Monti di Pietà – vol. I

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    Autore: Maria Giuseppina Muzzarelli

    La proposta da parte dei Minori Osservanti di creare un Monte di Pietà, istituzione che è giunta fino a noi, e la successiva concretizzazione di essa ebbe luogo nelle città dell’Italia centrale e settentrionale a partire dagli anni Sessanta del XV secolo.

    La necessità alla quale il Monte intendeva dare risposta era quella di credito a basso tasso di interesse o comunque a condizioni tali da consentire a quanti si collocavano al limite della sopravvivenza personale e famigliare di far fronte a urgenze senza peggiorare ulteriormente la loro situazione. Non si voleva offrire elemosina ma credito a persone povere ma non poverissime in grado di dare in pegno un oggetto, anche di modesto valore, a garanzia della restituzione e che si immaginava potessero risollevarsi dallo stato di bisogno in quanto capaci di lavorare. Il tenue tasso di interesse richiesto a questo genere di cliente cittadino caratterizzava l’azione del Monte diversificandola dalle usuali forme di beneficenza ma anche da quella dei banchi privati di prestito.

    Se nelle città basso medievali erano attive da tempo varie forme di assistenza per i derelitti, per quanti invece necessitavano di piccolo credito non esisteva, almeno ufficialmente, alternativa al banco privato. Dalla seconda metà del XIII secolo in molti piccoli e grandi centri urbani funzionavano uno o più banchi di prestito gestiti da ebrei regolarmente “condotti”. La “condotta” era l’autorizzazione ufficiale ad aprire un banco a condizioni concordate con le autorità cittadine. Tali condizioni prevedevano un tasso di interesse fra il 20 e il 30%, la definizione dei termini per la restituzione e il rispetto delle consuetudini ebraiche in fatto di giorni di festa e di regole alimentari. Le condotte fissavano dunque le condizioni della convivenza cristiano-ebraica a partire dalla necessità del servizio di prestito offerto dai banchieri. Il tasso richiesto era elevato ma di mercato e comunque concordato con i governanti. Il servizio reso dai banchieri ebrei era agile e soddisfacente ma non alla portata di tutti. Di qui la necessità di rispondere alle esigenze di quanti, pur poveri, non lo erano in misura tale da dover essere soccorsi con l’elemosina e, pur necessitando di credito e non di beneficenza, rischiavano la rovina se accedevano ai banchi ebraici di prestito. Il ricorso a questi ultimi, va ricordato, era stata un’ importante e coraggiosa ideazione del basso Medioevo per affrontare i problemi creditizi. Funzionò per secoli ma non risolse tutti i problemi.

    È pur vero che i banchieri ebrei, se richiesti in tal senso, avrebbero potuto erogare, accanto al credito concesso a condizioni di mercato e comunque nelle forme stabilite nelle condotte, un altro tipo di credito più di genere assistenziale differenziando così i loro servizi. Il fatto è che accanto alla necessità di trovare una soluzione alle concrete necessità dei meno abbienti c’era anche un altro problema da affrontare, quello del monopolio ebraico del prestito ad interesse o perlomeno di quello ufficiale e soprattutto del prestito su pegno di piccolo e medio calibro.

    Al tempo della fondazione dei primi Monti di pietà nelle città operavano da secoli i mercanti-cambiatori che oltre a convertire le diverse monete compivano anticipazioni di denaro ma si trattava di operazioni di notevole entità e perlopiù di prestiti di impresa. Grandi banchi, come quello dei Medici a Firenze, prestavano comunemente ma non piccole somme dietro presentazione di un modesto pegno. Questo segmento del mercato era di fatto nelle mani dei banchieri ebrei liberi dalle restrizioni che la morale cristiana poneva alle attività di prestito. In realtà tutti o quasi coloro che avevano un po’ di denaro risulta che lo prestassero e non gratuitamente nè ufficialmente, fatto che non calmierava certo il costo del denaro.

