Conversioni – vol. II

    image_pdfimage_print
    Autore: Luca di Girolamo

    Il panorama storico delle conversioni tra epoca moderna e epoca contemporanea ci presenta un insieme piuttosto variegato di tipologie in cui vengono ad incontrarsi, sovente in modo drammatico, da un lato diverse esperienze di vita e di formazione culturale e, dall’altro, la forza con la quale la trascendenza di Dio irrompe nel vissuto e rende possibile la trasformazione dell’individuo. Le esperienze vissute dai convertiti non fanno altro che confermare il messaggio che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore offrendolo ad un’umanità che, specie nel periodo che noi consideriamo, vive fortemente condizionata dall’Illuminismo ideologico e tecnocratico, dall’efficientismo e dal relativismo che, nel loro complesso, la allontanano dalla trascendenza.

    Si tratta di un fenomeno che ha interessato soprattutto l’Occidente europeo e, con forme proprie, anche l’Italia che ne è parte. Su questa piattaforma si inseriscono alcune figure di intellettuali, scrittori, personalità di altre religioni e semplici laici che, inizialmente lontani dal cristianesimo, operano il passaggio alla fede. Di queste figure illustreremo il contesto in cui avviene la singola conversione e le conseguenze anche nella loro opera e nel tessuto sociale in cui vivono. In alcuni di loro, infatti, la ritrovata verità del cristianesimo ha prodotto effetti notevoli soprattutto sul piano della promozione sociale, oltre che su quello di una fede sinceramente professata.

    Intellettuali e scrittori. Fra le numerose personalità della nostra letteratura almeno due meritano di essere segnalate nella loro fondamentale diversità di stile e di epoca: A. Manzoni (1785-1873) e G. Ungaretti (1888-1970). Si tratta di due scrittori che danno voce non soltanto alla loro sofferta esperienza, ma anche al contesto culturale ed esistenziale nel quale vivono. Fermeremo la nostra attenzione all’evento della loro conversione e a come essa si riflette in alcuni loro scritti.

    Alessandro Manzoni. Alla conversione del più importante romanziere italiano del secolo XIX concorrono alcuni fattori che ne determinano un lento e meditato svolgimento. Diciamo subito che la conversione di Manzoni non è un atto improvviso, ma porta con sé tutta una visione della realtà, frutto di lenta meditazione. Nato a Milano nel 1785, Manzoni conosce la separazione dei genitori e studia nelle scuole dei Somaschi e dei Barnabiti. Sin dal 1792 la madre, ormai divisa da Pietro Manzoni vive a Parigi con Carlo Imbonati, uomo umile e di alti valori interiori che, tuttavia, muore nel 1805. A partire da quell’anno, lo scrittore si reca a Parigi e ivi soggiorna con la madre venendo a contatto con il pensiero razionalista e sensista che gli permette di acquisire una sempre maggiore limpidezza di ragionamento e di analisi psicologica. Sul piano religioso, il Deismo diffuso nella capitale francese lo allontana sempre più dal Cristianesimo e gli fa criticare la superstizione e anche quegli elementi formalistici che aveva conosciuto nella formazione giovanile. Nel 1807 torna in Italia per la morte del padre e qui conosce Enrichetta Blondel figlia di un banchiere ginevrino e di stretta osservanza calvinista. I due si sposano nel 1808 con rito calvinista e tornano a Parigi. Nel frattempo Manzoni compone Urania, un poemetto in cui si celebra la poesia creatrice di un’etica della civiltà e, in una parola, civilizzatrice; notevole ad esempio la presenza delle Virtù, fra le quali la Fede. Proprio durante la stesura di questa composizione abbiamo il primo manifestarsi di un lento processo di conversione determinata da alcuni eventi: nel 1809 nasce la figlia Giulia e, successivamente, Manzoni chiede a Pio VII di potersi sposare con rito cattolico con Enrichetta, permesso che effettivamente ottiene nel 1810; la moglie quale frattanto, guidata da un sacerdote non alieno da idee gianseniste, E. Degola, coltiva la sua formazione alla fede cattolica che giunge al culmine nel maggio del 1810 all’abiura del calvinismo e il conseguente passaggio alla fede cattolica. A questa cerimonia assistono molte persone. In questo insieme di eventi si colloca il famoso ingresso nella Chiesa di St. Roch di un Manzoni tormentato per la perdita della moglie tra la folla esultante delle nozze di Napoleone e Maria Luisa. Nella chiesa egli si reca per rivolgersi ad un Dio che ancora non vede con gli occhi di una fede consolidata. Sovente si limita