Culto e devozioni – vol. I

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    Autore: Giovanni Liccardo1

    L’importanza delle devozioni popolari. Le recenti canonizzazioni di Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII e la risposta estesa di masse di fedeli a vari eventi ecclesiali ripropongono l’importanza delle devozioni popolari nella società contemporanea. Tali fenomeni si ricollegano ad una forte persistenza di forme di devozione popolare che attraversano l’Italia (ma anche altre aree europee) e che non solo non diminuiscono di intensità, ma si mantengono paralleli ai livelli di crescita (economica e organizzativa) delle collettività locali che li animano. Le più diffuse devozioni, intese come la totalità delle pratiche religiose e dei rituali, nel corso della storia hanno caratterizzato «la ricerca di Dio da parte degli uomini […] espressa in molteplici modi, attraverso le loro credenze ed i loro comportamenti religiosi (preghiere, sacrifici, culti, meditazioni, ecc)» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 28). E come registrò il Direttorio su pietà popolare e liturgia, edito nel 2002 dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, la pietà popolare è un dato di fatto nella vita della Chiesa; pertanto va valorizzata ed educata in quanto strumento prezioso di esperienza e di interiorizzazione del mistero rivelato, e luogo di inculturazione della fede.

    Le manifestazioni tardo antiche. Tra le prime manifestazioni cultuali furono quelle a favore dei defunti, in de­terminati giorni dopo la sepoltura. Almeno nell’età più antica, si diffuse la consuetudine del refrigerium; il rito consisteva in un pasto funebre collegato alla morte, cioè cristianamente al riposo eterno, nel giorno anniversario dei defunti (dies natalis) o dei santi: lo scopo principale era di portare giovamento all’anima del morto, tanto che Paolino di Nola riferisce espressamente che il popolo credeva che i defunti godessero realmente quando venivano bagnati dal vino (Carme 27, 563-567). Durante il rito si consumavano vino, latte e miele, a cui venivano aggiunti veri e propri pasti; allo scopo si costruivano luoghi appositi per il servizio funebre (cellae). Tollerato inizialmente, dal V secolo a causa di degenerazioni il culto fu avversato apertamente dai vescovi, come indicano le note di Ambrogio ed Ennodio di Pavia e specialmente di Agostino (Confessioni, 6, 2).2

    A parte il refrigerio, speciale riguardo fu dedicato alla salma, sulla quale si spargevano balsami e fiori; talvolta, accanto alla testa dei defunti si deponevano delle corone di alloro che dovevano assicurare ai defunti la pace nella tomba. Non poche volte nelle sepolture più antiche sono state scoperte delle monete nella bocca dei morti, con esplicita allusione alla tradizione classica. Di sicuro, ciò che sempre contraddistinse il funerale dei cristiani fu la preghiera. Tertulliano (Sull’anima, 51) menziona le litanie che il sacerdote recitava all’atto della sepoltura, mentre il V capitolo degli Atti del martirio di Cipriano registra con precisione la processione che «con ceri e torce» accompagnò la salma del santo al luogo della sepoltura. Ma è Agostino a fornire la più eloquente rievocazione di una funzione funebre, che comprendeva certamente anche il sacrificio della messa, quando racconta la deposizione della madre (Confessioni, 9, 12).

    Molto particolare fu la devozione verso i santi, considerati come “compagni fedeli e invisibili”: «Dammi un compagno, Signore», canta Sinesio di Cirene nel 4 Inno, «un amico, un sacro messaggero di sacro potere, un sacro ambasciatore di preghiera illuminata dalla luce divina, un compagno, un dispensatore di nobili doni, un custode della mia anima, un custode della mia vita, che vigili sulle mie preghiere, che vigili sulle mie azioni». Il fedele al cospetto del martire doveva compiere alcune azioni: vedere, con gli occhi della fede, pregare, per richiedere o ringra­ziare, compiere un voto, cioè eseguire la penitenza che gli era stata chiesta, ottenere un favore, tra i quali era primariamente la guarigione. Prima di ogni altra cosa il fedele doveva «toccare» e «baciare» il santo, come spiega, per esempio, Gregorio di Nissa (Encomio di San Teodoro, 7).

