Partito Popolare – vol. II

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    Autore: Andrea Ciampani

    La costituzione del Partito Popolare Italiano (Ppi) rappresenta un evento di assoluto rilievo nella storia italiana, nonostante il breve periodo in cui si concentrò la sua vita politica (1919-1926). Molti cattolici videro nella sua nascita il compiersi del percorso avviato negli ultimi decenni dell’Ottocento per esercitare un ruolo pubblico nell’Italia unita. All’inizio del XX secolo, infatti, era maturata l’idea che, per contrastare l’affermarsi di uno Stato invadente nell’organizzazione sociale e nella vita ecclesiale, fosse necessario costituire un partito in cui far convivere le diverse culture politiche del mondo cattolico italiano. La presenza del Ppi nel sistema politico, peraltro, poteva rappresentare un rafforzamento delle libertà parlamentari e degli istituti nazionali, sia per l’implicito superamento degli steccati tra Chiesa e Stato, sia per l’adesione democratica di larghe fasce popolari a quell’equilibrato processo riformatore che il partito intendeva rappresentare.

    Ripensando l’esperienza del movimento democratico cristiano, in alcuni incontri svoltisi tra il novembre e il dicembre 1918 don Luigi Sturzo pose le fondamenta del nuovo partito. Mentre il sacerdote di Caltagirone lasciava la carica di segretario generale → dell’Azione Cattolica Italiana, la segreteria di Stato vaticana consentiva la proposta di un partito “ispirato ai principi cristiani”, che non coinvolgesse la Chiesa cattolica nell’arena politica. Il 18 gennaio 1919, infine, una Commissione provvisoria diffuse l’Appello a tutti gli uomini liberi e forti perché cooperassero “ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti”, concorrendo alla nascita del Ppi. Il partito avrebbe avuto un carattere nazionale, interclassista e programmatico, favorevole al voto alle donne e al sistema elettorale proporzionale; rivolto ad attuare ideali di giustizia sociale e di miglioramento delle condizioni generali del lavoro in politica interna, avrebbe promosso in politica estera la pace tra le nazioni, favorendo lo sviluppo delle “energie spirituali e materiali di tutti i Paesi”. Intorno al simbolo della “libertas” si raccoglievano motivi vecchi e nuovi del cattolicesimo politico per le libertà personali e collettive: la libertà religiosa, anche in riferimento all’esplicazione della missione spirituale della Chiesa nel mondo; la libertà di insegnamento; la libertà per le organizzazioni sociali; la libertà comunale.

    Intorno a Sturzo si raccolsero, in effetti, alcuni cattolici deputati ed esponenti delle molteplici culture e generazioni del movimento cattolico in Italia: da Filippo Meda a Carlo Santucci, da Giuseppe Micheli a Giovanni Bertini, da Achille Grandi a Guido Miglioli, da Carlo De Cardona a Salvatore Aldisio. L’adesione al Ppi, peraltro, fu vissuta localmente in modo differente anche in relazione alla composita tradizione di rappresentanza pubblica della presenza religiosa all’interno delle diocesi della Penisola. Confermata la scelta aconfessionale nel suo primo congresso, svoltosi in giugno a Bologna, sostenuto dal moderatismo cattolico e dai circoli della gioventù militante, comunque, il Partito popolare italiano ebbe consensi nella stampa, nel movimento cooperativo e nel sindacato promossi dai cattolici. Alle elezioni politiche del novembre del 1919, infine, il Ppi ottenne il 20,5% dei voti e 100 deputati.

    La scelta di una politica autonoma del Ppi suscitò diffidenza nella classe dirigente giolittiana, che doveva ora riconoscere ai popolari non solo una posizione “centrista” in Parlamento, ma anche un ruolo essenziale per la formazione dei governi tra il 1919 e il 1922. In concorrenza con i socialisti, il “collaborazionismo” del Ppi nei gabinetti Nitti e Giolitti aveva un suo limite proprio nell’aspirazione ad assumere la guida del Paese dopo la fase emergenziale post bellica. Con il positivo esito elettorale del maggio 1921, l’intransigenza della politica sturziana nei confronti dei liberali portò alla nomina di tre ministri popolari nel governo Bonomi; durante il III congresso del partito, tenutosi in ottobre a Venezia, si riproposero le riforme dei popolari, e quella regionalista in particolare. Nel febbraio 1922 il Ppi impedì il ritorno al governo di Giolitti e partecipò al gabinetto Facta. Nel luglio seguente, tuttavia, il fallimento del tentativo di condurre il popolare Meda alla presidenza del Consiglio minò la credibilità della strategia di Sturzo, aumentò la tensione tra direzione del partito e gruppo parlamentare, evidenziò i timori di chi temeva una divisione col moderatismo liberale e irritò chi denunciava un immobilismo del partito nella crisi socio-politica.

