di cui furono patrone con donazioni di denari, terre ed edifici). Un rapporto, questo, destinato a consolidarsi nei secoli successivi anche in duraturi legami con le comunità femminili sorte nel medesimo contesto storico-geografico (i chierici regolari ne divennero in molti casi i direttori spirituali).

    Questi caratteri contribuiscono a spiegare la prudenza e le resistenze iniziali talora manifestate nei loro confronti dalle autorità secolari ed ecclesiastiche, sollecite nel richiedere l’intervento delle magistrature competenti, dei tribunali vescovili, dei delegati locali del Sant’Ufficio, nell’interdire e scomunicare, nell’avviare processi. L’ostilità raggiunse espressioni davvero eclatanti nel caso della Compagnia di Gesù, quando i pontefici con carriera regolare e/o nel Sant’Ufficio (il teatino Paolo IV, il domenicano Pio V, il minore conventuale Sisto V) si applicarono per riformarne l’istituto: personali gelosie, concorrenza cultuale, contrasti di carattere teologico, ma soprattutto le novità istituzionali (il nome stesso, il generalato perpetuo, la complessità dei gradi e i tempi lunghi della professione, l’assenza di periodici capitoli generali, il vivere di rendita dei collegi contro il voto di povertà dei padri professi, i privilegi goduti nel contrastare l’eresia e nell’assolvere anche giudiziariamente con la confessione sacramentale) sollecitarono attorno al nuovo ordine, fin dai primi decenni della sua storia, dibattiti e polemiche. Dottrina, attività di apostolato, costituzioni (ora contestate e modificate ora ristabilite nella loro originaria formulazione) divennero oggetto di critica da parte di alcuni esponenti del clero secolare e soprattutto dei vecchi ordini mendicanti (domenicani). Un alone di sospetti, «quelle certe ombre vane» le definì s. Carlo Borromeo, andò delineandosi attorno a quei primi adepti, destinato a mettere radici in diversi settori della società italiana ed europea e a segnare periodicamente le vicende controverse della Compagnia di Gesù.

    Conobbero non minori difficoltà sotto Urbano VIII e il suo successore gli scolopi, fondati da Giuseppe Calasanzio nel 1617 e dediti a un ministero scolastico popolare e gratuito. Le vertenze interne – la diversità di gradi e soprattutto la difficile convivenza tra fratelli coadiutori e chi era invece sacerdote o professo produceva quotidianamente gelosie e occasioni di conflitto, come era già accaduto tra i cappuccini e stava accadendo tra i gesuiti – portò il papa alla decisione di deporre il Calasanzio da generale, cui seguì con Innocenzo X «la regressione» della congregazione «a semplice unione libera di varie case tra loro indipendenti»; spettò poi a papa Clemente IX nel 1669 di riconfermarne lo status di ordine religioso con voti solenni (L. Picanyol, Chierici regolari poveri, 1440).

    Le difficoltà nelle relazioni con la curia papale non misero in discussione il ruolo che i maggiori esponenti dei nuovi ordini (in particolare gesuiti) svolsero nella battaglia anti-ereticale e a difesa della cultura cattolica e dell’autorità pontificia: con la pubblicazione di libri, pamphlet, vere e proprie “guerre delle scritture” (come avvenne tra il servita Paolo Sarpi e il gesuita Roberto Bellarmino durante l’interdetto scagliato su Venezia da Paolo V nel 1606), l’attività educativa (soprattutto nei collegi delle aree di confine col mondo protestante) e l’impegno missionario nelle città e nelle campagne italiane ed europee, ed oltreoceano. Anche se non mancarono, in particolare da parte dei religiosi impegnati a corte come confessori e teologi, occasioni per vertenze e conflitti in cui i chierici si trovarono contrapposti alla curia romana, al pontefice e al suo entourage.

    La loro mobilità e il loro irrefrenabile dinamismo, «a un grado senza precedenti se si escludono gli ordini religioso-militari» dell’epoca delle crociate (J.P. Donnelly, The new religious orders, 285), sono ben rappresentati dalla rinuncia alla recitazione corale dell’ufficio liturgico (conservata dai barnabiti), alle penitenze personali e alla spiritualità contemplativa previste dalle regole tradizionali, appunto inadatte al loro attivismo senza precedenti, misto di ascesi e azione. Scelte e comportamenti, questi, che nel panorama religioso dell’epoca furono motivo di profonde polemiche, insieme con alcuni questioni di carattere dottrinale. Gli scontri tra gli ordini teologicamente più vivaci si prolungarono fino al Sei e Settecento: sul ruolo della Grazia nel percorso verso la salvezza eterna, sulla dottrina morale, sull’organizzazione delle missioni americane e asiatiche, sulle modalità di conversione dei popoli di quelle terre.