    Il bacio delle reliquie del santo significava riverenza e venerazione, ma anche era simbolo di riconciliazione, di unione spirituale e di richiesta di protezione. Soprattutto ba­ciando le spoglie del martire il fedele dichiarava la sua sottomissione, come nel diritto feudale il vassallo era tenuto a baciare la mano del suo signore. Il cristiano bacia la tomba del santo, bacia gli og­getti che vi sono sopra, bacia i libri sacri, bacia la mano del sacerdote in­caricato delle cerimonie; più di ogni altra cosa, il fedele bacia l’altare eretto sul sepolcro del martire: tomba e altare vengono «abbracciate», per­ché sopra l’altare ha sede colui che si è offerto per tutti, invece sotto l’altare si tro­vano quanti sono stati redenti dal suo sacrificio. Roma, innanzitutto, fu il modello di una eccezionale esplosione di culti che segna, con affini dinamiche di insediamento e di evoluzione e con alcune logiche variabili temporali, lo straordinario radicalizzarsi del cristianesimo in tutti i centri abitati, urbani o rurali, grandi e piccoli, dell’Orbis Christianus.3

    Presso le tombe dei martiri, davanti alle quali ardevano perennemente ceri, lucerne e candele, mentre intorno si spargeva il profumo degli aromi che i fedeli versavano, diventate luoghi privilegiati delle liturgie e dei riti, soprattutto a Roma, alcuni testi fanno ritenere sicura la pratica della “incubazione”, prassi derivata dal paganesimo. Nonostante la condanna da parte degli scrittori cristiani, questa antica usanza venne praticata a Napoli, per esempio, presso il cubicolo di S. Gennaro, nell’oratorio di S. Agrippino, forse anche in prossimità del sepolcro del vescovo Severo e della tomba di S. Gaudioso; infine, nel recinto di altre chiese e sepolture importanti all’interno delle mura.

    Più in generale, il culto delle reliquie è stato uno dei segni più rappresentativi della religiosità cristiana dei primi secoli. Oltre ai resti di ossa, di denti, di capelli, di indumenti o di quant’altro era appartenuto al santo, i fedeli hanno cercato anche i ceri dipinti, i candelabri, l’olio delle lucerne che ardevano presso i loro sepolcri; o i fiori e le foglie che abbellivano le loro tombe. Le reliquie autentiche sono state sempre le più richieste, tuttavia, fu più comune la consuetudine di mettere a contatto delle tombe venerate oggetti di ogni tipo, specie stoffe e fazzoletti, che diventavano per induzione “preziose” e “valide” reliquie.

    Gli ex voto. Una forma di devozione è rappresentata dall’offerta a Dio, alla Madonna, ai santi, in particolare al santo protettore, per grazia ricevuta o in adempimento di una promessa fatta, indipendentemente dal risultato sperato di ex voto, ellissi di ex voto suscepto. Circa le origini del fenomeno, già verso la fine del VI secolo vi erano numerosi ex voto sulla croce del Golgota e nella grotta di Betlemme, ornata con oro e argento. Nella tradizione medioevale il segno ex voto si definisce prima sotto forma di ceri e candele di varia grandezza, poi sotto forma di pani o altri cibi, fino ad altre forme, anche di animali ed oggetti di vario tipo; più tardi, superando certe interdizioni ecclesiastiche che vi riscontravano permanenze pagane, sotto forma di rappresentazioni anatomiche delle parti del corpo graziato. Oggi la tipologia è molto varia: dai cosiddetti ex voto anatomici (braccia, gambe, cuori, organi) eseguiti in argento, oro e altro metallo agli attrezzi ortopedici; dalle tavolette dipinte con la scena del miracolo ai ricami e agli abiti da sposa e di battesimo, alle fotografie; dalle orme dei soldati scampati alla morte in guerra agli oggetti in oro. Tali prodotti caratterizzano certi ambienti dei santuari, esprimendo con spontaneità e semplicità l’intervento divino nel quotidiano.

    Il culto eucaristico. Il culto eucaristico è il complesso degli atti della venerazione rivolti al sacramento eucaristico durante la celebrazione della messa o fuori di essa. La Chiesa ha dimostrato sempre verso questa funzione una particolare attenzione (come dimostrano l’enciclica Mysterium fides di Paolo VI, l’istruzione Eucharisticum my­sterium della Sacra Congregazione dei riti e la parte del nuovo Rituale romano intitolata De sacra communione et de cultu mysterii eucharistici extra missam, pub­blicata dalla Sacra Congregazione per il cul­to divino e alla quale, nella versione italiana curata dalla CEI, è stato dato il titolo Rito del­la comunione fuori della messa e culto eucari­stico).