a questo evento la conversione che, in realtà, è tutto un processo più complesso che arriva al culmine nell’agosto-settembre 1810 quando Alessandro, la madre Giulia ed Enrichetta ricevono la Prima Comunione. Dopo questo fatto, i tre rientrano a Milano e inizia una nuova vita familiare dove sana e cristiana (guidati anche da don Luigi Tosi) è l’educazione impartita ai figli e, per Alessandro, di produzione letteraria a partire dagli Inni Sacri (1812-1822), dalle Osservazioni sulla morale cattolica (1819) e la lunga e complessa gestazione dei I Promessi Sposi (1821-27). Se fra gli Inni sacri è soprattutto l’ultimo (La Pentecoste) a segnalarsi per densità teologica e meditativa, sono soprattutto le altre due opere che ci illustrano la riacquistata religiosità dello scrittore lombardo e il suo utilizzo per i suoi fini artistici. Nelle Osservazioni troviamo almeno quattro elementi propri della personalità di Manzoni: il rigore logico, la profonda adesione al Vangelo, il rifiuto della casistica e di altre autorità che non siano il Vangelo e, da ultimo, la confluenza delle dottrine della Rivoluzione francese con l’attenzione ai diritti dell’uomo. Ne emerge un tipo di Cattolicesimo liberale che, tuttavia, si verrà affinando successivamente con i rapporti sempre più stretti che il nostro instaurerà con A. Rosmini e che gli faranno gradualmente abbandonare ogni residuo di Illuminismo per optare verso una sintesi tra Idealismo e Cattolicesimo. Nel romanzo troviamo ormai consolidato tutto un Credo che, pur con tracce gianseniste, serve a Manzoni per operare una svolta in seno stesso alla narrativa: una religiosità fortemente legata alla Provvidenza, ma non per questo miracolistica o spettacolare e, non meno importante, la centralità data alla semplicità dei protagonisti (analizzati con raffinata psicologia e contrassegnati da un linguaggio molto denso, basterebbe pensare alla mite e risoluta Lucia e alla figura, in certo senso autobiografica, dell’Innominato nel suo processo di conversione) in antitesi a certa letteratura che privilegiava i potenti. Tale connubio di fede ed arte è stato criticato, ma Manzoni vuole sottolineare come il messaggio cristiano obbliga a scelte che vanno contro-corrente e perciò si pone come fattore critico e, in secondo luogo, come esso non fa che accrescere un ideale morale mai sopito nella sua missione di letterato. Inoltre sul piano della cultura italiana, Manzoni rappresenta il corrispettivo letterario di tutta una produzione melodrammatica che, in quello stesso periodo storico-artistico, ha in G. Verdi il suo massimo esponente: non è un caso che il musicista parmense, non certo dichiaratamente impegnato sul piano confessionale come Manzoni, lo chiamava ‘il Santo’ e, ad un anno dalla morte, gli dedica il suo Requiem (1874).

    Giuseppe Ungaretti. Quindici anni dopo la morte di A. Manzoni, nel 1888, nasce ad Alessandria d’Egitto, da genitori lucchesi emigrati per lavori al Canale di Suez, Giuseppe Ungaretti. Rimasto ben presto orfano di padre, Ungaretti vive guidato dalla madre, molto religiosa che lo conduce con sé in preghiera al cimitero ogni settimana. Ventiquattrenne si trasferisce a Parigi dove entra in contatto con gli autori letterari più in voga nel tempo: Leopardi, Baudelaire, Mallarmé e il giovane poeta non nasconde una simpatia anche per Nietzsche. È chiaro che la religiosità cristiana si affievolisce tanto che attorno al 1908, Ungaretti sposa idee anarchiche ed atee oltre a scrivere articoli politici e letterari. Gli anni successivi sono contrassegnati da grande mobilità tra Francia, Egitto e Italia. Lo scoppio della I guerra mondiale lo vede come acceso interventista e nel 1915 inizia la sua attività poetica che trova la sua grande prima prova nella raccolta Il porto sepolto del 1919. Gli anni successivi fino al 1928 vengono trascorsi in diverse città italiane. Il 1928 è l’anno della conversione che non è subitanea, ma nasce in seno ad una riflessione sull’uomo condizionata anche dagli orrori della I Guerra alla quale il poeta aveva partecipato. C’è da osservare che, pur nelle diverse esperienze giovanili, talvolta lontanissime dal dato cristiano, Ungaretti non depone mai la sua passione per l’umanità soprattutto nel suo essere minacciata. Dal 1920 egli si stabilisce a Roma dove ha un incarico presso il Ministero degli esteri e 5 anni dopo inizia a frequentare la grotta del Sacro Speco di Subiaco in preda ad una forte crisi religiosa; nel 1928 in vicinanza della Pasqua partecipa