Eremitismo – vol. I

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    Autore: Mariano Dell’Omo

    Le origini. La vita anacoretica nata e praticata in Oriente (Antonio, Ammonio, Macario, Evagrio) giunge in Occidente, in particolare in Italia, attraverso la mediazione di testimoni e scrittori d’eccezione come Girolamo, Rufino, Cassiano, la cui letteratura per l’intera vita religiosa conserverà per molti secoli una primaria funzione didattica e spirituale. Già conosciuta a Roma nel sec. IV, a partire da questo momento la straordinaria e quasi leggendaria esperienza dei deserti d’Egitto è rivissuta qua e là in Italia e nelle isole adiacenti. Del resto lo stesso s. Martino di Tours fra il 356 e il 360 soggiorna in un eremo sull’isola Gallinaria nei pressi della città di Albenga (Savona). Ma la più significativa testimonianza circa la pratica della vita eremitica sul territorio italico, in particolare sull’isola di Capraia nell’arcipelago toscano, deriva da uno degli ultimi esponenti della tradizione classica, il poeta Rutilio Namaziano, che nel De reditu suo (I, 439-446), descrivendo il ritorno da Roma nella sua Gallia devastata dai barbari, scrive: «L’isola è spoglia, piena di uomini che fuggono la luce. Da sé si chiamano, con parola greca, “monaci” perché desiderano vivere soli, senza che alcuno li veda. Nutrono timore per i doni della fortuna, mentre ne paventano i danni… Ma che specie di furiosa pazzia e di stoltezza – che può far presa solo in cervelli stravolti –, non essere capaci di accogliere le cose buone per paura di possibili mali!».

    Prevale dunque in quegli anni l’ideale antico della fuga mundi che resterà vitale almeno fino a s. Benedetto (ca. 480-ca. 547), del resto egli pure giovane eremita nello speco sublacense prima di fondare il cenobio cassinese, già forte di qualche esperienza anacoretica nella sua Umbria, in quella Val Castoriana presso Norcia ove dimorarono i santi monaci Spes e Florenzo. Nella stessa regione a Monteluco, sull’altura che domina Spoleto, si insedia un movimento eremitico che durerà per oltre un millennio, e che deve la sua origine a Isacco Siro (†ca. 552), il quale insieme ad altri compagni provenienti dall’Oriente praticò un tipo di vita che dovette ispirarsi alle tradizioni anacoretiche di Siria (separazione dalla società, rigidezza, attività manuale, orazione, assenza di una regola formale), organizzandosi come una laura di eremiti indipendenti, riuniti intorno ad un maestro spirituale.

    La svolta medievale. Se il monachesimo antico si era caratterizzato per la ricerca del deserto, quello medievale, profondamente segnato dalla netta prevalenza della Regola cenobitica di s. Benedetto – che pure non esclude il passaggio all’eremo –, tende ad armonizzarsi con la dimensione sociale e culturale, di cui è testimonianza la rinascita carolingia insieme alla grande stagione cluniacense. Nondimeno a partire dalla fine del X e specialmente tra XI e XII sec., in un contesto religioso percorso da fremiti di rinnovamento evangelico oltre che da intense attese escatologiche, alla crisi del cenobitismo tradizionale corrisponde una rinnovata stagione di vita eremitica sia in forme libere e individuali, sia mediante veri e propri Ordines destinati ad inquadrare e disciplinare tale fenomeno, senza che manchi altresì un approfondimento dottrinale di tale genere di vita grazie a quel cantore dell’eremitismo che fu s. Pier Damiani, non a caso biografo di s. Romualdo. La congregazione da quest’ultimo fondata e in seguito approvata da papa Pasquale II nel 1113, avente come superiore lo stesso priore del sacro eremo di Camaldoli in Toscana (Poppi, Arezzo), tra gli eremi più rilevanti oltre a quest’ultimo, contava anche quello di Fonte Avellana sul Monte Catria (Serra Sant’Abbondio, Pesaro) in diocesi di Gubbio.

