Missioni estere – vol. I

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    Autore: Angelo Manfredi

    Con questa espressione si intende l’impegno di personale originario della penisola italiana, e radicato nelle chiese che la strutturano, per la missione verso popoli non cristiani esterni alla penisola stessa, che come tale si cristianizza nei secoli del tardo impero. Quindi escluderemo il fenomeno del passaggio al cristianesimo nella sua forma romana dei Longobardi che occupano i gangli vitali di gran parte dell’Italia attuale.

    Per ciò che riguarda il I millennio cristiano, si può brevemente rammentare l’apporto della chiesa aquileiese e delle realtà ad essa collegate per la diffusione del cristianesimo verso le popolazioni slave dell’attuale Carinzia, Slovenia e Croazia, e la figura di Gerardo, veneziano e vescovo di Czanad tra gli ungari, al tempo del re Vajk-Stefano. Gerardo fu martirizzato nel 1046 in occasione di una reazione pagana. Tuttavia gran parte delle stirpi germaniche, slave e di altre origini e culture videro l’impegno missionario di clero proveniente più dalle realtà statuali franche o da Bisanzio, mentre le chiese più propriamente italiche sembrano meno coinvolte.

    Qui si evoca soltanto l’apporto dei membri italiani degli ordini mendicanti ai tentativi di evangelizzazione rivolti alle popolazioni musulmane del nord-Africa, del vicino Oriente, o alle orde ancora sciamaniche dell’Asia Centrale, nei secoli XII-XV: basti ricordare la figura del francescano Giovanni da Montecorvino che fu dal 1307 arcivescovo di Khanbaliq (Pechino), e del domenicano Tommaso Mancasole da Piacenza che fu vescovo di Samarkand nello stesso periodo.

    Con la cosiddetta scoperta del nuovo mondo, lo sviluppo della navigazione e del commercio intercontinentale e i primi fenomeni di colonizzazione, spesso com’è noto collegati con l’evangelizzazione, si aprono prospettive di investimento di personale italiano, appartenente a ordini più antichi o più recenti che si dedicano anche alla missione ad gentes. Sono ben noti i nomi di Matteo Ricci (Macerata 1552 – Pechino 1610) e di Roberto De’ Nobili (Roma 1577 – Meliapur 1656), gesuiti, pionieri dei metodi di adattamento rispettivamente in Cina e in India. Forse meno noto, ma di reale importanza storica è Alessandro Valignano (Chieti 1538 – Macao 1606), missionario in Giappone e visitatore delle missioni d’oriente, sempre della Compagnia di Gesù. Ricordiamo pure Nicolò Mascardi di Sarzana S.J. (1624-1674) missionario ed esploratore in Cile. Nei territori soggetti al patronato della corona di Spagna, ossia in gran parte dell’America Latina, come nei territori più direttamente collegati al Portogallo, quali Brasile, Goa, Macao, le congregazioni impegnate nella diffusione del cristianesimo reclutavano personale esclusivamente d’origine spagnola, e rispettivamente lusitana, escludendo perfino, a quanto ne sappiamo, i territori italiani soggetti al monarca iberico. Fanno eccezione, oltre ai gesuiti, i cappuccini, direttamente alle dipendenze della congregazione romana di Propaganda Fide, e presenti in Congo nei secoli XVII e XVIII, e in Pernambuco (Brasile) dal 1699. Il governo portoghese soppresse nel 1834 gli ordini religiosi anche in quell’area, facendo venir meno la presenza cappuccina italiana. Invece è una pagina in gran parte da esplorare coi metodi moderni la presenza di italiani francescani, domenicani e di altri ordini nel mondo legato all’impero ottomano, tra i secoli XVI e XIX: Bosnia, Turchia, Terrasanta, dove alcuni raggiunsero anche responsabilità prelatizie o svolsero compiti diplomatici o culturali di alto livello. Questa missione, oltre ai rapporti col mondo musulmano, creava relazioni con i cristiani orientali, separati o uniti a Roma, rapporti spesso delicati. In oriente abbiamo pure i cappuccini italiani in Tibet e Nepal (1703-1803) e i carmelitani scalzi italiani presenti nel XVIII e inizio XIX secolo a Verapoly (ora Ernakulam, in Kerala, India sud-occidentale; diviso in tre vicariati nel 1845) e a Bombay sulla costa centro-occidentale: Ferdinando Fortini sarà l’ultimo vicario italiano a Bombay (1840-1848), ove poi saranno presenti soprattutto vicari francesi; i carmelitani scalzi ebbero una missione anche a Isphahan in Persia (1607-1797) con un certo irradiamento nel golfo Persico.

    Come si può notare da quanto finora elencato, il secolo XVIII portò a un regresso dell’opera di propagazione della fede oltremare, a seguito delle soppressioni dei gesuiti e poi napoleoniche e della crisi di reclutamento negli ordini religiosi europei.

    Con la restaurazione e il ripristino della congregazione romana di Propaganda Fide anche le chiese della penisola italiana furono coinvolte nel movimento missionario, che si può definire ormai verso le “missioni estere”, e che assume forme e modalità innovative. Ci limiteremo qui al periodo precedente al 1870, con connessioni che porteranno com’è ovvio alla seconda parte della voce.

