Laico, Laicato – vol. I

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    Autore: Stefano Tessaglia

    Le origini. Gli scritti del Nuovo Testamento non conoscono una separazione netta tra chierici e laici e, di conseguenza, non approntano neppure la terminologia necessaria alla distinzione. Saranno gli scritti immediatamente successivi all’epoca apostolica (ad esempio, nel I sec., la Lettera di Clemente Romano ai Corinzi XL,5) a definire il laico (da laós, popolo) come la persona facente parte della comunità dei credenti non rivestita delle funzioni proprie del clero. In questo senso il termine sarà usato da Clemente Alessandrino e da Origene; a partire da Tertulliano sarà definitivamente fissato in opposizione al clero (plebs, popolo e ordo, ministri ordinati).

    Le Lettere paoline, gli Atti degli Apostoli e le opere posteriori testimoniano una chiesa che concepisce se stessa come “l’insieme dei credenti”, famiglia che vive la comune appartenenza scaturita dal battesimo, differenziata e costruita all’interno da diversi carismi e ministeri, manifestazioni di un unico Spirito per il bene comune (1 Cor 12-14).

    È all’interno di quest’unica dinamica di coinvolgimento comunitario che s’inserisce il ruolo dei laici, uomini e donne (vergini, sposate o vedove) che, secondo la testimonianza della Lettera a Diogneto (II sec.) non si distinguono dagli altri uomini e donne del tempo: vivono nel mondo ma si sentono partecipi di una realtà superiore. Sono queste le persone che spesso sostengono economicamente le chiese e i ministri, mettono a disposizione le loro case per il culto liturgico (si pensi alle antiche domus ecclesiae e ai tituli della chiesa romana) ed esercitano la carità verso i più poveri.

    Con Costantino († 337), dopo il lungo periodo delle persecuzioni, che ha visto la testimonianza con la vita di molti cristiani laici, la chiesa, ormai libera e dotata di crescente rilevanza sociale, tende a strutturare gerarchicamente le proprie funzioni e ad attribuire al sacerdozio ministeriale il controllo su tutte le espressioni della sfera religiosa.

    I fedeli comuni, via via messi al margine delle responsabilità, saranno tuttavia partecipi della vita della chiesa, seppure secondo una logica di progressiva separazione (anche fisica, come testimoniano negli edifici di culto l’innalzamento del presbiterio e la sua delimitazione con balaustre) e di suddivisione della società in “ordini”. I pastori della chiesa, pur zelanti come Giovanni Crisostomo e Agostino (IV sec.), tendono così sempre più a considerare i laici come “oggetto” di cure pastorali (nella liturgia essi avranno soltanto più un ruolo passivo di ascoltatori e non sarà loro più permesso l’annuncio del Vangelo) piuttosto che “soggetto attivo” della crescita della comunità cristiana.

    Il Medioevo. L’“età di mezzo” vede approfondirsi le distanze tra i differenti stati di vita cristiana (come in generale accade in tutta la società medievale, di cui la chiesa è specchio fedele) ed un elemento acquisisce importanza rilevante: l’accesso alla cultura. Caduto il governo unitario dell’impero romano e venuto meno il sistema educativo classico, il clero, nei monasteri soprattutto, diviene custode principale e depositario del patrimonio culturale antico, della lingua latina, del pensiero filosofico. In questo contesto il laico verrà sempre più e semplicemente concepito come l’illetterato, posto dal diritto nell’ordine inferiore della società, quello “secolare”, legato allo “schiamazzo delle realtà temporali” (Decretum Gratiani, XII sec.) e all’uso dei beni terreni: il possesso di cose materiali e il matrimonio.

    Inoltre l’autorità, il peso politico della chiesa, rimasta unico elemento unificatore nell’Europa frammentata, e i grandi sistemi giuridici e teologico-politici del XII-XIII sec., conducono ad una esaltazione delle gerarchie ecclesiastiche – in specie del ruolo papato – mentre l’arricchimento e la pericolosa osmosi col potere civile causano spesso il rilassamento della disciplina ecclesiastica (simonia e nicolaismo) e situazioni contraddittorie.

    Accade così che, insieme all’inusitata canonizzazione del mercante e padre di famiglia cremonese Omobono Tucenghi († 1197) da parte di papa Innocenzo III (1160-1216), che propone la figura di questo laico come modello di vita santa nel mondo e nell’apostolato della carità, si assista anche al richiamo del concilio Lateranense IV (1215), che giunge a prescrivere l’obbligo della confessione e della comunione eucaristica almeno una volta l’anno, tanto si era diradata la frequenza media alle celebrazioni religiose.

    In quest’epoca, dominata da un diffuso senso d’insicurezza e di precarietà del vivere, di fronte ad un futuro incerto, con la prospettiva di una morte incombente a causa di guerre, epidemie e carestie, sorgono dal basso numerosi movimenti laicali, animati da istanze di religiosità più viva. Una maggiore aderenza allo spirito del Vangelo, e particolarmente un radicale senso della povertà e della dignità del lavoro manuale, proprio in contrasto con gli eccessi e i privilegi di certa gerarchia, dominano l’orizzonte di questi movimenti.

