Scienza – vol. I

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    Autore: Roberta GrossiImmagine nuova

    Antichità. La nascita del Cristianesimo costituisce l’evento che ha maggiormente influenzato la cultura del mondo tardo antico (II-VII secolo). La ricerca sulla realtà fisica in cui sono impegnati i filosofi della natura cristiani e pagani, si svolge secondo criteri analitici e linguistici. L’uomo di scienza era fondamentalmente un letterato e la sua autorità scientifica si fondava su una riconosciuta solidità nell’esegesi letteraria delle opere e delle teorie scientifiche. Lo spazio crescente acquisito dalla religione cristiana, in tutte le sue espressioni, ha il suo apice nell’editto di Giustiniano del 529 con il quale viene sancita la chiusura dell’Accademia di Atene e proibito ai pagani l’insegnamento. Tali scelte avrebbero portato ad una minore conoscenza del greco e la conseguente difficoltà di accesso al patrimonio scientifico della tradizione ellenistica. Fino al VI secolo, l’interesse dei teologi cristiani e dei Padri della Chiesa verso le scienze della Natura resterà marginale. L’atteggiamento prevalente verso questo campo del sapere sarà improntato al monito di Tertulliano (155 ca.-230 ca.) nel De Praescriptione Haereticorum, secondo cui il cristiano esprime nella fede il senso integrale della propria vicenda terrena. La dissoluzione dell’Impero romano d’Occidente si accompagnò ad una profonda crisi istituzionale che travolse ogni forma di espressione culturale. Si interruppe ogni legame con la filosofia e la scienza greca. Sul papato di Roma, unico punto di stabilità culturale, cadde la responsabilità di restaurare la civiltà in Europa. Nel IV secolo, al progressivo disfacimento della trama di rapporti tra mondo greco e Occidente latino, si sviluppa l’azione degli enciclopedisti che attraverso un’intensa opera di codificazione avrebbero reso disponibili gran parte delle nozioni scientifiche allora conosciute. E’ noto l’atteggiamento di sospetto, se non di vera e propria avversione, dei primi Padri latini verso il sapere profano. Talché in Agostino d’Ippona (354-430) esso è riferibile a un’erudizione superficiale raggiungibile attraverso il ciclo delle artes liberales, cosiddette non solo perché considerate degne dell’uomo libero, ma altresì perché contribuiscono a renderlo libero.

    Un’azione di riequilibro del peso delle discipline letterarie nel percorso formativo viene intrapresa da Anicio Manlio Torquato Severino Boezio (480 ca.-526 ca.) e ha il suo cardine nella traduzione di opere attinte al patrimonio greco quali i testi di logica di Aristotele (384/383-322). Probabilmente, lo scopo è quello di rendere disponibile un manuale di base relativo a ognuna delle quattro discipline matematiche, il quadrivium, appunto, come Boezio medesimo lo definisce nell’Institutio arithmetica ad indicare l’insieme di aritmetica, geometria, astronomia e musica come quadruplice itinerario verso la sapienza. Negli stessi anni le discipline liberali vengono definitivamente integrate da Flavio Magno Aurelio Cassiodoro (490 ca.-580 ca.) all’interno del sapere cristiano. Nelle Institutiones divinarum et humanarum litterarum egli traccia un panorama delle scienze sacre e illustra gli elementi necessari alla formazione profana, distinta nelle sette arti, indispensabili per prepararsi allo studio della Bibbia. Il carattere di novità delle Institutiones rispetto all’enciclopedismo tardo-antico sta nel rilevo assegnato alla bibliografia, per cui un elenco di autori e testi affianca ogni disciplina, pur essendo lo studio delle arti finalizzato alla pratica esegetica; e nel porsi un problema concreto, l’alfabetizzazione dei monaci, da realizzare in un ambito istituzionale definito, il monastero. In tale concezione il legame tra scuola e biblioteca e quindi tra attività didattica e disponibilità di testi si presenta cruciale in relazione alle modalità di trasmissione del sapere. L’insegnamento delle discipline liberali, obbligatorio nelle scuole monastiche per laici, viene esteso, a partire dal XII secolo, anche alle università integrandosi nel canone della cultura medievale cristiana.

