Conversioni – vol. I

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    Autore: Irene Fosi

    Il significato del termine conversione (conversio) per la Chiesa cattolica indica il ritorno di un’anima traviata a Dio e il suo passaggio dal peccato allo stato di grazia. Nella storia culturale e religiosa il termine indica anche la scelta che una persona compie aderendo a un nuovo credo lasciando la precedente confessione, come l’abbandono dell’ateismo per abbracciare una verità religiosa. Il concetto di conversione appare comunque difficile da definire per la complessa e molteplice presenza di fattori che la determinano sia a livello religioso che culturale, politico e sociale nei diversi periodi storici. Nel Cristianesimo, la conversione ha avuto principalmente due modelli forgiati sulle vicende degli apostoli Pietro e Paolo: la conversione folgorante e immediata di Saulo/Paolo e il lento percorso conversionistico di Pietro, che proprio per le sue drammatiche contraddizioni, ha stimolato ricerche più approfondite sia in ambito storico che antropologico. Anche gli studi, soprattutto i più recenti, sulle conversioni riflettono la pluralità di interpretazioni del tema: non solo sono stati analizzati i motiva conversionis, le cause, i diversi percorsi e le fasi individuali dal punto di vista psicologico, teologico, culturale, ma la sociologia della religione e l’antropologia hanno considerato anche i fenomeni di acculturazione, costruzione identitaria, assimilazione legati alla conversione. Nell’Europa dell’età moderna il problema delle conversioni è strettamente collegato alle vicende politiche e, nelle differenziazioni geografiche e cronologiche, si declina in relazione al giudaismo, alla diffusione della Riforma protestante e al fiorire di confessioni riformate, alla presenza musulmana nel Mediterraneo e nei Balcani, oltre che in relazione alle scoperte geografiche, all’azione missionaria nelle Americhe e nell’Estremo Oriente. Anche in Italia fra Cinquecento e Settecento la conversione riguardò ebrei, musulmani – per lo più schiavi turchi, ma anche mercanti – uomini e donne provenienti da paesi europei dove si erano diffuse le confessioni riformate.

    Ebrei. La conversione degli ebrei, il battesimo forzato rappresentano costanti all’interno del Cristianesimo e della storia della Chiesa, alimentate anche dall’idea, presente nei Padri e in particolare in Agostino, che la fine dei tempi sarebbe giunta con la conversione di tutti gli infedeli e degli ebrei. Tuttavia, il giudizio cristiano riguardo agli ebrei non fu univoco né uguale nel tempo, ma nel corso del Medio Evo si fece più forte in seno al corpo cristiano il timore di deviazioni e complotti che individuarono spesso negli ebrei il capro espiatorio di un’ansietà diffusa nella società. L’espulsione dalla Spagna (1492) e la conversione forzata in Portogallo (1493) condussero molti ebrei in Italia, sia per un periodo limitato, in attesa di spostarsi in altre parti d’Europa o nell’impero ottomano, sia per stabilirvisi definitivamente. Dal 1542, anno della sua istituzione, l’Inquisizione romana si occupò anche degli ebrei che non ricadevano sotto la sua giurisdizione in quanto infideles, ma potevano essere perseguiti come giudaizzanti – gli ebrei convertiti, battezzati, che ritornavano all’antica religione o ne seguivano di nascosto le pratiche – sia per aver commesso atti o pronunziato parole contro la religione cristiana. La politica conversionistica nei confronti degli ebrei, già sottoposti a limitazioni con l’istituzione dei ghetti e a espulsioni, pur diretta dalle norme inquisitoriali e dalle bolle pontificie – in particolare la Cum nimis absurdum (1555) di Paolo IV che istituiva il ghetto a Roma, la Hebreorum gens (1569) di Pio V, la Antiqua Iudeorum improbitas (1581) e le bolle Cum Hebreorum malitia e Caeca et obdurata (1593) di Clemente VIII – assunse carattere diverso negli stati italiani e nel corso dei secoli. Fra ‘600 e l’inizio del ‘700 non cambiò sostanzialmente la politica di conversioni né mutarono gli strumenti usati per realizzarla: dalla creazione dei ghetti, all’istituzione di collegi per neofiti, alle prediche coatte alle quali era costretto a partecipare di sabato un certo numero di ebrei. Il proselitismo della Chiesa oscillò fra la volontà di segregazione e di conversione, tuttavia non mancarono contatti e strategie per aggirare i divieti imposti dalle normative e se da un lato si arginarono, almeno in parte, forme di violenza rituale, dall’altro divenne più radicato e diffuso il pregiudizio antiebraico. Roma si propose come il centro e l’esempio della volontà conversionistica della Chiesa cattolica. Nel 1543 Paolo III istituì la Casa dei Catecumeni e dei Neofiti che doveva guidare alla conversione, spontanea o forzata ma anche disgregare al suo interno la comunità ebraica. Queste istituzioni si diffusero, pur con caratteristiche diverse, in molte città italiane: da Firenze a Ferrara, da Venezia a Torino. Fra il 1614 ed il 1797 a Roma furono convertiti al cristianesimo in questa istituzione 1959 ebrei e 1086 musulmani. Il battesimo con la scelta del nome, spesso in onore di padrini e madrine, segnava il definitivo mutamento identitario oltre a sanzionare la scelta di fede. Non è facile conoscere i motivi di individuali conversioni spontanee: le condizioni materiali, la volontà di rompere l’isolamento e di facilitare l’inserimento nella società, la possibilità di contrarre matrimonio con cristiani, di ottenere privilegi come la cittadinanza, esenzioni fiscali, facilitazioni nei traffici commerciali possono essere indicate come alcune cause. Più drammatiche furono le vicende delle conversioni forzate, dei battesimi imposti soprattutto a donne e a bambini contro la volontà dei genitori, resa più incisiva dagli anni ’30 del Settecento e sotto il pontificato di Benedetto XIV, quando l’intransigenza antiebraica, alimentata da fattori economici, si saldò con la lotta contro il diffondersi delle idee illuministe. Non mancarono le reazioni da parte degli appartenenti alle comunità ebraiche di fronte a questa violenta strategia conversionistica, controllata dalle autorità ecclesiastiche, guidata e avallata dall’Inquisizione. Nel corso del Settecento le conversioni se divennero meno numerose, continuarono tuttavia a rivestire un forte significato simbolico, saldandosi, nei diversi stati italiani, a livello propagandistico con la difesa della Chiesa di fronte al potere statale, come si evince dalla pubblicistica e dalla propaganda che esaltavano figure di neofiti divenuti zelanti difensori della nuova fede fra i loro ex correligionari.

