Crociate – vol. I

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    Autore: Luigi Michele de Palma

    Il passaggio dei pellegrini diretti in Terra Santa lungo la penisola italiana è attestato nei testi odeporici a partire dal IV sec. La rete viaria romana aveva facilitato il raggiungimento dei luoghi santi d’oltremare e nello stesso tempo consentiva l’afflusso dei devoti, provenienti anche dalle località più lontane d’oltralpe, verso le mete santuariali altrettanto ambite: i limina Apostolorum a Roma e poi il santuario micaelico del Gargano. L’XI sec., con il ripristino delle vie di comunicazione, aveva favorito la ripresa dei traffici, fra cui anche i pellegrinaggi verso gli antichi santuari d’Italia e la Terra Santa, complice il sistema penitenziale di matrice irlandese.

    Nel frattempo Urbano II aveva iniziato (1094) un lungo viaggio attraverso i territori dell’Italia centro-settentrionale e del sud-est francese con lo scopo di rinsaldare la propria autorità e raccogliere maggiori consensi alla sua politica e al suo indirizzo di riforma ecclesiastica. Durante il concilio di Piacenza (marzo 1095), il papa ricevette gli ambasciatori greci, con i quali, molto verosimilmente, trattò della riconciliazione con la Chiesa bizantina dopo la crisi del 1054. Per l’occasione, sembra che ad Urbano II sia stata presentata una richiesta di aiuto militare contro i Turchi. Alcuni mesi dopo, a conclusione del concilio di Clermont-Ferrand in Alvernia (novembre 1095), il papa pronunciò un discorso con cui esortava gli esponenti della feudalità europea ad intraprendere un pellegrinaggio penitenziale, per mezzo del quale essi sarebbero stati purificati dalle sanguinose guerre fratricide di cui si erano resi responsabili e attori principali. L’auspicato transfert di violenza si sarebbe trasformato in un significativo rinforzo occidentale agli eserciti di Alessio I Comneno, imperatore di Costantinopoli, impegnati contro i Turchi in Anatolia, e nello stesso tempo, avrebbe rinsaldato i rapporti con l’Oriente bizantino.

    Da questo appello papale ebbe origine il movimento dei crucesignati che dette inizio alla storia delle crociate (termine coniato nel XVIII sec.) e vide coinvolte le aristocrazie europee insieme a larghe fasce della popolazione. Tuttavia gli sviluppi del movimento – dovuti ad un complesso di cause e di condizioni – trascesero le indicazioni contenute nell’allocuzione papale e travalicarono la moderazione imposta dalla disciplina ecclesiastica. Nel corso della loro storia, le crociate si trasformarono in spedizioni armate che non ebbero più come meta soltanto Gerusalemme, né restarono guerre di difesa e di liberazione dei cristiani dalla soggezione agli infedeli, ma finirono col diventare guerre condotte contro i nemici della Chiesa e del papato: infedeli, eretici e ribelli.

    Nel 1096 l’Italia venne attraversata da alcuni gruppi di crucesignati diretti in Terra Santa. Due contingenti – capeggiati rispettivamente da Ugo di Vermandois, fratello del re di Francia e Boemondo d’Altalvilla, principe di Taranto e figlio di Roberto il Guiscardo – attraversarono l’Adriatico partendo dalle coste pugliesi, mentre un terzo contingente guidato dal conte di Tolosa Raimondo di Saint-Gilles, insieme al legato pontificio Ademaro vescovo di Le Puy, percorse le regioni settentrionali per poi proseguire lungo il litorale balcanico. L’ultimo contingente, al seguito di Roberto di Normandia, di Roberto di Fiandra e di Stefano di Blois, scese lungo la penisola, fece tappa a Roma e da Bari si imbarcò per Durazzo. A differenza di quanto avvenne oltralpe, lungo i tragitti italiani non si verificarono episodi antiebraici.

    La storiografia recente ha superato il giudizio riduttivo di alcuni medievisti, secondo cui gli Italiani furono coinvolti nel movimento crociato soltanto per la posizione centrale della penisola nel Mediterraneo e perché esse era sede del papato, nonché per gli interessi economici legati ai traffici marittimi, di cui le città marinare era le principali protagoniste. I nuovi studi, invece, pur riconoscendo la modesta diffusione della predicazione della crociata e la sua esigua incisività, hanno messo in evidenza i motivi religiosi che animarono i crociati italiani, per esempio, focalizzando l’attenzione sulla personalità e sul ruolo di Daiberto, arcivescovo di Pisa e primo patriarca latino di Gerusalemme (1100), oppure sulla spedizione genovese di Guglielmo Embriago (1099), col quale s’imbarcò il card. Maurizio, vescovo di Ostia e nuovo legato apostolico per la Terra Santa. Significativa fu l’attività di Anselmo di Bovisio, arcivescovo di Milano, in favore della partecipazione dei Lombardi alla crociata. Di fatto, fu rilevante il contributo delle città italiane, marittime e mercantili, offerto alle crociate tramite il trasporto degli uomini d’arme, dei pellegrini aggregati e di materie prime, e grazie alla superiorità delle loro flotte rispetto alle forze navali dei musulmani. Nel 1100 i crociati italiani si concentrarono a Costantinopoli, la flotta veneziana sbarcò a Giaffa, mentre i Genovesi occuparono Arsuf e Cesarea e i Veneziani Sidone. La presa di Acri (1104) fu supportata dalla flotta genovese e la conquista di Beyruth (1109) venne sostenuta da Pisani e Genovesi. I crociati veneziani conquistarono Tiro (1123).