    I monasteri, divenuti durante l’Alto Medioevo i nuovi centri di cultura affiancano all’insegnamento e alla pratica laica della medicina, documentabili fin dal VI secolo nell’Italia gota e bizantina, un proprio marcato impegno ispirato a una visione cristomimetica che appartiene sia all’ideologia politica che alla teologia tardo-antica e medievale, secondo cui è nell’amore verso i propri simili che l’uomo trasfigura in Cristo. Tale visione, influenzata dalla spiritualità monastica bizantina, fu espressa, in particolare, dal monachesimo benedettino. Il servizio, diviso fra lo scriptorium e l’infermeria delineava uno spazio che era fisico e morale nel quale l’agire cristiano esauriva tutte le possibilità. In un arco cronologico compreso tra la fine del X e il tardo XVIII secolo i testi fondamentali della tradizione scientifica greca e araba furono resi accessibili alla cultura latina, mediante l’attività di traduzione scientifica dall’arabo, contribuendo attraverso questa azione di mediazione culturale alla nascita della scienza europea. I centri in cui, in Italia, fu più intensa tale opera, furono Pisa e Lucca. La fitta trama di relazioni esistente tra gli studiosi rivela gli interessi che orientavano le scelte di traduzione: la matematica, le tecniche dell’aritmetica indo-araba, della geometria euclidea e dell’astrolabio, del calcolo degli oroscopi e dell’interpretazione delle tavole astronomiche che non aveva, quest’ultima, solo una valenza filosofica bensì essenziale per il computo ecclesiastico, cioè il calcolo calendaristico delle feste mobili. Tale patrimonio di conoscenze fu reso disponibile alla nascente università. Gli autori tradotti arricchirono le raccolte enciclopediche del tardo medioevo consolidandone la molteplice funzione di strumenti per conservare, organizzare e diffondere le conoscenze. Salerno (Principato) e il monastero di Montecassino, ma successivamente anche Bologna (città imperiale, sotto l’autorità dei conti e papale) e Padova (comune indipendente), furono i centri più importanti relativi allo studio della medicina. Accanto all’opera di traduzione, furono elaborate nuove forme di insegnamento della disciplina, di esegesi dei testi e di estensione del vocabolario dei termini in latino. Nelle fasi iniziali della diffusione della nuova cultura medica svolse un ruolo di particolare rilievo l’attività di traduzione ed elaborazione teorica di Costantino l’Africano (1015 ca.-1087 ca.), monaco a Montecassino. Risultato dell’importanza crescente che nel tardo XI secolo venivano attribuite alla logica e alla razionalità, estendendole a ogni ramo del sapere, fu la teologia sistematica. Tale esito innescò un moto di rinnovamento che ebbe il suo apice nelle Sententiae di Pietro Lombardo (fine XI sec.-1160), composte tra il 1155 e il 1158. L’opera, che sostituì rapidamente tutti i testi in uso fino ad allora, divenne per i cinque secoli successivi il libro principale, accanto alla Bibbia, nelle scuole di teologia. Il rilievo delle Sententiae, per la storia della scienza, risiede nei numerosi punti di contatto tra la teologia medievale e la filosofia della Natura, principalmente quella di Aristotele. Il vasto impegno intellettuale costituito dai commenti all’opera di Pietro ebbe tra i protagonisti Bonaventura da Bagnoregio (1217 ca.-1274), Tommaso D’Aquino (1225/1226-1274), Egidio Romano (1234 ca.-1316) e Gregòrio da Rimini (m. 1358) e mostra il livello raggiunto dai filosofi medievali nel ricorso alla filosofia della Natura per spiegare e razionalizzare i problemi teologici. Tali commenti non conseguirono risultati di rilievo per le scienze della Natura, nondimeno fu la qualità dei problemi teologici affrontati a consentire, secondo Grant, uno sviluppo della filosofia della Natura che essa non avrebbe mai raggiunto in un contesto strettamente secolare.

    Rinascimento. Tra la seconda metà del Trecento fino alla fine del Cinquecento entra in crisi l’immagine del mondo elaborata dalla civiltà classica e ripresa in varie forme dalla civiltà cristiana medievale. Maturava un atteggiamento nuovo fondato sulla fiducia in un rinnovamento generale della vita e della storia umana, sulla rivendicazione della centralità cosmica dell’uomo e l’esaltazione della sua libertà, della sua dignità (Vasoli). L’affermazione del rigore filologico degli studi permea ogni campo del sapere determinando le condizioni da cui emerse la mentalità scientifica moderna. Un aspetto di rilievo per la storia della scienza rinascimentale è dato dal ruolo svolto da personaggi come Bessarione (1403 ca.-1472), la cui importanza si colloca su una linea di confine tra la filologia e le scienze, e dediti alla raccolta di opere della tradizione filosofica e scientifica classica. Notevole in tal senso l’impegno nel promuovere la ricerca di manoscritti antichi di Tomaso Parentucelli da Sarzana, futuro Niccolò V (1447-1455), soprattutto di ambito scientifico; tra i quali il codice A di Archimede, una delle pietre miliari della costruzione galileiana. Nel lavoro rigoroso di revisione dei testi della tradizione classica va segnalata l’opera dell’umanista veneto Ermolao Barbaro (1453-1493), Patriarca di Aquileia, compiuta sulla Naturalis Historia di Plinio. Luca Pacioli (1445 ca.-1517) nel De Divina Proportionae (1509) sosteneva essere la pittura una disciplina matematica tal quale la musica, recependo in tal senso l’accresciuta articolazione della partizione medievale delle artes liberales. La conseguenza di questo processo avrebbe portato innovazioni rivoluzionarie nel campo della creazione artistica, figurativa e architettonica.

