Oratori – vol. II

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    Autore: Angelo Manfredi

    L’oratorio moderno, come forma popolare di dialogo tra Chiesa e mondo dei ragazzi e dei giovani, ha origine da due galassie di iniziative radicate nella Chiesa post tridentina, con radici certamente risalenti all’età dell’umanesimo: le “scuole della Dottrina Cristiana” di Milano, sostenute soprattutto dall’arcivescovo Federico Borromeo, e gli “oratori” animati dai seguaci di Filippo Neri, che da Roma si diffusero in varie città d’Italia. Si trattava sostanzialmente di modalità per accompagnare l’impegno di formazione catechistica dei ragazzi a iniziative aggregative-espressive, in particolare nel versante musicale. Mentre le “scuole” milanesi ebbero rilevanza locale, i filippini diffusero il loro modello in alcune città della penisola.

    Il XIX secolo mise alcune Chiese italiane di fronte alle questioni dell’urbanizzazione e della primissima industrializzazione, con il conseguente abbandono dei piccoli da parte dei genitori-lavoratori o con le forme di lavoro minorile. In queste città, prevalentemente del nord Italia, si misero in moto figure di educatori e iniziative che in vari modi finirono per richiamarsi all’antica immagine di “oratorio”. I contatti tra questi padri fondatori provocarono reciproche influenze e contaminazioni: ad esempio don Bosco e gli oratori milanesi, il Murialdo e i patronati veneziani; non va dimenticato un certo influsso di analoghe iniziative di origine francese. I poli di accensione più importanti del fenomeno si riconducono a Torino con Giovanni Bosco, Leonardo Murialdo e la singolare figura di Giovanni Cocchi; a Milano con la ripresa e la moltiplicazione degli oratori tradizionali in città; nel bresciano con il modello dell’oratorio cittadino della “Pace” e l’azione del barnabitaFortunato Redolfi; a Venezia con il sorgere e il diffondersi anche in terraferma dei “patronati”. I governi, sia quello Sardo che il Lombardo-Veneto, diedero un certo sostegno alle iniziative, considerate in un’ottica paternalistica.

    Negli ultimi decenni dell’800 questi diversi modelli varcarono gli ambiti territoriali d’origine. L’oratorio milanese fu sostenuto dall’arcivescovo Andrea Carlo Ferrari, prese piede in provincia e, grazie a una lettera collettiva dei vescovi lombardi (1899) e all’impegno di quasi tutti i capi delle diocesi, in alcuni decenni determinò il sorgere di un oratorio per ogni parrocchia, perfino nelle più piccole; il che portò alcune tensioni tra questi oratori parrocchiali e gli antichi oratori “cittadini” come per il caso di Lodi. I salesiani cercarono di affiancare a ciascuna loro fondazione l’oratorio festivo, in più di cento città o centri di medie dimensioni; però spesso le esigenze dei collegi finirono per mortificare l’impegno originario per l’oratorio, nonostante le ripetute ammonizioni dei responsabili della congregazione. Il sostegno offerto dal Murialdo ai patronati veneti portò a una certa diffusione anche in Emilia. La disuguale geografia dell’oratorio in Italia si riproduce, con qualche limitato spostamento, fino ai giorni nostri: altissima densità in Lombardia, presenza dei patronati in Veneto, media presenza nelle altre regioni del nord, oratori salesiani e di altre congregazioni nel centro sud, soprattutto nelle città. In parallelo e nelle stesse aree, varie congregazioni religiose femminili di vita attiva fecero sorgere oratori femminili, con una certe disomogeneità di stili educativi ma con una sintonia di fondo.

    Le diverse tradizioni oratoriali ebbero modo di incontrarsi e dialogare in alcuni congressi: Brescia (1895), Torino (1902), Faenza (1907), Milano (1909), Torino (1911), Cagliari (1921). Si tentarono le prime forme associative, tra le quali la Federazione Oratori Milanesi (FOM, 1913) fu quella con maggior futuro. Soprattutto la Lombardia e il Veneto innestarono nell’oratorio una certa sensibilità sociale, già percorsa dal Murialdo: formazione al risparmio, garanzia verso i contratti e le condizioni di lavoro.