    Mentre la S. Sede ribadiva di essere “totalmente estranea al Partito popolare come a ogni altro partito politico”, il centrismo popolare di Sturzo doveva subire un nuovo colpo dopo la marcia su Roma dell’ottobre 1922, cui seguirono nuove tensioni con Giolitti e la partecipazione di due ministri popolari al primo governo di coalizione formato da Mussolini. Sturzo dissentiva dalle “compromissioni” filofasciste e al IV congresso del Ppi, svoltosi a Torino nell’aprile del 1923, egli portò il partito all’opposizione. L’iniziativa sturziana scatenò la violenza fascista contro il Ppi e le minacce contro la gioventù cattolica (nel pieno della riforma statutaria dell’Aci). Inascoltato politicamente dallo schieramento liberale, sotto le pressioni vaticane Sturzo si dimise da segretario del partito nel luglio seguente. La direzione del Ppi fu affidata alla gestione collegiale di Giulio Rodinò, Giovanni Gronchi e Giuseppe Spataro.

    La modifica in senso maggioritario del sistema elettorale, approvata con la legge Acerbo, suscitò nuove divisioni tra i popolari che alle votazioni politiche dell’aprile 1924, alterate dallo squadrismo e dai brogli fascisti, ottennero solo il 9% dei voti. Dopo il rapimento e l’uccisione di Matteotti, il Ppi condusse i suoi deputati fuori dall’aula parlamentare partecipando alla protesta dell’Aventino. Dal maggio 1924 guidato da Alcide De Gasperi, il partito vide riemergere nei suoi confronti il pregiudizio anticlericale dei liberali; fallì anche un avvicinamento tra popolari e socialisti nel luglio 1924. Contemporaneamente, tuttavia, si rafforzava l’identificazione della presenza dei popolari (e dei cattolici in politica) con le istituzioni liberali e democratiche.

    La progressiva caduta delle libertà politiche e la crescente minaccia fascista spinse la segreteria di Stato ad invitare Sturzo a lasciare l’Italia: il 25 ottobre 1924 il sacerdote partiva per un lungo esilio. Avviatosi nel gennaio 1925 il tentativo totalitario fascista il Ppi, ormai privo dell’agibilità politica, volle tenere comunque il suo ultimo congresso nazionale. La S. Sede, intanto, si stava preparando a un lungo confronto col regime di Mussolini, che avrebbe condotto ai Patti Lateranensi e alla permanente lotta per mantenere, al di fuori dall’azione politica, spazi pubblici di formazione religiosa per i cattolici italiani. Il 9 novembre 1926, infine, il prefetto di Roma scioglieva il Ppi. Molti militanti popolari furono accolti nei differenti rami dell’Azione cattolica, alcuni andarono in esilio, tutti furono ridotti all’inattività pubblica; De Gasperi, dopo l’arresto del marzo 1927, dall’aprile 1929 iniziò a lavorare nella Biblioteca Vaticana. L’esperienza popolare rimase viva nell’aspirazione antifascista alla partecipazione politica democratica, riferimento importante per coloro che nel 1943 promossero il partito della Democrazia cristiana.

    Fonti e Bibl. essenziale

    F. Malgeri (a cura di), Gli atti dei congressi del Partito popolare italiano, Morcelliana, Brescia, 1969; G. De Rosa, Il Partito Popolare Italiano, Laterza, Bari, 1988; G. Campanini, Popolarismo, in Enrico Berti, Giorgio Campanini (a cura di), Dizionario delle idee politiche Editrice AVE, Roma 1993, 643-651; M. Casella, Nuovi documenti sull’Azione cattolica all’inizio del pontificato di Pio XI, in A. Ciampani, C.M. Fiorentino, V.G. Pacifici (a cura di), La moralità dello storico. Indagine storica e libertà di ricerca. Saggi in onore di Fausto Fonzi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004, 273-321; F. Malgeri, L. Sturzo, A. De Gasperi, Carteggio (1920-1953), Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; A. Scornajenghi, L’alleanza difficile. Liberali e popolari tra massimalismo socialista e reazione fascista (1919-1921), Edizioni Studium, Roma 2006.


    LEMMARIO