    In Italia venne istituita al Collegio Romano, principale università gesuita, la cattedra di Mathesis cum Geometria et Astronomia (1556). I più stretti collaboratori di Ignazio di Loyola (1491/1492-1556) erano insigni matematici e ciò ebbe un peso notevole nel determinare la situazione di monopolio nell’insegnamento delle arti liberali da parte della Compagnia. In quegli stessi anni si sviluppa un dibattito sulla scientificità e sui metodi della matematica suscitato dalla pubblicazione dell’opera di Alessandro Piccolomini (1508-1578), Commentarium de Certitudine mathematicarum disciplinarum (1547). Dibattito a cui prese parte Giuseppe Biancani (1566-1624), professore di matematica e astronomo gesuita formatosi a Padova, dove incontrò Galilei. Tali discussioni di carattere metodologico, accompagnate da una mai esausta azione di promozione degli antichi testi greci, produssero risultati fondamentali determinando una tendenza stabile per cui l’ascesa della matematica europea procedeva parallela al declino di quella araba. Bernardino Baldi (1536-1617), formatosi con Guidobaldo dal Monte (1545-1607) alla Scuola di Urbino, oltre alla traduzione delle opere di Erone e Pappo compose 202 Vite di matematici, opera considerata la prima grande storia europea della matematica. Egnazio Danti (1536-1586), astronomo, cartografo, costruttore di strumenti scientifici, realizzò due gnomoni nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze. Trasferitosi a Roma alla corte papale ebbe da Gregorio XIII l’incarico di realizzare le carte geografiche dell’Italia nella Galleria delle Carte geografiche.

    Rivoluzione scientifica. La nozione di rivoluzione scientifica, comunemente riferita alle vicende intellettuali dei secoli XVI e XVII, non indica solo l’insieme di novità e scoperte nei diversi settori della conoscenza della natura ma anche quei cambiamenti profondi attraverso i quali si costituì una specifica forma del sapere (P. Rossi) che avrebbe condotto alla identificazione dell’attività di ricerca scientifica con una professione. Questo processo investì sia discipline tradizionali, come l’astronomia, con una vicenda millenaria radicata nell’antichità classica ellenistica, sia discipline, precipuamente dal carattere sperimentale, che nascono con la modernità, e introdusse mutamenti di metodo e contenuto, ridisegnò gli ambiti di saperi consolidati, modificandone il dominio, il campo d’indagine. Con il De revolutionibus orbium coelestium Nicolò Copernico (1473-1543), all’interno di un apparato matematico sostanzialmente identico all’Almagesto di Claudio Tolomeo (100 ca.-170 ca.), introduce la novità rivoluzionaria relativa ai moti planetari. Nel campo delle scienze sperimentali emersero vere e proprie discipline, come la chimica, la geologia, la fisica sperimentale, le scienze naturali, anche se il processo attraverso il quale maturarono i loro metodi e contenuti specifici fu lento, faticoso e raggiunse un assetto stabile solo nel Settecento. Nel Seicento, per alcune di queste nuove scienze non esiste ancora un lessico adeguato a designarne il nome e le tecniche sperimentali. L’attenzione per l’astrazione matematica come per lo sperimentalismo più minuto, il fatto che per molto di questo sperimentalismo il ricorso all’astrazione matematica non offriva alcuna risorsa per indagare il tipo di problemi a cui guardava, delinea, seppur sommariamente, la natura composita della rivoluzione scientifica e le origini complesse, intricate, della nascita della scienza moderna. Un dato pare comunque acquisito: solo dalla modernità emerge quel tipo di sapere che tutt’oggi indichiamo col termine scienza.

    Per la prima volta, in Occidente, diversamente dal passato e da altri contesti geografici, quel sapere lega insieme teoria ed esperimento, elabora forme istituzionali proprie; linguaggi specifici; orienta le proprie scelte in un arco di valori concernenti “la irrilevanza dell’appello alle autorità e il rispetto dei fatti; l’autonomia delle convinzioni scientifiche rispetto a quelle religiose o politiche” (P. Rossi). Questo percorso non fu lineare e non procedette con la stessa intensità in ogni settore della scienza. La spinta alla matematizzazione della natura, l’estensione del meccanicismo alle scienze della vita, la costruzione di nuovi strumenti come il cannocchiale e il microscopio, avviarono una fase di espansione dell’attività scientifica accompagnata da un processo di trasformazione delle scienze tutt’ora in atto. Le mutazioni di carattere intellettuale prodotte dalla teoria copernicana e che attraverso l’opera di Galilei e la successiva sintesi newtoniana portarono alla formazione di un legame tra la filosofia naturale, la matematica e la storia della natura, erano connesse a una trasformazione istituzionale altrettanto importante: la nascita di accademie e riviste scientifiche come sedi di discussione dei risultati delle ricerche sulla Natura. Tali innovazioni davano risposta a un’esigenza tutt’altro che agevole, nel Seicento, quella di far circolare le proprie idee. E che, rafforzandosi lungo il secolo, farà emergere una nuova istituzione, l’Accademia, una comunità indipendente dalle università e dalla Chiesa, resa omogenea dal campo di indagine, la Natura, e che qui trovava un’identità e una dimora. Tale fu l’ispirazione di Federico Cesi (1585-1630), fondatore e animatore della prima accademia scientifica italiana ed europea, l’Accademia dei Lincei istituita a Roma nel 1603. Egli affronta la questione dell’atteggiamento del potere nei confronti della scienza e dell’educazione e denuncia il carattere di inadeguatezza del modello dell’accademia di corte dove la dignità dello studioso è lesa dal legame di patronato con l’autorità. I Lincei chiedono alla Chiesa e al potere politico il rispetto della libertas philosophandi in naturalibus e si impegnano a non invadere il campo proprio della politica e della teologia, pur consapevoli della dimensione ‘politica’ dell’attività scientifica per l’influenza che esercita sulla intera vita civile, e senza astenersi dal contribuire a sciogliere il rapporto di subalternità esistente tra ricerca scientifica e magistero della fede. Nello schierarsi a difesa di Galilei essi non intesero offendere il sentimento religioso bensì riaffermare la distinzione di piani. Nella visione lincea, infatti, la coerenza con i principi del cristianesimo nell’interpretazione delle Sacre Scritture non era lesiva della dignità della ragione umana e si accordava con equilibrio all’evidenza dell’osservazione sperimentale.

