Riforma protestante – vol. I

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    Autore: Stefano Cavallotto

    Già al concilio di Costanza (1415-1418) era risuonato l’accorato appello per una Reformatio ecclesiae in capite et in membris; un invito più volte ripetuto sino agli inizi del ‘500, ma rimasto inascoltato a causa di una gerarchia e di un papato per molti versi non all’altezza delle sfide religiose del tempo. Sfide che in Germania trovano terreno fertile, anche sul piano politico e sociale, per uno scontro con Roma e non solo sulla questione delle indulgenze, il cui esito sarà la Riforma protestante e la divisione della cristianità occidentale. A Wittenberg con Lutero (†1546), come a Zurigo con Zwingli (†1531), a Ginevra con Calvino (†1564) e a Strasburgo con Bucer (†1551) viene elaborandosi un modello di riforma della chiesa che, oltre a modificare aspetti pastorali, disciplinari e liturgici, tocca punti decisivi della teologia e della dottrina nel tentativo di riportare la compagine ecclesiale alle sue origini evangeliche, riscoprendo e sostenendo la centralità del solus Christus, sola Scriptura, sola gratia, sola fide; una riforma, però, che Leone X rigetta come “eretica” (Lutero è scomunicato il 3 gennaio 1521 con la bolla Decet Romanum Pontificem ed è bandito dall’Impero con l’editto di Worms dell’8 maggio 1521), sovversiva ed esiziale per l’assetto religioso e politico/finanziario della chiesa tardo-medievale e rinascimentale, innescando così un conflitto nell’impero di Carlo V, ben presto trasformatosi in scontro armato tra protestanti e cattolici che solo nel cuius regio, eius et religio della dieta di Augusta del 1555 troverà una soluzione politica, ancorché insufficiente a garantire la pace nella tolleranza. Non solo in Germania, in Svizzera, in Francia, in Olanda, in Inghilterra, dove vengono a costituirsi stati confessionali e chiese evangeliche, ma anche in Italia – ed è il territorio che qui ci interessa in modo particolare – il disagio profondamente avvertito da non pochi ecclesiastici, intellettuali e gente del popolo di fronte ad un cristianesimo per molti versi “esteriorizzato”, “mondanizzato” e con una struttura di potere autoritaria e clericale, alimenta un dissenso ora esplicito ora più prudentemente “nascosto” (“Nicodemismo”), che si incanala concretamente o nell’adesione alla Riforma d’Oltralpe oppure nell’evangelismo degli «spirituali», in ambedue i casi perseguitato e represso dall’Inquisizione romana. In concreto, le idee di rinnovamento religioso che attraversano l’Europa nella prima metà del ‘500 giungono anche in Italia, prendendo forme molto diverse, dal movimento valdesiano al «cattolicesimo evangelico», dalla Riforma zwingliana, calvinista e luterana al radicalismo anabattista, alle posizioni eterodosse degli «eretici» e degli antitrinitari. E’ difficile, quindi, se non vano cercarvi un denominatore comune. Occorre dire inoltre che tale fermento riformatore diffuso nell’intera penisola trova promotori convinti soltanto in alcuni circoli, città e personalità prima di scomparire del tutto nella seconda metà del XVI secolo – ad eccezione delle comunità valdesi del nord-ovest d’Italia – sotto i colpi della censura controriformistica.

