Paganesimo – vol. I

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    Autore: Paolo Siniscalco

    Con questo termine ci si riferisce generalmente all’insieme delle religioni e delle manifestazioni politeistiche dinnanzi alle quali si è trovato il cristianesimo al suo sorgere ed alle quali si è opposto. La designazione è generica comprendendo i diversi culti nazionali (si parla di paganesimo greco e di paganesimo romano), i misteri, i culti astrali e altre espressioni religiose diffuse nei primi secoli della nostra era, ma si estende anche agli usi, ai costumi, ai sistemi morali connessi a quella visione del mondo. Il sostantivo deriva dall’aggettivo latino paganus, la cui etimologia non è chiara. Una prima ipotesi vede una stretta connessione con pagus, che significa ‘villaggio di campagna’, ma anche ‘distretto’, ‘cantone’, ‘provincia’, quindi un territorio in cui vi risiede l’autoctono, che è fedele alle tradizioni sacre del luogo e si limita a rendere omaggio agli dei locali, a differenza di chi abita i centri urbani e pratica i culti che vi sono diffusi. Quindi ‘pagani’ sarebbero stati denominati gli abitanti dei villaggi di campagna, nei quali il cristianesimo si diffuse tardivamente e con lentezza. Ma in questo caso la designazione non potrebbe essere anteriore al IV secolo, al tempo cioè in cui in cui l’Impero romano va cristianizzandosi (come attestano due iscrizioni C.I.L. X2, 7112 e C.I.L. VI, 30463 e successivamente altre testimonianze fino a che diviene d’uso corrente).

    È noto che, per esempio, nell’Alta Italia e in Romagna ancora nei primi decenni del IV secolo, le tracce cristiane sono scarse e ancora decrescono guardando verso Occidente. Una seconda ipotesi valorizza un significato secondario che ha l’aggettivo paganus nel latino classico, ove vuol dire anche ‘civile’ ‘borghese’, ‘non soldato’. In un passo di uno scritto di Tertulliano, risalente ai primi anni del III secolo (De corona 11,5) si legge: «Apud hunc [scilicet Christum] tam miles est paganus fidelis quam paganus est miles fidelis». Ivi lo scrittore vuole dire che il Signore non fa differenza quanto alle condizioni degli uomini e il gioco di parole verte su fidelis, mentre paganus non ha il senso di ‘pagano’ nella accezione tecnica cristiana, ma, nel passo citato, continua a significare ‘civile’, ‘non soldato’. Lo prova un altro luogo tertullianeo del De pallio (4,8): «paganos in militaribus (uestibus). Una terza ipotesi suppone che la parola sia stata adottata nella lingua comune con il senso più largo di ‘particolare’, ‘profano’, di chi non appartiene a un gruppo definito, di chi insomma non è membro di una comunità.

    I pagani sarebbero stati dunque coloro che non appartenevano al gruppo dei cristiani gli alieni a civitate Dei (cf. Orosio, Hist., Prol 1,9) Mohrmann). Queste le ipotesi che lasciano aperto il problema, pur tentando di giustificare un così deciso trapasso semantico del termine paganus, da un senso profano a un senso religioso. A mio credere, ritengo plausibile la prima ipotesi in quanto è sostenuta da varie ragioni. Nel tempo più antico il significato dei paganus non ha a che fare con il senso religioso assunto successivamente. Inoltre i ‘pagani’, negli scritti degli autori cristiani antichi erano denominati con altri termini. Ancora Tertulliano, intorno al 200, quando scrive un’opera contro di loro, la intitola Adversus nationes, come più tardi farà Arnobio, mentre solamente all’inizio del V secolo Paolo Orosio intitolerà Adverus paganos i suoi Historiarum libri VII (però, come si sa, i titoli delle opere antiche vanno presi con cautela per la tradizione manoscritta che ce li fa conoscere). Il termine nationes (o gentes) traduce il greco ethne, che nella traduzione dell’A.T. dei LXX si contrappone a laos, riferito al popolo santo di Israele (presso gli Ebrei specialmente il termine goyim – plurale di goy – designa i popoli stranieri, i ‘pagani’ in contrapposizione a Israele). A sua volta il N.T. riprende il vocabolo ethne, con il suo derivato, cioè ethnikoi. Infine l’uso dell’aggettivo paganus e del sostantivo paganismus, con riferimento a chi praticava i culti antichi, sono usati, per quanto mi consta, da autori del IV secolo o di secoli successivi. Come si può notare il cristiano definisce il paganesimo a partire da se stesso, in funzione della propria coscienza.

    Un cenno va fatto a gruppi di persone che rivendicano anche oggi la definizione di ‘pagani’e che esprimono sentimenti di ‘simpatia culturale’ o praticano forme di culti pagani (non solo greco-romani, ma anche germanici o celtici). Essi hanno voce anche in Italia e trovano ispirazione, tra gli altri, in Nietzsche, che ha rivalutato e reinterpretato l’antico movimento. La visione del mondo proposta è, come ben si può capire, profondamente diversa da quella cristiana: per esempio, rivaluta il ‘sacro’, rifiuta la creazione e la storia, esalta i tradizionalismo, respinge l’idea di colpa.

    Fonti e Bibl. essenziale

    A von Harnack, Missione e propagazione del cristianesimo nei primi tre secoli, trad. ital., Lionello Giordano Editore, Cosenza 1986, 513 ss.; A. Pincherle, in Enciclopedia Italiana, Roma 1949, 922, s.v ‘Paganesimo’; H. Maurier, Teologia del paganesimo, trad. ital., Gribaudi, Torino 1968; Id., in Dizionario delle Religioni diretto da P. Poupard, vol 3, Milano 2007, 1652-1654, s.v. Paganesimo; P. Siniscalco, in NDPAC, A. Di Berardino (ed.), Marietti, Casale Monferrato 2008, 3747-3749, s.v. Pagano-paganesimo; Chr.Mohmann, “Encore une fois: paganus”, in Eadem, Études sur le latin des Chrétiens, t. III, Storia e Letteratura. Raccolta di studi e testi, Roma 1979, 277-289 (ivi si sono dati i riferimenti dei contributi di autori moderni che hanno proposte le varie ipotesi citate); L. Padovese, Lo scandalo della croce. La polemica anticristiana nei primi secoli, Dehoniane, Roma 1988; F. Ruggiero, La follia dei cristiani. La reazione pagana al cristianesimo nei secoli I-V, Città Nuova, Roma 2002 (alle pp. 335 ss. ampia bibliografia). L. Lugaresi, “Perché non possiamo più dirci pagani. Spunti patristici per una critica del neopoliteismo contemporaneo,” in Verità e mistero nel pluralismo culturale della tarda antichità, a cura di A.M. Mazzanti, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2009, 282-347.


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