    Con una certa dose di semplificazione, pur nelle tradizioni e sensibilità differenti si potrebbe identificare in questo momento un modello base d’oratorio: un “direttore”, sacerdote, coadiuvato da pochi responsabili adulti, religiosi a loro volta oppure laici quasi “professionalizzati” (prefetti, cooperatori), a fronte di centinaia di bambini generalmente dai 6 ai 12/14 anni. Qualche studioso definisce giustamente questa forma il modello “patriarcale”. Di fronte a questa struttura, emergevano già a fine ‘800 nei dibattiti alcune questioni: anzitutto, il ruolo e il possibile inserimento negli oratori dell’associazionismo giovanile che faceva capo alla Società della Gioventù Cattolica, con notevoli tensioni tra direttori d’oratorio e responsabili sacerdoti e laici di AC. In secondo luogo, a questi oratori nati per ospitare soprattutto piccoli studenti e apprendisti, e anche “bambini di strada”, non era facile la frequenza per adolescenti studenti e giovani, e il modello della “Pace” di Brescia, con la compresenza e la distinzione tra l’oratorio e il “circolo studenti”, era una possibile soluzione. Infine, il diffondersi del teatro popolare e dello sport moderno richiedeva una continua e talvolta tormentata ricerca di equilibrio tra le forme aggregative popolari e i tempi di formazione catechistica. Tra le strade battute, in primo luogo dai salesiani ma con altre esperienze legate al clero secolare, per rivolgersi a studenti delle scuole superiori e dell’università, vanno menzionate le “scuole di Religione”, veri corsi di formazione teologica-apologetica.

    Le vicende delle prima guerra mondiale e della presa di potere del fascismo, mentre posero alla Chiesa italiana con forza la “questione giovanile” e misero in pericolo le realtà associative, ebbero una relativa influenza sulla realtà oratoriana, che però dovette rinunciare alla sensibilità di tipo sociale là dove era diffusa e si trovò a dover limitare le attività sportive, rigidamente controllate dal regime. Gli oratori che avevano sviluppato un certo contatto col mondo dei giovani (18-30 anni) in vari casi videro esperienze di pastorale dei militari e divennero i depositari simbolici delle memorie dei tanti caduti.

    Il secondo dopoguerra invece fu un tempo di più gravi scosse per le strutture e per le tradizionali metodologie oratoriale. I danni dei bombardamenti e l’utilizzo degli spazi per gli sfollati posero gli stabili oratoriali in condizioni d’emergenza. La successiva ondata di urbanizzazione soprattutto nei centri a più alta densità di oratori (Lombardia e Torino) spinsero a una diffusione massiccia di queste realtà aggregative nelle nuove periferie, con uno sforzo economico parallelo a quanto si fece per le nuove chiese. Riprese soprattutto in Lombardia la sensibilità sociale degli oratori, a volte informali uffici di collocamento, ed esplose lo sport popolare, con squadre oratoriane che scalavano i campionati nazionali.

    Da Brescia partì il tentativo di dare una forma associativa alle diverse realtà oratoriane diffuse in Italia, e nel 1963 nacque l’Associazione Nazionale San Paolo Italia, che si proponeva pure come interfaccia tra gli oratori e le autorità civili. Non tutti i mondi oratoriani però si raccolsero nell’ANSPI, anzi la FOM di Milano e il mondo salesiano rimasero totalmente indipendenti. Con il consolidarsi, pur tra tensioni interne, dell’associazionismo giovanile dell’AC di Gedda, ritornò sul tappeto la questione del rapporto tra oratori e GIAC. Il modello impostato a Milano dall’arcivescovo A. I. Schuster e continuato dal successore G. B. Montini, l’oratorio era per tutti e l’associazione per “i migliori”. Altrove invece le sezioni dell’Azione Cattolica trovarono la loro sede naturale nell’oratorio, il cui direttore era pure assistente associativo, così come negli oratori parrocchiali lombardi si aveva la sede delle attività catechistiche, con interessanti sperimentazioni, mentre non mancarono le tensioni tra oratori salesiani e parrocchie sulla responsabilità ultima della formazione cristiana dei bambini.

    Soprattutto in ambito milanese, con qualche esperienza in altre diocesi lombarde, gli anni ’50 vedono il dibattito e la sperimentazione di luoghi specificamente rivolti ad adolescenti e giovani, chiamati “centri giovanili” o “case della gioventù”, con esiti più o meno efficaci nel tempo. Chi studia questa fase del rapporto tra Chiesa italiana e giovani pone il problema dell’effettiva capacità delle comunità, e in particolare degli oratori, di comprendere i dinamismi delle società italiana del dopoguerra. In effetti si ha l’impressione di un mondo legato a salde tradizioni ma in difficoltà nell’ampliare la lettura della società al di là di un approccio moralistico quando non politico. Questo ritardo sembra colpire in modo particolare il mondo degli oratori femminili.