    La pubblicazione, nel 1543 a Norimberga, del De revolutionibus di Nicolò Copernico segna la fine del Medioevo e la data di inizio della modernità. La teoria eliocentrica dell’astronomo polacco determinava, secondo Koyré “il crollo di un mondo creato intorno all’uomo e per l’uomo […] il crollo della gerarchia”. Una visione del mondo, comune a cattolici e protestanti, veniva cancellata; e con essa, il sistema cosmologico aristotelico-tolemaico. La sua portata dirompente sul piano metafisico e in ambito scientifico si sarebbe sviluppata solo qualche decennio più tardi, in particolare negli scritti di Giordano Bruno e nell’opera scientifica di Galilei. Ragioni di natura scritturistica avevano comunque suscitato critiche da parte di Filippo Melantone (1497-1560), anche se l’avviso al lettore, inserito come premessa nel De revolutionibus dal pastore luterano di Norimberga Andreas Osiander aveva, secondo alcuni studiosi, proprio lo scopo di prevenire le reazioni dei filosofi aristotelici ma soprattutto le critiche dei teologi riformati. Da parte cattolica le critiche al De revolutionibus non furono ostili, registrando, in qualche caso, un’accoglienza addirittura favorevole da personalità eminenti che ne sostennero la pubblicazione, quali il canonico Tiedemann Giese divenuto, poi, vescovo di Chelmo. Il silenzio della Chiesa su Copernico, durato fino al 1616, fu determinato anche da fattori contingenti: Bartolomeo Spina (1475-1526), il Maestro del Sacro Palazzo incaricato da Paolo III di esaminare l’opera, era orientato a condannare il De revolutionibus ma la sopravvenuta morte lo avrebbe impedito. Il suo successore nell’incarico trascurò la questione; il pontefice stesso e la Chiesa tutta erano immersi nella temperie politico-religiosa determinata dallo svolgimento del Concilio di Trento (1545-1563) e dalle guerre europee in atto. La figura di maggior rilievo tra i sostenitori della teoria copernicana fu Giordano Bruno (1548-1600). La sua adesione alla teoria eliocentrica e la critica della concezione aristotelico-tolemaica, rappresentarono la base di una speculazione di natura filosofica che ha nella pluralità dei mondi e possibili abitanti, e nell’universo infinito (De l’infinito, universo e mondo, 1584) gli approdi dalle implicazioni teologiche profonde. Suddette concezioni investirono il problema della salvezza, l’estensione spaziale del sacrificio di Cristo e il carattere della redenzione. Tali argomenti costituiranno il nucleo delle accuse durante il processo cui fu sottoposto e conclusosi con la condanna, eseguita il 17 febbraio 1600. La vicenda di Bruno influirà senza dubbio nelle questioni relative alla controversia copernicana al tempo di Galilei.

    Nel 1610 a Venezia, Galileo Galilei (1564-1642) presentava le prime scoperte astronomiche nel Sidereus Nuncius, con le osservazioni sulle traiettorie dei satelliti di Giove, confermando le ipotesi copernicane. Il viaggio a Roma del 1611 segna l’apice del successo di Galilei: allaccia rapporti con i matematici della Compagnia di Gesù al Collegio romano, ottiene l’udienza dal papa Paolo V (1605-1621) e viene ammesso all’Accademia dei Lincei. Non mancarono critiche dall’ambiente aristotelico, ma di natura ideologica, estranee ad una valutazione scientifica dei risultati galileiani. La questione della coerenza con le Sacre Scritture, sollevata in ambito filosofico, avrebbe allargato la polemica alla sfera teologica. Il tema della compatibilità del nuovo sistema cosmologico fu affrontata direttamente da Galilei in due lettere: nel 1613, al monaco benedettino Benedetto Castelli (1578-1643), suo allievo, e nel 1615 a Cristina di Lorena, allo scopo di chiarire la relazione tra verità scientifica e verità creduta per fede. Nei due scritti, lo scienziato precisa la visione del rapporto tra Sacra Scrittura e Natura ed enuncia quel principio di autonomia dello studio della Natura che sarebbe diventato uno dei cardini della ricerca scientifica moderna. Il domenicano Niccolò Lorini (1544-1617 ca.), punto di riferimento dei circoli antigalileiani fiorentini, inviò una copia della lettera a Castelli alla Congregazione dell’Indice che trasferì le carte al Sant’Uffizio, ove si decise di avviare una pratica istruttoria. Nel 1615 il domenicano fiorentino Tommaso Caccini, depose al Sant’Uffizio contro le tesi eliocentriche di Galilei, perché contrarie alle Sacre Scritture. Di parere favorevole alle nuove scoperte era il teologo carmelitano Paolo Antonio Foscarini (1565-1616), che nel 1615 pubblicava un trattato: Sopra l’opinione dei pitagorici e del Copernico in cui sosteneva, invece, la compatibilità scritturistica con il sistema copernicano. Il 19 febbraio 1616 si concluse quello che impropriamente viene definito il primo processo a Galilei. In realtà venivano condannate all’unanimità le due proposizioni sul sistema copernicano, ossia: che il Sole sia il centro del mondo et per conseguenza imobile di moto locale; che la Terra non è centro del mondo, né imobile, ma si muove secondo sé tutta, etiam di moto diurno. Il cardinale Bellarmino (1542-1621) fu incaricato di ammonirlo a non seguire più le nuove teorie. Tale monito, benché atto privato, ebbe un ruolo rilevante nel processo del 1633, istruito in seguito alla pubblicazione del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), allorché vi si riconobbe l’esposizione del copernicanesimo e la chiara violazione dell’ammonimento del gesuita. Il divieto dell’eliocentrismo sarebbe durato fino al 1820. É necessario precisare che l’azione censoria della Congregazione dell’Indice fu meno aggressiva di come è stata rappresentata, pur restando il carattere di negatività. Tra il 1542 e la fine del XVIII secolo in totale furono proibite le opere di 130 autori di scienza. Ad un’analisi approfondita emerge che “nessuna proibizione di contenuti scientifici venne dalle regole dell’Indice, ma tutte dall’obbligo di congruità fissato dalla Apostolici Regiminis (1513)” (Baldini).

