Europa – vol. I

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    Autore: Elena Valeri

    L’Europa è un territorio che comprende numerosi Stati, caratterizzati da regimi politici, assetti   economici e sociali, lingue, confessioni religiose, tradizioni e costumi diversi tra loro. Accanto a tale varietà, però, l’Europa presenta anche una pronunciata omogeneità culturale e civile che è maturata attraverso prove plurisecolari e che accomuna le differenti popolazioni stanziate in quelle regioni.

    Se di una “coscienza europea” si può parlare a partire dall’età moderna, l’idea che l’Europa fosse una unità geografica e storica affonda le sue radici nel pensiero greco, e non solo perché la denominazione del continente discende da un personaggio della mitologia ellenica. Le opere di Erodoto, Isocrate, Aristotele rappresentano una fase di elaborazione fondamentale di alcuni dei concetti e dei valori destinati a rimanere più a lungo connessi con questa idea. Nella contrapposizione che segnò la storia dei rapporti tra le poleis greche e l’impero persiano, e successivamente nell’età di Alessandro Magno, si andò affermando il senso di uno scontro dai connotati politico-culturali, oltre che militari, nonostante la Grecia avesse un’estensione territoriale a cavallo tra l’Europa, che presso i geografi greci aveva limiti mutevoli e non chiaramente definiti, e l’Asia, paese del sol levante. Al modello greco delle città-stato si oppone quello dei regimi dispotici asiatici, i cui sudditi vengono rappresentati come moralmente deboli, destinati a soccombere dinanzi alla forza d’urto degli impetuosi eserciti ellenici. Il mondo romano eredita sostanzialmente questa visione di un’opposizione tra Occidente e Oriente, le leggi contro l’arbitrio, la civiltà contro il disordine, nonostante in età ellenistica le ragioni di tale antitesi si fossero attenuate e avesse finito per prevalere una concezione ecumenica. Quando Roma assume chiaramente il ruolo di centro politico, evidenziando una nuova distanza con l’Asia, l’idea d’Europa, che nella cultura latina ha per lo più un significato geografico o amministrativo (si pensi alla provincia d’Europa in Tracia), recupera appieno la pregnanza simbolica che aveva per i greci in età prellenistica arricchita di quella che l’Occidente aveva presso i Romani.

    Tra il IV e il V secolo d.C. Agostino d’Ippona delinea una ripartizione occidentale e orientale del globo: «Si in duas partes orbem dividas, Orienti et Occidentis, Asia erit una, in altera vero Europa et Africa» (De civitate Dei, XVI, 17). Tuttavia, l’Occidente non appare solo come una regione del mondo, ma un luogo di civiltà in un’ottica di contrapposizione tra i barbari e quanti non lo sono, cioè i romani. Prima di cadere sotto i colpi delle invasioni dei popoli germanici, gli abitanti dell’impero romano erano stati in gran parte convertiti al cristianesimo. Dinanzi alla frammentazione politica dell’impero, la Chiesa si presenta come la sola istituzione unitaria per i popoli che vivono in Europa. Sebbene Carlo Magno, rex pater Europae, avesse tentato l’impresa di ricostituire l’impero romano difendendo l’unità religiosa dell’Europa anche contro l’espansionismo islamico a nord dei Pirenei, è il papato medievale a offrire alla cristianità l’unità religiosa e culturale venuta meno sul piano politico. Quando, nell’XI secolo, in seguito al Grande Scisma, si spezza l’unità religiosa tra Oriente e Occidente, i limiti geografici della christianitas assumono i contorni di un’area sostanzialmente europea – quella che per Dante Alighieri accoglie l’humanum genus – le cui strade sono rischiarate dalla luce di due soli, i poteri supremi, l’uno temporale, l’impero, e l’altro spirituale, il papato. Alcuni significativi riferimenti all’Europa nell’opera dantesca definiscono, in maniera non sempre coincidente, un ambito geografico – da Costantinopoli, «lo stremo d’Europa» (Paradiso, VI, 5) alle colonne d’Ercole, dalle plaghe nordiche al Mediterraneo – e uno storico-culturale, al cui centro è situata l’Italia.