    Musulmani. La presenza, negli stati italiani di islamici è da ascriversi a fattori legati alla posizione geografica delle città, alle vicende politiche che segnarono, in età moderna, i rapporti con l’impero ottomano. Porti franchi, come Ancona, città come Venezia, Napoli, Genova ospitarono costantemente comunità di mercanti musulmani rendendo assai difficile il controllo delle autorità ecclesiastiche su di esse e limitando, quindi, il problema conversionistico. Diversa la situazione degli islamici – turchi, «mori», «negri», come venivano genericamente indicati – fatti schiavi in seguito alla cattura durante operazioni militari condotte nel Mediterraneo sia per mare che per terra, sia giunti nelle città italiane tramite scambi commerciali. La schiavitù era legittima anche per la Chiesa: una bolla di Paolo III (1548) aveva stabilito la liceità di tenere schiavi per «publico utile e bene» sia da parte di singole persone che di istituzioni. Ospizi e collegi per catecumeni, come quelli citati, servivano per preparare alla conversione anche individui di fede islamica che avrebbero poi ricevuto il battesimo e assunto un nuovo nome, spesso in onore di padrini e madrine, comunque segno di un cambiamento identitario e dell’ingresso nella comunità cristiana. Questo sacramento, tuttavia, non cancellava la condizione di schiavitù – come era stato ribadito anche dal cardinal De Luca (1673) – ma, percepito come espressione di docilità e disponibilità alla sottomissione, poteva favorirne l’integrazione presso i padroni che, di solito, continuavano a servire. Le conversioni di musulmani alla fede cristiana, minori numericamente rispetto a quelle di ebrei, sembrano essere state condotte con minore rigore e durezza da parte delle autorità ecclesiastiche. Una particolare ‘conversione’ era poi quella dei rinnegati, cristiani che, catturati da navi turche, erano stati costretti a convertirsi all’Islam per paura o per violenze subite. Riscattati da ordini religiosi come i Trinitari o Mercedari, chiedevano di rientrare nel grembo della Chiesa. Le loro storie, che narrano avventurosi e tragici percorsi di vita, mostrano un atteggiamento indulgente da parte delle autorità cattoliche, specie del Sant’Uffizio, che doveva sincerarsi del pentimento, riconoscere la conversione, reinserire il penitente nella comunità cristiana.