    Le tensioni presenti nell’ambito della ricerca astronomica sono del tutto assenti negli altri campi della fisica, dove la produzione, fino alla fine del Seicento, pur di livello non elevato, sarà cospicua e impegnerà nei settori più matematizzati i laici, mentre l’ottica fisica, l’acustica, l’elettrologia, la magnetologia, saranno presidiati da religiosi. Nel campo della botanica il lavoro di alcuni monaci benché collegato ad ambienti universitari restava circoscritto alla tradizione dell’erborismo di ambito monastico. Il movimento di riscoperta e reinterpretazione dei testi originali della matematica e della geometria greca che ebbe luogo nel XVI secolo costituirà la base di profonde rivoluzioni concettuali nel secolo successivo. Il 1575 segna l’inizio di quel processo nel quale occupano un posto di assoluto rilievo l’opera di Bonaventura Cavalieri (1598-1647) e del gesuita Luca Valerio (1553-1618). Nel De centrum gravitatis solidorum (1604), Valerio affrontava e risolveva il problema di determinare il centro di gravità di tutti i solidi allora conosciuti. Un risultato che gli valse la stima di Galilei. La sua lezione metodologica sarà raccolta da Cavalieri, dell’Ordine dei Gesuati, nella Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota (1635). Con la loro opera, i due matematici contribuirono a creare il contesto concettuale da cui sarebbe nata la matematica moderna. Frutto del clima avverso alla libera speculazione cosmologica ma che incoraggiava quella ricerca scientifica che non metteva in discussione la visione geocentrica fu l’Almagestum novum (1651) del gesuita bolognese Giovanni Battista Riccioli (1598-1671), in cui lo studioso riportava con equilibrio gli argomenti a favore e contro l’eliocentrismo. Interessato alla dimensione sperimentale del lavoro di Galilei, elaborò un programma di ricerca sulle leggi che riguardavano la caduta dei gravi e le traiettorie paraboliche. Va invece collocata nell’ambito della ricca produzione di lavori sperimentali sulla natura della luce e delle sue proprietà fisiche l’opera del gesuita Francesco Maria Grimaldi (1618-1663). Allievo di Riccioli, in un trattato pubblicato postumo, Physico-mathesis de lumine, coloribus et iride (1665), descrisse una nuova proprietà della luce: la diffrazione.

    Un capitolo a parte costituisce la vicenda della ricezione in Italia del calcolo leibniziano, ‘il calcolo sublime’, che vide in posizione di assoluto rilievo scientifico personalità quali l’olivetano Ramiro Rampinelli (1697-1759), allievo di Magini, docente nei collegi religiosi di Roma, Pavia, Bologna, Brescia e Milano. Guido Grandi (1671-1742), camaldolese, tra gli esponenti più significativi dell’intera cultura italiana del primo Settecento, insegna a Pisa il calcolo differenziale e integrale; a lui si deve il primo scritto italiano di analisi, il De quadratura circuli et hyperbolae (1730). A Bologna, al Collegio di Santa Lucia, insegna il gesuita Vincenzo Riccati (1707-1775), che pubblicherà con l’allievo Gerolamo Saladini le Institutiones Analyticae (1765-1767), in due volumi; summa delle conoscenze di analisi dell’epoca. In fisica vi fu, ad esempio tra i gesuiti, una accettazione quasi immediata della meccanica galileiana-torricelliana, applicata e sviluppata per casi particolari da Confalonieri, Zucchi, Bettini, Grassi, Riccioli, Casati P., Boldigiani, Ceva, Borgondio, Boscovich. In tutt’altro ambito è significativa la figura del cardinale Michelangelo Ricci (1619-1682), attraverso la quale è possibile seguire quella che dovette essere la ricezione di temi e metodi della scienza galileiana da parte delle personalità più aperte dell’ambiente della curia romana. Attraverso i contatti con la comunità dei frati minimi francesi esistente a Trinità dei Monti, presso cui soggiornarono matematici quali Mersenne e Nicéron, fu da questi introdotto agli sviluppi recenti dell’algebra e della geometria analitica, svolgendo a sua volta il ruolo di trait-d’union tra la ricerca italiana più avanzata e i circoli scientifici parigini.

