Europa – vol. II

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    Autore: Francesco Bonini

    Ricevendo i partecipanti al secondo congresso dell’Unione Europea Federale a Castelgandolfo l’11 novembre 1948, Pio XII ha parole inequivocabili. Ricordando «gli sforzi che, da dieci anni in qua, Noi moltiplichiamo senza riposo in favore di una Unione europea», affermava: «Non c’è tempo da perdere. E se si vuole che questa Unione raggiunga il suo scopo, se si vuole che essa serva utilmente la causa della libertà e della concordia europea, la causa della pace economica e politica intercontinentale, è ormai tempo che si faccia. Anzi alcuni si domandano se non sia già troppo tardi». L’europeismo dei cattolici italiani si stava rapidamente sviluppando, in quell’arco di contiguità tra azione cattolica e democrazia cristiana che aveva caratterizzato tutto il passaggio costituente.

    «Pur senza voler inserire la Chiesa nel groviglio d’interessi puramente terreni», come aveva detto in un altro pronunciamento, il 2 giugno, l’indicazione resterà univoca per i suoi successori nei decenni successivi, come per il vario mondo cattolico italiano.

    In effetti solo nel secondo dopoguerra l’Europa diventa soggetto, da scenario ove si muovono gli Stati. In questo quadro si era collocato Benedetto XV, nella sua famosa allocuzione Dès le début del 1° agosto 1917, quando si era chiesto se «l’Europa, così gloriosa e fiorente, correrà, quasi travolta da una follia universale, all’abisso, incontro ad un vero e proprio suicidio». Non aveva mancato di ricordare la radice cristiana dell’Europa, che rappresenterà poi il filo rosso del magistero nella seconda metà del secolo: «Sappiamo dalla storia che, da quando la Chiesa pervase del suo spirito le antiche e barbariche genti d’Europa, cessarono un po’ alla volta le varie e profonde contese che le dividevano, e federandosi col tempo in una unica società omogenea, diedero origine all’Europa cristiana, la quale, sotto la guida e l’auspicio della Chiesa, mentre conservò a ciascuna nazione la propria caratteristica, culminò in una unità, fautrice di prosperità e di grandezza». Sarà questa la prospettiva su cui si muoverà il Partito Popolare e successivamente, con maggiore e lungimirante convinzione, Luigi Sturzo, che, negli anni dell’esilio, contribuirà a sviluppare le prime linee di una solidarietà internazionale democratico-cristiana, assecondando le prime idee federaliste, secondo uno schema che giocherà un ruolo di riferimento molto importante nel secondo dopoguerra.

    Emergono qui due temi, quello della riunificazione dell’Europa e delle sue radici cristiane, che scandiscono gli anni del secondo dopoguerra, orientano il mondo associativo, cominciano a socializzare una classe dirigente e nello stesso tempo permettono di superare quelle posizioni neutraliste e terza forziste che si erano manifestate anche nel mondo cattolico a proposito dell’adesione all’Alleanza Atlantica.

    Ricevendo il Collège d’Europe di Bruges il 15 marzo 1953 e poi nel radiomessaggio natalizio di quell’anno Pio XII sottolineava appunto l’esigenza di fondare l’unità europea, attraverso un ritorno alla vocazione civilizzatrice cristiana, su valori spirituali comuni, che soli avrebbero permesso all’Europa di mantenere la propria indipendenza materiale e l’integrità dei propri ideali. Non si tratta peraltro di posizioni espresse solo agli esponenti europei, ma più volte ripetute, anche negli incontri con il mondo cattolico italiano, a partire dall’Azione cattolica. La comune percezione è appunto quella di una forte iniziativa democratica e cristiana per le istituzioni europee, che si sostanzia nei tre protagonisti cattolici Schumann, Adenauer e De Gasperi. Contemporaneamente la dimensione europea è concretamente rappresentata dalla ripresa dell’emigrazione italiana, in particolare in Belgio e Germania, che comporta anche una significativa presenza della Chiesa e delle associazioni, in particolare per la tutela dei lavoratori. Nel 1965 le competenze sull’assistenza ai migranti, con le missioni italiane, viene trasferita dalla S. Sede all’appena costituita Conferenza episcopale italiana.

    In stretta connessione con l’indirizzo pontificio, l’apertura europea insomma rappresenta un dato strutturale nella Chiesa italiana, puntualmente interpretato anche dalla Democrazia cristiana. I cattolici insomma condividono, forse con una maggiore consapevolezza culturale diffusa, quell’europeismo che, stemperatasi la guerra fredda e avviato il cosiddetto eurocomunismo, caratterizzerà in modo praticamente unanimistico, anche se piuttosto superficiale, l’opinione pubblica italiana.

    D’altra parte la piena condivisione del processo di sviluppo delle istituzioni e dello spirito comunitario non preclude l’attenzione anche alla cosiddetta “chiesa del silenzio”, al di là della Cortina di ferro, che si sostanzia in molteplici rivoli di aiuti e di contatti, che continuano specialmente con la Polonia e coinvolgono moltissime parrocchie, associazioni e movimenti.

    In realtà il riferimento all’Europa non è solo legato agli aspetti politico-istituzionali ed ideali della prospettiva comunitaria. Implica il rapporto dell’Italia – e dunque della chiesa italiana – con i Paesi che si trovano più “avanzati” nei processi di secolarizzazione e di modernizzazione, tra cui, nell’ambito comunitario, in particolare Francia ed Olanda. Questo tema emerge con particolare evidenza negli anni del Concilio e della sua attuazione. In questo senso spicca il ruolo della cultura francese, nella critica e la destrutturazione della cosiddetta “cristianità”. La cultura cattolica italiana sembra da questo punto di vista scontare una certa “minorità”. Anche la partecipazione italiana ai due strumenti di coordinamento episcopale, il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE), istituito nel 1971sull’esempio della Conferenza Latino-americana e riorganizzato nel 1992 e la Commissione degli Episcopati delle Comunità Europee (Com.E.C.E), creata nel 1980, dopo la prima elezione a suffragio universale del parlamento europeo, per seguire le politiche comunitarie, da principio è stata piuttosto periferica, sviluppandosi in tutte le sue potenzialità soltanto a partire dagli anni Novanta.