alla liturgia pasquale e agli esercizi spirituali. Si parla perciò di una conversione in Ungaretti, ma rispetto a quella di Manzoni (e chiaramente tenendo conto dei diversi contesti), abbiamo con l’accoglienza del cattolicesimo l’approdo e il compimento di tutta la cura che il poeta lucchese mostrava per l’umanità, nonché un riposo per la sua esistenza. Tutto questo lo vediamo densamente vissuto nella sua poesia La pietà composta proprio nel 1928, dove anche gli spazi tra versi e distici assumono una forte e pensosa espressività a servizio di una meditazione sulla fragile situazione dell’uomo. Anche ne La Madre del 1930, affetti familiari, speranza e fede vengono a combinarsi in tono solenne. Ma la grandezza della fede ungarettiana non può separarsi dalla meditazione sull’uomo in quanto al centro della sua poetica campeggia la luce del Figlio di Dio fatto uomo e l’Incarnazione è l’evento che rende il Cristo “purificante amore”. A lui il poeta si rivolge con intense espressioni che coinvolgono l’umanità in un progetto di redenzione: “Fa ancora che sia scala di riscatto / La carne ingannatrice” (La preghiera, 1928). La fragilità umana viene vissuta da Ungaretti in prima persona quando si confronta con il grande dolore per la morte prematura del figlio Antonietto per un’appendicite malcurata nel 1939, in Brasile. Un dolore che troverà voce nella rievocazione del bambino in Giorno per giorno scritta in 17 frammenti dal ’40 al ‘47. Con lo scoppio della guerra, il poeta è costretto a tornare in Italia anche per l’ostilità del Brasile verso l’asse Roma-Berlino dichiarata nel 1942. Una volta a Roma, il poeta è partecipe delle sofferenze imposte dalla guerra e dalla carestie, non senza aprirsi all’ospitalità verso gli ebrei perseguitati. Sempre in questo periodo è la nomina ad Accademico d’Italia. Altra prova di altissima meditazione cristiana è il lungo testo Mio fiume anche tu, che idealmente si collega ad una poesia del ’16 (I fiumi) nella quale il poeta ripercorreva la sua esistenza attraverso l’evocazione dell’Isonzo, del Serchio, del Nilo e della Senna. Ad essi ora unisce il Tevere di una Roma provata dalla guerra: la religiosità ungarettiana dell’uomo viene ora a consolidarsi e a compiersi nell’immagine del “Cristo pensoso palpito, / Astro incarnato nell’umane tenebre, / Fratello che ti immoli / Perennemente per riedificare / Umanamente l’uomo (…) Ecco, Ti chiamo, Santo / Santo, Santo che soffri”. Un Cristo innestato nella sofferenza della città che è centro della cristianità violata da quella “fantasia ritorta / e mani spudorate / dalle fattezze umane l’uomo lacera / l’immagine divina / e pietà in grido si contrae di pietra” (Mio fiume anche tu, 1943-44). A guerra finita, viene sottoposto a procedimenti di epurazione dai quali viene scagionato e confermato nell’insegnamento. Ciò avrà ripercussioni sulla sua salute ma anche sul giudizio che si avrà su di lui. Dal Cristo, uomo lacerato dagli uomini, Ungaretti passa a considerare la Chiesa nella stessa condizione di “tragica patria” che, nonostante venga uccisa “da venti secoli” dall’uomo, rinasce vivificante ed “umile interprete del Dio di tutti” (Accadrà, 1944). Nel 1968, in occasione del suo ottantesimo compleanno, Ungaretti è segno di solenni celebrazioni in Campidoglio da parte del Governo italiano. Due anni dopo (2 giugno 1970) il poeta muore a Milano, ma i funerali vengono celebrati a Roma e presieduti dall’allora Cardinale Vicario mons. Angelo Dell’Acqua. Ungaretti è il poeta convertito, cantore di Cristo e della Chiesa e dell’uomo che vive e si apre alla speranza guidato da entrambe le realtà capaci, se non di eliminare il dolore cosmico ed esistenziale che lo ha toccato profondamente, di inserirlo in tutta la Redenzione che diviene interpretazione della storia anche nelle sue brutture. Nell’ambito della storia letteraria d’Italia, Ungaretti approfondisce e ed universalizza il carattere drammatico e, a volte, tragico, elemento già presente in autori profondamente cristiani (e a lui particolarmente familiari) come Jacopone e Petrarca, passati tuttavia attraverso i canoni espressivi dei poeti simbolisti e visionari francesi tra XIX e XX secolo, come A. Rimbaud e S. Mallarmé. Qui Ungaretti – dopo un lungo percorso stilistico – si fa araldo e portatore di una parola scabra ed essenziale che, proprio per questo, assume una profonda sacralità, derivante dal suo senso religioso cristiano e, al contempo, alla vita in tutte le sue manifestazioni, gioiose e dolorose.

