Massoneria – vol. II

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    Autore: Francesco Cipollini

    Dal 1870 al 1903. All’indomani dell’unità d’Italia, l’atteggiamento nei confronti della Massoneria da parte della Chiesa sostanzialmente non cambia, rispetto al periodo precedente.

    Gli eventi che riguardano la sofferta unificazione della nostra nazione vedono coinvolti in prima persona esponenti della “libera muratoria”, alcuni dei quali non nascondono la loro avversione per tutto ciò che sa di “cattolico”.

    Basti il riferimento a Livio Zambeccari, patriota bolognese poi esponente di spicco della Società Nazionale, e ad un folto gruppo di deputati e senatori tra cui Giuseppe La Farina e Michele Coppino, soltanto per riportarne alcuni. Citazione a parte merita lo stesso Giuseppe Garibaldi che nelle elezioni del 1° marzo 1862 non viene eletto Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia per due soli voti di scarto e che nella sua impresa più famosa, la spedizione dei mille, fu coadiuvato da fratelli appartenenti alla massoneria.

    Il 17 marzo 1866 sul periodico Lo Stivale, il “fratello” Luigi Settembrini attacca in maniera chiara e diretta la Chiesa: «a voler distruggere la mala pianta che aduggia tutta la terra cristiana bisogna tagliar le radici intorno […]. Il potere temporale non è soltanto il potere che il papa ha in Roma ma è principalmente il potere che hanno i vescovi, i preti e gli ordini religiosi per tutto il cattolicesimo: e questo potere nasce perché sono organizzati e hanno denaro. Sciogliete quell’organismo, spogliateli dalle male acquistate ricchezze e voi avrete distrutto il potere temporale dei Papi».

    Ma già il 19 maggio 1861, a qualche mese dall’unità, la Gazzetta del Popolo di Torino, diretta dal massone Felice Govean, salutava con favore le iniziative dei “fratelli” Ricciardi e Bixio volte all’incameramento dei beni ecclesiastici.

    Una coraggiosa risposta viene fornita da papa Pio IX Mastai Ferretti nella sua Enciclica Etsi multa luctuosa pubblicata il 21 novembre 1873 [ASS 7 (1872-1873), 496].

    In essa il Pontefice denuncia gli attacchi sempre più frequenti ai diritti e alla libertà della Chiesa. In particolare, si sofferma sulla situazione in Germania, caratterizzata dal Kulturkampf, criticando la politica del Bismarck; prende in esame poi la situazione in Svizzera, denunciando i tentativi dei legislatori elvetici di introdurre l’elezione democratica e popolare dei parroci. Alla base di questi attacchi alla Chiesa, il Pontefice vede le sette, tra cui la Massoneria, definita, per la prima volta, la Sinagoga di Satana.

    «Si meraviglierà forse qualcuno di Voi, Venerabili Fratelli, che la guerra che oggi si muove alla Chiesa Cattolica si espanda tanto. Ma chiunque conosce il carattere, gli obiettivi ed il proposito delle sette, sia che si chiamino massoniche, sia che si chiamino con qualsivoglia altro nome, e li paragoni al carattere, al modo, e all’ampiezza di questa guerra, da cui la Chiesa è assalita quasi da ogni parte, non potrà certamente dubitare che questa calamità si debba attribuire alle frodi ed alle macchinazioni di quelle sette. Da esse infatti è formata la sinagoga di Satana, che ordina il suo esercito contro la Chiesa di Cristo, innalza la sua bandiera e viene a battaglia».

    Il problema viene affrontato ancora da Pio IX anche nella Exortae in ista, [ASS 9 (1876), 338] una Lettera Apostolica pubblicata il 20 aprile 1876 che, sebbene scritta all’Episcopato del Brasile per denunciare i mali della Massoneria, contribuisce ad evidenziare quanto i pericoli rappresentati da questa dottrina siano a cuore del pontefice.

    Si dovrà però al successore di Pio IX, papa Leone XIII Pecci, la promulgazione di testi decisi e fermi di censura dell’associazione massonica, che si pongono in strettissima ideale correlazione con la lettera apostolica di Clemente XII In eminenti apostolatus specula del 1738.