    Tuttavia la crociata rimaneva un’esperienza religiosa, perciò i crociati, ritornati in patria, serbavano il ricordo di essa e, così come facevano gli altri pellegrini, ne perpetuarono la memoria. In particolare, l’Italia si arricchì di reliquie, di immagini, di culti dedicati a santi orientali, di luoghi di culto, di monumenti e di santuari che imitavano i prototipi d’oltremare e ne trasferivano la sacralità. Esempi di topomimesi continuarono a diffondersi sul territorio della penisola e sono riconducibili non soltanto alla presenza dei numerosi insediamenti degli ordini religiosi militari e di quello canonicale del S. Sepolcro, ma anche a personaggi legati alla crociata. Per Boemondo d’Altavilla, uno fra i protagonisti della prima crociata, venne edificato a Canosa un mausoleo, le cui forme architettoniche replicavano le fattezze dell’edicola del S. Sepolcro di Gerusalemme. A Brindisi, inoltre, fu costruita la chiesa del S. Sepolcro, probabile sepoltura monumentale del conte normanno Goffredo, nuovo signore della città e artefice della sua ricostruzione. La pianta dell’edificio imitava la rotonda dell’Anastasis gerosolimitana. Sempre in Puglia, regione più ad est della penisola e ricca di attracchi marittimi verso l’Oriente, nel 1162, presso Molfetta, fu fondata una cappella funeraria sul sito della sepoltura di alcuni pellegrini naufragati durante il viaggio d’oltremare. La cappella venne dedicata alla Vergine Maria e ai “santi martiri”. Accostata da uno xenodochio, essa si trasformò in un santuario-simbolo della Terra Santa, mentre i pellegrini “martiri di Cristo” vennero identificati con i crociati.

    L’Italia e gli Italiani continuarono ad essere coinvolti nel movimento dei crucesignati durante la 2a crociata (1146/7), sebbene l’imperatore bizantino Manuele I Comneno avesse imposto ai sovrani d’occidente di non accettare la partecipazione dei Normanni di Sicilia. Tuttavia agli eserciti crociati si associarono le truppe di Amedeo III di Savoia e di Guglielmo V di Monferrato. Al termine dell’impresa Luigi VII tornò in Francia facendo tappa in Sicilia. Dopo la caduta di Gerusalemme (1175), all’appello per la nuova crociata, bandita da Gregorio VIII (1187), Guglielmo II di Sicilia rispose inviando una flotta in Siria. Con le sue truppe Filippo II partì da Genova (1190) e i crociati franco-inglesi s’incontrarono a Messina per poi ripartire alla volta di S. Giovanni d’Acri (1191).

    Le conquiste della 2a e della 3a crociata si rivelarono effimere, perciò Innocenzo III progettò una nuova spedizione (1198), ma la 4a crociata tradì il suo scopo originario. Principali protagonisti della deviazione furono i Veneziani, i quali stipularono con i crociati un accordo economico (1201) per assicurare il supporto della flotta. La dilazione dei pagamenti ottenne in contraccambio l’apporto dei crucesignati per ristabilire l’autorità della repubblica di S. Marco su Zara, sotto il comando del doge Enrico Dandolo. Nonostante le reazioni opposte all’iniziativa e la condanna di Innocenzo III, la crociata, guidata da Bonifacio, marchese di Monferrato, rispose alla richiesta d’aiuto, formulata dal principe Alessio per rimettere sul trono di Costantinopoli suo padre Isacco II, tenuto prigioniero dall’usurpatore Alessio III. Conquistata la capitale dell’impero d’Oriente, i tre partiti crociati (Veneziani, Francesi e Monferrini) costituirono l’impero latino d’Oriente ed elessero imperatore Baldovino di Fiandra. I Veneziani, inoltre, ottennero il diritto di nomina del patriarca, molte isole e le coste greche dello Ionio. A Bonifacio di Monferrato fu assegnato il regno di Tessalonica.