    Appartenenti ad altre fedi. Accanto a figure di scrittori ed intellettuali, appaiono singolari i casi di conversione di persone di differenti confessioni, la cui cultura è talvolta segnata da una profonda avversione al cristianesimo. Esamineremo qui due personaggi la cui conversione ha lasciato, per vari motivi, una forte impressione nell’ambiente italiano, soprattutto romano: Alphonse de Ratisbonne e Eugenio Zolli.

    Alphonse de Ratisbonne (1812-1884). La vicenda di Alphonse de Ratisbonne si segnala per la straordinarietà del fatto avvenuto nella Chiesa di S. Andrea delle Fratte a Roma e per il contesto mariano di poco antecedente alla definizione del dogma dell’Immacolata. A viverlo è appunto un ricco banchiere ebreo francese il cui tenore di vita gli consente qualsiasi soddisfazione materiale a cui si aggiunge una netta ostilità verso il cattolicesimo inasprita tra l’altro dalla conversione del fratello Théodore che sarà ordinato prete nel 1830, anno delle apparizioni parigine a Rue du Bac a S. Caterina Labouré. Dopo aver trascorso una vita tumultuosa e sempre segnata dall’avversione al cattolicesimo, Alphonse decide di sposarsi con la cugina Flore, non senza prima compiere un viaggio a Gerusalemme per motivi religiosi mai però troppo sentiti. Un problema di navigazione lo costringe a fermarsi a Roma. Qui incontra il barone de Bussières, fervente cattolico e amico del fratello sacerdote, il quale, sembra metterlo alla prova, donandogli la Medaglia miracolosa coniata per volere della Madonna a seguito di quelle apparizioni. L’ebreo accetta, diciamo per forzata cortesia verso il barone e decide di fermarsi qualche giorno in più a Roma. Nel gennaio del 1842 trovandosi nei pressi della chiesa di S. Andrea delle Fratte non resiste alla curiosità di visitare l’interno della chiesa ed è qui che avviene un evento particolare: dapprima immerso in un’oscurità globale, il Ratisbonne vede la maestosa e luminosissima figura della Vergine che lo invita ad inginocchiarsi e, similmente alla vicenda dell’apostolo Paolo, comprende la tenebra di peccato nel quale era vissuto e la bellezza del cattolicesimo. In tal senso non meraviglia l’illustrazione della sua conversione nei seguenti termini: «Posso spiegare questo cambiamento solo col paragone di un uomo che si risvegli improvvisamente da un sonno profondo o con l’analogia di un cieco nato che di colpo veda la luce; egli vede ma non può definire la luce che lo rischiara e in seno alla quale contempla gli oggetti della sua ammirazione» (A. Ratisbonne, Conversione di un Israelita, 47). Riappacificatosi con il fratello Théodore, undici giorni dopo Alphonse riceve il battesimo aggiungendo al proprio nome quello di Maria ed entra nella Compagnia di Gesù venendo poi ordinato nel 1848. Nello stesso anno dell’apparizione, il Vicariato di Roma istituisce una commissione d’inchiesta per verificare l’autenticità di quanto accaduto. Dopo un lungo periodo di deposizioni e testimonianze, il cardinale Patrizi firma un decreto in cui si riconosce come “istantanea e perfetta” la conversione di Alphonse-Marie dall’ebraismo, a seguito dell’apparizione realmente avvenuta. In seguito ad un’ulteriore e forte presa di coscienza dell’importanza della missione di convertire gli ebrei al cattolicesimo, portata avanti dal fratello mediante la Congregazione Notre Dame de Sion, il Ratisbonne lascia i gesuiti (avendo ottenuto la licenza da Pio IX) e si trasferisce in Terra Santa, dove muore il 6 maggio 1884 ad Ain Karin, il luogo, secondo la tradizione, della Visitazione di Maria a Elisabetta. Sul piano storico, la conversione del Ratisbonne – al di là della caratteristica del fenomeno – si colloca in un momento di forte apologia portata avanti dalla Chiesa del secolo XIX dominata dalla figura di Pio IX. La forza dell’insieme dei fatti appare come una vittoriosa sfida del soprannaturale contro quell’imperante razionalismo condannato in blocco (e forse erroneamente) dal famoso Sillabo. A tal razionalismo si uniscono anche tutta la critica e gli attacchi alla Chiesa propri del tempo. Stando però ai fatti avvenuti a S. Andrea delle Fratte, la vicenda di Alphonse-Marie ha agito sulla cristianità proprio con una sincerità del tutto nuova in un ebreo che, dall’ostilità verso il cristianesimo, diviene anello di congiunzione tra l’antica e la nuova Gerusalemme con una personale privazione di favori e agevolazioni che poteva ottenere nella sua vecchia situazione segnata dalla mondanità e dall’amministrazione dei beni terrestri e del danaro.

