Soppressioni – vol. I

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    Autore: Emanuele Boaga †

    Con il termine di s. (= s.) si intende la chiusura di un istituto religioso o case di esso attuata sia per intervento della legittima autorità ecclesiastica, sia per l’azione autoritaria e unilaterale del potere civile, dai signori feudali e dalle magistrature delle città medievali fino agli Stati moderni.

    Le s. dovute a decisioni di autorità interne dello stesso istituto religioso o dalla Santa Sede presentano sempre come prima e fondamentale motivazione la decadenza e non osservanza della disciplina regolare, e la impossibilità di continuare o di una ripresa, nonché le circostanze particolari che conducono a sopprimere e unire o a fondere un istituto in un altro simile. Oltre ai motivi canonici e disciplinari a volte si registra, soprattutto in epoca moderna, anche un’influenza di elementi di indole sociale, politica ed economica.

    Le s. invece attuate da singole autorità civili o dagli Stati moderni, che si esprimono in modo spesso assai più radicale di quelle ecclesiastiche, si basano su una complessità di motivazioni, da quelle di ordine economico a quelle sociali del rapporto della società civile con la Chiesa e la Religione, e in particolare nel periodo moderno dalla scarsa o nessuna stima per la vita religiosa – considerata inutile e dannosa e anche superflua e non controllabile – e infine dagli influssi del giansenismo e dell’anticlericalismo liberale.

    La quantità di questi connesse con le s. religiose rende impossibile trattarle ed analizzarle tutte nel breve spazio loro riservato nel Dizionario. Per questo si sceglie di offrirne un’essenziale panoramica, rimandando alle opere generali e ai singoli studi specifici su di esse indicati nella bibliografia.

    Soppressioni operate dalla S. Sede. Le s. effettuate per iniziativa esclusiva dalla S. Sede, o d’accordo con le autorità civili oppure su loro richiesta, sono numerose. Quando i tempi portarono la separazione tra Stato e Chiesa esse invece diminuirono assumendo sempre più il loro carattere disciplinare.

    Gran parte delle s. nel medioevo vanno collocate nel contesto della preoccupazione della S. Sede nel frenare il proliferare di nuovi ordini con le chiare misure adottate dal Concilio Lateranense IV (1215) e da quello di Lione II (1274), per motivi non solo di ordine religioso, ma anche per problemi di ordine sociale e per l’emergenza di movimenti dottrinali che si sottraevano all’obbedienza della Chiesa. Per il noto caso della s. dei Templari (1312), che avevano case anche in Italia, entrano in gioco questioni più politiche che religiose, che mettono in rilievo la sudditanza di papa Clemente V a Filippo il Bello, re di Francia.

    Si può anche brevemente accennare che nel medioevo e prima del Concilio di Trento non mancarono casi di s. di monasteri decretate da vescovi o signori feudali, spesso per motivi economici o per affermare ancor più la propria autorità sul territorio. Nel corso del secolo XVI i casi di s. vengono sempre più risolti e decretati dall’autorità della S. Sede, fino a divenire l’unica competente in materia. Ciò permette tutta una vasta azione nell’applicazione dei decreti tridentini per la riforma della vita regolare che si ispira ai criteri del diritto canonico, e al particolare concetto di vita religiosa (con identificazione della vita regolare con gli atti comuni) che guida la restaurazione e la chiusura di conventi maschili e femminili.

    In questo contesto si nota che l’azione promossa dai papi per il rinnovamento della vita dei religiosi, porta a vari tipi di s.. Prima di tutto, riguardo alla vita monastica femminile, c’è l’intervento di Pio V che con la bolla Circa pastoralis del 1566 sopprime tutte i monasteri in cui le religiose non emettono voti solenni e non osservano la clausura tridentina. Vi è poi, per l’opposizione che facevano alla riforma promossa da san Carlo Borromeo e all’attentato fatto alla sua vita, la s. degli Umiliati decretata dallo stesso Pio V con due brevi del 1571. Nel novembre dell’anno seguente Gregorio XIII sopprimeva l’Ordine di San Lazzaro e, d’intesa con il duca Emanuele Filiberto, designava i beni dei suoi conventi soppressi in Savoia e Piemonte all’Ordine di S. Maurizio. Ancora per indisciplina, decadenza spirituale e resistenza alla S. Sede avveniva la s. dell’Ordine dei Santi Ambrogio e Barnaba nel 1643, mentre Innocenzo X, considerandone l’esiguità del numero dei membri e l’impossibilità di sviluppo, sopprimeva nel 1651 i Preti del Buon Gesù di Ravenna.