    A Napoli intorno a Juan de Valdés (†1541) si crea negli anni Quaranta-Cinquanta un cenacolo di «spirituali», a cui appartengono nomi illustri come le nobildonne Vittoria Colonna (†1547), Giulia Gonzaga (†1566), Isabella Bresegna (†1567), l’agostiniano fiorentino Pier Martire Vermigli (†1562) e il vicario generale dei cappuccini Bernardino Ochino (†1564), entrambi passati successivamente alla Riforma protestante, il protonotario apostolico Pietro Carnesecchi (†1567), finito nelle mani dell’Inquisizione, processato e giustiziato a Castel Sant’Angelo come eretico, l’umanista Marcantonio Flaminio (†1550), i patrizi Bartolomeo Spadafora (†1566), Mario Galeota (†1585) e Galeazzo Caracciolo (†1586), divenuto quest’ultimo calvinista e rifugiatosi a Ginevra nel 1551. Nei suoi interventi formativi e negli scritti pubblicati postumi – tra i maggiori si ricordano l’Alfabeto Cristiano e le Cento e dieci divine considerazioni – il cavaliere e filosofo spagnolo fa proprie alcune posizioni di Lutero (l’uomo è giustificato soltanto per la giustizia di Cristo mediante la fede; l’arbitrio dell’uomo non è libero; il peccatore riceve il perdono non in forza della confessione, ma perché crede in Cristo redentore), mentre se ne allontana a favore di uno spiritualismo evangelico che tende a svalutare l’aspetto esteriore del cristianesimo, compresi i sacramenti, e a negare ogni principio dogmatico di verità, per cui l’illuminazione interiore è preminente rispetto alla funzione “magisteriale” della Parola scritta, giacché non è la “lettera” a condurre il credente verso la verità, ma lo Spirito che la vivifica; e ancora: è lo Spirito e non la Scrittura l’unico maestro per i credenti “progrediti”. Fautore di una concezione a-gerarchica della chiesa, Valdés si astiene dall’attaccare direttamente la struttura del papato. E con lui i suoi discepoli, che in definitiva non vogliono causare rotture laceranti all’interno della compagine cattolica. Di forte ispirazione valdesiana è la predicazione a Napoli e in molte altre città italiane di Bernardino Ochino (†1564). Avvicinatosi col tempo sempre più alle posizioni “riformate”, l’ex frate cappuccino è costretto nel 1542 a fuggire a Ginevra, dove riceve asilo presso Calvino e aderisce pienamente alla dottrina protestante. E sono ancora i discepoli di Valdés a diffonderne il pensiero e la spiritualità a Roma, Firenze, Padova, Venezia e in particolare a Viterbo tramite Flaminio e Carnesecchi col coinvolgimento e sotto la protezione del cardinale inglese Reginald Pole (†1558) aperto alla riforma della chiesa e alla giustificazione per fede. E’ nell’Ecclesia Viterbiensis che Flaminio matura nel 1541-43 la revisione “riformata” del Trattato utilissimo del Beneficio di Gesù Cristo di Benedetto da Mantova (†1556); un’opera molto apprezzata da uomini come i cardinali Morone e Pole, ma ben presto accusata di “eterodossia” e messa all’Indice, e che costituisce in realtà il documento letterario più importante, seppure con linguaggio velato, del passaggio dall’evangelismo al calvinismo.

    Alla Riforma protestante sia nella versione luterana che riformata aderiscono gruppi diversi in varie parti del paese sotto la guida di leaders convinti e combattivi. I valdesi, la cui presenza si concentra nelle Valli del Pinerolese, col Sinodo generale di Chanforan del 1532, dominato dalla figura di Guillaume Farel (†1565), passano al protestantesimo svizzero, divenendo così un canale di diffusione, soprattutto attraverso la stampa, delle nuove dottrine non soltanto in Piemonte, ma nel Delfinato e nel Marchesato di Saluzzo, oltre che in Calabria e nelle Puglie. Idee evangeliche si fanno strada negli anni Trenta-Quaranta nella Repubblica di Lucca e nel ducato di Ferrara. Nella città toscana predica nel 1538 Ochino, ma soprattutto vi giunge nel 1541 l’agostiniano Pier Martire Vermigli (†1562). Discepolo di Valdés e passato alle tesi calviniste, questi istituisce per i novizi del suo ordine e per i giovani intellettuali lucchesi una scuola di bibbia con corsi di latino, greco ed ebraico e, facendo leva sulle sue doti di scrittore, si mette al servizio della propagazione della fede evangelica, aiutato peraltro da alcuni collaboratori, tra cui Celio Secondo Curione (†1569). L’anno dopo, però, è costretto ad espatriare e rifugiarsi a Strasburgo presso Bucer e da qui ad Oxford, chiamato da Cranmer per sistemare la dottrina, il diritto e la liturgia della chiesa anglicana. Orientatosi progressivamente in senso zwingliano (dopo il 1553 si stabilisce a Zurigo) con una forte coloritura anti-luterana (è convinto che sia meglio nessun battesimo piuttosto che riceverlo dai predicatori luterani, visto anche che il battesimo non è necessario alla beatitudine eterna), Vermigli è uno tra gli uomini più eruditi del suo tempo e il più dotto dei protestanti italiani. Anche dopo la sua partenza, nel 1542, Lucca continua ad essere per qualche tempo centro di diffusione della Riforma, basti ricordare l’opera di Girolamo Zanchi (†1590), obbligato a lasciare la città nel 1551 per trasferirsi come professore prima a Strasburgo e poi ad Heidelberg, o l’attività delle famiglie dei Diodati e dei Turrettini, costretti ad espatriare a Ginevra, dove assumeranno ben presto posizioni di rilievo nel governo e nell’accademia della città lemana, o anche l’insegnamento dell’umanista Aonio Paleario, che dopo essere emigrato a Milano nel 1556 per coprire la cattedra di studi umanistici, nel 1568 viene preso dall’Inquisizione romana, processato, condannato come eretico impenitente e giustiziato a Castel Sant’Angelo nel 1570.