    Eugenio Zolli. Un’altra singolare e travagliata vicenda di conversione dall’ebraismo è quella di Israel Zoller (Eugenio Zolli) (1881-1956) soprattutto per le reazioni contrastanti che sono seguite alla scelta di questo insigne studioso di abbracciare il Cattolicesimo. Nato in Polonia nel 1881 da numerosa ed osservante famiglia ebrea, dopo una breve parentesi a Vienna, Zolli si trasferisce a Firenze dove frequenta tanto l’Università Statale quanto il Collegio Rabbinico di quella città. Si laurea in filosofia nel 1910 con una tesi di psicologia sperimentale e subito si dimostra interessato alla nascente psicanalisi. L’anno successivo è a Trieste dove, dopo la nomina a rabbino capo, inizia la sua docenza di Lingua e letteratura ebraica a Padova che vedrà interrotta nel 1938 in seguito alle leggi razziali. Nel 1922 prende la nazionalità italiana. Dal 1939 si stabilisce a Roma dove viene nominato rabbino capo e direttore del Collegio Rabbinico e inizia la collaborazione con la Rivista biblica tenuta dai Gesuiti nonché altre pubblicazioni di spicco. L’anno successivo è costretto ad italianizzare il nome in Israele Zolli. Durante il periodo bellico vissuto a contatto con la sua gente perseguitata, Zolli si prodiga per la difesa dei suoi correligionari dalla furia nazista, ricevendo l’aiuto da papa Pio XII che ordina a conventi e monasteri di ospitare e nascondere i perseguitati. Pur ebreo ed insignito di importanti cariche all’interno della sua società, Zolli mostra sempre un certo interesse per la figura di Cristo, tanto da pubblicare Il Nazareno (1938) che, insieme a Israele (1935), è una delle sue opere più importanti. Lo studio profondo e l’esperienza vissuta personalmente di un Cristianesimo che, gradualmente, si insinua nella mente e nel cuore lo portano dimettersi da tutte le cariche in seno alla sua comunità e a richiedere il battesimo che viene celebrato il 13 febbraio 1945: Zolli cambia nome prendendo quello di Eugenio Maria. Anche la moglie Emma lo segue. L’anno successivo Zolli diviene terziario francescano. Nel 1946 anche la figlia Myriam passa al Cattolicesimo. Della propria conversione Zolli ne parla diffusamente nella sua autobiografia dal titolo Prima dell’alba pubblicato in inglese negli USA nel 1954 (ma la stesura originale era in italiano). In questa piccola opera si snoda un percorso globale e ci viene offerto il racconto di una visione di Gesù della quale lo stesso Zolli è partecipe durante un rito per la festa dello Yom Kippur (ottobre 1944). Esperienza esaltante e coinvolgente che segna appunto il passaggio dalla fede degli antichi padri al cattolicesimo. Dopo la conversione, Zolli si trova in notevoli difficoltà economiche ed esistenziali, ma viene grandemente aiutato dai Padri Gesuiti della Pontificia Università Gregoriana (soprattutto da p. Dezza). Intensa la sua vita di preghiera e di studio fino al gennaio 1956 quando viene colpito da broncopolmonite; nonostante l’assistenza e la preghiera, questa malattia lo conduce alla morte vissuta dal Nostro con grande abbandono al Cristo Crocifisso. Zolli muore il 3 marzo 1956, primo venerdì del mese alle tre del pomeriggio come il Cristo e come egli stesso aveva confidato ad una suora che lo assisteva. Impegno accademico e fede sono le due costanti della vita di Zolli che mai considerò il passaggio al Cattolicesimo come rottura totale con l’Ebraismo. Questo elemento importantissimo e da lui sottolineato attraverso i suoi studi non lo pose al riparo da un’ondata massiccia di reazioni in seguito al suo cambiamento. In un suo denso volume Mons. A. Comastri, illustrando la personalità e la vicenda di Zolli, evidenzia tre aspetti che investono la sfera personale e le ricadute sociali ed ecclesiastiche conseguenti alla sua conversione: il carattere profondamente biblico della conversione, le reazioni e la valenza ecumenica alla quale non è estranea la figura di Pio XII, altro protagonista discusso di quegli anni (cf. A. Comastri, Dov’è il tuo Dio? pp. 85-97). Anzitutto il carattere biblico: Zolli è un convertito che mostra notevoli punti di contatto con S. Paolo del quale il grande studioso amava il racconto della conversione. Anche Paolo è un rabbino e viene scosso drammaticamente da una visione luminosa. Aggiungiamo che se l’Apostolo delle genti si pone come instancabile evangelizzatore, la religiosità di Zolli dopo la sua conversione si intensifica nel suo carattere orante e di abbandono alla Provvidenza e sempre teso a evitare il conflitto tra le due fedi. Questo ci permette di collegare il secondo elemento: le reazioni a Zolli, soprattutto di parte ebraica, sono durissime (considerato apostata e definito come “serpente” e traditore, è costretto a lasciare la sua vecchia casa al Ghetto), ma anche da parte protestante non sono da meno. Nonostante questo, Zolli non recede dal percorrere interamente e seriamente questa nuova via. Eppure proprio la Chiesa Cattolica rappresenta per lui un indice di continuità con l’antica sinagoga attraverso quegli apostoli che sono i suoi antenati. L’ostracismo nei suoi confronti accomuna Zolli alla figura