    Le province francescane e cappuccine, appena fu possibile, ripresero l’invio di personale in terre di missione: diversi vicariati furono assegnati o ripristinati a favore dei minori in Cina (lo Shanxi e lo Shaanxi sono presidiati dai francescani con continuità dalla fine del XVII sec.; lo Hukwang dal 1836, diviso nel 1856 in due vicariati, Hunan e Hubei; lo Shandong dal 1837); la provincia di Aracoeli (Roma) inviava missionari nel 1857 tra gli indios dell’Argentina del nord; cappuccini italiani sono presenti tra gli Araucani del Cile (1848-1888); dodici francescani italiani cacciati dal Messico nel 1835 si dedicarono alla Bolivia. Un alone di mito circonda il cappuccino Guglielmo Massaia (Piovà/AT 1809 – S. Giorgio a Cremano/NA 1889, cardinale dal 1884), vicario apostolico dal 1841 nel centro-sud dell’Etiopia, tra gli Oromo (o Galla), esploratore e scrittore popolare.

    Anche i gesuiti, restaurati in Italia nel 1814, nonostante le minacce e poi la crisi di una seconda soppressione, dedicarono parte del personale alla missione. La provincia romana nel 1863 inviò in Brasile, nello stesso periodo la provincia torinese era presente tra i nativi in California, Oregon e Montagne Rocciose (più tardi anche in Alaska); la provincia siciliana in Honduras e, con qualche elemento, in Australia.

    I Vincenziani o Lazzaristi sono presenze singolari in teatri particolarmente dislocati: Luigi Montuori (Avellino 1798 – Napoli 1857) e Girolamo Serao (o Serrao) a Khartoum in Sudan (1834-1846); Vincenzo Spaccapietra (Francavilla 1801 – Smirne 1878) fu arcivescovo di Port of Spain nelle Antille (1855-1859) e poi a Smirne (1862-1878); il nome più noto è quello di S. Giustino De Jacobis (1800-1860), in Etiopia come vicario dal 1839 al 1860. La missione sudanese fu quella più critica, mentre la difficile presenza in Etiopia fu proseguita da vincenziani francesi.

    Citiamo poi l’alternarsi di italiani in Birmania (ora chiamato Myanmar): dapprima i barnabiti dal 1722 al 1837, con un vicariato apostolico e alcuni padri per i meticci birmano-portoghesi cristianizzati; dopo una breve successione degli scolopi, dal 1837 tentarono gli oblati di Maria Vergine “di Torino”, fondati da Pio Brunone Lanteri, fino al 1862, sostituiti poi dai francesi delle “Missions étrangères”.

    In Australia, sembra che il primo tentativo di approccio verso i nativi (1842-46) fu di quattro passionisti nell’isola di Dunwich (North Stradbroke Island, Queensland, davanti alla città di Brisbane).

    Come si può notare, molti di questi invii ebbero breve durata e lasciarono frequentemente il posto a missionari francesi. Questo dipese certamente dalle vicende che portarono a una seconda ondata di soppressioni, prima con le leggi piemontesi e poi con quelle del 1866-67 sull’asse ecclesiastico, mentre l’impero di Napoleone III e poi la Terza repubblica fino almeno al 1905 appoggiavano le missioni. Ma in Italia il movimento popolare missionario, vera novità del secolo XIX, pur essendo diffuso abbastanza precocemente (1824 Piemonte, 1825 Sardegna, 1835 tutti gli altri stati) non aveva la stessa forza economica. Infine una realtà antica e consolidata come le “Missions étrangères” non aveva ancora un vero corrispettivo nella penisola.

    Su questo modello, cioé di sacerdoti secolari dedicati alla missione, in Italia si stavano formando alcuni istituti: anzitutto l’Istituto Missioni Estere di Milano (S. Calogero) dal 1850, con missioni nelle Isole Salomone (1852-1858: nel 1855 vi morì martire il b. Giovanni Mazzucconi), ad Hyderabab e in Bengala, India (1855), in Borneo (1855-1860), in Colombia (1856-1942), a Hong Kong (dal 1858), in Cina (Henan 1870), e tra i “tribali” in Birmania (dal 1870); e a Genova il Collegio Brignole-Sale-Negrone dal 1855. Dal 1835 esiste la Società Missionaria dell’Apostolato Cattolico fondata a Roma da Vincenzo Pallotti, che però avrà missioni dal 1870 in avanti.

    Intanto in varie città italiane stavano giungendo i “negretti” e le “negrette”, piccoli schiavi riscattati e portati in Italia per essere educati al cattolicesimo (Genova, con don Nicolò Olivieri; Napoli, col p. Ludovico da Casoria OFM; Verona, con don Nicola Mazza). Dalla vivace realtà ecclesiale di Verona, in cui l’ideale missionario è diffuso da don Mazza, parte nel 1857 un gruppo di sacerdoti, che accompagnano un nuovo vicario apostolico dell’Africa centrale, l’austriaco I. Knoblecher, dopo il ritiro del vincenziano Montuori da Khartoum. Di questo gruppo fa parte Daniele Comboni. I superstiti della spedizione, decimata dalle malattie, ritornano in Europa nel 1862. Comboni, dopo questa prima esperienza fallimentare, elabora nel 1864 il “Piano per la rigenerazione dell’Africa”, dai forti contenuti innovativi e antischiavisti. Il seguito della sua avventura missionaria si colloca dopo il concilio Vaticano I, a cui Comboni partecipa attivamente.