    La delega agli ebrei derivava dal fatto che la Chiesa aveva dubbi circa la legittimità dell’attività di prestito che, se ad interesse, era definita usuraria, qualunque fosse il tasso richiesto. Davanti alle evidenti necessità dei singoli e della collettività, la Chiesa cercò di proporre modelli di comportamento economico capaci di coniugare le esigenze economiche con i principi etici. Ciò portò all’elaborazione di titoli di legittima restituzione maggiorata che valevano ad esempio in caso di “danno emergente” o di “lucro cessante”, ma di fronte al piccolo credito di consumo la Chiesa assunse un atteggiamento di tolleranza nei riguardi dei servizi offerti dagli ebrei fino a quando, prendendo spunto proprio dalla operatività dei banchieri privati e nella consapevolezza della necessità di un servizio creditizio diverso dall’assistenza ai più poveri, maturò in ambiente francescano l’idea dei Monti. Questi ultimi esprimevano il tentativo di cercare una via che consentisse alla società cristiana di risolvere il problema senza ricorrere a chi le era estraneo e che nel contempo sperimentasse una forma di realizzazione del bene comune sostenendo nelle loro necessità i “poveri meno poveri”. Si intendeva con quest’ultima formula l’insieme di coloro che potevano essere sottratti all’elemosina e, se attivati, erano in grado produrre ricchezza a vantaggio loro, delle loro famiglie e della città.

    I Minori Osservanti proposero dunque nelle piazze un istituto pubblico di prestito che prendeva spunto per la sua operatività dai banchi privati introducendo alcune varianti e soprattutto offrendo una risposta cristiana alle necessità di quei poveri ma non poverissimi che erano in grado di presentare un pegno che valesse almeno un terzo di più della somma presa in prestito. Fu così che efficaci predicatori quattrocenteschi, da Giacomo della Marca a Bernardino da Feltre (quest’ultimo negli ultimi decenni del XV secolo si specializzò nella creazione di Monti Pii) cominciarono a diffondere l’idea di raccogliere denaro dai cittadini e dalle autorità per creare un cumulo di risorse, un monte appunto, da impiegare per soddisfare la diffusa richiesta di piccolo credito. Il periodo accordato per la restituzione era di circa un anno, passato il quale se la somma non veniva restituita il pegno sarebbe stato venduto all’asta. Le regole di funzionamento erano scritte negli Statuti analoghi di città in città ma anche un po’ diversi per aderire ai singoli contesti.

    A segnare la differenza con il prestito dei banchieri privati era in primo luogo il tasso di interesse che nel caso dei Monti ammontava al 5% annuo ma più di un Monte, almeno nel periodo delle origini, non esigeva alcun interesse nel nome del principio evangelico “Mutuum date nihil inde sperantes” (Luca 6,35). Un’altra differenza era costituita dalla predeterminazione della tipologia di clienti da parte del Monte, diversamente dai banchieri privati che non indagavano qualità sociale e origine del cliente e meno che mai si occupavano dell’uso del denaro concesso. Mentre i banchi privati offrivano un servizio impiegando il denaro dei banchieri o di quanti avevano deciso di investire nel banco in vista di un guadagno, i Monti si prefiggevano uno scopo solidaristico, anche se nel campo del credito, lontana dalla logica del profitto. Per questa ragione non potevano né volevano soddisfare qualsiasi richiesta di prestito e operavano utilizzando denaro assegnato, donato o depositato al Monte proprio con l’intesa che tramite esso si svolgesse una funzione sociale.

    Il primo Monte di pietà fu fondato a Perugia nel 1462 ma l’idea circolava già da un po’ di tempo. Sappiamo che nel 1458 fu proposta ad Ascoli Piceno, contestualmente alla soppressione dei banchi ebraici, un’istituzione che aveva il nome di Monte di pietà ma aveva caratteristiche un po’ diverse dai veri e propri Monti, in quanto si occupava di raccogliere elemosine da distribuire fra i poveri della città. Prima ancora, nel 1428, si era denominata Monte di Pietà un’istituzione benefica in favore dei poveri di Arcevia. Da tempo poi si indicava con la formula Monte Comune l’insieme del denaro raccolto tramite prestiti forzosi da alcune città che utilizzarono questo mezzo per affrontare spese straordinarie o comunque ingenti che richiedevano il concorso dei cittadini più abbienti che ricevevano un interesse su quanto prestato.