    Distanti dal clero e immersi in un clima religioso tendente all’abbandono, molti cristiani finiscono così polarizzati attorno a figure di grande carisma (Valdo, lo stesso Francesco d’Assisi), in gruppi cui ci si unisce per libera aggregazione, caratterizzati da uno stile laicale e comunitario e dall’itineranza di villaggio in villaggio per invitare alla penitenza. Tali forme spontanee di vita cristiana, diffuse soprattutto in Francia meridionale ed Italia centro-settentrionale (ossia le aree in cui si verifica un maggiore sviluppo economico e culturale), si dimostrano affatto esenti dal pericolo di derive eretiche (catari, patarini, valdesi, umiliati), ma anche particolarmente vicine al vissuto popolare e capaci di coinvolgere in maniera efficace gli strati della popolazione più disagiati o più lontani dalla struttura istituzionale della chiesa.

    Non più soltanto monaci e chierici si dedicano alla lettura della Sacra Scrittura, ma anche semplici laici, che desiderano imparare a conoscere la vita di Cristo e degli apostoli e si riuniscono in piccoli gruppi per ricevere insegnamenti morali, spiegazioni dal testo sacro e per pregare grazie a florilegi di salmi e raccolte di preghiere.

    Anche la scelta iniziale di Francesco d’Assisi (1182-1226) e dei suoi primi compagni è assimilabile a quella dei gruppi di “penitenti”, laici che iniziavano spontaneamente e in piccoli gruppi una vita di conversione, rinunciando ai propri beni o alle attività redditizie, per assumere una vita povera e continente. Sarà papa Innocenzo III a prospettare a Francesco la necessità di assumere le caratteristiche di un ordine di chierici (ricevendo la tonsura), per potere legittimamente intraprendere l’attività di predicazione (vietata ai laici da papa Lucio III con la decretale Ad abolendam del 1184) e mettersi al servizio delle chiesa.

    Soltanto gli ordini mendicanti, francescani e domenicani, riusciranno ad incanalare nell’alveo della chiesa – sotto il rigido controllo dei papi – alcune delle spinte di risveglio e, a questo scopo, si costituiranno nuove forme di aggregazione laicale come le confraternite e i terz’ordini secolari. A queste esperienze si associano presto elementi tipici di devozione e pratiche come la via crucis, il culto della Vergine Maria, dei santi patroni, delle reliquie e il rosario, che pur divenendo un surrogato della liturgia, sempre più difficilmente comprensibile per il popolo, riconoscono una specifica spiritualità alla portata dei laici, ne favoriscono l’inserimento nella comunità cristiana e la crescita spirituale.

    Un non trascurabile ruolo nell’integrazione dei laici nella vita della chiesa hanno, nel medioevo, anche le crociate, in cui convivono ispirazioni fondamentalmente religiose insieme con l’affermazione del papato romano e forti componenti di impeto cavalleresco e spirito di riconquista.

    Di questo vasto movimento di laicato saranno anche le donne a trarre beneficio, con una maggiore considerazione del loro ruolo e l’affermarsi di figure come Brigida di Svezia (1303-1373) e le italiane Caterina da Siena (1347-1380) e Francesca Romana (1384-1440), donne spirituali di grande carisma, inserite a pieno nel loro tempo e capaci di influire fortemente sul tessuto sociale ed ecclesiale.

    L’Età Moderna. I movimenti di riforma riprendono alcune delle tematiche care ai medievali, soprattutto nel senso di un maggior coinvolgimento dei fedeli nel governo della chiesa, e di una migliore istruzione religiosa, alimentata soprattutto dalla lettura e dal commento della Sacra Scrittura. La spiritualità del tempo vede affermarsi nuove tendenze, comunemente conosciute come “devotio moderna”. Si tratta di un vasto movimento spirituale, originario del Nord Europa e dal rapido successo, che chiama ogni cristiano a condurre una vita di fede profonda, basata su una devozione personale interiore ed affettiva, non senza qualche eccesso di sentimentalismo. Questo nuovo genere di devozione prevede inoltre un programma pratico e metodico di atti di preghiera, di meditazione e di lettura della Bibbia.

    In quest’epoca, gli scritti e le opere di riformatori come Marsilio da Padova (1275-1342), John Wyclif (1330-1384) e Jan Hus (1370-1415), preparano il terreno ad una rivalutazione del laicato, mentre Martin Lutero (1483-1546), padre della riforma protestante, giunge a porre in discussione la struttura gerarchica stessa della chiesa e sottolinea la dignità dei laici e il sacerdozio di tutti i fedeli, derivati dal comune battesimo. Lutero conferma tuttavia l’esistenza di diversi ministeri: pur essendo tutti sacerdoti, i cristiani non sono tutti ministri ma, per diventarlo, occorre essere chiamati e scelti dalla chiesa.