    Eretici. La mobilità nell’Europa di età moderna non fu frenata dalle divisioni confessionali: mercanti, viaggiatori, soldati varcavano in continuazione confini, non solo geografici ma anche confessionali. Dopo la Riforma, bolle pontificie – prima di tutte la bolla In Coena Domini, integrata dalla Cum sicut di Clemente VIII e Romani Pontificis di Gregorio XV (1622) – proibivano l’ingresso e la permanenza di stranieri eretici come di apostati in Italia. Chi fosse scoperto doveva essere allontanato e, in caso di rifiuto, condotto davanti al tribunale della fede per convertirsi. In realtà, il controllo si mostrò assai difficile e molte città attuarono una politica di protezione attraverso salvacondotti e privilegi nei confronti di mercanti stranieri eretici, studenti, viaggiatori. Tuttavia, la rete inquisitoriale periferica esercitò a lungo controlli, giungendo in non rari casi al sequestro di beni se famiglie di mercanti rifiutavano di allontanarsi o di convertirsi. Non mancarono conflitti con le autorità statali che sempre meno tolleravano la pressione conversionistica inquisitoriale. Molti stranieri eretici riuscivano a evitare i controlli del tribunale della fede con un accorto nicodemismo; altri, abbastanza numerosi come dimostrano fonti inquisitoriali, si presentavano spontaneamente al Sant’Uffizio (sponte comparentes) mostrando di volersi convertire. L’abiura veniva di solito preceduta da un periodo di indottrinamento nella fede cattolica, condotto, di solito, presso conventi di ordini religiosi o presso istituzioni destinate a questa missione, come ad esempio l’Ospizio dei Convertendi, fondato a Roma nel 1673. Trattandosi, per lo più di appartenenti a confessioni cristiane riformate, i convertiti non venivano di nuovo battezzati: questo avveniva solo in alcuni casi, sub condicione, quando si nutrivano dubbi sulla correttezza e quindi sulla validità del sacramento ricevuto per mano di «ministri eretici» o in circostanze non chiare. Il neocattolico veniva sostenuto economicamente, sia da privati, di solito nobili o ecclesiastici di rango, sia da confraternite, attraverso elemosine per facilitare la sua integrazione nella società ospite ed evitare la caduta in uno stato di miseria che potesse fargli rimpiangere la sua condizione e la fede precedenti. Le motivazioni che spingevano alla conversione sono, anche in questi casi, molteplici e di difficile definizione, intrecciandosi con elementi di natura economica, volontà di integrazione nella società, opportunità di carriera, libertà di movimento nei territori cattolici. L’intensa propaganda che, in età moderna, si sviluppò attorno alle conversioni, soprattutto di personaggi illustri, non aiuta a penetrare nella scelta soggettiva di fede, ma piuttosto a cogliere il significato che le conversioni rivestirono nell’Europa confessionalmente divisa.

     

    Fonti e Bibl. essenziale

    A. Räss, Die Convertiten seit der Reformation nach ihrem Leben und aus ihren Schriften, 10 Bde, Freiburg i. B., Herder, 1866-1875; Gli Ebrei in Italia, Annali 11, 2, Dall’emancipazione a oggi, a cura di C. Vivanti, Torino, Einaudi, 1997; A. Foa, Ebrei in Europa. Dalla peste nera all’emancipazione XIV-XVIII secolo, Roma-Bari, Laterza, 2001; M. Caffiero, Battesimi forzati. Storia di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi, Roma, Viella, 2004; Schiavitù e conversioni nel Mediterraneo, a cura di G. Fiume, in «Quaderni Storici», 126, 2007; G. Fiume, Schiavitù mediterranee. Corsari, rinnegati e santi di età moderna, Milano, Bruno Mondadori, 2009; Les modes de la conversion confessionelle à l’époque moderne. Autobiographie, alterité et construction des identités religieuses, a cura di M.C. Pitassi e D. Solfaroli Camillocci, Firenze, Olschki, 2010; I. Fosi, Convertire lo straniero. Forestieri e Inquisizione a Roma in età moderna, Roma, Viella, 2011; R. Matheus, Konversionen in Rom in der frühen Neuzeit. Das “Ospizio dei Convertendi” 1673-1750, Berlin-New York, De Gruyter, 2012; P. Mazur, The New Christians of Spanish Naples, 1528-1671: A Fragile Elite, Basingstoke, Palgrave Macmillan 2013; B. Pomara Saverino, Una presenza silenziosa. I moriscos di fronte al Sant’Uffizio romano (1610-1636), in «Quaderni Storici», 144, 2013, 715-744; Introduction: Conversion Narratives in the Early Modern World, ed. by. P. Mazur and A. Shinn, in «Journal of Early Modern History», 17, 2013.


    LEMMARIO