    La degenerazione degli ideali e degli scopi della crociata, insieme alla strumentalizzazione compiuta dai Veneziani, indussero Innocenzo III a bandirne un’altra (1215), ma il progetto venne realizzato dai suoi successori. Tuttavia, l’atteggiamento di Federico II, partito da Brindisi e subito fermatosi ad Otranto (1227) a causa di un’epidemia che colpì la flotta, provocò la scomunica comminata contro di lui da Gregorio IX. Per due volte l’imperatore “spergiuro” fu scomunicato, mentre venne sconfessato il trattato stipulato a Giaffa (4 febbraio 1229) con il sultano d’Egitto al-Kamil: la soluzione diplomatica fu intesa come un ulteriore tradimento dell’ideale crociato, perciò in Italia venne bandita una crociata contro l’imperatore scomunicato. Questi, entrato pacificamente nella Città Santa, s’incoronò re di Gerusalemme presso il S. Sepolcro (7 marzo 1229), avendo acquisito il titolo regale tramite il matrimonio con Isabella di Brienne (1212-1228), sua seconda moglie. La prospettiva “politica”, e non militare, entro cui si era mossa l’iniziativa federiciana peccava di eccessiva modernità. Il papato non poteva accettare l’idea di una coesistenza pacifica fra cristiani, musulmani ed ebrei in Terra Santa. Questa condizione, invece, si era realizzata in Sicilia ed era stata mantenuta dai sovrani normanni e svevi, perciò l’isola era stata appellata “terra senza crociati”. Successivamente, Gregorio IX ratificò (1231) il trattato di Giaffa e Riccardo Filangeri guidò la rappresentanza occidentale incaricata di far rispettare la tregua decennale stipulata da Federico II.

    Alla novità dell’indirizzo politico federiciano corrispose, in ambito ecclesiastico, un ripensamento dell’idea e dei fini della crociata. Dinanzi ai risultati poco duraturi delle spedizioni armate, maturò l’idea di coniugare la crociata con l’attività missionaria. Ferma restando la volontà di liberare la Terra Santa dal dominio dei musulmani, l’espansione dell’annuncio evangelico rigettava l’uso della violenza e mirava alla conversione degli infedeli attraverso il confronto sul piano religioso. Emblematica, ma anch’essa deludente nei risultati, fu la vicenda di s. Francesco d’Assisi, il quale, da crociato, raggiunse le truppe occidentali e si recò a predicare il vangelo nell’accampamento avversario alla presenza del sultano al-Kamil. È probabile che il Santo cercasse il martirio – compreso nell’ideale crociato –, ma venne risparmiato dal sultano. D’altra parte, nel 1220, cinque frati Minori – Bernardo, Otone, Pietro, Accursio e Adiuto –, sull’esempio di Francesco, partirono per la Spagna, dove predicarono nelle moschee. Deportati in Marocco, per ordine del sultano vennero decapitati. Sette anni dopo, a Ceuta (Marocco), la medesima sorte subirono i loro confratelli Daniele di Calabria, Angelo, Samuele, Donnolo, Leone, Nicola e Ugolino. Ciò nonostante, i Minori introdussero nella regola l’impegno missionario fra gli infedeli e continuarono a questuare per finanziare la crociata.

    Fino alla caduta di S. Giovanni d’Acri (1291), l’Italia venne interessata al flusso dei crucesignati, ma fu anche teatro della crociata antifedericiana: esempio di distorsione dell’originale ideale crociato più volte rinnovatosi sotto altre forme. Nel frattempo, però, andava svanendo la speranza di riconquistare la Terra Santa e fra Trecento e Cinquecento furono numerosi i progetti di crociata elaborati e rimasti irrealizzati. Fino alla riscossa musulmana della fine del XV sec. le potenze marinare italiane mantennero la supremazia sul Mediterraneo ed estesero le proprie propaggini al Mar Nero e alla Cina. Al seguito di esploratori, mercanti e coloni i missionari italiani penetrarono nelle terre più lontane. E comunque, l’appello alla crociata e la sua predicazione rimasero presenti nell’animo di molti Italiani, ad esempio Caterina da Siena, Giacomo della Marca, Cristoforo Colombo. Giovanni da Capestrano predicò la crociata quando essa si presentava trasformata in guerra contro l’espansione turca in Europa, succeduta alla conquista di Costantinopoli (1453). L’appello di un papa italiano, Pio II, per una nuova crociata (Mantova 1459) restò inascoltato e a dimostrazione del generale disinteresse subentrato fra i principi cristiani nei confronti della Terra Santa valsero le parole di Erasmo da Rotterdam, secondo cui la guerra contro i Turchi era diventata un argomento largamente sfruttato per suscitare l’ilarità della gente, insieme agli oroscopi e alle adulazioni dei cortigiani (dedica del Moriae encomium).

    Malgrado gli esiti negativi delle imprese militari e l’evanescenza di molteplici progetti di riconquista dei luoghi santi, una presenza “crociata”, inerme e per buona parte italiana, fu favorita dai sovrani di Sicilia Roberto d’Angiò e Sancia di Maiorca, i quali acquistarono (1333) dal sultano al-Naser Mohammad il Cenacolo di Gerusalemme e lo donarono ai Frati Minori. I Francescani si insediarono nell’area del Monte Sion e in seguito diventarono anche custodi e comproprietari del S. Sepolcro. D’allora, con alcuni privilegi concessi da Clemente VI (1342) e l’acquisizione di altri beni e santuari cristiani, si sviluppò la nuova struttura della Custodia di Terra Santa. Essa mantenne e incrementò l’esigua rappresentanza della Chiesa latina (ritornata nei luoghi santi dopo il 1291) e pose in atto – senza soluzione di continuità – il connubio crociata-missione secondo lo spirito di S. Francesco.

    Fonti e Bibl. essenziale

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    LEMMARIO