    L’origine del culto (espressa con genuflessioni, incensazioni, accensione di lampade, ecc.) è assai antica; nondimeno, la negazione della presenza reale di Cristo nell’eucaristia da parte di Berengario, diede avvio come reazione alla nascita e allo sviluppo della devozione che, a partire dal XII secolo, si affermò diffusamente, trovando nel contemporaneo emergere del devozionismo, uno strumento di divulgazione straordinario. Il culto eucaristico diede vita a varie espressioni rituali durante la consacrazione della messa, tra le quali l’elevazione dell’ostia (XII secolo) e del calice del vino (XIII secolo); la festa del Corpus Domini nel 1264 ad opera di papa Urbano IV (con conseguente affermazione della pratica dell’esposizione eucaristica durante la messa e fuori di essa, quale dilatazione dell’elevazione durante la consacrazione della messa, al fine di favorirne l’adorazione devozionale dei fedeli); l’introduzione, nella struttura dell’altare, del tabernacolo/sepolcro per la custodia permanente dell’eucaristia che venne collocato al centro di esso, sormontato da un tronetto per collocare l’ostensorio per l’esposizione eucaristica; l’esposizione eucaristica delle Quarantore; la reposizione del SS. Sacramento nel repositorio specificamente predisposto il giovedì santo dopo la messa in Caena Domini.

    In particolare, le radici della pratica delle Quarantore affondano nella consuetudine del digiuno e dell’astinenza praticati negli ultimi giorni della settimana santa, con l’adorazione della croce e poi del crocifisso da parte del vescovo, del clero e dei fedeli: azioni a cui si aggiunsero veglie di preghiera che iniziavano la sera del giovedì santo e si concludevano a mezzogiorno del sabato, nel pensiero del sepolcro in cui Gesù, secondo il computo fatto da Agostino, rimase quarantore. Il passaggio da questa forma liturgico-devozionale locale e particolare alla nota e classica forma dell’adorazione che lentamente prese un carattere più popolare e universale con l’ininterrotta esposizione per quarantore del sacramento, avvenne a Milano nel decennio 1527-1537 ed assunse la fisionomia che, salvo alcune particolarità, dura fino ad oggi.

    La festa del Corpus Domini, invece, fu istituita dal vescovo di Liegi Roberto di Torote in segui­to alla rivelazione fatta alla mo­naca agostiniana Giuliana del lebbrosario di Mont­ Cornillon e celebrata per la prima volta nel 1246 a Fosses (Na­mur). Urbano IV, già arcidiacono di Liegi, con bolla Transiturus de hoc mundo dell’11 agosto 1264 la estese alla Chiesa universale; in seguito, commissionò a Tomma­so d’Aquino di comporre la messa e l’ufficio, utilizzando antifone, responsori e le­zioni già in uso presso alcune chiese particolari. Il consenso dei fedeli verso la celebrazione si consolidò dopo il Concilio di Trento; quindi, si diffusero le processioni eucaristiche e le adorazioni prolungate che manifestano pubblicamente la fede del popolo cristiano verso l’eucaristia.4

    Il culto mariano. L’esortazione apostolica Marialis cultus di Paolo VI (1974) si presenta ancora oggi come la più efficace sintesi delle motivazioni teologiche del culto verso la Vergine, capace di leggere nell’essenziale alcune caratteristiche devozionali. Nel ricordare che la Chiesa venera con particolare amore Maria Santissima, Madre di Dio, il pontefice sottolinea nell’Introduzione che «la storia della pietà dimostra come le varie forme di devozione verso la Madre di Dio, che la Chiesa ha approvato entro i limiti della sana e ortodossa dottrina si sviluppino in armonica subordinazione al culto che si presta a Cristo e intorno ad esso gravitino come a loro naturale e necessario punto di riferimento». È un modo per ricordare che, nonostante l’importanza del culto e della devozione mariana, il centro non può mai distogliersi dalla Trinità e dalla figura di Cristo, su cui la Chiesa è fondata. Il Vaticano II, poi, ha precisato che la vera devozione non ha niente a che fare con la curiosità, la vana credulità, il miracolismo, il superficiale sentimentalismo e il formalismo delle pratiche esteriori; consiste piuttosto nel riconoscere la singolare dignità di Maria, nel rivolgersi a lei con fiducia e amore filiale, nell’imitare le sue virtù, per seguire Cristo insieme con lei (cf. Lumen Gentium, 67).