    Ugualmente la vicenda di Bruno di Colonia, canonico di Reims, poi solitario alla Chartreuse grazie ad Ugo vescovo di Grenoble, riflette questa nuova tendenza ad una vita di isolamento. Venuto a Roma nel 1090, Bruno si ritirò poi in Calabria a S. Maria della Torre (Serra San Bruno), ove concluse la sua vita (1101). Con i suoi compagni dando vita all’Ordine certosino egli testimoniava un tipo di monachesimo essenzialmente eremitico, seppure non privo di caratteri comunitari, come la preghiera liturgica del mattino e della sera ogni giorno, e la celebrazione della Messa e il pasto in comune la domenica e i giorni festivi. L’influsso della tendenza eremitica fu a tal punto determinante che Ordini religiosi destinati a giungere fino a noi, come Frati Minori, Carmelitani, Agostiniani, Minimi di s. Francesco di Paola, Cappuccini, almeno al loro esordio abbracciarono l’ideale dell’eremo per poi trasformarsi in Ordini comunitari. Fu in particolare la già menzionata esperienza eremitica originaria di Monteluco che ispirò altri simili progetti in Umbria, come quello del Subasio, il cui fascino si rifletté sullo stesso s. Francesco. Dal connubio fra tradizione eremitica di Monteluco e francescanesimo trasse vita un ampio movimento ascetico di genere femminile che esercitava la penitenza volontaria al pari delle beghine in ambito fiammingo. Lo stesso Monteluco e Montefalco furono i centri principali dove si insediarono comunità di “recluse”, pur prive di una struttura monastica vera e propria.

    I secc. XII-XIX. Tra le fondazioni più rilevanti del sec. XII, la cui identità di Ordine eremitico rimase inalterata, è da annoverare quella dei Guglielmiti, sorti a Malavalle presso Castiglione della Pescaia in diocesi di Grosseto intorno al 1160 ad opera di Alberto da Siena, discepolo di s. Guglielmo, cavaliere franco vissuto come eremita in quello stesso luogo. Molte furono poi le fondazioni eremitiche in Italia fra XIII e XVI sec., tra le quali si segnalano specialmente quelle illustrate qui di seguito nei loro connotati essenziali, mentre diverse presunte congregazioni di eremiti confluiti nel 1256 per volontà di papa Alessandro IV nell’Ordine degli Agostiniani, in realtà non sono mai esistite se non come singoli romitaggi, come quelli di Torre di Palme (Fermo, Ascoli Piceno), S. Maria di Murceto (Pisa), S. Giacomo di Monilio (Moriglione, presso Lucca).

    Tra le congregazioni eremitiche che prendono avvio nel sec. XIII si distinguono: gli eremiti di Vincareto, località in diocesi di Bertinoro (Forlì); gli eremiti di Monte Favale (Pesaro) che goderono della protezione di papa Onorio III (1225), ottenendo l’autorizzazione ad adottare la “regola di s. Guglielmo” e quindi il modello di vita dei Guglielmiti. In particolare gli eremiti di Giovanni Bono furono da quest’ultimo fondati forse nel 1217 a Botriolo presso Cesena, dopo che egli in un primo tempo si era dato a vita solitaria a Bertinoro; gli inizi furono eremitici e privi di una struttura formale, ma in ossequio alle disposizioni del Concilio Lateranense IV i frati riunitisi intorno al Bono ottennero di seguire la Regola di s. Agostino sicuramente dal 1231, sebbene fino alla morte del fondatore (1249) il loro ideale religioso più che dall’ispirazione agostiniana rimase improntato dalla pratica dell’austerità e della penitenza vissute nell’abbandono al Signore. Al sec. XIV risale l’origine degli eremiti del Monte Segestere (Genova, Costa di Sestri Ponente), cui diede inizio un certo Lorenzo spagnolo († forse 1351); agli stessi anni appartengono gli eremiti di Pietro Gambacorta da Pisa (1355-1435), la cui lunga storia ha termine con la soppressione decretata nel 1933. Nel sec. XV al nome di Girolamo sono dedicate diverse fondazioni eremitiche, come quelle degli eremiti di S. Girolamo, di Beltramo da Ferrara, poi unitisi agli eremiti di Pietro Gambacorta da Pisa (1439); e ancora si annoverano gli eremiti di S. Girolamo, di Nicola da Forca Palena, al quale si deve tra l’altro l’acquisto nel 1434 di S. Onofrio al Gianicolo in Roma; gli eremiti di S. Girolamo, di Pietro Malerba, sacerdote veneziano vicino all’ambiente canonicale di S. Giorgio in Alga, la cui presenza è documentata verso il 1430 nei romitori di S. Pancrazio di Bassano del Grappa e di S. Felicita di Romano d’Ezzelino (Vicenza); infine gli eremiti di San Girolamo, di Fiesole, fondati nel 1404 da Carlo Guidi da Montegranelli, la cui regola fu poi quella agostiniana, che li configurava come un Ordine eremitico-cenobitico. A testimoniare quanto resti vivo anche nel corso del sec. XVI l’ideale anacoretico, è il ristabilimento sul finire del ‘500 all’interno dell’Ordine dei Servi di Maria, della vita solitaria a Monte Senario, mentre altri gruppi eremitici fioriscono qua e là, come gli eremiti di S. Francesco, di Monte Pellegrino a Palermo, quelli di S. Maria, di Colloreto nel territorio di Morano Calabro, gli eremiti di Porta Angelica, fondati a Borgo Pio in Roma da Albenzio Rossi da Cetraro e approvati da Sisto V nel 1587.