    Nell’immediata fase post-tridentina vi furono inoltre numerose s. di istituti religiosi e la loro conseguente unione o fusione con altri istituti similari. Sono i casi del Terz’ordine regolare unito con beni e persone agli Osservanti (1568), dei Florensi uniti ai Cisterciensi (1570), dei Conventuali riformati uniti ai Conventuali o ai Cappuccini o ad altre famiglie francescane (1626). Tra questi casi il più noto è la s. della congregazione camaldolese di Fonte Avellana, decretata il 10 dicembre del 1569 da Pio V con la bolla Quantum animus noster. Però più che un provvedimento di riforma si tratta in sostanza dell’unione di Fonte Avellana con il resto dei Camaldolesi, coronando così i falliti tentativi precedenti di quest’ultimi nel 1517 e nel 1530. Inoltre nel provvedimento hanno giocato un ruolo notevole anche gli interessi nel difendere e tutelare il patrimonio della commenda e il liberarsi di alcuni obblighi verso l’Abbazia Avellanita da parte del Card. Giulio Della Rovere.

    Vi è poi da segnalare nel 1579 la chiusura di alcuni conventi di Camaldolesi in Italia dato il loro numero esiguo di membri e l’eccessivo numero di abati titolari. Nelle decadi seguenti si ebbero altre chiusure di conventi di Carmelitani, Agostiniani e di altri Ordini Mendicanti iniziando tra Cinque e inizio Seicento a frenare il dilagante fenomeno dei piccoli conventi sparsi sul territorio italiano e delle isole adiacenti. Le motivazioni che sostenevano queste s. erano soprattutto di natura giuridica, le conseguenze del concetto tridentino sulla vita regolare dei religiosi, e le rimostranze contro i Mendicanti da parte dei vescovi di singole diocesi. Ciò giunse al culmine con l’esito drammatico della s., decretata da Innocenzo X nel 1652 e attuata dalla S. Congregazione Sopra lo Stato dei Regolari, dei piccoli conventi o conventini. In seguito da tale decisione venne attuata la chiusura di 1513 conventi maschili, cioè di un quarto di quelli allora esistenti.

    L’ispirazione fondamentale di questo provvedimento è da riporre non tanto, come ritengono ancora alcuni storici, nell’accertamento diretto di una diffusa rilassatezza morale presso i religiosi, bensì, come ormai appare chiaramente dall’attento studio delle fonti, da una serie di motivazioni disciplinari e materiali, oltre che giuridiche e pastorali intese alla soluzione radicale dei problemi posti dalla situazione creatasi specialmente negli Stati italiani alla fine del secolo XVI e durante la prima metà del secolo XVII a causa dell’esistenza di numerosissimi piccoli conventi e la larga diffusione di grange nelle zone rurali. Tale situazione creava non pochi problemi nelle strutture interne degli Ordini religiosi e nelle loro relazioni con l’autorità diocesana, nonché poneva nuovi interrogativi circa il modo con cui era concepito l’ideale della vita religiosa in quel tempo e destava al tempo stesso preoccupazione.