    La scuola media unificata, il diffondersi della frequenza degli adolescenti alla scuole superiori, i primi segni di un’università di massa, dimensioni vissute ovviamente con ritmi diversi a seconda dei territori, impongono agli oratori una forma che sovverte il modello “patriarcale”: non più il “direttore” che impronta con la propria sensibilità educativa tutto il cortile, ma un oratorio pieno di adolescenti e giovani, che assumono responsabilità soprattutto sul versante formativo, anzi sono i protagonisti del “rinnovamento della catechesi” post-conciliare, ma che chiedono di avere un peso decisionale. E’ l’oratorio “giovanile” degli anni ’60-’80, del boom demografico e della entusiasta ricezione del Vaticano II, con una “crisi di crescita” generazionale che vide anche i gruppi giovanili degli oratori coinvolti in vari modi e gradi nella contestazione, ma che trovò sia il mondo oratoriano che quello associativo capaci di integrare ancora numeri consistenti negli anni ’80. E’ il periodo in cui le vecchie “colonie” estive si trasformano nei “Grest” con una proposta educativa sempre più studiata e il coinvolgimento della fascia degli adolescenti come “animatori”, e nei “campi-scuola”.

    Questa fase espansiva e di trasformazione subisce una progressiva messa in crisi dovuta all’avanzare dei fenomeni di distacco dalla pratica religiosa ma anche al brusco calo della natalità e alla trasformazione dei ritmi di vita dei giovani. Silenziosamente viene meno il mondo degli “oratori femminili” sia per l’esigenza recente di educare insieme gli adolescenti e i giovani di entrambi i sessi, sia per il calo di personale e di presenza delle congregazioni religiose femminili. Mentre diverse realtà tentano sperimentazioni sul versante del tempo libero, della musica, dello sport, anche nelle regioni dove la presenza del sacerdote in oratorio è consolidata il calo delle vocazioni pone il problema delle responsabilità educative. Qua e là ci si domanda se l’oratorio abbia un futuro, ma sembra che si stia delineando un nuovo modello, con un ruolo delle famiglie, e anche di operatori professionali. Intanto sia una legge nazionale (2003) che alcune disposizioni regionali (Lombardia, Abruzzo e Lazio 2001, Piemonte 2002, Puglia 2003, Liguria 2004, Valle d’Aosta 2006, Marche 2008, Sardegna 2010) riconoscono formalmente gli oratori come attori dell’impegno educativo nella società. Nel 2003 nasce il Forum Oratori Italiani (FOI) come realtà di rappresentanza delle diverse tradizioni oratoriane verso la società e gli enti pubblici.

    Si attendono studi più complessivi sul fenomeno oratoriano, in vista di una sintesi che mostri la rilevanza storica degli oratori in Italia. Certamente l’oratorio è una forma di pastorale popolare con una capacità di risonanza e di coinvolgimento di tutti gli strati della società. Giustamente Caimi (2006, 382) afferma che “oratori e associazioni giovanili hanno rappresentato una tessera rilevante del cammino della Chiesa in Italia: senza la loro vitalità e il loro contributo nell’àmbito della formazione, l’intera esperienza della comunità ecclesiale sarebbe rimasta notevolmente depotenziata” e sottolinea la necessità, per chi volesse fare una storia dei giovani in Italia, di non trascurare l’apporto di queste strutture all’aggregazione e alla formazione della gioventù.

    Fonti e Bibl. essenziale

    E. Apeciti, L’oratorio ambrosiano da san Carlo ai giorni nostri, Milano (Ancora) 1998; G. Barzaghi, Tre secoli di storia e pastorale degli oratori milanesi, Leumann (LDC) 1985; P. Braido, L’oratorio salesiano in Italia. “Luogo” propizio alla catechesi nella stagione del Congressi (1888-1915), in “Ricerche storiche salesiane” 24 (2005)/1, 7-87; P. Braido, L’oratorio salesiano vivo in un decennio drammatico (1913-1922), in “Ricerche storiche salesiane” 24 (2005)/2, 224-243; L. Caimi, Cattolici per l’educazione. Studi su oratori e associazioni giovanili nell’Italia unita, Brescia (La Scuola) 2006; E-state in oratorio/2. La formazione e la sussidiazione per gli Oratori estivi e i Cre-Grest lombardi, (Gli sguardi di ODL, 4), Bergamo (Oratori Diocesi Lombarde) 2007; Le Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia (1872-2010). Donne nell’educazione. Documentazione e saggi, a cura di Gr. Loparco e M. T. Spiga, Roma (LAS) 2011; F. Frassine, Riverisco, sior Cürat. Appunti per un iter storico sull’Oratorio bresciano nel XX secolo, Brescia (COB) 2002; G. Gregorini, Gli oratori, in A servizio del Vangelo. Il cammino storico dell’evangelizzazione a Brescia. 3: l’età contemporanea, a cura di M. Taccolini, Brescia (La Scuola) 2005, 297-306; Salesiani di don Bosco in Italia. 150 anni di educazione, a cura di Fr. Motto, Roma (LAS) 2011; G. Vecchio, Gli oratori milanesi negli anni della ricostruzione: tradizione e novità, in “Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia” 29 (1994), 413-420; G. Vecchio, Per una storia dell’oratorio a Milano e in Lombardia, in Educare i giovani alla fede, Milano (Ancora) 1990, 69-77.


    LEMMARIO