    Illuminismo. Il Diciottesimo secolo, l’età dei Lumi, si caratterizza principalmente come l’epoca in cui si afferma in modo stabile e definitivo la nuova mentalità scientifica, cioè la fiducia nell’utilità pratica della scienza. Esso vide, altresì, il dislocarsi permanente del centro della produzione del sapere e dell’innovazione, della conoscenza della Natura, dall’Italia ai paesi dell’Europa del Nord, e quindi da un ambito culturale in prevalenza cattolico a uno prevalentemente protestante. Sul piano metodologico, le indagini privilegiano l’approccio sperimentale su quello dell’osservazione. Su un versante più specifico la grande sintesi newtoniana dei Principia (1687) e dell’Opticks (1704), aprirà agli studiosi settecenteschi di filosofia naturale nuovi problemi fisici e metodologici. Le accademie, le società di studiosi, acquistarono il carattere di sedi stabili di discussione e valutazione dei risultati delle ricerche presentate dagli associati o svolte in altre sedi. Le scuole superiori e le Università diventano il luogo in cui si concentra progressivamente l’elaborazione e lo sviluppo delle conoscenze. Opera simbolo di questa stagione culturale fu l’Encyclopédie, diretta da Jean Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783) e finalizzata a svolgere una funzione di sintesi e divulgazione. Le polemiche e gli attacchi suscitati dall’iniziativa editoriale ebbero in comune il medesimo obiettivo: lo spirito antidogmatico e la polemica, degli enciclopedisti, contro le religioni rivelate. Un atteggiamento che avrà il suo esito nella condanna di Clemente XIII (1758-1769).

    In Italia, il clima di riforme innescato dal movimento dei Lumi avrà nel papato di Benedetto XIV (1740-1758) un interlocutore colto e sensibile alle istanze dei circoli più avanzati della cultura italiana ed europea. Frutto di questa nuova sensibilità sarà la riedizione delle opere di Galileo a Padova. Sempre in Italia, la Compagnia di Gesù si segnala per l’impegno e il livello tra i più avanzati della ricerca fisico-astronomica condotta al Collegio romano, in quello di Brera, a Milano e a Bologna; più in generale, l’atteggiamento degli scienziati gesuiti, i quali non aderiranno alle letture materialistiche dei risultati della scienza dell’epoca, ma si opporranno, altresì, all’identificazione che un certo cattolicesimo porrà tra quelle posizioni ideologiche e attività scientifica in quanto tale, contribuì, secondo Baldini, a impedire che l’opposizione a taluni sviluppi filosofici inducesse la Chiesa a isolarsi rispetto alle acquisizioni della scienza. Il risultato di questa espressione fu che alla metà del Settecento tale modo di fare ricerca si presentava con caratteri indistinguibili da quello dei “moderni”. Boscovich, Calandrelli, Lecchi, Cetti, Ximenes operano secondo standard del tutto adeguati all’epoca; è l’approdo di un percorso in cui gli scienziati della Compagnia avevano agito da traino più che da freno. In tale ambito si colloca la figura e l’opera del gesuita Lazzaro Spallanzani (1729-1799), le cui ricerche naturalistiche nel campo della generazione spontanea furono raccolte nel Saggio di Osservazioni Microscopiche sul Sistema della Generazione de’ Signori di Needham e Buffon (1765). Di carattere pioneristico anche i suoi esperimenti sulla fecondazione artificiale esposti nelle Dissertazioni di fisica animale e vegetale (1780). Un ruolo non secondario nello sviluppo della scienza sei-settecentesca fu quello svolto dalle accademie scientifiche animate da vescovi, ma soprattutto abati, come Celestino Galiani (1681-1753) a Napoli e l’abate Girolamo Sampieri a Bologna. L’intensa attività di promozione e dibattito su temi scientifici darà frutti di grande portata tra cui la nascita dell’Istituto delle Scienze (1711) apice organizzativo della scienza italiana del primo Settecento; alla cui realizzazione diede un contributo decisivo Prospero Lambertini, prima come arcivescovo di Bologna poi come papa.