    Nel corso degli anni settanta peraltro i processi di secolarizzazione in diversi paesi dell’Europa occidentale giungono alle conseguenze più visibili ed emergono contemporaneamente gli elementi di una certa “diversità” del percorso italiano, caratterizzato da due elementi in particolare, il radicamento popolare della religiosità e il legame con il Papa.

    Sono due elementi che, anche in prospettiva europea, paradossalmente prendono vigore, e di cui la stessa chiesa italiana assume più matura consapevolezza nel corso degli anni Ottanta, con l’elezione di Giovanni Paolo II, il cui avvento è salutato con grande partecipazione. Il Papa non italiano, ma europeo, anche se di una Europa allargata, ma chiusa, introduce due elementi di sviluppo dell’idea e degli orizzonti europei, da un lato l’idea dei “due polmoni” di un’Europa che intende oltre la cortina di ferro, dall’altro l’appello alla responsabilità della chiesa italiana nei confronti delle altre chiese europee, sia quelle di cristianità in crisi, sia quelle del’Europa centro-orientale ritornate in regime di libertà.

    Sollecita insomma a ribaltare un atteggiamento culturale del cattolicesimo italiano nei confronti di quelli transalpini.

    Ripristinate le Settimane sociali, sospese nel 1970, la CEI decide di dedicare la prima convocazione, che si tiene a Roma nell’aprile 1991, al tema I cattolici italiani e la nuova giovinezza dell’Europa. L’iniziativa peraltro precede di pochi mesi l’Assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi. Alla luce della caduta della cortina di ferro in quell’occasione viene riaffermata una ottimistica lettura del processo di integrazione politica, alla luce delle ribadite radici cristiane, che sono al centro del dinamismo dei viaggi in Europa del Papa, in particolare quello a Santiago di Compostela del 9 novembre 1982, che rappresenta una solenne dichiarazione di nuova prospettiva europea, seguito dalle celebrazioni della Giornata mondiale della Gioventù, che comporteranno una concreta esperienza giovanile di percorsi europei. Il consenso sulle tematiche europee, che si accentua anche nella chiesa italiana dopo la caduta del comunismo, rilancia anche le prospettive ecumeniche, che l’orizzonte europeo ha sempre evocato e ormai si aprono concretamente anche all’ortodossia. Nella prospettiva della “riunificazione” dell’Europa costante è l’appoggio alle proposte di allargamento dell’Unione.

    Nuove sollecitazioni vengono poste anche dall’avvio delle migrazioni verso l’Italia provenienti dall’ex – Europa comunista, dalla Polonia alla Romania all’Ucraina, che comportano l’intensificarsi di rapporti con la chiesa ortodossa, per l’assistenza degli immigrati.

    Alla fine dell’ultimo decennio del XX secolo il ragionamento si fa più articolato. Anche il Progetto culturale, avviato dalla CEI nel 1997, mette immediatamente a tema l’Europa, cui dedica il secondo forum, il primo tematico. Come traspare dal titolo: L’Europa sfida e problema per i cattolici, si avverte la consapevolezza che la caduta della cortina di ferro implica il protagonismo e una ri-articolazione dell’Europa, che aveva trovato nell’indicazione della “nuova evangelizzazione”, la sua declinazione pastorale. Viene infatti notata una certa “bivalenza” dei processi di integrazione e la necessità di sviluppare un dialogo interculturale non eurocentrico, ma nemmeno agnostico o relativistico rispetto agli elementi di identità: in questo senso maggiore attenzione viene posta ai fenomeni di secolarizzazione, in particolare per quanto riguarda la famiglia.

    L’ultima fase del pontificato di Giovanni Paolo II si intreccia con i lavori di una Convenzione per la redazione di quella che viene impropriamente ma suggestivamente indicata come una “costituzione europea”. Il sostanziale consenso che accompagna questo processo non impedisce alla Chiesa italiana, seguendo la precisa indicazione del Papa, di porre il problema dell’identità. In un duplice senso, quello dell’affermazione della radice cristiana dell’Europa, e del riconoscimento della soggettività istituzionale delle Chiese. Viene sottolineata anche la necessità della tutela delle identità (cristiane) dei differenti popoli, in particolare in relazione alle questioni legate alla vita ed alla famiglia.

    L’Europa in ogni caso, rileva il successore di Giovanni Paolo II, anch’egli non italiano, diventa un terreno di ri-evangelizzazione, ma anche di sviluppo di un’idea di “laicità aperta”. In un discorso alla CoMeCe per il 50° dei trattati di Roma, il 24 marzo 2007 Benedetto XVI rileva che «l’Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia», ove il dato demografico diventa emblematico di un rischio generale, esortando allora ad una presenza attiva per una nuova Europa, «realistica ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo».

    Fonti e Bibl. essenziale

    D. Preda, Alcide De Gasperi, federalista europeo, Il Mulino, Bologna 2004; P. Conte, I Papi e l’Europa, Elledici, Torino 1976; M. Spezzibottiani (ed.), Giovanni Paolo II profezia per l’Europa, Piemme, Casale Monferrato 1999; L. De Gregorio (ed.), Le confessioni religiose nel diritto dell’Unione Europea, Il Mulino, Bologna 2012.


    LEMMARIO