    Durante il medioevo la pietà mariana, liturgica e privata, si diffonde in ogni circolo vitale del tessuto ecclesiale: da abbazie e cattedrali, da chiese in città e in campagna, risuona concordemente la venerazione per la Madre di Dio e Regina di misericordia. La pietà non è testimoniata soltanto dalle preghiere comunitarie e private: l’architettura, la pittura, la scultura, le vetrate, il mosaico, la miniatura, la melodia, gli inni, la poesia e la prosa in latino e in volgare, contribuiscono a plasmare la fisionomia della venerazione mariana, risultando un tipo di espressione il riflesso dell’altra.

    Nell’età moderna Maria è l’Ancilla Domini partecipe alla sua redenzione (Concilio di Trento); la devozione mariana diviene molto popolare e si incentra sulla comprensione del mistero di Cristo. Nell’età contemporanea, infine, le apparizioni della Madonna a Caterina Labourè (1830) e a Bernadette Soubirous a Lourdes (1858) accompagnano la formulazione del dogma dell’Immacolata Concezione (1854) stabilito da Pio IX con tutti i vescovi del mondo. La grande diffusione del culto mariano culmina nel dogma dell’Assunzione di Maria stabilito da Pio XII nel 1950.

    Tipica forma della devozione mariana è la recita del rosario, una preghiera a carattere litanico che prevede la sequenza di dieci Ave Maria unite alla meditazione dei “misteri” (eventi, momenti o episodi significativi) della vita di Cristo e di Maria. Con la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae (ottobre del 2002) Giovanni Paolo II ne ha esortato la recita, come avevano fatto prima di lui Leone XIII e Paolo VI nelle encicliche Supremi apostolatus officio e Marialis Cultus; nella lettera il papa, accanto ai tradizionali misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi, ha introdotto una quarta contemplazione, quella dei misteri luminosi. Questa pratica fu resa popolare da San Domenico che secondo la tradizione ricevette nel 1214 il primo rosario nella prima di una serie di apparizioni come un mezzo per la conversione dei non credenti e dei peccatori.

    Collegata alla recita del rosario è la supplica alla Madonna di Pompei, ovvero preghiera recitata l’8 maggio e la prima domenica di ottobre davanti all’immagine mariana conservata in quel santuario, una raffigurazione seicentesca (attribuita alla scuola di Luca Giordano) divenuta estremamente popolare; la grande espansione di questo culto, introdotto da Bartolo Longo, ha indotto la Santa Sede a creare nella cittadina campana una prelatura territoriale.5

    Il culto della croce, la Via Crucis e il Sacro Cuore di Gesù. Se la fede cristiana comprese fin da subito la centralità della croce, nei primi secoli questo segno non fu facilmente rappresentato né tanto meno ostentato. A partire dal II secolo gli autori cristiani meditano sul senso della croce, fino a elevare ad essa canti e inni: Giustino, Origene, Cipriano trovano in quella figura una simbolica della vita, della comunicazione tra cielo e terra, della congiunzione tra principio maschile e femminile. Con la svolta costantiniana si diffusero le feste e la devozione, legate al ritrovamento leggendario delle sue reliquie. Storicamente la liturgia dell’Exaltatio precede quella dell’Inventio; l’origine deve ricercarsi nell’annuale celebrazione a Gerusalemme della dedicazione (avvenuta il 13 e 14 settembre 335) delle basiliche costantiniane dell’Anastasis e del Martyrion, di cui parla minuziosamente la Peregrinatio Aetheriae. Da Gerusalemme la solennità si radicò in molte chiese orientali, specie in quelle che possedevano una reliquia della croce, come a Costantinopoli e ad Alessandria; in occidente, invece, la più antica testimonianza della celebrazione si trova nella biografia di Sergio I (687-701). Tra il VII e l’VIII secolo si diffuse la festa della Inventionis Sanctae Crucis stabilita al 3 maggio. Oggi la celebrazione prende su di sé un significato più alto del leggendario ritrovamento; la glorificazione di Cristo passa attraverso il supplizio della croce e l’antitesi sofferenza-glorificazione diventa indispensabile nella storia della salvezza: Cristo, incarnato nella sua realtà concreta umano-divina, si sottomette liberamente all’umiliante condizione di schiavo e l’infamante supplizio viene trasformato in gloria perenne, pertanto la croce diventa il simbolo e il compendio della religione cristiana.

