Pittura – vol. I

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    Autore: Giovanni Liccardo1

    Sostanza e natura delle immagini cristiane. Da sempre, ha detto Giovanni Paolo II, «la fede tende per sua natura ad esprimersi in forme artistiche e in testimonianze storiche aventi un’intrinseca forza evangelizzatrice e valenza culturale di fronte alle quali la Chiesa è chiamata a prestare la massima attenzione» (Motu Proprio Inde a Pontificatus Nostri initio, 25 marzo 1993, Proemio, in “LOsservatore Romano”, 5 maggio 1993, 5) e il Catechismo della Chiesa cattolica ha chiarito che la simbolica cristiana «trascrive attraverso l’immagine il messaggio evangelico che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la Parola. Immagine e Parola s’illuminano a vicenda» (2, 1, 2, n. 1160). Di conseguenza, lo studio delle raffigurazioni cristiane non può essere affidato soltanto agli storici dell’arte; essi approfondiscono il monumento come espressione artistica, quindi considerano le differenze di stile: in al­tri termini, studiano come l’opera umana si inserisce nel flusso vitale dell’evoluzione stilistica. L’immagine cristiana, invece, deve essere studiata anche come espressione di fede della comunità, con la quale la Chiesa si è servita per dare “condimento” alla comuni­cazione verbale del messaggio. Architettura, costruzioni, spazi e luoghi, scultura, pittura, utensili: le immagini nella Chiesa hanno trovato i mezzi per espri­mersi in tutti i modi e con tutti gli strumenti.

    Non a caso, il felice vincolo tra Chiesa e arte, oggi così difficile da riannodare, ha avuto nei vescovi, oltre che nei pontefici, dei formidabili e spesso assai generosi promotori: alla loro volontà di educare e catechizzare per mezzo della bellezza si deve gran parte del patrimonio artistico e culturale, un lascito che in questa temperie di profondo disorientamento tutti sono chiamati a tutelare e a conservare. Già le prime pitture cristiane, seguendo l’arco di gestazione del potere episcopale ed espressioni di una Chiesa che comincia a godere di una reale autonomia economica, unirono l’esigenza di intendere la parola di Dio alla sua conserva­zione; legarono la memoria a un riferimento obiettivo, che, data la cultura del tempo, non poteva essere il libro, ma diventava l’affresco, il mosaico, la scultura.2

    Allora lex orandi e lex credendi erano un’istruzione lasciata alla libera interpretazione iconografica dell’artista; Paolino di Nola, tra i più sensibili al tema, giustifica la pittura cristiana auspicando che «la figura rivestita di colori attragga con questi spettacoli l’interesse delle menti attonite dei contadini; essa è spiegata dalle iscrizioni, affinché lo scritto mostri ciò che la mano dell’artista ha eseguito» (Poema 27, vv. 511 e ss.), mentre Nilo di Ancira chiarisce che «la mano del migliore pittore ricopra la chiesa di immagini dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento, affinché gli illetterati, che non possono leggere le Scritture, si istruiscano guardando le gesta gloriose di coloro, che hanno fedelmente servito il vero Dio e siano invitati ad imitare sì nobile condotta» (Lettera, 79, 578-579). Nondimeno, soprattutto nei primi secoli della sua storia la Chiesa ha esplo­rato e vissuto dolorosamente tutte le possibilità favorevoli e contrarie alla fabbrica­zione delle immagini, la quale, accolta nella prassi, ha sofferto delle drammatiche di­scussioni all’interno del dibattito dottrinale. Infatti, prima del Concilio di Nicea del 325 alcuni autori (tra essi Tertulliano, Clemente Alessandrino, Origene, Minucio Felice, Lattanzio) non sembrano troppo favorevoli ad accettare l’uso e meno ancora il culto delle immagini, pure se le loro posizioni sono espresse nella lotta contro l’idolatria e sono basate sui testi anti-iconici dell’Antico Testamento.3