    Nello spirito di contrapposizione religiosa dell’Europa del XVI sec. la riforma cattolica, condizionata dalle affermazioni dei protestanti, si trova ad escludere a priori l’acquisizione di alcune pur giuste aperture di quei movimenti e imposta una dottrina (ecclesiologia, sacramentaria, morale) e una prassi pastorale legate piuttosto al controllo e al disciplinamento di tutti gli aspetti della vita dei fedeli.

    Dopo il concilio di Trento (1545-1563) e il suo significativo impegno per la ripresa di una cura d’anime sistematica e capillare, il laicato cattolico risulta ancora ridimensionato nella sua rilevanza ecclesiale. I fedeli rimangono componente passiva della Chiesa, distanti dal clero – divenuto il fulcro vero su cui poggia l’intera realtà della chiesa – e legati a prescrizioni e pratiche che tendono, paradossalmente, alla “perfezione” rappresentata dalla vita consacrata. Questa tendenza continuerà per lungo tempo e si dovrà attendere forse il concilio Vaticano II (1962-1965) per assistere ad una piena affermazione del ruolo e della dignità dei laici nella chiesa.

    Non mancano tuttavia, in questa temperie, esperienze e forme di vita laicale capaci di valorizzare il ruolo e la spiritualità dei fedeli, specie nell’ambito dell’assistenza e delle opere di carità. Parallelamente all’organizzazione sul territorio delle parrocchie, fioriscono numerose in tutta Italia le confraternite (del Santissimo Sacramento, del Rosario: proprio ad affermare la devozione verso l’Eucarestia e la Vergine Maria, messe in discussione dai protestanti), che assumono una rilevanza fondamentale nell’organizzazione sociale delle città, nelle grandi dimostrazioni pubbliche di culto (Corpus Domini) e nell’organizzazione dell’assistenza di malati e pellegrini.

    Nascono nuove forme di pastorale legate agli ordini mendicanti, come le missioni popolari, e nuovi gruppi come gli Oratori del Divino Amore, per l’assistenza dei malati incurabili; le scuole della Dottrina cristiana, che si impegnano sul terreno della formazione catechistica; l’Oratorio romano di Filippo Neri (1515-1595), innovativa istituzione che promuove una seria crescita personale e il senso comunitario anche nei laici.

    Figure simili di ecclesiastici, attenti alla formazione dei fedeli e alla maturazione di nuovi modi per la vita cristiana, sono inoltre Francesco di Sales (1567-1622), convinto che «pretendere di eliminare la vita devota dalla caserma del soldato, dalla bottega dell’artigiano, dalla corte del principe, dall’intimità degli sposi è un errore, anzi un’eresia» (Introduzione alla vita devota I,3) e Alfonso de’ Liguori (1696-1787), che con i loro scritti offrono un nutrimento per la vita interiore di intere generazioni di laici e insegnano al clero un modello per la direzione spirituale dei cristiani inseriti nella vita del mondo.

    Nel secolo XVIII il diffondersi delle idee dell’illuminismo e della secolarizzazione, che si afferma decisamente dopo la Rivoluzione Francese (1789), portano a teorizzare la distinzione/separazione tra Stato e chiesa: questa, identificata tout court con gli orientamenti più oscurantisti e avversi al “progresso” e al benessere, è da combattere e neutralizzare con le armi fornite dalla ragione.

    Tale situazione porta ad un certo risveglio e, specie dopo il trauma della legislazione antiecclesiastica rivoluzionaria, si assiste a una “chiamata alle armi” del laicato cattolico, interpellato ad entrare in campo e impegnarsi (pur sempre come truppa di riserva) nella difesa dei diritti della chiesa (e del papa).

    A partire da queste circostanze inedite, la chiesa getterà le basi di una sorta di programma di “riconquista” della società, che vedrà impegnati anche i laici cattolici con una loro posizione sociale, loro organi di stampa, e, in seguito, di partecipazione politica.

    Così, negli anni della Restaurazione e dei moti liberali si assiste alla nascita di circoli e riviste, di ordini femminili dedicati all’assistenza e nuove organizzazioni laicali come la “Società di san Vincenzo de’ Paoli”, fondata a Parigi da Federico Ozanam (1813-1853) e impegnata sul fronte dell’assistenza dei più poveri. Identica situazione si verifica anche nell’Italia della questione risorgimentale e romana, con svariate associazioni e gruppi, tra i quali spicca la “Società della gioventù cattolica italiana” (nucleo originario dell’Azione cattolica), fondata a Bologna nel 1867 dai due studenti universitari Mario Fani e Giovanni Acquaderni.

    Si afferma così, ancora una volta, l’ambito caratteristico e proprio dell’azione del laico cristiano: quello della dimensione sociale e assistenziale, insieme con la tutela della chiesa nella società secolare, secondo l’ottica tipica dell’intransigentismo dell’epoca.

    Fonti e Bibl. essenziale

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    LEMMARIO