Massoneria – vol. I

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    Autore: Antonio Trampus

    Il rapporto fra la massoneria e la Chiesa nella storia italiana è stato mutevole nel tempo e dipende dalla natura stessa della muratoria, che sin dalle sue origini ha assunto caratteristiche diverse in funzione dei contesti culturali e politici nei quali si è trovata ad operare. Per quanto continuino a sopravvivere ambigue classificazioni della massoneria entro la tipologia delle società segrete e delle scienze occulte piuttosto che tra le forme di sociabilità tipiche dell’età moderna, è importante ricordare che a partire dalle radici tardo cinquecentesche, le logge si sono presentate essenzialmente come un fenomeno culturale, attento a rivendicare la sua neutralità sia rispetto alle questioni di fede sia alla politica. Lo affermavano in modo chiaro tanto le Constitutions di James Anderson (1723) quanto i documenti delle logge continentali e italiane della prima metà del XVIII secolo. Si tratta di una prescrizione ritenuta necessaria perché garantiva la sopravvivenza delle logge in un’Europa in cui il problema delle differenze religiose rimaneva controverso, e perché teneva unito il mondo massonico nella diversità delle fedi individuali, all’insegna dello spirito di tolleranza. Escludendo quindi la religione come pratica all’interno della loggia, si riaffermavano contemporaneamente la libertà di coscienza individuale e la possibilità che le religioni potessero essere oggetto di studio.

    Spesso tuttavia pratiche massoniche, basate sui principi dell’uguaglianza, della capacità e del merito, facevano apparire le logge come una sorta scuola di governo e quindi come un laboratorio teorico della politica e luogo genetico di nuove forme istituzionali alternative alla cultura di Antico Regime. Non a caso proprio nel Settecento italiano compaiono i primi segni di contrasto fra le autorità ecclesiastiche e le logge massoniche, culminati in due condanne papali del 1738 e del 1751. All’origine della prima vi sono le vicende legate alla successione del trono granducale in Toscana in conseguenza dell’estinzione della dinastia dei Medici e alla candidatura dell’ex duca di Lorena Francesco Stefano, iniziato in loggia dal 1731. L’instaurazione del governo lorenese portò all’avvio di una ferma politica giurisdizionalista e alla denuncia, dinanzi all’Inquisizione fiorentina, di un progetto anticuriale e antiromano maturato nell’ambito delle logge toscane. Il processo che ne seguì, diede origine alla costituzione In eminenti, firmata dal papa il 28 aprile 1738 e pubblicata il 4 maggio successivo, nella quale la massoneria veniva condannata in quanto (e nei casi in cui) tendeva a ridurre l’influenza della Chiesa nella sfera politica e civile e gettava le premesse per la possibilità di credere nella salvezza senza la grazia o al di fuori di essa.

    In questo senso, le prescrizioni della costituzione In eminenti colpivano le pratiche massoniche in quanto sconfinavano nell’eresia e circoscrivevano la pericolosità del fenomeno massonico non impedendo la partecipazione dei cattolici alla vita delle logge. Anzi – come osservava Ludovico Antonio Muratori negli Annali d’Italia – proprio il richiamo papale ad abbandonare ogni forma di riservatezza intorno alle loro attività aveva consentito poi ai massoni, nel corso degli anni quaranta del Settecento, un’opera di divulgazione e di propaganda dei loro rituali sempre più ampia ed efficace. Anche il secondo intervento pontificio, nel 1751, apparve mirato soprattutto a contenere il pericolo che l’attività delle logge esorbitasse dallo spazio massonico per influenzare i rapporti fra Chiesa e Stato. L’occasione venne dai tentativi di introdurre l’Inquisizione nel Regno di Napoli e dal progetto giurisdizionalista del principe di Sansevero che intendeva unire attraverso il comune impegno massonico nobili, togati e militari per limitare le ingerenze politiche della Chiesa. Dopo avere pubblicato una Lettera apologetica in difesa del carattere culturale e socializzatore della massoneria Sansevero venne accusato di tradimento e il 18 maggio 1751 papa Benedetto XIV intervenne con la costituzione Providas per riaffermare i contenuti del documento pontificio di tredici anni prima.

