Congregazione dell’Indice – vol. II

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    Autore: Francesco CastelliCastelli

    Istituita da Pio V il 14 aprile 1571 con la costituzione In apostolicae, la Congregazione dell’Indice era incaricata di esaminare i testi potenzialmente nocivi alla vita spirituale dei fedeli e di pubblicare (periodicamente aggiornato) l’Indice dei libri proibiti nel quale erano inseriti i titoli delle opere condannate. Con la costituzione Sollicita ac provida (1753) Benedetto XIV introdusse alcuni cambiamenti rispetto alla precedente legislazione e stabilì una rigorosa procedura per la censura delle opere. Si trattò di un intervento legislativo di grande importanza che sostanzialmente rimase invariato fino alla soppressione della Congregazione e che costituì un’ulteriore espressione dell’inclinazione giuridica di papa Lambertini, assai sensibile al disciplinamento normativo (si pensi ad esempio al De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione).

    Agli inizi dell’Ottocento si aprì un periodo particolarmente complesso per l’attività e il funzionamento della Congregazione. In modo graduale ma sempre più evidente si impose ai membri e ai funzionari della Congregazione (come anche ai vescovi diocesani) l’impossibilità di conoscere tempestivamente, segnalare ed esaminare in modo adeguato la sempre maggiore quantità di libri che venivano pubblicati in un mercato librario costantemente in crescita. Allo stesso tempo si faceva largo la necessità di non promuovere solo un’azione repressiva ma di favorire la sensibilizzazione dei credenti alle ‘buone letture’ e di agevolarne la produzione. Tali elementi fecero strada all’ideazione di un progetto di riforma della Congregazione, esaminato nel 1868 da una commissione istituita da Pio IX in vista di una discussione nell’assise del Concilio Ecumenico Vaticano I. Le proposte pervenute suggerirono di trasferire ai vescovi diocesani il compito di esaminare i libri pubblicati nelle rispettive diocesi riservando alla Congregazione dell’Indice la funzione di ‘tribunale di seconda istanza’ nonché la revisione di bibbie e opere di teologia. Il lavoro prodotto dalla commissione non fu discusso dal Vaticano I ma, almeno nei contenuti, gli orientamenti furono sostanzialmente ripresi negli anni successivi. Nel frattempo, dal 1866 al 1878 la Congregazione aveva messo all’Indice circa una novantina di libri tra opere di pregio e testi di scarso valore che presto sarebbero finiti nel dimenticatoio. In tale arco di tempo, tra i libri non condannati ma sottoposti a esame, vi furono anche quelli di autori molto noti e zelanti sacerdoti. Si pensi a mons. Luigi Martini (1803-1887), già rettore del seminario di Mantova, e perfino a don Bosco la cui opera Il centenario di s. Pietro fu oggetto di precisi rilievi del segretario della Congregazione p. Vincenzo Modena. Stando agli studi sin qui condotti e che costituiscono ancora l’alba di maggiori approfondimenti, si evidenza un netto scarto tra gli atteggiamenti delle autorità della Congregazione e quello del papa Pio IX, ben più moderato e alieno da aspra intransigenza che talvolta emerge nel tono delle osservazioni dei censori. Anche in questo arco di tempo si conferma la scarsa efficacia pastorale (almeno nell’immediato) delle condanne e non appare in modo subitaneo se vi fosse o meno una precisa strategia nei criteri di scelta delle opere da porre sotto esame.

    Sul finire del secolo, nella costituzione apostolica Officiorum ac munerum (25 gennaio 1897), Leone XIII modificò la normativa della Congregazione. Confermando la validità della Sollicita ac provida circa la procedura di censura dei libri, Leone XIII abrogò tutte le altre norme precedenti, indicò le materie da ritenersi proibite e ribadì ai vescovi le responsabilità loro affidate in ordine alla vigilanza sui libri. La costituzione fu pubblicata nelle pagine introduttive della nuova edizione dell’Indice dei libri proibiti del 1900, dove il nuovo catalogo non presentava più i testi condannati prima del 1600 (quali le opere di Petrarca, Boccaccio, Macchiavelli) e i libri posteriori a quella data ma nel frattempo divenuti irrilevanti o non realmente pericolosi per la vita spirituale dei lettori. Durante la crisi modernista, il dicastero fu in prima linea nella condanna di opere ‘infette’ e, proprio all’azione censoria dell’Indice più che a quella del Sant’Uffizio, si deve il maggior numero di condanne.

    Prima della fine della Grande Guerra, Benedetto XV diede attuazione a un progetto da tempo meditato e, con il motu proprio Alloquentes proxime (25 marzo 1917), mise fine alla Congregazione istituendo, presso il Sant’Uffizio, una sezione de censura librorum (composta da un sostituto con funzioni di archivista e da un protocollista-scrittore).

