Proprietà ecclesiastica – vol. II

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    Autore: Fiorenzo Landi

    La nascita dello Stato unitario coincide con due avvenimenti che segnarono in maniera radicale la vicenda della proprietà ecclesiastica. Da una parte scomparve lo Stato temporale della Chiesa e dall’altra avvenne l’ultima confisca della proprietà ecclesiastica. Le drammatiche difficoltà economiche dello Stato italiano determinate dai costi delle guerre d’indipendenza e dalle esigenze del nuovo apparato istituzionale, furono superate attraverso la confisca dei beni del clero. Dopo le soppressioni settecentesche e quelle napoleoniche, durante la Restaurazione, la Chiesa cattolica aveva ripristinato gran parte del proprio patrimonio immobiliare. Ma dal 1866 all’incirca 2 milioni di ettari di terra e una grande quantità di immobili furono ancora una volta confiscati e messi sul mercato. Gran parte degli immobili diventarono le scuole, i tribunali, le sedi delle istituzioni del nuovo Stato. Mentre il debito ormai insostenibile di sei milioni e mezzo di lire dello Stato fu almeno in parte ripianato con la requisizione e la messa in vendita di un capitale di oltre nove milioni di lire. In questo modo paradossalmente la Chiesa diede un contributo decisivo, anche se del tutto involontario, alla riuscita dell’unificazione nazionale, ma questa esperienza traumatica determinò un cambiamento radicale di strategie economiche.

    Infatti, i primi decenni post unitari furono dominati dal timore diffuso e persistente che si verificasse l’ennesima ulteriore confisca dei beni rimasti o riacquistati e tutto questo determinò la ricerca affannosa di strumenti che fossero in grado di impedirne il successo. Le diverse ondate di confische subite dalla Chiesa in Italia e negli altri paesi cattolici erano state rese agevoli dalla natura immobiliare del patrimonio ecclesiastico. La proprietà terriera e gli immobili urbani, che erano la fonte essenziale della rendita, si potevano individuare senza alcuna difficoltà attraverso i catasti e confiscare con un semplice atto amministrativo. Perciò la Chiesa modificò la sua strategia: da una parte cercò di inserirsi nelle ambiguità della legge del 1866 sulle soppressioni per cogliere le possibilità di limitare le restrizioni normative fissate per le istituzioni “religiose” e dall’altro intensificò il trasferimento degli investimenti dal settore immobiliare a quello finanziario, agevolata in questa scelta anche dalla sua dimensione transnazionale. Nel primo caso agì su due fronti: cercò di salvare dalla soppressione il maggior numero possibile di istituzioni religiose che svolgevano attività sociali e, in secondo luogo utilizzò tutti gli strumenti legali per consolidare e allargare  i diritti giuridici della Chiesa come ente proprietario. In effetti l’attenzione della Chiesa verso gli investimenti finanziari godeva di una lunga tradizione consolidata soprattutto nell’ambito del clero regolare, ma il settore mobiliare era stato considerato sempre più un completamento e un’occasione di diversificazione degli investimenti, che un obiettivo strategico primario.

    La smaterializzazione della ricchezza e la naturale globalizzazione della istituzione ecclesiastica resero molto meno vulnerabili gli interessi economici della Chiesa, anche se l’ingresso nella opacità delle transazioni finanziarie la espose, da allora in poi, ai rischi e agli inconvenienti di un’economia in gran parte autonoma da preoccupazioni etiche.

    Il concordato del 1929 e il successivo aggiornamento del 1984 con l’introduzione del finanziamento della chiesa attraverso l’8 per mille, hanno comportato un definitivo assestamento delle attività economiche della Chiesa, introducendo un meccanismo di compartecipazione di massa aiutato da su una sorta di silenzio assenso dei contribuenti, ma non ha modificato l’orientamento verso investimenti e impieghi di risorse di carattere finanziario, più che immobiliare.

    Si può comunque sottolineare che, dal punto di vista del monitoraggio della proprietà ecclesiastica e della relativa tassazione, l’ambiguità delle norme concordatarie nella definizione della funzione e dell’uso degli immobili e la difficoltà di accesso alle fonti dirette, creano difficoltà oggettive e a volte insormontabili nella ricostruzione della dinamica della proprietà ecclesiastica a livello nazionale e internazionale. Tanto che, per il periodo che va dalla Unificazione a oggi, almeno per l’Italia, non esistono contributi di storia economica che siano in grado di definire vicende e protagonisti dei nuovi sistemi di accumulazione e di utilizzazione delle risorse finanziarie della Chiesa cattolica nel suo insieme.

    Dal punto di vista dell’esperienza religiosa la trasformazione radicale del rapporto tra Chiesa e proprietà ha cambiato profondamente atteggiamenti e sensibilità individuali e collettive. Il sistema dell’autofinanziamento delle iniziative di rilevanza sociale ha continuato ad essere legato all’utilizzazione di lasciti e donazioni , ma l’obiettivo è stato ridefinito sulla base di obiettivi di carattere umanitario e di promozione sociale oltre che religioso .Questo è avvenuto, in particolare, attraverso il volontariato e la rete capillare di istituzioni religiose e di apostolato laico che svolgono un ruolo di assistenza religiosa e sociale nei confronti di categorie e di bisogni che restano fuori dalle tutele dello Stato laico.

    Fonti e Bibl. essenziale

    Sulla proprietà ecclesiastica in Italia negli anni dell’unificazione nazionale: G. Montroni, Società e mercato della terra, Napoli 1983 A. Bogge e M. Sibona, La vendita dell’Asse ecclesiastico in Piemonte dal 1867 al 1916, Milano, 1987; S. Cucinotta, Sicilia e siciliani: dalle riforme borboniche al “Rivolgimento” piemontese: soppressioni, Messina 1996.Sulla riconversione delle strategie della proprietà ecclesiastica volte a evitare confische G. Rocca, Le strategie anticonfisca degli istituti religiosi in Italia dall’Unità al concordato del 1929:appunti per una storia, in R. Di Pietra – F. Landi, Clero, economia e contabilità in Europa, Roma 2006. Sulle finanze papali J.F. Pollard, L’ obolo di Pietro. Le finanze del papato moderno: 1850-1950, Milano 2006.


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