di Pio XII grande protagonista della storia della popolazione della Roma occupata e degli ebrei perseguitati. Di questo papa, il grande studioso prese il nome (Eugenio) in segno di quel grande debito di riconoscenza che tutta la comunità ebraica gli doveva, ma in un’intervista la figlia di Zolli ricorda che, più volte, il padre ne previde, a guerra finita, la persecuzione a causa del silenzio dinanzi ai crimini nazisti (cf. A. Comastri, Ibidem, p. 92). C’è da osservare che tale debito di riconoscenza, pur contornato da aspre ed immotivate critiche, è stato riconosciuto da diverse personalità di spicco all’interno dell’ebraismo, in Italia e all’estero. Sgomberato il campo dai fraintendimenti e dalle accuse di scarsa incisività e di debolezza attribuiti a Pio XII in relazione al problema ebraico a Roma, Zolli è stato uno dei primi a comprendere ed interpretare rettamente la condotta di questo successore di Pietro costretto ad agire in modo prudenziale per scongiurare un inasprimento delle condizioni già molto dure che la città di Roma stava vivendo. Zolli si configura perciò come maestro ed esempio di altissima cultura posta al servizio della riconciliazione e della pacifica convivenza interreligiosa, profeta (e, come tale, perseguitato persino presso i suoi: cf. Lc 4,24), nonché precursore di successive aperture che favoriranno l’arricchimento reciproco di due confessioni religiose che non possono, né devono dimenticare il loro inscindibile legame.

    Laici convertiti. Nel XX secolo abbiamo alcuni casi di conversioni di persone laiche e lontane dal cattolicesimo che, tuttavia, sono accomunate da iniziative di carattere religioso ed assistenziale provocato dalla loro conversione. In particolare, due sono degni di merito in quanto hanno avuto come obiettivo l’aiuto ad ammalati e il potenziamento della cultura scientifica con la creazione di vere e proprie istituzioni benefiche: prima fra tutte l’Università Cattolica del S. Cuore nella persona di A. Gemelli (1878-1959).

    Agostino Gemelli. Si tratta di una delle personalità più prestigiose della Chiesa, della cultura e della società italiane tra XIX e XX secolo, dotato tra l’altro di una spiccatissima e risoluta indole. Nato a Milano nel 1878 in una famiglia assai poco credente e intrisa di idee anticlericali e massoniche tipiche di quell’avversione alla Chiesa seguita all’unità d’Italia, A. Gemelli si mette in luce sin dai primi anni di scuola per il carattere forte e ribelle ad ogni regolamento ed insofferente ad ogni pratica religiosa che difatti abbandonò. Finito il liceo si iscrive nel 1896 alla Facoltà di Medicina a Pavia. Nel febbraio del 1902 viene espulso da un collegio per indisciplina. Lontano dal cristianesimo si entusiasma invece per le idee socialiste collaborando a Pavia al giornale di partito La Plebe. Ma anche con il partito, a seguito di polemiche interne contro il suo maestro C. Golgi (premio Nobel 1906), i rapporti si deteriorarono fino all’espulsione. Intanto Gemelli manteneva, pur nella diversità di idee, rapporti con gli universitari del Circolo Severino Boezio della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI). Del luglio 1902 è la sua laurea in medicina con il massimo dei voti e con una serie di gratificazioni tra cui il ruolo di assistente del suo maestro Golgi. Nel novembre successivo iniziò il volontariato come soldato di sanità all’ospedale militare di Milano dove, attraverso un suo amico L. Necchi, inizia a frequentare un giovane sacerdote G. Pini ed altri giovani francescani. Dal 1903 Gemelli riprende la pratica religiosa che culminò in una decisione inattesa e molto contrastata dai suoi familiari: l’ingresso, al termine del volontariato, nell’Ordine Francescano e compie il suo periodo preparatorio e i suoi studi fra Rezzato e Milano. Ne nascono non poche polemiche anche di natura pubblica, ma nessuno riesce a far recedere il giovane medico dal suo proposito. Nella famiglia religiosa egli prende il nome di Agostino: emette i primi voti nel 1904 e viene ordinato nel 1908. I suoi interessi si volgono verso la psicologia, ma dotato di carattere piuttosto impetuoso Gemelli ha come suo obiettivo principale quello di ravvivare la cultura cattolica soprattutto nell’armonizzare fede e scienza. Il 1907 rappresenta per lui e per la cultura cattolica italiana un anno particolare in quanto, incontratosi con il sociologo G. Toniolo, gli sottopone l’idea di creare un Istituto cattolico di studi filosofici. Per ora è soltanto un’idea che avrà sviluppo molto consistente in seguito. Il porre a servizio della Chiesa, non rinunciando tuttavia al loro metodo proprio, tutte le conoscenze scientifiche conduce Gemelli ad affrontare, studiare e insegnare una serie di questioni e discipline teologiche importanti e, fra esse, un rilievo particolare è dato alla medicina pastorale negli studentati francescani. In funzione di tale avvicinamento tra scienza e fede, egli promuove nel 1910 l’associazione Pro Cultura. Dell’anno precedente era stata la fondazione della Rivista di filosofia neoscolastica modellata su quella in lingua francese