    Il coinvolgimento dei chierici nella diretta gestione dei loro beni (l’attività delle congregazioni si fondò, come per la maggior parte degli istituti di perfezione, su una base patrimoniale frutto sia di donazioni di beni mobili e immobili, sia dell’attività di compravendita di case e terreni, sia di operazioni creditizie verso privati ed enti pubblici), e il loro ruolo nella formazione delle elite d’antico regime, negli affari di stato e nel dibattito scientifico (portato fin nelle celle dei singoli religiosi) fecero degli istituti sorti nel Cinquecento degli spazi di discussione non solo teologica ma anche politica e culturale, dei veri e propri microcosmi in cui fu possibile un proficuo scambio di idee e la sperimentazione scientifica a stretto contatto con i maggiori rappresentanti europei della repubblica delle lettere.

    Con il Settecento gli equilibri maturati tra i chierici regolari nei secoli precedenti si modificarono in parte a favore di congregazioni fino allora meno affermate. Come nel caso degli scolopi, che ampliarono la loro presenza e i loro insediamenti scolastici, o dei somaschi (già diffusi precedentemente laddove altre congregazioni avevano subito l’ostracismo dei governi: a Venezia, dove i gesuiti nel 1606 furono costretti all’esilio, la loro presenza si consolidò anche in seguito alla «maggior malleabilità della congregazione […] ai desiderata del Senato veneto, teso a “venetizzare” sempre più l’ordine»). La recente storiografia, del resto, ha mostrato «un maggiore dinamismo di barnabiti somaschi scolopi durante il XVIII secolo sotto il profilo intellettuale: e questo non solo nel campo della pubblicistica di carattere scientifico, ma pure in quella a sfondo letterario», così come «nel campo degli studi umanistici e filologici, tradizionalmente legati all’indagine degli studiosi della Compagnia [di Gesù] […] Si accumula dunque sotto questo profilo un ulteriore ritardo dei gesuiti, che per essere valutato appieno deve necessariamente venire bilanciato da una più profonda conoscenza delle opere degli studiosi appartenenti agli altri ordini religiosi insegnanti (e non solo)» (M. Sangalli, Le congregazioni religiose insegnanti, 43, 39). Tali cambiamenti furono l’esito anche del manifestarsi di alcuni punti deboli del “modo di procedere” degli ordini che fino allora avevano conosciuto maggiore successo, come appunto i gesuiti, colpiti nel frattempo su più fronti: in ambito teologico (la morale probabilista), sulla questione dei riti cinesi, a causa dell’arretratezza dei loro programmi educativi e della spettacolarizzazione ormai giudicata eccessiva delle missioni rurali.

    Nel Sette-Ottocento anche le congregazioni dei chierici regolari (prima fra tutte la Compagnia di Gesù, momentaneamente soppressa dal papato nel 1773, ma oggetto di numerosi interventi repressivi dopo la ricostituzione voluta da Pio VII nel 1814) subirono le conseguenze patite dagli altri ordini religiosi a causa dei provvedimenti di riforma e abolizione presi prima dai governi delle monarchie europee e degli stati italiani, poi dalle forze rivoluzionarie e risorgimentali. Se travagliata fu, nel contesto italiano e nel percorso verso l’unificazione, la vicenda dei gesuiti, maggior fortuna conobbero altri chierici regolari come i barnabiti e gli scolopi. Nella situazione di incertezza giuridica propria delle comunità vecchie e nuove alcuni chierici regolari ebbero infatti più fortuna di altri. Per sopravvivere, per sfuggire alla soppressione e agli incameramenti fu necessario organizzarsi non come regolari a tutti gli effetti (vietato dalle leggi emanate tra il 1866 e il 1873) ma come “semplici riunioni di ecclesiastici, senza vincoli di voti, senza rinunzia ai propri averi”, come società private, come cittadini che conservavano i propri diritti e dunque potevano acquistare, vendere, lasciare e adire eredità. Poterono così sfuggire “alla confisca e continuarono più o meno tranquillamente la loro attività varie case dei barnabiti e degli scolopi, che figuravano di fronte alla legge come amministratori di opere pie”. Di nuovo ciò accadeva con esiti differenti a seconda della collocazione geografica delle singole comunità: “in Sicilia le case degli scolopi vennero tutte disperse”. E non fu estraneo a questi destini così diversi anche il comportamento dei vescovi: “l’episcopato assunse un atteggiamento un po’ vario: mentre i vescovi delle Marche e dell’Emilia protestavano energicamente contro le soppressioni, difendendo i religiosi, quelli dell’Italia meridionale e soprattutto quelli della Calabria non mostrarono troppa preoccupazione” per la loro sorte (Martina, Gli istituti religiosi in Italia, 236, 241-242).