    Già con la Etsi nos, enciclica leoniana scritta il 15 febbraio 1882, il Pontefice scrive ai vescovi italiani sulla necessità di difendere l’opera del Papato nella storia italiana e sull’iniquità delle nuove leggi italiane che offendono e combattono la Chiesa e la Fede concludendo il suo testo con un’approfondita analisi sulle colpe della massoneria.

    Soltanto due anni dopo, il papa torna sull’argomento con l’enciclica Humanum genus che Leone XIII pubblica il 20 aprile 1884 [ASS 16 (1883-1884), 417]; in essa affronta in maniera esaustiva la problematica evidenziandone, sistematicamente ed organicamente, l’inconciliabilità con il Cristianesimo pur potendo gli aderenti non abiurare alla fede. Instaurando il paragone fra la città di Dio e la città dell’uomo sulle orme dell’opera agostiniana De Civitate Dei, il papa sostiene che «i partigiani della città malvagia, ispirati ed aiutati da quella società […] che piglia il nome di Società Massonica, pare che tutti cospirino insieme. […]». Con riferimenti chiari e diretti, il papa afferma la necessità di comprendere «la stessa società Massonica nel complesso delle sue dottrine, dei suoi disegni, delle sue tendenze, delle sue opere, affinché meglio conosciutane la malefica natura, ne sia schivato più cautamente il contagio».

    L’uso della lingua italiana nell’altra enciclica di papa Pecci Dall’alto dell’Apostolico Seggio datata 15 ottobre 1890 [ASS 23 (1890-1891), 193], scritta all’Episcopato e ai fedeli d’Italia ed interamente dedicata alla Massoneria e ai suoi pericoli, è un evidente segnale del fatto che la diffusione della setta nella nazione italiana preoccupava il vertice della Chiesa, tanto da spingere il pontefice ad inviare direttamente alla popolazione italiana questo scritto.

    Leone XIII torna sull’argomento ancora una volta con due testi, pubblicati sia in lingua latina sia in lingua italiana, l’8 dicembre 1892: sono le encicliche Inimica vis [ASS 25 (1892-1893, 274)] e Custodi di quella fede. In esse il pontefice condanna le dottrine massoniche utilizzando ancora una volta anche la lingua italiana come a sottolineare la gravità del problema nella nazione italiana.

    Ancora due riferimenti nei testi leoniani riguardano la Massoneria. Il 20 giugno1894 con la Epistola Apostolica Praeclara gratulationes [ASS 26 (1893-1894), 705] e il 19 marzo 1902 con la Lettera apostolica Pervenuti all’anno vigesimoquinto [ASS 34 (1901-1902), 513]; in entrambe il papa ricorda e sottolinea la pericolosità e la negatività degli effetti della setta massonica sulla società e sulla comunità ecclesiale.

    Dal 1903 al 1962. La morte di papa Pecci il 20 luglio 1903 e la successiva elezione (il 4 agosto dello stesso anno) di papa Sarto con il nome di Pio X segnano l’inizio di una fase durante la quale, pur in assenza di provvedimenti diretti ed espliciti da parte del magistero, procedono i lavori per la ricezione ed esplicitazione della condanna dell’appartenenza massonica nel documento legislativo più importante per la Chiesa cattolica: fervono infatti durante il pontificato sartiano i lavori per la redazione del Codex Juris Canonici, la cui promulgazione avverrà però il 27 maggio 1917, sotto il pontificato di papa Benedetto XV (eletto il 3 settembre 1914).

    La problematica è affrontata nel canone 2335 che commina la scomunica “ipso facto” a chiunque prende parte a sette massoniche, “o dello stesso genere” recita il canone, che operano contro la Chiesa.

    Il successivo canone 2336 rivolge invece la sua attenzione a quei chierici che dovessero aderire a simili associazioni per i quali è prevista la sospensione e la privazione da qualsiasi ufficio e dignità, nonché la denuncia alla Congregazione del S. Offizio.

    Durante i pontificati successivi la necessità di altre esplicite riprovazioni ufficiali della Massoneria è fortemente attenuata, in considerazione della chiara e definitiva codifica della condanna ad opera del citato canone 2335.