    Al di là delle due specifiche vicende, nel corso del XVIII l’adesione dei cattolici italiani alla massoneria fu costante e non mancarono decise prese di posizione nella difesa della compatibilità fra la condizione massonica e quella del buon cristiano, come dimostra il saggio del camaldolese Isidoro Bianchi Dell’instituto dei veri liberi muratori (1785). In quelle pagine egli poteva sostenere che le logge non erano contrarie né al buon ordine pubblico né alla religione e circoscriveva il pericolo massonico a poche situazioni isolate – come quella sovversiva degli Illuminati di Baviera – espressioni di una massoneria sostanzialmente deviata. Non lontane da queste posizioni furono poi quelle del savoiardo Joseph de Maistre, membro del rito scozzese riformato, che interpretava la massoneria persino come uno strumento per potenziare la religione cattolica, per la riscoperta della tradizione cristiana e per diffondere la conoscenza di verità sublimi quali la redenzione e la salvezza eterna.

    Gli eventi rivoluzionari francesi, che coincisero in Italia anche con l’arresto e il processo a Cagliostro (Giuseppe Balsamo) e con la scoperta del progetto di creare una loggia massonica a Roma, riaprirono il conflitto fra la Chiesa e la massoneria. Gli atti del processo contro Cagliostro e gli opuscoli su quella vicenda, promossi dalla Santa Sede stessa, mettevano in rilievo il carattere irreligioso e libertino delle logge, la loro volontà di distruggere le monarchie e propagare le idee democratiche interpretando gli avvenimenti dell’89 come l’esito di un complotto ordito dai massoni assieme ai philosophes e ai giansenisti. Nasceva così la tesi della congiura e del complotto massonico, destinata ad essere amplificata ad opera dell’abate Barruel con i suoi scritti sul giacobinismo tradotti anche in italiano. Nel clima della Restaurazione, di fronte all’immersione della massoneria nel settarismo e nei percorsi carbonari, il tema della condanna da parte della Chiesa venne ripreso spesso anche per rimediare all’inefficacia o alla disapplicazione dei provvedimenti settecenteschi. Già nell’agosto 1814 il segretario di Stato Consalvi emanava un decreto di condanna delle società segrete rinnovato poi nel 1821, lo stesso anno in cui dinanzi ai moti costituzionali italiani ed europei – Pio VII promulgò la bolla Ecclesiam a Iesu Christo per condannare la carboneria in quanto emanazione o imitazione della massoneria, descrivendole entrambe come fautrici di cospirazioni contro la religione e contro la società civile tramite l’uso immorale del segreto, del giuramento e dell’insubordinazione.