    Sulla scorta dell’identificazione tra Europa e christianitas che si afferma dal XIII secolo, è significativo che, alle origini della prima formulazione in senso moderno dell’idea d’Europa, si trovi un ecclesiastico, Enea Silvio Piccolomini, divenuto papa nel 1458 col nome di Pio II. La sua partecipazione al concilio di Basilea (1431-1449) e i numerosi viaggi come legato – in Boemia, Scozia, Borgogna – gli consentono di raccogliere una messe di notizie e di materiali che successivamente confluiscono in alcune opere storico-geografiche tra cui il De Europa stampato più volte nel corso del XVI secolo, a partire dal 1501. Nelle opere di Piccolomini, che fu anche un insigne umanista, l’appartenenza geografica all’Europa, lacerata nel 1453 dalla conquista turca di Costantinopoli, indica anche una relazione storico-culturale basata sulla contrapposizione con gli “altri” – i persiani, i barbari, gli infedeli – e rafforzata dall’idea della crociata di tutto l’Occidente contro la minaccia musulmana. Una coincidenza, quella tra Europa e Respublica christiana, avvalorata anche da molti umanisti del XVI secolo che, dinanzi al susseguirsi delle lotte intestine nel continente, invocano il principio cristiano della pace: da Erasmo da Rotterdam (Querela pacis, Institutio principis christiani, De bello Turcis inferendo) a Juan Luis Vives (De Europae statu ac tumultibus, sotto forma di lettera al papa Adriano VI nel 1522 e De Europae dissidiis et de bello turcico del 1526), ad Andrés Laguna (Europa heautontimorumene, 1543).

    La riflessione di Niccolò Machiavelli (Principe, IV) individua nel tipo di reggimento politico un ulteriore discrimine dell’Europa che, «piena di repubbliche e di principati» (Arte della guerra, II) si distingue anche per questo dai regimi dispotici orientali. La caratterizzazione politica, introdotta da Machiavelli, è destinata a rimanere un punto fermo nella storia dell’idea d’Europa nei secoli successivi. Parallelamente a una maggiore messa a punto cartografica – basti pensare all’impresa di Gerardo Mercatore (1554) – e all’affermazione, in seguito alla scoperta dell’America, di una nuova contrapposizione culturale, si assiste alla stesura e in molti casi alla pubblicazione delle prime storie d’Europa: la Istoria d’Europa (1566) di Pier Francesco Giambullari; la Ex universa historia rerum Europae (1571) di Uberto Foglietta. Alla fine del XVI secolo, nelle Relazioni universali di Giovanni Botero (1596, prima edizione completa) l’Europa appare chiaramente come uno spazio geopolitico e non soltanto come una sommatoria di Stati: «Questo si può ben dire hoggi dell’Europa cioè ch’ella sia piena, e quasi pregna di Dominij, e di Regni […] ella si è divisa in molti principati con tal contrapeso di forza, che non vi è potenza, che se non ha signoria fuor di Europa avanzi immoderatamente l’altre parte» (Delle Relazioni Universali, Venezia 1618, parte seconda, libro I, p. 1).

    Queste due idee d’Europa, l’una, già presente nei testi di Enea Silvio Piccolomini, che valorizza gli elementi religiosi e culturali comuni (anche in un confronto continuo con l’Asia), e l’altra di un’Europa come corpo politico, sono destinate a protrarsi sino al Settecento, allorquando, nelle opere dei pensatori illuministi, l’Europa si afferma sempre più come entità civile e morale, distaccandosi dalla concezione della Respublica christiana e dei suoi fondamenti religiosi. Al XVIII secolo risale la prima formulazione di una federazione europea, il Projet de traité pour rendre la paix perpetuelle en Europe dato alle stampe dall’abate Charles de Saint-Pierre tra il 1712 e il 1717, ripreso da Rousseau nel 1758 e successivamente da Kant (Per la pace perpetua, 1795). Tra il 1828 e il 1830 François Guizot (Histoire de la civilisation en Europe) ripercorre nel dettaglio la storia della civiltà europea, già messa a punto nel secolo precedente, individuando gli apporti dei diversi popoli, ma sottolineando il contributo della Francia che ne avrebbe rappresentato l’espressione più alta. Successivamente il Romanticismo recupera l’ideale della cristianità (Novalis), suffragando la tesi che la civiltà europea affondi le sue radici nell’età medievale. Nel XIX secolo una visione dell’Europa come corpo politico nel suo insieme, fondato sull’equilibrio tra gli Stati (Metternich), si confronta e si scontra con la crescente aspirazione a una connessione molto stretta tra patria, nazione ed Europa (Mazzini), nonostante il dilagare dei moti nazionalistici. Dopo una lunga fase di guerre e dopo due conflitti mondiali scatenati dalle politiche imperialiste nasce il Movimento federalista europeo presieduto, tra gli altri, dal politico italiano Alcide de Gasperi. Si torna a discutere dell’idea d’Europa (basti pensare al contributo di Ernesto Rossi e di Altiero Spinelli) che, insieme con nuovi tentativi di formare una federazione politica europea, sopravvive alla fine della guerra fredda e della divisione del mondo in due blocchi contrapposti, e torna, dopo il 1989, a essere oggetto di riflessione e di ripensamenti, «un’avventura millenaria e insieme inconclusa», come ebbe a scrivere proprio in quell’anno lo storico Fernand Braudel.

    Fonti e Bibl. essenziale

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