    Tale provvedimento arrivava al termine di lunghe discussioni sull’efficacia e la tempestività della condanna dei libri. Di fronte a un mercato librario oramai divenuto vastissimo, nel 1929 il Sant’Uffizio emanò un’istruzione sollecitando i vescovi a sentirsi coinvolti in prima persona nella questione e a vigilare con solerzia sui libri pubblicati nelle proprie diocesi. La necessità di un effettivo controllo sull’editoria fu formalmente discussa all’interno della Congregazione a partire dal 1934. Fu richiesto unparereintroduttivoa un consultore, Ernesto Ruffini (poi cardinale e arcivescovo di Palermo) il quale suggerì di affidare la vigilanza sulle pubblicazioni alla Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi. La vicenda sembrò arenarsi. Nel 1936 il Sostituto della Censura dei libri Giuseppe Monti fece notare che, a partire dal 1917, le denunce pervenute al suo ufficio erano state ben poche e su opere spesso di poca o nessuna rilevanza. Si riprese a riflettere e a domandare a diversi ecclesiastici pareri e soluzioni. La questione della vigilanza sulla stampa rimase, comunque, in uno stato di stallo, senza approdare ad alcuna effettiva decisione. Commentando la situazione, Pio XI rilevò vivacemente la paralisi in cui si era finiti («è da parecchio tempo che mi si vengono a riferire tali costatazioni, e intanto non si fa mai niente; si cominci dunque a fare meno chiacchiere e qualche cosa di fatto»). Si giunse pertanto alla stesura di un Progetto di Statuto dell’Ufficio di vigilanza della stampa. Il nuovo ufficio non vide di fatto la luce, almeno sino alla fine del pontificato di Pio XI (a partire dal quale non è possibile consultare la documentazione successiva). Nel frattempo Benito Mussolini aveva promosso un’intensa attività di controllo e di repressione del dissenso politico mostrandosi poco disposto a pressioni e/o condizionamenti da parte vaticana in materia libraria: nel 1926 la pubblicazione del Testo unico di Pubblica Sicurezza (con il quale l’autorità civile si attribuiva la più vasta competenza in materia di autorizzazioni e di censura libraria) sancì formalmente la volontà governativa di avocare a sé il controllo dell’editoria.

    Dell’Indice dei libri proibiti l’ultima edizione fu pubblicata nel 1948. Fu definitivamente abrogato il 15 novembre 1966.

    A fronte dell’assenza di studi sistematici sulla Congregazione, di seguito ci limitiamo a una prima messa a fuoco di alcune questioni. In primo luogo merita una certa attenzione la consistenza del monitoraggio sulla produzione libraria, l’efficacia e la tipologia delle condanne comminate dal dicastero romano a partire dall’unificazione italiana. Sembra che, a partire dal Regno d’Italia e con la scomparsa di inquisitori locali e dunque con l’indebolimento della rete di segnalatori periferici, nella maggior parte dei casi il dicastero fu alquanto frenato nella sua attività.

    Con la fine dell’ancien régime, peraltro, le autorità del Regno d’Italia si dimostrarono gelose della propria giurisdizione anche in materia di controllo della stampa. Sguarnita della collaborazione del ‘braccio secolare’ (e dunque impossibilitata a compiere sequestri od a comminare pene pecuniarie), la Congregazione dell’Indice assistette anche ad un’eterogenesi dei fini: le poche condanne finirono in molti casi per favorire la diffusione dei testi garantendo alle opere incriminate notorietà e interesse (come avvenne di fatto per quelle di Gabriele D’Annunzio). Non mancò chi, ironicamente, volle scrivere alle autorità del dicastero per ‘ringraziare’ dell’inserimentonell’Indice. Nel complesso le personalità messe sotto esame non poche volte furono di profilo minore. I preti, in particolare,risultarono i principali destinatari del monitoraggio della Congregazione e comunque le figure più sanzionabili dal dicastero.

    L’attività di controllo censorio da parte dell’autorità ecclesiastica suscitò spesso timori e acredine, sia per la scelta della Congregazione di non rivelare le ragioni della condanna con una chiara indicazione delle affermazioni erronee sia per la prassi di tenere all’oscuro l’autore inquisito e di impedirgli una sua qualsivoglia difesa (salvo il caso di alcune eccezioni, quale quella offerta a A. Rosmini per intervento diretto e personale di Pio IX).

    Tra i documenti del dicastero meritevoli di menzione e di studio un posto particolare meritano i voti, ossia i pareri scientifici redatti dai consultori per la messa all’Indice delle opere. Alcuni di essi sono particolarmente sintomatici e rivelatori del metodo, della mentalità e delle finalità dei funzionari del dicastero: si pensi a quelli sul volumeStato e Chiesa  di Marco Minghetti (personaggio a lungo presente sulla scena politica italiana), quelli sulle opere di Giacomo Leopardi e sul Santo di Antonio Fogazzaro ma anche ai voti sulle opere di personaggi risorgimentali quali Filippo De Boni e Terenzio Mamiani della Rovere. Interesse suscita anche la censura sull’opera di Giuseppe Ferrari, filosofo della rivoluzione e tra i più noti esponenti dell’anticlericalismo risorgimentale, poi deputato in Parlamento dopo l’unificazione.