    La contrapposizione tra la Chiesa e la massoneria italiana, considerata come uno dei prodotti più pericolosi del mondo moderno, rimase uno temi dominanti del Risorgimento italiano, parallelamente alla diffusione del pensiero liberale e al profilarsi di una unificazione della penisola con Roma capitale sottratta al dominio della Chiesa. Fu però appena negli anni ottanta dell’Ottocento, dopo la caduta di Roma e la perdita del potere temporale, che la Chiesa cattolica cominciò a riaffrontare in senso complessivo il problema, sollecitata anche dalla grande espansione e visibilità che stava acquistando il Grande Oriente d’Italia. Nacque allora il progetto di una nuova enciclica che prendesse in esame il fenomeno pur senza privilegiare un’ottica solamente italiana, nella consapevolezza che l’adesione dei cattolici italiani alla massoneria non si limitava a casi isolati. Si giunse così all’enciclica Humanum genus. De secta masonum pubblicata da Leone XIII il 20 aprile 1884, volta in realtà a denunciare l’azione della muratoria soprattutto in Italia. Secondo il pontefice l’obiettivo delle logge era quello di asservire completamente l’uomo distruggendone la moralità e minacciandone il ruolo nella comunità civile anche attraverso la diffusione del movimento socialista, considerato un’emanazione massonica. L’enciclica diveniva occasione per condannare, in quanto frutti delle correnti di idee da cui era provenuta la muratoria, il principio della sovranità popolare, la natura civile del matrimonio e il sistema educativo ormai sottratto al controllo della Chiesa. E’ il caso di segnalare che le risposte italiane all’enciclica, maturate nell’ambito del Grande Oriente e del suo Gran Maestro Adriano Lemmi, si orientarono subito in direzione di una decisa contrapposizione a questi asserti, chiudendo ogni spazio al dialogo e contribuendo così ad uno scontro frontale con il mondo cattolico che si sarebbe tradotto in un anticlericalismo destinato ad accentuarsi negli anni successivi. Dal canto suo Leone XIII, con la lettera enciclica ai vescovi del 15 ottobre 1890 Dall’alto dell’apostolico seggio e con altri interventi, tornò ad insistere sulla necessità di mobilitare i cattolici contro la massoneria e contro tutti i provvedimenti assunti dal nuovo Stato italiano (soppressione di ordini religiosi, leva obbligatoria anche per il clero, introduzione del matrimonio civile) considerati come un prodotto delle “sètte che diconsi massoniche”. E a questo la massoneria italiana rispose con le grandi manifestazioni per l’inaugurazione del monumento a Giordano Bruno a Campo dei fiori a Roma nel 1889 e per l’inaugurazione della nuova sede del Grande Oriente a palazzo Borghese nel 1893. Sul fronte opposto, nello stesso 1893, il 20 settembre (anniversario della breccia di Porta Pia) venne fondata l’Unione antimassonica italiana con sede a Trento.

    La contrapposizione fra Chiesa e massoneria in Italia si rafforzò ulteriormente durante il fascismo e portò, dopo la conclusione dei Patti Lateranensi e con la sempre più decisa opposizione del Grande Oriente al governo Mussolini, a violente persecuzioni e allo scioglimento del Grande Oriente d’Italia decretata dal Gran Maestro stesso nel 1925. La vita sotterranea delle logge durò fino alla ricostituzione del 1945, riprendendo poi nel segno della tradizione risorgimentale. Solo con il pontificato di Giovanni XXIII i rapporti tra Chiesa cattolica e massoneria italiana presero a migliorare finché con Paolo VI la conferenza episcopale tedesca dichiarò decaduta l’incompatibilità tra fede cattolica e appartenenza alla muratoria. Negli anni Settanta del Novecento, anche attraverso gli interventi del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede cardinale Šeper, la Chiesa cattolica prese progressivamente anche atto che due degli elementi fondamentali delle condanne sette e ottocentesche, cioè la natura segreta della massoneria e la sua ostilità statutaria verso la Chiesa, erano venuti meno, facendo decadere così da un punto di vista sostanziale la scomunica per i cattolici appartenenti alle logge, pur in assenza di un annullamento formale delle condanne pontificie. Più recentemente con il pontificato di Giovanni Paolo II e con il successore del cardinale Šeper, il cardinale Ratzinger – poi giunto al soglio pontificio – il dialogo tra massoneria italiana e Chiesa cattolica si è nuovamente rarefatto e anzi il cardinale Ratzinger ha riaffermato che i cattolici impegnati nella massoneria incorrono nel peccato grave che comporta l’esclusione dal sacramento dell’eucarestia.

    Fonti e Bibl. essenziale

    L. Pruni, La Sinagoga di Satana. Storia dell’antimassoneria 1725-2002, Laterza, Roma-Bari 2002; A. Trampus, La massoneria nell’età moderna, Laterza, Roma-Bari 20083; G.M. Cazzaniga – ed., Storia d’Italia. Annali 21. La Massoneria, Einaudi, Torino 2006; F. Conti, Storia della massoneria italiana dal Risorgimento al Fascismo, il Mulino, Bologna 2003; F. Conti – M. Novarino – edd., Massoneria e Unità d’Italia. La libera muratoria e la costruzione della nazione, il Mulino, Bologna 2011.


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