    Dopo il Monte di Perugia sorsero numerosi analoghi istituti in Umbria ed in altre aree dell’Italia centro-settentrionale. A Bologna si fondò un Monte nel 1473 ma dopo un breve periodo di funzionamento chiuse i battenti per riaprirli una trentina d’anni dopo: nel frattempo continuarono a operare i prestatori ebrei con evidente soddisfazione cittadina. In alcune città la fondazione di un Monte portò alla rinuncia ai servizi ebraici, in altre no. Quello che i Monti resero chiaro era che la società cristiana era in grado di rispondere cristianamente alle necessità di credito dei “pauperes pinguiores” come al tempo si definirono i clienti dei Monti.

    I Monti fecero discutere, divisero, suscitarono accesi dibattiti soprattutto per quanto riguardava la richiesta di interesse, ma dalla seconda decade del XVI secolo divenne generalizzata e condivisa la richiesta di un interesse-rimborso delle spese che doveva servire a pagare l’affitto dei luoghi in cui operava il Monte e i salari dei funzionari. Questi ultimi dovevano essere competenti e disponibili a giorni e orari determinati e dunque andavano compensati.

    Se nel 1515 si contavano 135 Monti, nel 1562 erano già più di duecento perlopiù dislocati nell’Italia centro-settentrionale. Il primo Monte del sud fu fondato a L’aquila nel 1460, seguirono quelli di Sulmona, Pescocostanzo, Lecce rispettivamente nel 1471, 1517 e 1520 mentre il Monte di Napoli sorse nel 1539. Nel Mezzogiorno il maggior numero di fondazioni ad opera di privati o di confraternite ha avuto luogo nel trentennio 1591-1620. Per oltre un secolo si è continuato a fondare Monti e questi ultimi hanno progressivamente ampliato l’area delle loro azioni e competenze. Nel corso del Cinquecento infatti divennero tesorerie cittadine assumendo il profilo di una vera e propria banca che riceveva depositi e li remunerava meritando la definizione impiegata per il Monte di Bologna di “thesoro” della città.

    Con il Concilio di Trento i Monti passarono dalla tutela civile a quella ecclesiastica prevalendo nella considerazione di essi i caratteri caritativi ma la loro tarsformazione in opere pie, soggette a periodiche ispezioni vescovili, non modificò la sostanza dell’attività dei Monti. Essi continuarono a rappresentare una risorsa significativa per quanti necessitavano di piccolo credito ma fu alquanto importante anche la funzione rivestirono nella raccolta del risparmio da incanalare verso usi sociali. Ciò fece di questi istituti un puntello delle piccolissime imprese spesso domestiche e anche femminili nonché uno strumento di sostegno allo sviluppo del territorio.

    La maggiore complessità delle operazioni svolte dai Monti fra Sei e Settecento produsse la trasformazione dei Monti che, pur svolgendo un’importante funzione sociale, erano autentici istituti creditizi sempre più importanti che si posizionavano al centro della vita economica cittadina. Fra Sette e Ottocento erano più di 700 i Monti che operavano in Italia Si trattava di istituti analoghi eppure parzialmente diversi l’uno dall’altro come peraltro anche i Monti delle origini. La diversità dei modelli organizzativi-funzionali dipendeva infatti dalla eterogeneità dei contesti politici, sociali ed economici. In molti casi si registrarono ricorsi impropri alle risorse del Monte da parte di abbienti e di membri del patriziato locale che intravidero nel Monte un luogo di potere, dove dunque conveniva essere presenti, e una risorsa da sfruttare. L’intuizione felice dei Minori Osservanti riscuoteva ancora in pieno Settecento il plauso di chi, come Ludovico Antonio Muratori (Della carità cristiana in quanto essa è amore del prossimo, 1720, in G. Falco, F. Forti, edd., Opere di L.A. Muratori, Milano-Napoli, Ricciardi 1964, 413-18) si augurava che questi istituti penetrassero in tutte le province e che quelli “deboli e smilzi che paiono piuttosto desideri di Monti che Monti effettivi” riuscissero a fortificarsi. Sta di fatto che ancora nel Settecento i Monti continuavano a diffondersi in Italia mentre fuori d’Italia solo nel XVII secolo ne risultano fondati nei Paesi Bassi e nel XVIII in Spagna. Nel corso del XVIII secolo, mentre si preparavano ad evolvere per divenire Casse di Risparmio, con l’arrivo delle truppe napoleoniche in Italia i Monti subirono devastanti spoliazioni in quanto ritenuti “casse pubbliche” i cui beni potevano essere confiscati a titolo di preda bellica, salvo la restituzione gratuita dei pegni più modesti.