    Tra le prime religiose dedite alla missione ci saranno le Canossiane, anch’esse originarie di Verona, a Hong Kong dal 1860. Nell’Italia della prima metà dell’ottocento inizia lentamente a maturare la possibilità di una presenza femminile nelle missioni. Tra i vari esempi si può citare l’itinerario originale delle Francescane Missionarie d’Egitto, sorte da un monastero di vita contemplativa di Ferentino nella Ciociaria ma presto (1859) lanciate dalla fondatrice, suor Maria Caterina Troiani (Giuliano Romano 1813 – Cairo 1887), nell’impegno educativo presso i musulmani.

    Un rapido sguardo al movimento missionario italiano del primo ottocento evidenzia un certo fermento di persone e opere, slegato da mire egemoniche e coloniali come quelle francesi, a cui anche Propaganda Fide intendeva limitare il monopolio, ma fondato sui tradizionali ordini religiosi, con le fragilità che emergono nei momenti di crisi europea, con la frammentazione tipica di queste organizzazioni e dell’Italia del tempo, e con un embrione di diffusione popolare, non ancora sostenuta da congregazioni interamente missionarie. In questo senso, la vicina Francia resta all’avanguardia ed è modello di quelle nuove realtà che lentamente vanno delineandosi.

    A questo apporto di forze di evangelizzazione sul campo l’Italia però aggiunge i prelati dedicati alla congregazione romana di Propaganda Fide, spesso personalità acute e preparate, anche se prive di esperienza diretta in missione, comunque sensibili a nuovi orizzonti. Citiamo Stefano Borgia (1731-1804) segretario e poi prefetto, estensore di relazioni in cui si postulava la formazione di clero indigeno, Mauro Cappellari (Belluno 1765 – Roma 1846), prefetto nel 1825-1830 poi papa Gregorio XVI, Giacomo Filippo Fransoni (prefetto da 1834 al 1856), Alessandro Barnabò (prefetto dal 1856 al 1874).

    Presto la diffusione dei testi di René de Chateaubriand, della traduzione delle Lettres édifiantes et curieuses (Milano 1825-1829), delle traduzioni degli Annali della Propagazione della Fede e delle relazioni di Massaia (1885-1895, 12 volumi editi a Roma e Milano) apriranno all’opinione pubblica popolare una più intensa sensibilità verso la missione “oltremare”.

    Fonti e Bibl. essenziale

    G. Battelli, Daniel Comboni et son “image” de l’Afrique, in Eglise et histoire de l’Eglise en Afrique. Actes du colloque de Bologne (22-25 octobre 1988), a cura di G. Ruggieri, Paris (Beauchesne) 1988, 63-87; Dalle missioni alle chiese locali (1846-1965), a cura di J. Metzler, (Storia della Chiesa “Fliche-Martin”, 24), Cinisello Balsamo (Ed. Paoline) 1990; P. Gheddo, PIME: 150 anni di missione (1850-2000), Bologna (EMI) 2000; Histoire universelle des missions catholiques. 3: les missions contemporaines (1800-1957), a cura di S. Delacroix, Paris (Grund) 1958; J. Leflon, Crisi rivoluzionaria e liberale. II: restaurazione e crisi liberale (1815-1846), (Storia della Chiesa “Fliche-Martin”, 20/2), Torino (SAIE) 1975, 893-944; G. Martina, Pio IX (1851-1866), Roma (Editrice Univ. Gregoriana) 1986, 357-424; G. Martina, Storia della Compagnia di Gesù in Italia (1814-1983), Brescia (Morcelliana) 2003, 121-124. 137; G. Romanato, L’Africa nera fra cristianesimo e islam. L’esperienza di Daniele Comboni (1831-1881), Milano (Corbaccio) 2003; J. Schmidlin, Manuale di storia delle missioni cattoliche. III: le missioni nell’epoca contemporanea, Milano (Pontificio Istituto Missioni Estere) 1929; G. B. Tragella, Le Missioni Estere di Milano nel quadro degli avvenimenti contemporanei, 3 volumi, Milano (Pontificio Istituto Missioni Estere) 1950-1963; DIP: Cappuccini, 2, 230-233; 247-249 (Melchiorre da Pobladura); Carmelitani scalzi, 2, 570-580 (V. Macca); Congregazione della Missione, 2, 1543-1551 (L. Chierotti, quasi senza notizie sulle missioni); Figlie della Carità Canossiane, 3, 1534 (A. Serafini); Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria dette d’Egitto, 4, 337-338 (E. Frascadore); Frati minori simpliciter dicti, 4, 873-895 (E. Frascadore, P. Péano); Oblati di Maria Vergine, 6, 634-637 (P. Calliari).


    LEMMARIO