    Ma il fatto più significativo in questo secolo è la fondazione da parte del veneziano Paolo Giustiniani della Compagnia di eremiti di S. Romualdo, detti poi eremiti camaldolesi di Monte Corona, resisi infine completamente autonomi dall’Ordine nel 1525. Nel sec. XVII in particolare la congregazione camaldolese di Piemonte, il cui primo eremo fu quello di Superga (1602), modellatasi sin dall’inizio sulle consuetudini dei Coronesi più che degli eremiti di Toscana, fu unita a quella di Monte Corona nel 1634, condividendone il destino fino allo scioglimento dell’unione decretata da Clemente IX nel 1667. L’ideale romualdino, tradottosi nei secoli in una feconda dialettica tra solitudine e comunità, nel sec. XVIII è vissuto dai Camaldolesi tra la “rusticitas” degli eremiti e l’erudizione dei cenobiti, mentre nel secolo successivo, come in altri Ordini, tra i pericoli delle soppressioni e le speranze di nuove restaurazioni.

     Fonti e Bibl. essenziale

    L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII. Atti della seconda settimana internazionale di studio, Mendola, 30 agosto-6 settembre 1962, Vita e Pensiero, Milano 1965; H. Leyser, Hermits and the New Monasticism. A Study of Religious Communities in Western Europe 1000-1150, Macmillan, London 1984; G.M. Croce, I Camaldolesi nel Settecento: tra la “rusticitas” degli eremiti e l’erudizione dei cenobiti, in G. Farnedi – G. Spinelli (edd.), Settecento monastico italiano. Atti del I convegno di studi storici sull’Italia Benedettina, Cesena, 9-12 settembre 1986 (Italia Benedettina 9), Centro Storico Benedettino Italiano, Cesena 1990, 203-270; Id., Monaci ed eremiti camaldolesi in Italia dal Settecento all’Ottocento. Tra soppressioni e restaurazioni (1769-1830), in F.G.B. Trolese (ed.), Il monachesimo italiano dalle riforme illuministiche all’unità nazionale (1768-1870). Atti del II convegno di studi storici sull’Italia benedettina, Abbazia di Rodengo (Brescia), 6-9 settembre 1989 (Italia Benedettina 11), Centro Storico Benedettino Italiano, Cesena 1992, 199-306; A. Vauchez (ed.), Ermites de France et d’Italie (XIe-XVe siècles). Actes du colloque organisé par l’École française de Rome à la Certosa di Pontignano (5-7 mai 2000) avec le patronage de l’Université de Sienne (Collection de l’École française de Rome 313), École française de Rome, Rome 2003; F.A. Dal Pino, Eremitismo libero e organizzato nel secolo della grande crisi, in G. Picasso – M. Tagliabue (edd.), Il monachesimo italiano nel secolo della grande crisi. Atti del V Convegno di studi storici sull’Italia benedettina, Abbazia di Monte Oliveto Maggiore (Siena), 2-4 settembre 1998 (Italia Benedettina 21), Centro Storico Benedettino Italiano, Cesena 2004, 377-431; A. Vangelista, Il beato Paolo Giustiniani. Un eremita tra Umanesimo e Riforma, Rivista di ascetica e mistica, 75 (2006), 545-575.


    LEMMARIO