    Inoltre influenzarono non poco il provvedimento innocenziano anche cause sociali ed economiche legate all’incremento numerico dei religiosi e al largo diffondersi dei vari istituti religiosi antichi e moderni. Inoltre vi sono altre complicazioni, tra cui quelle derivanti da un diffondersi della diminuzione della considerazione dei religiosi in ambienti curiali e diocesani, ed anche da aspetti giurisdizionali legati all’avvertito bisogno nelle diocesi di rafforzare la figura del vescovo nei confronti di tutte le realtà esistenti nel rispettivo territorio e specialmente verso i religiosi esenti, e alla necessità di rafforzare o organizzare meglio la cura pastorale cittadina e rurale, con tutta una rete di cappellanie e parrocchie, unitamente al problema di come disporre dei mezzi adatti per erigere e sostenere i seminari per la formazione del proprio clero, cosa che si rendeva possibile applicando ad essi e ad altre opere pie i beni dei conventi soppressi. In definitiva, la s. innocenziana costituisce uno degli atti che, nel periodo post-tridentino, ha avuto notevole o determinante influsso non solo sulle condizioni degli Ordini religiosi ma anche riflessi nella vita religiosa, politica ed economica degli Stati italiani. Infatti non mancarono reazioni contrarie alle s. da parte della Serenissima Repubblica Veneta, del Granducato di Toscana e del Regno di Napoli.

    Tra le altre s. decise dalla Santa Sede e avvenute nel Sei e Settecento, si possono infine ricordare quelle di conventi i cui beni vennero messi a disposizioni della Repubblica Veneta nella guerra contro i Turchi. É il caso delle due s. del 1656 e 1668, che coinvolse a Venezia i Crociferi e i Canonici Regolari di S. Spirito, i Gesuati, i Canonici Regolari di S. Giorgio in Alga, e gli Eremiti di S. Girolamo di Fiesole, nonché il via libero a completare in territorio veneto la s. dei conventini voluta da Innocenzo X nel 1652.

    Nel 1751 su iniziativa della S. Sede si realizzò la s. degli Eremiti di S. Maria di Colloreto, anche se il nunzio non poté evitare l’intervento del governo del Regno di Napoli con un editto di soppressione parallelo a quello pontificio.

    Nel 1772 avvenne la s. della piccola comunità degli Oratoriani di Spello (Perugia) e infine la notissima s. dei Gesuiti, decretata da papa Clemente V con il breve Dominus ac Redemptor del 12 luglio 1773.

    Soppressioni decretate dalle autorità civili e dagli Stati italiani. Queste s. riflettono molto i poteri e i concetti giuridici che nelle varie epoche venivano applicate all’autorità e al governo civile. Senza entrare nell’esame delle varie dottrine che giustificavano gli interventi civili e statali (cf. ad es. Marsilio da Padova, U. Grosso con la teoria della comunità, il giurisdizionalismo, l’assolutismo, l’illuminismo, il liberalismo), si può ricordare al riguardo che soprattutto in epoca moderna le modalità di applicazione di queste teorie portava gli Stati a varie forme di legislazione con misure ristrettive sulla vita religiosa (divieto di accettare novizi, limitazione del numero di conventi, divieto di nuove fondazioni, espulsione dei religiosi esteri, limitazione delle attività dei religiosi concorrenziali allo Stato e limitazione della loro presenza al mero culto nelle chiese); vi era poi lo sviluppo di una legislazione fiscale che rendeva difficile l’esistenza delle case religiose, e obbligava per la loro esistenza l’autorizzazione civile, fino a giungere alla legislazione per la totale soppressione delle corporazioni religiose e dell’incameramento dei loro beni da parte dello Stato.

    Nel medioevo le ingerenze di principi e sovrani nella vita religiosa furono numerose, spesso con secolarizzazione di singole abbazie formalmente approvata dalla Curia romana. Un aspetto, che andrebbe approfondito per le s. in epoca medievale, è in rapporto alla nascita dello spirito laico la politica dei magistrati cittadini verso le istituzioni ecclesiali. Inoltre, un esempio tipico di ingerenza in campo ecclesiale è il caso della ricordata s. dei Templari.

    Nel passaggio dal medioevo agli sviluppi dell’epoca moderna nel Seicento, fatta eccezione per qualche caso particolare, le misure ristrettive per la vita consacrata e la s. di conventi o di Ordini e Congregazioni religiose risultano in pratica come applicazione di una politica giurisdizionalista finalizzata dai sovrani e dagli Stati moderni a un crescente controllo anche della vita interna della Chiesa. Esempi di ciò sono numerosi. Nel 1606 la Repubblica Veneta, colpita dall’interdetto di Paolo V, espulse i religiosi che osservavano detto interdetto, tra cui i Cappuccini e di Teatini, mentre calcò fortemente la mano sui Gesuiti che, espulsi dai territori veneti, vi poterono tornare solo nel 1657.