    Dal 1962 al 1983. La celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II ha comprensibilmente impegnato la riflessione della Chiesa su se stessa in un enorme sforzo di autocomprensione ad intra e ad extra.

    Coerentemente con l’impostazione voluta dai padri conciliari, dall’assise non è stata emessa alcuna condanna di approcci errati alla fede. Anzi la nuova visio dei rapporti fra Chiesa e mondo costringeva tutti i cristiani a rivedere il loro approccio con l’“altro” in una rinnovata concezione dei rapporti con il mondo contemporaneo.

    Tuttavia l’opportunità del dialogo alla ricerca della verità esige, coerentemente, anche la necessità della condanna di posizioni inconciliabili con il deposito della fede. Questa esigenza di coerenza da parte della Chiesa ha comportato, il 19 luglio del 1974, la pubblicazione da parte della Congregazione della Dottrina della Fede di una lettera De catholicis qui nomen dant associationibus massonicis. La comunicazione, a firma dell’allora prefetto il card. Franjo Šeper, era rivolta principalmente al card. Krol, arcivescovo metropolita di Philadelphia, ma venne notificata anche ad alcuni episcopati particolari; in essa si stigmatizzavano interpretazioni false e capziose in merito alla possibilità dell’appartenenza a logge massoniche, chiarendo che nulla era mutato rispetto a quanto disposto dal can. 2335 del CJC allora vigente e pertanto, sostanzialmente, nessuna abrogazione della scomunica era stata disposta.

    La pubblicazione del contenuto della notificazione, inizialmente riservato, ha richiesto un seguente pronunciamento da parte della Congregazione, la quale, il 17 febbraio 1981, con una successiva Dichiarazione circa l’appartenenza dei cattolici ad associazioni massoniche, a firma dello stesso card. Šeper, oltre a ribadire la consueta interpretazione del canone 2335 del CJC, precisava anche la impossibilità da parte delle locali conferenze episcopali di valutare soggettivamente i casi in questione: «Non era invece intenzione della S. Congregazione rimettere alle Conferenze Episcopali di pronunciarsi pubblicamente con un giudizio di carattere generale sulla natura delle associazioni massoniche che implichi deroghe alle suddette norme».

    Tale dichiarazione si inserisce in un panorama italiano fortemente sensibile alla problematica, in quanto il 12 settembre 1978 era stata pubblicata dal giornalista Mino Pecorelli la lista degli aderenti alla loggia massonica “P2”. Uno scandalo che aveva coinvolto eminenti personaggi della politica e della finanza fino a lambire, secondo alcune fonti, anche alte sfere della gerarchia vaticana.

    La pubblicazione il 25 gennaio 1983 del nuovo Codex Juris Canonici ad opera del papa Giovanni Paolo II segna un nuovo approccio alla problematica rispetto alla precedente codificazione; emerge, infatti, un atteggiamento diverso nel canone 1374 che genericamente proibisce l’appartenenza ad associazioni “che macchinano” contro la Chiesa. Non vengono più esplicitamente menzionate le sette massoniche, ma coerentemente con il principio, ogni associazione che si pone contro la chiesa viene condannata e con essa chi la promuove e la modera.

    La mancata esplicita menzione del carattere massonico delle sette condannate nella nuova codificazione del CJC è parsa a molti foriera di ambiguità e di confusione.

    Al fine di sgombrare il campo da equivoci interpretativi, la Congregazione per la Dottrina della fede il 26 novembre dello stesso 1983 emana la breve, ma incontestabile quanto a chiarezza, Dichiarazione sulla massoneria, firmata dall’allora Prefetto il card. Joseph Ratzinger ed approvata dal papa Giovanni Paolo II. In essa si afferma l’inconciliabilità della doppia appartenenza di un fedele cattolico a qualsiasi loggia massonica e, nell’eventualità dell’appartenenza, lo stato di peccato grave che impedisce di accedere alla Santa Comunione.

    Viene, pertanto, confermata la condanna della massoneria e la conseguente diffida all’adesione, dando così una interpretatio authentica del “nuovo” canone 1374 e ponendo un punto fermo e risolutivo nei rapporti fra cristianesimo e massoneria.


    LEMMARIO