    Per un’adeguata conoscenza del dicastero, futuri studi dovrebbero mettere a punto una proposografia dei funzionari, dei consultori e dei membri del dicastero unita alla ricostruzione degli interventi e delle consulenze prodotte nello svolgimento delle rispettive mansioni. Andrebbe ad esempio ricostruita l’attività di don Giuseppe Pennacchi (1831-1913), del cappuccino Pie de Langogne (1850-1914) o del servita Gavino Secchi Murro (1794-1868): le loro analisi e la loro opera di censori fu richiesta in misura molto maggiore rispetto a quella degli altri consultori. Quali ragioni spinsero le autorità del dicastero ad avvalersi in modo prevalente dell’opere di tali consulenti?

    Lungo, complesso e a tratti tortuoso ma utile per conoscere l’attività della Congregazione, le sue relazioni e gli eventuali conflitti di competenze con il Sant’Uffizio,fu il caso del gesuita fondatore della Civiltà Cattolica Carlo M. Curci. La produzione intellettuale di Curci fu monitorata dai due dicasteri volta per volta, libro per libro, senza alcuna apparente collaborazione tra i due organismi vaticani. Gli ecclesiastici chiamati allo studio dei suoi testi furono consultori ora dell’una, ora dell’altra, ora di entrambe le Congregazioni (Smeulders, Bausa, De Martinis, Guarino, Eschbach) ma non è ancora definito in quale misura si avvalsero degli studi dei precedenti censori e se, in certa misura, si esercitassero influenze reciproche.

    Non trascurabile appare l’impatto dell’Indice dei libri proibiti sulla mentalità e sul costume del clero e dei cattolici in Italia. Non è sempre facile definire cosa abbia spinto a una denuncia quanti si decidevano a una segnalazione, se cioè essi fossero mossi dall’intento di preservare la fede da testi infetti o sentissero la pressione inconsciamente esercitata da obiettivi personali e/o da eventuali risentimenti. Si ha a volte la percezione che nei denuncianti fossero in movimento antiche gelosie e rivalità, a volte inconfessabili e inconfessati malumori, per il successo di validi colleghi e di colti ecclesiastici.

    Una considerazione specifica merita l’incidenza dei divieti di lettura emanati dall’Indice. Gli studi mostrano che, soprattutto a partire dall’unificazione, essi furono ora ignorati ora elusi abilmente dai lettori. Ciò, tuttavia, non significò l’irrilevanza dell’attività del dicastero.  A volte, il pericolo di una condanna spingeva l’autore a fare ricorso all’anonimato o allo pseudonimìa; in altre circostanze, indirizzava l’autore verso un atteggiamento prudente fino al conformismo. Per non dire di quella autocorrezione dei testi e dell’autocensura frutto delle tensioni tra autori ed editori che costituisce interessanti e complessi percorsi di ricerca ancora inesplorati.

    Fonti e Bibl. essenziale

    G. Martina, Pio IX (1867-1878), Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 1990, 282-288; H. Wolf, Storia dell’Indice. Il Vaticano e i libri proibiti, Donzelli Editore, Roma 2006; M.I. Palazzolo, La perniciosa lettura. La Chiesa e la libertà di stampa nell’Italia liberale, Viella, Roma 2010; E. Rebellato, v. Congregazione dell’Indice, in Dizionario storico dell’Inquisizione, diretto da A. Prosperi, 4 vol., Pisa 2010, 386-388; M. Dissegna, Italiani all’Indice. Le opere messe all’Indice dei libri proibiti dall’Unità d’Italia in poi, in A. Melloni (a cura di), Cristiani d’Italia. Chiese, società, Stato, 1861-2011, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. II, Roma 2011, 1514-1528; per alcune considerazioni desumibili da un catalogo di Indici dei libri proibiti: D. Pattini-P. Rambaldi, Index Librorum prohibitorum. Note storiche attorno a una collezione, Aracne editrice, Roma 2012; A. Cifres-D. Ponziani, La censura degli archivi del Sant’Ufficio e dell’Indice, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1 (2012), 297-321; M. Brera, Gabriele d’Annunzio e la Santa Sede. Il processo e la condanna del 1911 nei documenti della Congregazione dell’Indice, «Quaderni del Vittoriale», Nuova serie 8 (2012), 27-43; Id., Il Poeta, il Papa e il Dittatore. L'”Opera omnia” di Gabriele d’Annunzio all’Indice e i difficili rapporti tra Stato e Chiesa all’ombra del Concordato, «Quaderni del Vittoriale», Nuova serie 9 (2013), 43-67; sullo sfondo di alcune questioni utile la lettura di P. Delpiano, Liberi di scrivere. La battaglia per la stampa nell’età dei Lumi, Latenza, Bari 2015. Indispensabile l’opera di H. Wolf, Prosopographie von Römischer inquisition und index kongregation, 1814-1917, 2 vol., Ferdinand Schöningh Verlag, Paderborn – München – Wien – Zürich 2005; ora si veda anche il più recente Id., Prosopografphie von Römischer Inquisition und Index congregation 1701-1813, 2 vol., Ferdinand Schöningh Verlag, Paderborn – München – Wien – Zürich 2011.

    Immagine: Edizione dell’Indice dei Libri proibiti (anno 1564).


    LEMMARIO