    La Via Crucis è simbolo di un’esperienza universale di dolore e di morte, di fede e di speranza; commemora l’ultimo tratto del cammino percorso da Gesù durante la sua vita terrena: da quando uscì con i discepoli verso il Monte degli Ulivi fino a quando, sopportando il patibulum, fu condotto al “luogo del Golgota” dove fu crocifisso e inumato in un sepolcro nuovo, scavato nella roccia di un giardino limitrofo. Tracce originarie della pratica sono state identificate nella processione che si snodava fra gli edifici sacri eretti sulla cima del Golgota – l’Anastasis, la chiesetta ad Crucem e la chiesa del Martyrium – e nella via sacra, un cammino attraverso i santuari di Gerusalemme che si desume dalle varie “cronache di viaggio” dei pellegrini dei secoli V e VI. La forma attuale si determinò nel clima delle crociate e del rifiorire dei pellegrinaggi a partire dal secolo XII, specialmente per la presenza stabile dei francescani nei “luoghi santi” che suscitarono nei pellegrini il desiderio di riprodurre quel rito nelle loro terre d’origine. Nella seconda metà del ‘900 Paolo VI è stato il maggior promotore dell’esercizio della Via Crucis allorquando nel 1965 volle cominciare a presiedere personalmente la pratica al Colosseo il venerdì santo.

    Al cuore di Gesù, infine, la Chiesa cattolica rende culto onorando sia uno degli organi della sua umanità, sia l’amore del Salvatore per gli uomini, di cui è simbolo il suo cuore. L’istituzione della festa, estesa a tutta la Chiesa da Pio IX nel 1856 con l’enciclica Haurietis Aquas, ha conosciuto un travagliato cammino protrattosi per più di due secoli, e segnato – specialmente nel XVII e XVIII secolo – da forti polemiche. I primi impulsi alla devozione del Sacro Cuore di Gesù provengono dalla mistica tedesca del tardo medioevo, ma un grande impulso al culto si ebbe nel corso del XVII secolo, specialmente per le rivelazioni di Margherita Maria Alacoque, propagate da Claude La Colombière (1641-1682) e dai suoi confratelli gesuiti.

    Fonti e Bibl. essenziale

    B. Bordin, Il Sacro Cuore di Gesù: storia e dottrina, culto liturgico, devozioni e pii esercizi, Messaggero, Padova 1992; L. Mezzadri (a cura di), Giubilei e anni santi: storia, significato e devozioni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999; G. Moioli, Il mistero dell’Eucaristia, Glossa, Milano 2002; Profili istituzionali della santità medioevale: culti importati, culti esportati e culti autoctoni nella Toscana occidentale e nella circolazione mediterranea ed europea, a cura di C. Alzati – G. Rossetti, GISEM-ETS, Pisa 2010; M. Sordi, L’impero romano-cristiano al tempo di Ambrogio, Jaca Book, Milano 2000; V. Sorce, Inculturazione e fede, SEI, Torino 1996; P. Toschi, Bibliografia degli ex voto italiani, Olschki, Firenze 1970; C. Valenziano, Liturgia e antropologia, EDB, Bologna 1997; M. Walsh, Il grande libro delle devozioni popolari, Piemme, Casale Monferrato 2000; D. Zardin, La “religione popolare”: interpretazioni storiografiche e ipotesi di ricerca, in «Memorandum», 1 (2001), 41-60.

    Immagini:

    1) Roma, Catacombe di San Callisto, Pittura raffigurante un banchetto (III secolo); 2) Hans Memling, dal Dittico di San Giovanni Battista e la Veronica – Santa Veronica, National Gallery of Art, Washington (1433); 3) Siena, Basilica di San Domenico, Teca delle reliquie; 4) Pittore lombardo, Madonna con bambino. Comune di Trezzo sull’Adda (fine ‘400 – inizio ‘500); Giovanni Maria Morandi, Alessandro VII Chigi alla processione del Corpus Domini del 27 maggio 1655, Musée des Beaux-Arts, Nancy.

    Sitografia:

    http://www.cisam.org/ (sito del Centro italiano di studi sull’alto medioevo); http://www.reginamundi.info/ (sito dedicato alla Vergine Maria Regina del Mondo e Madre dell’umanità, con notizie storiche e liturgiche); http://www.iconecristiane.it/ (sito dedicato particolarmente ad esplorare il culto delle immagini); http://www.mirabileydio.it/ (sito dedicato alla devozione delle immagini, con speciale attenzione alla loro ideazione).


    LEMMARIO