    Intacchi e frequenti ruberie indebolirono regolarmente nel corso dei secoli l’azione dei Monti, ciò in quanto l’accumulo di beni e di denaro pubblico ispirava malversazioni e furti. Avvedutamente i fondatori vollero per i Monti sedi in posizione centrale e possibilmente vicine alle prigioni o comunque in luoghi difendibili. I beni del Monte erano di tutti e quindi di nessuno e perciò facevano gola a molti. La posizione scelta per la sede del Monte e le forme della sede stessa, che caratteristicamente era tanto più grande e accogliente quanto più era in crisi l’economia del luogo, sono in grado di dire molto sulla attribuzione di importanza all’istituto sia alle origini sia nel corso dei secoli. La elevata considerazione è attestata dalla intitolazione al Monte della via o della piazza adiacente all’istituto: ciò ha segnato indelebilmente la topografia cittadina rivelando il forte nesso della città con l’istituto posizionato perlopiù in posizione centrale ma con accesso da una via secondaria per rispetto della dignità del cliente. Un’avvertenza, quest’ultima, che si è avuta fin dagli esordi dei servizi in un Medioevo più attento di quanto non si pensi alle necessità non solo economiche delle persone.

    L’emanazione della legge 753 del 3 agosto 1862 inseriva i Monti fra le Opere Pie, definizione che non corrispondeva perfettamente alla loro natura e operatività, e provvedimenti successivi ostacolarono la continuazione dell’attività creditizia dei Monti. Sul finire del secolo ottennero un ampliamento delle loro attività al settore creditizio pur restando sotto doppia tutela come istituti di credito e come istituti di beneficenza. Negli anni che seguirono alcuni Monti cessarono l’attività mentre altri si rafforzarono ed in proseguo si fusero con altri istituti di credito fino a veder scomparire il loro nome. Ormai erano le Casse di Risparmio a svolgere funzioni finanziarie e insieme sociali. Le Casse di Risparmio, create per raccogliere il piccolo risparmio e sostenere con prestiti iniziative individuali ma anche azioni benefiche, nacquero in Italia negli anni Venti dell’Ottocento (la prima è stata fondata a Venezia nel 1822), in ritardo rispetto alla Germania, alla Francia o alla Gran Bretagna. L’iniziativa fu in alcuni casi dei Comuni, in altri dei privati ma anche dei Monti stessi dai quali derivarono il modello d’azione ed ai quali furono in alcuni casi associate. Oggi è riconosciuto il ruolo propedeutico alle Casse svolto dai Monti.

    In Italia nel 1880 si contavano 183 Casse di Risparmio che, come gli antichi Monti, sollecitavano a depositare e utilizzavano il denaro raccolto per sostenere piccole e piccolissime imprese locali. E’ caratteristico il forte legame con il territorio che già aveva tipizzato l’azione dei Monti. Per legge le Casse di Risparmio sono state equiparate alle altre banche e molte Casse sono state indotte a fondersi con la Cassa del capoluogo. Nel 1990 la legge Amato ha modificato il sistema e obbligato a separare la Azienda Bancaria (perché le Casse erano anche vere e proprie banche) dalla Fondazione Cassa di Risparmio che era la parte con finalità morali e benefiche.