    Ottocento. Nell’epoca segnata dal passaggio dall’età romantica alla società industriale, il campo della conoscenza, cioè di quel complesso di linguaggi utilizzati per descrivere i fenomeni, si presenta con caratteristiche che non consentono “se non al prezzo di forzature, di tracciare confini netti tra argomenti filosofici e argomenti scientifici” (E. Bellone). Un dato, questo, rilevabile in molte pagine di filosofi in cui l’argomentazione filosofica rinvia a conoscenze sullo stato reale di discipline scientifiche. E’ il caso di personaggi quali Ernst Mach, Pierre Maurice-Marie Duhem o Henry-Louis Bergson, in cui la speculazione teorica è radicata in saperi concernenti la meccanica analitica, la termodinamica e la biologia. Scoperte fondamentali sulla struttura della materia suscitano dispute circa la plausibilità di concezioni materialistiche della Natura e gran parte dell’elaborazione darwiniana rinvia alla “possibilità di ricondurre il mondo dei valori alla biologia” (E. Bellone). Le concezioni meccanicistiche della Natura che già Newton indicava come ostacoli per la conoscenza dell’Universo, vengono erose da teorie che emergono durante l’Ottocento. Viene incrinata alle fondamenta la descrizione del mondo come di un meccanismo ad orologeria. La dimensione storica, in termini di evoluzione viene introdotta in astronomia grazie a filosofi come Kant, fisici matematici come Pierre-Simon de Laplace e astronomi come William Herschel. Un processo analogo, ad opera di Jean-Baptiste Lamarck e Jean-Baptiste Fourier, attraversa il regno del vivente e la termodinamica in cui vengono integrate la dimensione storica e l’elemento trasformistico osservabili sia nei processi termici che in ambito biologico. Emerge, con Ludwig Boltzmann, la nozione di quantum sia nell’ambito della teoria cinetica dei gas che negli studi sui sistemi irreversibili. Da tale matrice scientifica e filosofica, su cui si fonda l’interpretazione del mondo ottocentesca, nascerà senza significative cesure metodologiche e di continuità, la cultura del Novecento.

    La scienza italiana, fatta eccezione per alcuni contributi di rilievo nel campo della matematica e più limitatamente nell’astronomia, resterà estranea a tali cambiamenti. L’assenza di uno stato nazionale e la fragilità politica e culturale delle sue èlites perpetueranno a lungo tale condizione di marginalità che avrà riflessi severi in ogni campo della vita culturale civile. Pur con tutte le debolezze e ritardi va comunque distinto il caso delle culture lombarda e piemontese e, in qualche misura, toscana che seppero, attraverso un rapporto diretto fra lo sviluppo sociale e politico, ricerca scientifica e diffusione del sapere tecnico, mantenersi al passo con il progresso culturale e civile della società europea del XIX secolo. Emblematica, in tal senso, è l’opera e la figura di Francesco Maria Denza (1834-1894), barnabita, allievo di Secchi al Collegio romano, operò presso il Real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri, in Piemonte; fondatore della meteorologia italiana moderna. Un segno di tale peculiare vivacità furono le Riunioni degli Scienziati Italiani che tennero, a Pisa, su iniziativa di Carlo Bonaparte, principe di Canino, la prima di queste assise, nel 1839; e, poi, con cadenza annuale, fino al 1847. Tali consessi, sull’esempio di analoghe iniziative svoltesi in Inghilterra, in Francia e in Germania, esprimevano un’esigenza connaturata alla scienza moderna: la libera circolazione delle idee e lo scambio di opinioni tra studiosi delle medesime discipline. Ciò mancò negli Stati pontifici dove, agli scienziati, fu vietata la partecipazione a tali riunioni e, quindi, la condivisione di un altro importante processo costituito dallo scambio di esperienze e informazioni, e da imprese comuni con la realtà scientifica e tecnologica transalpina.

    Tale stato di cose fu accompagnato da un tentativo della Chiesa di dar luogo a un aggiornamento culturale caratterizzato da scelte di apertura alla scienza, ma sotto il controllo delle gerarchie ecclesiastiche e in una precisa funzione apologetica. Gli obiettivi dichiarati di tale programma culturale erano il contrasto del materialismo illuminista e l’innesto della teologia cattolica nella cultura della nascente società industriale, che aveva nella scienza positiva uno dei cardini fondamentali. Combattere la scienza con la scienza, affermava l’abate rosminiano Antonio Stoppani (1824-1891), geologo e paleontologo, cioè le conseguenze filosofiche della scienza, considerate inaccettabili, con un’assunzione priva di remore dei risultati e dei metodi della scienza del tempo. Il più tenace esecutore di tale programma fu il cardinale Luigi Lambruschini (1776-1854), Segretario di Stato, proveniente da una congregazione, quella dei barnabiti, pur ricca di tradizioni scientifiche. Ma è all’istituzione della cattedra di fisica sacra e astronomia alla “Sapienza”, nel 1816, affidata da Pio VII (1800-1823) all’abate Feliciano Scarpellini (1762-1840), che va collocata l’origine di tale programma apologetico e culturale nei confronti del pensiero scientifico moderno. Con questo atto, unitamente alla rinascita dell’Accademia dei Lincei (1801), aperta ai professori della Gregoriana e della “Sapienza”, la Chiesa conferiva uno statuto istituzionale alla ricerca scientifica. Tali tentativi di conciliare le Scritture con le nuove ipotesi scientifiche, etichettato come ‘concordismo’, sarebbero naufragati di fronte al darwinismo e alla sua incompatibilità con la rivelazione. L’atto, comunque, più rilevante nell’ambito del processo di adeguamento della Chiesa cattolica alla cultura moderna fu l’esclusione (1825) dall’Indice delle opere di Galilei da parte di Leone XII (1823-1829), che seguiva la determinazione del Sant’Uffizio di non negare più la licenza di pubblicazione a opere di ispirazione copernicana. Insieme a Stoppani è da segnalare la figura e l’opera del padre gesuita Angelo Secchi (1818-1878), che per l’originalità dei suoi lavori fu uno dei più importanti astronomi e astrofisici d’Europa. La sua opera si colloca nella migliore tradizione astronomica della Compagnia di Gesù al Collegio romano; e la sensibilità e apertura verso gli aspetti filosofici e metodologici circa la natura della conoscenza scientifica fanno di Secchi una figura peculiare all’interno della stessa comunità astronomica italiana. Egli fu, senza dubbio, tra i rappresentanti più significativi di una corrente di pensiero che vide in Europa “un’interpretazione spiritualistica allearsi audacemente alla metodologia induttiva del contemporaneo pensiero positivista” (Redondi).