di Lovanio. A questo intenso periodo di iniziative in Italia, Gemelli unisce, nel periodo 1910-14, anche soggiorni in Germania dove frequenta numerosi laboratori scientifici ottenendo quindi la libera docenza in psicologia sperimentale che eserciterà negli anni successivi. Fedele all’ortodossia e distante dal modernismo, Gemelli, tuttavia guarda con simpatia ad una certa compatibilità del cristianesimo con l’ipotesi evoluzionistica e, fautore dell’idea di una cultura onnicomprensiva sotto l’egida cristiana, la illustra nell’editoriale Medioevalismo nel primo fascicolo della rivista culturale Vita e pensiero da lui fondata nel 1914. Tale scritto appare quasi come il manifesto programmatico di Gemelli che, seppur datato (specialmente per il tono apologetico), presenta alcune problematiche con le quali la Chiesa si è sempre dovuta confrontare: ateismo, perdita della trascendenza, libero pensiero, riduzione della cultura a puro nozionismo, ecc. “Questo è il nostro scopo – scrive Gemelli a conclusione dell’editoriale – lavorare per la Chiesa Cattolica, per difenderla, per dimostrarle il nostro amore, per farla conoscere e seguire. Lavorare per il nostro paese, per ridonarlo a Gesù Cristo” (A. Gemelli, Medioevalismo, 24). Il suo carattere impetuoso si unisce con un aperto patriottismo a riguardo della I guerra mondiale durante la quale viene arruolato come capitano medico e cappellano militare; ciò gli dà la possibilità di istituire un laboratorio di psicofisiologia per la selezione degli aviatori. Finita la Grande Guerra abbiamo la ripresa dell’idea dell’Istituto Cattolico e il graduale conformarsi di quella che sarà, a partire dal 1921 (anno di inaugurazione), l’Università Cattolica del S. Cuore con le iniziali facoltà di filosofia e scienze sociali. Ciò che contraddistingue l’attività di Gemelli non è solo una grande varietà di intuizione, ma la sagacia con la quale egli ha saputo inserire le sue iniziative (in particolare l’Università Cattolica) nel quadro degli ordinamenti statutari italiani. Questo lo porta ad ottenere il riconoscimento statale del suo centro di studi nel 1924 che, gradualmente, si estende con altre facoltà, ma sempre avendo una particolare cura ed attenzione per la psicologia. Sul piano politico le idee di Gemelli erano assai vicine al regime fascista ormai al potere in Italia, sebbene il religioso avesse sempre optato per l’idea di una societas christiana e, per questo motivo, egli favorisce l’idea della Regalità di Cristo sotto il cui nome fonda tre istituti secolari (Missionarie della Regalità di Cristo nel 1919, Missionari nel 1928 e Sacerdoti missionari nel 1953). La vicinanza al regime e certo antisemitismo da lui manifestato in un discorso commemorativo nel 1939 (sebbene ritrattato nelle sue espressioni più forti e tipiche della tradizione ormai millenaria del popolo deicida), pur accompagnate da un forte sostegno alla Resistenza nel II conflitto mondiale (Gemelli non volle mai riconoscere la Repubblica di Salò) non ha sottratto il Nostro al processo intentato dagli Alleati nel ’46 da cui però viene prosciolto da ogni responsabilità. Sempre in questo anno, Gemelli rimane vittima di un incidente stradale dal quale si riprende e torna a guidare l’Università aggiungendovi anche la facoltà di scienze economiche (1948) e agraria (Piacenza, 1953). L’ultimo atto che vede Gemelli protagonista è la fondazione di una facoltà di medicina con sede a Roma che viene approvata nel 1958 dal Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Tuttavia Gemelli non ne può vedere l’effettiva realizzazione poiché muore il 15 luglio 1959. Le esequie sono officiate dall’arcivescovo G. B. Montini, futuro papa Paolo VI. Studioso, promotore di iniziative, uomo di azione: queste sono le caratteristiche principali, unite ad un carattere molto forte e dinamico, proprie di A. Gemelli, autore tra l’altro di numerosi e variegati scritti in cui vengono trattati temi teologici, medici e spirituali. In lui la scienza ha un notevole ed originale esponente tanto che alcuni suoi scritti restano importanti anche oggi nel campo psicologico. Ma la preoccupazione di Gemelli è il voler costituire un’unità di fondo, nel rispetto dei vari metodi, delle varie scienze a servizio dell’uomo nel suo rapporto con sé stesso, con gli altri e con Dio. È questo il dato più singolare di una svolta cristiana da laico e cresciuto in ambiente ateo che egli ha attuato. Più che di conversione (fatto salvo quello che è l’intervento di Dio su ogni anima) è possibile parlare di un avvicinamento che diviene poi consacrazione totale a Dio sorretta da grande intelligenza e lungimiranza (acuita anche dal confronto con situazioni di altri paesi) con il preciso obiettivo di voler contribuire ad una cultura integrale dell’uomo e per l’uomo, tale da liberarlo non solo dal peccato, ma anche dalla grettezza mentale ed aprirlo alle meraviglie del creato. In questo è evidente un processo di ritraduzione in termini scientifici del carisma francescano che A. Gemelli ha attuato similmente ad un suo illustre predecessore quale è stato S. Bonaventura.