    Non meno vivo che in Toscana è il movimento evangelico a Ferrara e a Modena. Nella città estense numerose famiglie accettano la fede riformata, non ostacolati peraltro dal vescovo locale, il card, Morone, promotore dell’evangelismo e ammiratore e diffusore de Il beneficio di Cristo, e nasce l’«Accademia» di Giovanni Grillenzoni (sarà sciolta dal Duca di Ferrara nel 1543) come cenacolo per discutere il rinnovamento della chiesa, questioni teologiche e morali e per promuovere attività in vista della propagazione della cultura umanistica e del pensiero protestante. Allo stesso scopo sono orientati anche le iniziative di due grandi protagonisti del protestantesimo a Modena, il letterato Ludovico Castelvetro (†1571), studioso attento degli scritti dei riformatori e traduttore delle opere di Melantone (Loci communes), e il predicatore itinerante Bartolomeo della Pergola († ?), discepolo di Valdés. L’evangelismo modenese si presenta in concreto orientato in varie direzioni: alla componente valdesiana, si affiancano orientamenti luterani e riformati e fermenti di matrice anabattista. Attiva sostenitrice della fede calvinista a Ferrara è Renata di Francia (†1575), moglie del duca Ercole II. Con Calvino mantiene una fitta corrispondenza dopo la visita di questi alla città nel 1536 e si prodiga nell’accoglienza degli ugonotti esuli dalla Francia e degli altri dissenzienti perseguitati nel territorio italiano. La città stessa con la presenza di studenti stranieri, a volte protestanti, che frequentano l’università, rivela aperture ed interessi verso le idee nuove, ma è anche teatro negli anni Cinquanta di processi ed esecuzioni capitali di dissidenti come i casi del fornaio Fanino Fanini, condannato nel 1550 con l’accusa di propagare eresie, e del visionario catanese Giorgio Rioli, detto il Siculo, amico di Benedetto da Mantova e “nicodemita”, spiritualista radicale e antiprotestante (cfr. Epistola alli cittadini di Riva di Trento contra il mendacio di Francesco Spiera et falsa dottrina d’ Protestanti), giustiziato per le sue dottrine eversive nel 1551, e dello stesso processo del 1554 al gruppo calvinista della corte ferrarese con a capo Renata di Francia.

    Ma è specialmente la Repubblica veneta ad essere centro di confluenza degli scritti e delle dottrine protestanti, sia perché la Serenissima è crocevia di scambi commerciali e culturali con Svizzera e Germania meridionale e leader dell’editoria europea con i suoi 500 editori e tipografi, ma anche per il potere limitato che l’Inquisizione vi esercita. Tra gli anni Quaranta-Settanta Venezia gioca un ruolo determinante per l’irradiazione delle nuove idee per tutta la penisola e, come avviene in altri Stati italiani, nella città lagunare sono membri di ordini religiosi ad accogliere con favore le dottrine della Riforma e spesso nella loro formulazione più radicale, vicina all’anabattismo e al ribellismo sociale. A ciò si aggiunga l’apporto degli esuli dallo Stato della Chiesa e dalla Toscana, spesso anticlericali, savonaroliani e filoprotestanti. Così i francescani conventuali Girolamo Galateo (†1541) e Bartolomeo Fonzio (†1562) predicano a Venezia e Padova le tesi di Lutero, subendo per questo persecuzione e morte. Non meno pesante è la sorte di coloro che viceversa, convertiti dapprima al protestantesimo, finiscono per abiurare sotto il peso della persecuzione, dei processi e delle torture, cadendo nella disperazione e nel tormento interiore del rimorso; ed è il caso di Francesco Spiera (†1548) e del biblista Antonio Brucioli (†1566). Altri invece, come l’ex-benedettino Francesco Negri da Bassano (†1563) autore della Tragedia del libero arbitrio, preferiscono la fuga, aggiungendosi alla schiera di esuli per fede che in vari posti dell’Europa, specialmente a Ginevra, costituiscono l’ecclesia peregrinorum degli italiani. Il calvinismo arriva a Vicenza per iniziativa del nobile veneto Alessandro Trissino (†1609?). E, contemporaneamente sorgono a Padova, Venezia e Vicenza comunità anabattiste tra artigiani, salariati e piccola borghesia, spesso con venature di antitrinitarismo e i caratteri del radicalismo religioso e sociale. Anche lo Stato di Milano registra sin dagli anni Venti la presenza di nuclei evangelici di rilievo sia calvinisti che luterani. Cremona raccoglie la comunità protestante più consistente ed organizzata, dopo Lucca, fra tutte le città d’Italia, e dà il maggior numero di esuli a Ginevra. Pavia si accosta alla “nuova comprensione del vangelo” tramite l’insegnamento di Celio Secondo Curione e la predicazione dell’agostiniano Agostino Mainardo (†1563). L’influenza della Riforma arriva pure alla porta orientale dell’Italia, in Dalmazia e in Istria, ad opera dei due fratelli Vergerio. Pier Paolo (†1565), vescovo di Capodistria, rimane così affascinato dal pensiero protestante che, una volta scomunicato da Roma nel 1549, lascia la diocesi e da semplice pastore evangelico di Vicosoprano si dedica a creare collegamenti tra gli evangelici italiani esuli e i riformati svizzeri e nel 1553 diventa consigliere del luterano duca Cristoforo del Württemberg.