    Nel complesso, tuttavia, i chierici regolari vennero colpiti duramente: al pari dei gesuiti lo furono per esempio i caracciolini e i camillini (ministri degli infermi), privati in molti casi delle loro case e dispersi. Fu compito di Roma richiamare allora i singoli religiosi, laddove fu possibile, a una vita comunitaria sotto gli ordini di un superiore, alla conservazione dell’abito e all’attaccamento alla vocazione (Ibidem, 246, 254). Fu compito dei ministri generali anche dei chierici regolari, nonostante le leggi eversive, dare direttive precise e accorate al fine di ricostituire le antiche comunità, riacquisire le antiche case (facendo mutui, trattando coi vincitori di aste, beneficiando della solidarietà di benefattori laici), fondarne di nuove. Come avvenne di fatto, gesuiti in testa, nei decenni finali del secolo, complici l’applicazione fallimentare delle leggi stesse e le urgenze educative e assistenziali che reclamavano una loro rinnovata presenza nella società.

    Fonti e Bibl. essenziale

    M. Tentorio, Saggio storico sullo sviluppo dell’ordine somasco dal 1569 al 1650, Archivio Storico Padri Somaschi, Roma 2011 (tesi di laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano a.a. 1940-41); L. Picanyol, Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle Scuole pie (scolopi), in Enciclopedia Cattolica, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il Libro Cattolico, Città del Vaticano 1949, III, 1438-1441; F. Andreu, Chierici regolari, in DIP, Edizioni Paoline, Roma 1975, II, 898-909; P. Sannazzaro, Storia dell’ordine camilliano (1550-1699), Edizione Camilliane, Torino 1986; G. Zarri, Le sante vive. Profezie di corte e devozione femminile tra ’400 e ’600, Rosenberg & Sellier, Torino 1990; M. Firpo, Paola Antonia Negri monaca angelica (1508-1555), “Barnabiti studi”, VII (1991), 7-66; M. Rosa, Introduzione, in Idem (ed.), Clero e società nell’Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 1992, 3-41; J. P. Donnelly, The New Religious Orders, 1517-1648, in Th. A. Brady, Jr. – H.A. Oberman – J.D. Tracy (edd.), Handbook of European History 1400-1600. Late Middle Ages, Renaissance and Reformation, II, E. J. Brill, Leiden – New York – Köln 1995, 283-315; E. Bonora, I conflitti della Controriforma. Santità e obbedienza nell’esperienza religiosa dei primi barnabiti, Le Lettere, Firenze 1998; S. Pavone, I gesuiti dalle origini alla soppressione, Laterza, Roma-Bari 2004; M. Sangalli, Le congregazioni religiose insegnanti in Italia in età moderna: nuove acquisizioni e piste di ricerca, “Dimensioni e problemi della ricerca storica”, 2005, I, 25-47; G. Mongini, Per un profilo dell’eresia gesuitica. La Compagnia di Gesù sotto processo, “Rivista Storica Italiana”, CXVII (2005), 26-63; F. Favino, Scienza ed erudizione nei collegi degli ordini religiosi a Roma rea Sei e Settecento, Cheiron, 43-44, 2006, 331-370; I. Fosi – G. Pizzorusso (eds.), L’Ordine dei Chierici Regolari Minori (Caracciolini): religione e cultura in età postridentina, Atti del convegno (Chieti 11-12 aprile 2008), Studi medioevali e moderni, XIV (2010); A. Vanni, “Fare diligente inquisitione”. Gian Pietro Carafa e le origini dei chierici regolari teatini, Viella, Roma, 2010.


    LEMMARIO