    Nel Settecento l’azione dei governi degli Stati italiani – caratterizzati dall’assolutismo e anche per influenze illuministe e gianseniste – nel rapporto con la vita religiosa si concentrarono su varie forme di persecuzione, espulsione e scioglimento della Compagnia di Gesù, collaborando così con altre potenze straniere, nella lotta contro di essa fino ala sua formale soppressione da parte di papa Clemente XIV nel 1773.

    Nel Regno di Napoli, oltre alle misure contro i Gesuiti, si ebbe decretata direttamente dal governo la s. dei Romiti si S. Nicola di Calabria, la cui Congregazione veniva giudicata nociva alla Religione e allo Stato. Inoltre, sotto il governo di Bernardo Tanucci, negli anni 1768-74 continuarono la s. per lo più di conventi ritenuti inutili e di poca utilità pubblica, destinandone i beni ad altre opere pie.

    A Venezia, subordinando le istituzioni religiose all’utile del governo, si attuò una «riforma» dei religiosi che portò dopo il 1769 alla s. di oltre 300 conventi e all’espulsione dei religiosi esteri o stranieri.

    Nel Gran Ducato di Toscana i governi di Leopoldo Giuseppe e di Pietro Leopoldo I emisero tra il 1750 e il 1785 varie misure per regolare la vita dei religiosi, tra cui anche la s. di alcuni conventi.

    Anche negli altri Stati italiani nel periodo dell’illuminismo si ebbero s. religiose. Così nel Ducato di Milano nel 1769-80 si attuava la s. di comunità con meno di 12 membri, nonché di tutti gli ospizi e grange. Da parte loro gli Ordini religiosi aderirono all’invito del governo preparando piani di consistenza in vita della progettata riforma.

    Con la diffusione delle idee della Rivoluzione Francese, la sua legislazione antimonastica ispirò nei territori occupati dai francesi in Italia una conseguente politica avversa ai religiosi. Ciò risulta molto evidente nelle misure prese in merito nella Repubblica Cisalpina, in quelle Romana e Napoletana. A Napoli, sotto il governo di Murat, il numero dei conventi esistenti fu ridotto a un terzo. E infine nel Regno d’Italia durante il periodo napoleonico si giunse alla s. generale dei religiosi con le leggi del 1810.

    Caduto Napoleone e dopo il Congresso di Vienna, nella restaurazione attuata negli Stati Pontifici e in altri Stati italiani si ebbe un rifiorire della vita religiosa, anche se non mancarono problemi, come ad es. nella fase costituzionale degli Stati italiani del 1820-21, quando emergevano tendenze di ritorno alle idee della Rivoluzione Francese e quelle nazionaliste.

    Mentre in Sicilia nel 1848 vennero aboliti Gesuiti e i Redentoristi, nel Regno di Sardegna, che seguiva una politica sempre più ristrettiva verso la vita consacrata, già nel primo decennio del secolo si ventilava la s. di alcuni conventi per sovvenire alle necessità finanziarie della monarchia sabauda, e allo scopo si ebbero trattative con la S. Sede sulla destinazione dei loro beni. Il tutto si concluse solo con la chiusura di una diecina di case religiose e con la proibizione per alcuni istituti religiosi di ricevere novizi. In seguito, dopo l’espulsione nel 1848 dei Gesuiti nonostante il favore da essi goduto presso tre re sabaudi, la legge del 1855 sulla s. delle corporazioni religiose, non dedite alla predicazione, all’istruzione e alla cura dei malati, privò di personalità giuridica ben 17 congregazioni maschili e 13 femminili, e portò alla chiusura di 235 case religiose, coinvolgendo un totale di 5.489 tra religiosi e religiose.

    Fonti e Bibl. essenziale

    AA.VV., Soppressione, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, VIII (Roma 1988), 1781-1865. Nel corso di questa voce viene indicata un’abbondante bibliografia a carattere generale sulle soppressioni, e gli studi specifici sulle singole soppressioni.


    LEMMARIO