    La vicenda biografica e scientifica di Secchi e Stoppani, strettamente intrecciata con la temperie politica e ideologica dell’Italia di quel tempo, rende icasticamente la complessità e disomogeneità del ruolo della Chiesa cattolica e dei religiosi scienziati, delle Congregazioni di appartenenza e delle loro proprie modalità di azione e proiezione esterna, dei processi di resistenza o adattamento alle mutate condizioni politiche, istituzionali e sociali dell’Europa cattolica, nell’arco temporale segnato dalla Rivoluzione scientifica alla definitiva integrazione delle sue acquisizioni nel pensiero cattolico moderno. Si è detto ampiamente della parte svolta dalla Compagnia di Gesù e del profilo decisamente frastagliato, che le ricerche più aggiornate presentano in ordine a una lettura tradizionale solo coercitivo-repressiva che i suoi religiosi avrebbero svolto lungo il corso della modernità; si evidenzia un contesto poliparadigmatico testimoniato anche dalla partecipazione degli scienziati religiosi ai nuovi costumi della comunità intellettuale. Le infrastrutture scientifiche di cui sono dotati i collegi e gli studia degli ordini, furono aperti ad accogliere anche laici. Fu il caso del galileiano Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679), in difficoltà economiche, accolto dai padri scolopi nella loro casa generalizia, presso la chiesa di S. Pantaleo a Roma, dove insediò un’accademia di matematica in aggiunta ai corsi regolari in cui già si insegnavano la geometria euclidea e la meccanica galileiana; e donò ai padri la sua biblioteca personale e i propri strumenti scientifici. Tra tutte le congregazioni religiose insegnanti, solo gli scolopi di S. Giuseppe Calasanzio (1557-1648) prevedevano uno spazio riservato alla didattica della matematica nelle cosiddette scuolette per i poveri; e la creazione della scuola matematica scolopica, sorta a Firenze nel 1638 e diretta dal padre Clemente Settimi (1612-?), maestro di Vincenzo Viviani (1622-1703), pur mancando risultati degni di rilievo segnò tuttavia l’identità della congregazione, radicandovi una sensibilità per la ‘nuova’ scienza che nel lungo periodo finì per incidere anche a livello normativo preparando il terreno per quella saldatura durevole tra erudizione e scienza che, tra Sei e Settecento, caratterizzerà le congregazioni regolari più attente. Domenico Chelucci (1681-1754) e Odoardo Corsini (1702-1765), entrambi procuratori generali dell’ordine, si segnalano, il primo per l’introduzione dell’analisi nei manuali per le scuole (Institutiones arithmeticae, 1733); Corsini per l’antidogmatismo e l’eclettismo nella filosofia naturale caratterizzante l’insegnamento nelle scuole scolopie (Institutiones philosophicae ac mathematicae ad usum Scholarum Piarum, (6 voll. 1731-1734).

    Nel caso dei barnabiti, i chierici regolari di S. Paolo Decollato, la figura di assoluta eminenza è quella di Paolo Frisi (1728-1784), fisico, matematico, astronomo e idraulico. Benché la sua vicenda intellettuale si svolga in una fase della vita della congregazione segnata dall’orientamento antinewtoniano e, in generale, avverso alle idee illuministe, di Giacinto Sigismondo Gerdil (1718-1802), egli fu l’esponente più lucido dell’illuminismo scientifico lombardo. Fortemente eccentrico rispetto al suo ordine e con una decisa propensione mondana, esercitò un’influenza profonda sia come didatta, orientando la filosofia insegnata dai barnabiti alle Arcimbolde (dal 1753) da un eclettismo aristotelico-cartesiano verso una fisica matematica e sperimentale, sia come consulente del governo asburgico per la riforma dell’istruzione e delle professioni scientifiche nelle cui scuole si formò quel nucleo di scienziati barnabiti che opererà nell’Italia del nord. La vastità e il livello della sua opera lo porranno in relazione, durante un viaggio in Francia e Inghilterra, con d’Alembert, D. Diderot, C.A. Helvétius, G.-L. Leclerc de Buffon a Parigi, e D. Hume, e B. Franklin a Londra. La sua opera maggiore è la Cosmographia physica et mathematica (I-II, Milano 1774-75).

    Gli scienziati presentati costituiscono solo le tracce di una trama ben più fitta e estesa che ha segnato con caratteri chiaramente progressivi gli sviluppi di alcune discipline scientifiche. In alcuni, quali la meteorologia e l’astronomia, tale ruolo ha portato alla creazione di infrastrutture tecnico-scientifiche, ancor oggi operanti, che hanno collocato l’Italia in posizioni di preminenza nel contesto europeo, dando una manifestazione concreta del grado elevato che la presenza religiosa ha saputo esprimere.

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    Immagine: Antonio Zanchi, Abramo insegna l’astrologia agli egizi.


    LEMMARIO