    Evoluzione dottrinale e pragmatica. Per tutto il medioevo la direzione ecclesiastica (committenza, ma anche regolamentazioni, pronunciamenti ufficiali di natura teorica e pratica, ad esempio in occasione dei concili) sulla natura, l’uso e la forma delle immagini fu assai forte; l’artista non era libero di agire secondo una personale intenzione figurativa, dal momento che non produceva immagini per sé, ma per un ambito specifico e per destinatari con determinate attese. Il pittore doveva trovare solo il sistema più efficace per veicolare dei contenuti che gli venivano forniti. La diversificazione tra gli artisti, specie in occidente, si fece allora sulle invenzioni compositive, sullo stile, chiamato a riformare e portare a maggiore verità formule iconografiche note e correnti, senza però contraddirne il senso, né spiazzare troppo lo spettatore; il pittore poteva, per un certo tema/soggetto richiestogli dal committente, presentargli più di una soluzione tra cui scegliere. Nondimeno, i committenti ecclesiastici (vescovi, abati e monaci, canonici) non si limitarono solo a ordinare opere d’arte convenzionali e conformi ai rispettivi ruoli, ma le influenzarono secondo la loro sensibilità, servendosi dell’arte come strumento di autolegittimazione e come mezzo per manifestare rivendicazioni, desideri e tendenze ideologiche personali. Il committente interveniva nella concezione dell’opera d’arte definendone la tematica e soprattutto il programma e talvolta anche lo stile. In alcuni casi, come nelle sculture dei portali e nelle vetrate delle cattedrali, stabiliva il programma in totale autonomia dagli stessi finanziatori dell’opera. La scelta di un definito programma si attuava nelle relazioni e nelle accentuazioni degli elementi di un ciclo figurativo, nel cui protagonista il committente cercava un’identificazione. Espressione di un dato programma era anche la scelta di chiare tipologie di Cristo o della Vergine, così come di santi, eroi o di particolari temi. La stessa rappresentazione del committente nell’opera d’arte poteva seguire formule di una certa diffusione o costituire un’elaborazione del tutto individuale, ricca pertanto di significati.

    Limite invalicabile nell’opera del pittore era però stabilito dall’ortodossia e dal decoro. Fondamentali i pronunciamenti ultimi del Concilio di Trento che disciplinò la produzione di immagini sacre, tendendo a correggere o eliminare dettagli o impostazioni fuorvianti (esemplificativi furono il processo a Paolo Veronese per un’Ultima Cena, convertita in una Cena in casa di Levi, e l’eliminazione di alcune iconografie non più accettabili sul piano teologico o formale, come l’immagine trifronte o tricefala del Cristo per la Trinità, la Madonna del Latte, ecc.).4

    L’importanza del decoro, invece, fu intesa come attinenza di una forma a un contenuto o dell’immagine al contesto cui fu destinata, ad esempio un dipinto da porre sopra un altare (caso emblematico dei dipinti rifiutati di Caravaggio per la Cappella Cerasi e per la Cappella Contarelli). Infatti, la collocazione di un’immagine, specie se si trattava di uno spazio ecclesiastico o monastico, non fu mai casuale (l’Annunciazione sull’arco trionfale, il Giudizio universale in controfacciata, il Battesimo di Gesù in corrispondenza del fonte battesimale, immagini penitenziali legate alla Passione all’ingresso dei refettori monastici, ecc.) e rispettò sempre un rapporto con ciò che in quel luogo o in quel punto dello spazio si faceva in termini di culto e liturgia e con il percorso, fisico e percettivo, compiuto dallo spettatore e a lui suggerito proprio attraverso le immagini. Rapporto diretto e speciale le immagini ebbero ovviamente con la liturgia (in prossimità dei vari gesti liturgici, sui vari supporti: tabernacolo, predella, calice, ostensorio, paliotto, stendardo, reliquiario, anta d’organo, ecc.), anche in allestimenti temporanei (cicli di teli quaresimali dipinti, “macchine” di altari fatte di ante fisse ed ante rimovibili, che potevano assumere diverse configurazioni, ecc.).