    È di tutta evidenza da questo quadro sintetico che il moto riformatore italiano si caratterizza per una dimensione quasi esclusivamente urbana, se si eccettuano i territori in cui si concentrano le comunità valdesi; comunità peraltro che in seguito al Trattato di Cavour del 1561 costituiranno per molto tempo l’unico baluardo del protestantesimo in Italia. In effetti, la repressione controriformistica ben presto fa piazza pulita dei vari gruppi di dissidenti italiani e i pochi sopravvissuti si disperdono in Svizzera, Polonia, Germania, Francia, Boemia, Transilvania. Di questa “diaspora” fanno parte, tra gli altri, quei protestanti definiti «eretici» o anche «antitrinitari», in ultima analisi “ribelli ad ogni forma di comunione ecclesiale” (Cantimori). Tra i nomi più noti giova menzionare: Celio Secondo Curione (†1569), Lelio (†1562) e Fausto Sozzini (†1604) e Giorgio Biandrata (†1588). Il primo, autore del Pasquillus extaticus (una feroce satira anticlericale e antipapale di grande successo), rifugiato a Losanna e a Basilea (1546), insegna una dottrina fortemente individualista e basata sulla tolleranza religiosa. I due Sozzini, lo zio Lelio e soprattutto il nipote Fausto, entrambi umanisti senesi ed approdati in Polonia e in Transilvania (dove la presenza di antitrinitari e di unitariani è molto forte), si fanno propagatori di una sorta di cristianesimo «liberale» lontano dagli assunti protestanti («socinianesimo»), basato su un approccio razionalistico alla dogmatica (Gesù non è Dio, ma divino; Gesù non salva l’uomo morendo sulla croce, ma attraverso l’esempio e la predicazione lo aiuta a salvarsi) e su una visione positiva dell’essere umano naturale, ed organizzano concretamente la cosiddetta ecclesia minor o chiesa unitariana; chiaramente le loro posizioni saranno duramente combattute da tutte le Ortodossie secentesche. Il medico saluzzese Biandrata, rifugiatosi in Transilvania, è il predicatore più esplicito dell’antitrinitarismo con l’opera del 1568 De falsa et vera unius Dei Patris, Filii et Spiritus Sancti cognitione.

    In definitiva, però, tutti i vari tentativi di introdurre in Italia la Riforma e ancor prima i fermenti dell’evangelismo scompaiono alla fine del Cinquecento sotto l’attacco della Controriforma senza lasciare traccia. Rimarrà soltanto la presenza, seppure ghettizzata, dei valdesi che dopo il «Glorioso rimpatrio» (1689) verranno ad abitare nuovamente nei territori delle Valli, mentre all’estero nella diaspora continueranno a sopravvivere le comunità protestanti degli esuli italiani. Sarà il grande moto risorgimentale nell’Ottocento a fare uscire dal ghetto le chiese evangeliche e a facilitare il ritorno nella penisola di un protestantesimo, ormai plasmato in vari e nuovi modelli dal Pietismo, dal Metodismo, dal Battismo e ultimamente dal movimento del «Risveglio».

    Fonti e Bibl. essenziale

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    LEMMARIO