    All’inizio del ’900 in molte città, a Bologna ma anche a Roma, a Torino e a Padova si è aperta la Banca del Monte che rappresentava lo stesso programma di Bernardino da Feltre (1439-1494), attivissimo sostenitore dei Monti Pii alla fine del Medioevo, e cioè prestare a un interesse modesto ma tale da assicurare il mantenimento delle risorse necessarie per continuare a operare. Nel 1923 i Monti si divisero in due categorie a seconda delle funzioni prevalenti: creditizie o di prestito su pegno. Dunque gli antichi Monti di pietà hanno continuato a funzionare e benché considerati istituti pii hanno svolto ininterrottamente attività creditizia sotto la vigilanza ministeriale. Sottoposti alle norme delle Casse di Risparmio hanno assicurato funzioni di credito (aprendo più sportelli) e continuato l’attività di prestito su pegno. A Bologna, ad esempio, tale attività persiste ed è svolta nella antica sede vicino alla cattedrale, molto centrale ma con ingresso secondario dalla via denominata Via del Monte. Gli istituti che hanno continuato e continuano ad accogliere pegni si sono nel tempo specializzati soprattutto in preziosi (per un periodo è stata intensa l’offerta in pegno di pellicce). Oggi sono ancora numerose le persone che fanno ricorso al prestito per superare momentanee difficoltà ma anche per scambiare con denaro oggetti non desiderati che possono avere altrove un mercato. Gli oggetti hanno avuto ed hanno una parte importante nella storia dei Monti come si ricava anche dalle numerose testimonianze letterarie e quelle iconografiche là dove, ad esempio, il cliente tipo del Monte è rappresentato da una donna che, con un fagotto sotto il braccio, varca la soglia del Monte con dignità.

    Oggi sono le Fondazioni, che nel nome si richiamano agli antichi istituti, (ad esempio Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna) a perseguire le finalità di solidarietà sociale: contribuiscono alla salvaguardia ed allo sviluppo del patrimonio artistico e culturale, al sostegno della ricerca scientifica ed allo sviluppo delle comunità locali attraverso la definizione di propri programmi e progetti di intervento da realizzare direttamente o con la collaborazione di altri soggetti pubblici o privati.

    Oggi, a cinquecento anni dalla loro fondazione, i Monti continuano ad avere clienti e mercato svolgendo una funzione riconosciuta. Soprattutto però va riconosciuto a questi istituti il ruolo di battistrada, anzi di ideatori di una sfida, quella di tenere insieme denaro e salvezza, di garantire cioè un professionale servizio creditizio che fosse però rispettoso delle condizioni di bisogno del cliente. Di quest’ultimo interessava il destino ed importava che non fosse rovinato dal credito ma che anzi, grazie ad esso, potesse superare il bisogno e, se possibile, migliorare la sua condizione. Un’idea ancora moderna come sono eterne le utopie ma anche le idee giuste.

    Fonti e Bibl. essenziale

    G. Garrani, Il carattere bancario e l’evoluzione strutturale dei primigeni Monti di pietà, Milano 1957; S. Majarelli – U. Nicolini, Il Monte dei Poveri di Perugia. Periodo delle origini (1462-1474), Perugia 1962; V. Meneghin, Bernardino da Feltre e i Monti di pietà, Vicenza 1974; V. Meneghin, I Monti di pietà in Italia: dal 1462 al 1562, Vicenza 1986; D. Montanari, a cura di, Monti di pietà e presenza ebraica in Italia (secoli XV-XVIII), Roma 1999 (Quaderni di Cheiron, 10); M.G. Muzzarelli, Il denaro e la salvezza. L’invenzione del Monte di pietà, Bologna 2001; M. Carboni – M.G. Muzzarelli – V. Zamagni, a cura di, Sacri recinti del credito. Sedi e storie dei Monti in Emilia-Romagna, Venezia 2005. Su singoli Monti si possono vedere indicativamente alcuni recenti studi: C. Bresnahan Menning, The Monte di pietà of Florence. Charity and State in late renaissance Italy, Ithaca and London 1993; G. Silvano, A beneficio dei poveri. Il Monte di Pietà di Padova tra pubblico e privato, Bologna, 2005; E. Fraccaroli, Fra pubblico bene e privata utilità. Il Monte di pietà di Milano dagli ordini del 1635 all’età napoleonica, Bologna 2008. Per una bibliografia aggiornata vedere il sito del Centro studi sui Monti di pietà e sul credito solidaristico: www.fondazionedelmonte.it


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