    Gli orientamenti attuali. La ricezione del decreto tridentino nei secoli dell’età moderna provocò un atteggiamento centralista della Chiesa con un dirigismo in tema di forme devozionali e iconografiche; la pittura venne depurata da qualsiasi forma di ostentazione e di virtuosismo formale: doveva essere semplice, facilmente comprensibile dal fedele, in modo da non disturbare la concentrazione delle sue preghiere. Si riaffermarono i temi della Chiesa come intermediaria fra l’uomo e Dio e del riconoscimento salvifico delle buone opere; si esaltò il valore dei sacramenti e ribadì l’esistenza del purgatorio. Il controllo ecclesiastico sulle immagini proseguì anche nella fase dell’illuminismo cattolico, che disciplinò le immagini per una vita cristiana in chiave biblica e cristocentrica; ancora tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, sullo sfondo della decadenza delle immagini, la Chiesa si limitò solo a una funzione legislativa di conservazione e restaurazione del patrimonio artistico.

    Nell’età moderna, ha più volte detto Giovanni Paolo II, nell’arte si è progressivamente affermata «una forma di umanesimo caratterizzato dall’assenza di Dio e spesso dall’opposizione a lui. Questo clima ha portato talvolta a un certo distacco tra il mondo dell’arte e quello della fede, almeno nel senso di un diminuito interesse di molti artisti per i temi religiosi». Eppure, la Chiesa ha continuato a tenere l’arte in grande considerazione, «infatti, anche al di là delle sue espressioni più tipicamente religiose, quando è autentica, ha un’intima affinità con il mondo della fede, sicché, persino nelle condizioni di maggior distacco della cultura dalla Chiesa, proprio l’arte continua a costituire una sorta di ponte gettato verso l’esperienza religiosa» (Lettera agli artisti, 10). Tra le cause del dialogo interrotto è da annoverare la difficoltà della Chiesa a comprendere le nuove forme di comunicazione artistica sviluppatesi soprattutto nel Novecento; se con la Sacrosanctum Concilium (1963), i vescovi si aprirono alle tendenze estetiche contemporanee, auspicando un pluralismo di stili, pur riconfermando che esistevano dei limiti alla creatività dell’artista (cap. 7) e nel 1964 Paolo VI nell’Incontro con gli artisti espresse il desiderio di riconciliazione, con la Gaudium et Spes (1965) la Chiesa ha recuperato valori, prima contrastati: «Bisogna perciò impegnarsi affinché gli artisti si sentano compresi dalla Chiesa nella loro attività e, godendo di un’ordinata libertà, stabiliscano più facili rapporti con la comunità cristiana. Siano riconosciute dalla Chiesa le nuove tendenze artistiche adatte ai nostri tempi secondo l’indole delle diverse nazioni e regioni» (cap. II, 62).5

    L’eccezionale sviluppo dei media determina oggi l’onnipresenza delle immagini, per questo la sfida della comunicazione impone anche alla Chiesa un rinnovato uso, rendendo così sempre più sentita l’esigenza di ricercare le vie di incontro del vangelo con i modelli figurativi attuali. L’immagine infatti può diventare “Parola”, ma solo quando arriva a coniugare le due fonti costitutive del kerigma, che sono l’esperienza da una parte e il testo biblico dall’altra. Eppure, di fronte allo smarrimento che si prova verso l’arte cosiddetta «sacra», la Chiesa deve re-imparare a «commissionare». Ciò comporta scegliere veri artisti, saperli accompagnare, avere stima del loro lavoro. In questa direzione, in diverse diocesi italiane vi sono segni di grandi, intelligenti e importanti committenze, dovute specialmente alla ripresa della pastorale dell’arte, con notevole impegno finanziario, dato dalla Conferenza Episcopale Italiana, nella fattispecie, dall’Ufficio Nazionale per i Beni culturali ecclesiastici e dall’Ufficio per il Progetto Culturale; si possono citare, a titolo esemplificativo, l’armonizzazione del manifesto iconografico antico con un programma contemporaneo nella Cattedrale di Cefalù, il piano della Cappella Redemptoris Mater nel Palazzo Apostolico Vaticano e il progetto dei restauri della Cattedrale di Santa Maria Assunta a Terni. Risoluzioni meno efficaci, principalmente causati da esigenze di adeguamento liturgico, sono state compiute per le cattedrali di Catania, di Vicenza, di Noto e per le chiese del Gesù e di Santa Maria del Popolo a Roma. Infine, l’intervento recente nella cattedrale di Reggio Emilia, inaugurato nel 2012, che ha visto la commissione di opere a Jannis Kounellis, Ettore Spalletti, Hidetoshi Nagaswa e Claudio Parmiggiani, scardinando le modalità con le quali si pensa ad un adeguamento liturgico e ai criteri di scelta degli artisti, ha suscitato molte discussioni.