    Fonti e Bibl. essenziale

    Un volume a carattere generale sul periodo considerato è: E. Guerriero (a cura di), La Chiesa in Italia dall’unità ai nostri giorni, Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo 1996. Su A. Manzoni: M. Sansone, Storia della Letteratura Italiana, Principato, Milano 1973; Aa.Vv., Antologia della Letteratura Italiana, Rizzoli, Milano 1979, vol. V, 9-92. G. Alberti, Alessandro Manzoni, in E. Cecchi-N. Sapegno (dir.), Storia della Letteratura Italiana: L’Ottocento, Garzanti, Milano 1969, vol. VII, 621-45; A. Stella, Alessandro Manzoni, in E. Malato (dir.), Storia della letteratura italiana, Il Sole 24 Ore, Roma 2005, vol VII/2, 605-725 (con densa bibliografia divisa per sezioni); W. Binni-R. Scrivano (a cura di), Antologia della critica letteraria, Principato, Milano 1960. Su G. Ungaretti: G. Ungaretti, Vita di un uomo. Tutte le poesie, a cura di L. Piccioni, Mondadori, Milano 1969; L. Piccioni (a cura di), Per conoscere Ungaretti, Mondadori, Milano 1971. W. Mauro, Vita di G. Ungaretti, Camunia, Brescia 1990; S. Pavarini, Giuseppe Ungaretti, in E. Malato (a cura di), Storia della Letteratura italiana, vol. 17: Il Novecento, Il Sole 24 Ore, Roma 2005, 481-504. Su A.M. Ratisbonne: A. Ratisbonne, Conversione di un israelita, Amicizia Cristiana, Roma 2010 (or. franc. 1842); J. Guitton, Ratisbonne, Paris 1964; M. Carmelle, L’évenenent du 20 janvier 1842 et Marie Alphonse Ratisbonne, Sources de Sion, Roma 1978. T. de Le Bussieres, La conversione di Alfonso Maria Ratisbonne, Amicizia cristiana, Roma 2008 (or. franc. 1842); A. Azzimonti, L’ebreo convertito dalla Vergine della Medaglia, in Il Timone, sett-ott. 2000, 24-25. Su E.M. Zolli: E. Zolli, Christus, AVE, Roma 1946; E. Zolli, L’Ebraismo, Ed. Studium, Roma 1953; J. Cabaud, Il rabbino che si arrese a Cristo, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2002; A. Comastri, Dov’è il tuo Dio? Storie di conversioni nel XX secolo, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2003, pp. 85-97; E. Zolli, Prima dell’alba. Autobiografia autorizzata, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2004. Su A. Gemelli: gli scritti di Gemelli sono elencati nella Bibliografia completa di padre Agostino Gemelli curata da E. Preto edita a Milano nel 1981. Notevole e dettagliato è anche l’apparato bibliografico sulla figura e sul pensiero riportato nel Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1999, vol. LIII, 34-36. Valida è anche la voce Gemelli Edoardo curata da L. Profili nel Dizionario degli Istituti di Perfezione, vol. IV, 1046-49, volta soprattutto ad evidenziare la fondazione e la difesa, anche giuridica, degli istituti secolari fondati da Gemelli. Recente monografia è quella di M. Tiraboschi, Agostino Gemelli. Un figlio di S. Francesco tra le sfide del Novecento, LEV, Città del Vaticano 2007; Gemelli, Medioevalismo, in Vita e pensiero, 1 (1914), 1-24.


    LEMMARIO