    Fonti e Bibl. essenziale

    M. Catto, La Compagnia divisa. Il dissenso nell’ordine gesuitico, Morcelliana, Brescia 2009; Ead., The Jesuit Memoirists: Bellezza e vita. La spiritualità nell’arte contemporanea, a cura di T. Verdon, San Paolo, Milano 2011; H. Belting, Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo, Carocci, Roma 2001; C. Chenis, Il programma iconografico della chiesa-edificio, in «Rivista Liturgica» 88 (2001), 541-558; A. Dall’Asta, Quale committenza per l’arte sacra? Un dialogo tra arte e fede, in «Rivista Liturgica», 100(2013), 69-83; J. Danielou, I simboli cristiani primitivi, Edizioni Arkeios, Roma 1990; G. Didi-Huberman, L’immagine aperta. Motivi dell’incarnazione nelle arti visive, Bruno Mondadori, Milano 2008; T. Ghirelli, Ierotipi cristiani. Le chiese secondo il magistero, LEV, Città del Vaticano 2012; A. Grabar, Le vie della creazione nell’iconografia cristiana, Jaca Book, Milano 1983; C. Lapucci, Estetica e trascendenza, Cantagalli Edizioni, Siena 2011; R. Mastacchi – R. Knapinski, Credo. La raffigurazione del Simbolo Apostolico nell’Arte europea, Cantagalli Edizioni, Siena 2011; Romana pictura. La pittura romana dalle origini all’età bizantina, a cura di A. Donati, Electa-Mondadori, Milano 1998; R. Tagliaferri, Liturgia e immagine, EMP – Abbazia S. Giustina, Padova 2009; Temi di iconografia paleocristiana, cura e introduzione di F. Bisconti, Città del Vaticano 2000; J. Van Larhoven, Storia dell’arte cristiana, Bruno Mondadori, Milano 1999; T. Verdon, L’arte cristiana in Italia, 3 voll., San Paolo, Milano 2005-2008.

    Immagini:

    1) Albenga (Sv), Volta mosaicata del battistero paleocristiano (VI secolo); 2) Sant’Angelo in Formis (Ce), palinsesti figurativi della basilica benedettina di San Michele Arcangelo (X secolo); 3) Giotto, Adorazione dei Magi, Cappella degli Scrovegni, Padova (XIV secolo); 4) Raffaello Sanzio, La disputa del Sacramento, Musei Vaticani, Città del Vaticano (1509 ca.); 5) Jacopo Bassano, Adorazione dei Magi, The Barber Institute of Fine Arts, University of Birmingham, Birmingham (1555).

    Sitografia:

    http://www.storiadellarte.com (sito dedicato alla storia dell’arte italiana, dalle origini a oggi); http://www.arslab.it/ (sito di ricerca e documentazione sull’arte contemporanea); http://www.amei.biz/repertorio.htm (sito che offre il repertorio di tutti i musei ecclesiastici italiani, regione per regione, con indirizzi e informazioni varie); http://www.alinari.it/it/archivi-online.asp (sito con la più ricca collezione fotografica del mondo, parzialmente a pagamento); http://www.icongrafia.com/ (sito di iconografia cristiana, spiritualità e teologia dell’icona).


    LEMMARIO