Spiritualità – vol. II

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    Autore: Guglielmo Cazzulani

    Tracciare, in poche righe, un quadro sulla spiritualità italiana degli ultimi centocinquant’anni è praticamente impossibile. Ci limitiamo pertanto a stendere qualche veloce pennellata. Tentando una sintesi, dovremmo probabilmente concludere che l’avvenimento macroscopico di questi decenni consiste nel progressivo manifestarsi del fenomeno dell’incredulità. Fino al secolo dei lumi – vuoi per convenzione, vuoi per intima persuasione di coscienza – era abbastanza naturale per l’uomo europeo professarsi religioso. Dalla fine del Settecento in avanti questo non capita più. Per i cristiani il problema non è più l’eresia, cioè il rapporto con altri credenti possessori di una differente visione di Dio, ma l’ateismo. Inizialmente questo confronto sarà, da una parte e dall’altra, aggressivo e bellicoso. Poi s’appianerà. La notte mistica di Teresa di Lisieux assume tonalità inedite per tutta la tradizione del Carmelo: “il velo della fede non è più un velo per me, è un muro che si alza fino ai cieli e copre le stelle”. Da lei il cristiano imparerà, se questo non offende Dio, a stare alla tavola dei peccatori, e a cibarsi del loro stesso pane di angoscia. Ma lasciando da parte questo scenario, cerchiamo di osservare i tratti salienti della spiritualità italiana, cominciando, più o meno, dal cammino che ha portato alla sua unità per arrivare fino ai giorni nostri.

    Una carità profondamente religiosa. Ad inizio Ottocento nulla pareggia la vivacità del cattolicesimo piemontese. Torino è la locomotiva industriale, politica e religiosa di tutta l’Italia. Non si fatica a cogliere qualche nome giustamente famoso di questo cristianesimo d’avanguardia: Giuseppe Cafasso, Pio Brunone Lanteri, Giuseppe Cottolengo, Leonardo Murialdo, Francesco Faà di Bruno, Giovanni Bosco. Benché le loro vicende siano diverse, si può facilmente indovinare l’elemento comune che le interseca. La vita di fede di questi precursori, alimentata da intenso fervore, produce un cristianesimo militante, fortemente sbilanciato sul lato sociale e caritativo. Diventare santi vuol dire trasformare la società: di qui il programma spirituale dell’opera salesiana, tesa a formare tanto il buon cristiano quanto l’onesto cittadino. Guai però a confondere questi giganti dell’azione con generici uomini altruisti. C’è una radice di grazia che irrora le loro intuizioni. Se ci s’impegna in favore dei carcerati, per la gioventù difficile o per i fratelli deformi è perché prima si è nutrita la propria anima. La fiducia del Cottolengo nei confronti della Provvidenza è cieca; Giovanni Bosco intesse con la Madonna Ausiliatrice un legame di totale abbandono; Leonardo Murialdo indica nella preghiera la forza più potente del mondo. È la religiosità a far da tonico e ad irrobustire le molte opere che sorgono all’ombra del campanile.

    Questo filone, che fonde armoniosamente l’orazione ardente con l’impegno sociale, diventerà presto caratteristica del cattolicesimo di tutta la penisola. L’Ottocento, e poi anche il Novecento, vede fiorire un’immensa distesa di esperienze caritative, contraddistinte da un valore “religioso”. La lista rischia di essere interminabile: Maddalena di Canossa, fondatrice delle Figlie della Carità; Gaspare Bertoni, padre degli Stimmatini; Lodovico Pavoni, uno dei più interessanti preti educatori dell’Ottocento; Gaspare del Bufalo; Vincenzo Pallotti, fondatore della Congregazione dell’Apostolato cattolico; Vincenza Gerosa e Bartolomea Capitanio, iniziatrici delle suore di Maria Bambina; Annibale di Francia; Giacomo Cusmano; Luigi Guanella, apostolo dei poveri più abbandonati; Luigi Orione; Carlo Gnocchi, uno dei preti-simbolo dell’Italia in guerra; Giovanni Calabria; Giovanni Piamarta; Giacomo Alberione, primo apostolo dei “mass media”. Si tratta di figure trascinanti, capaci di generare posterità, che rivestono anche un importante ruolo sociale. Difficile pensare alla storia dell’Italia senza passare per la loro testimonianza. Normalmente uomini e donne che hanno vissuto la consacrazione a Dio come un passo inappellabile, irrevocabile, definitivo. Da lì in avanti la loro esistenza è tessuta da una dedizione sempre più estrema a Dio e al prossimo. I settori d’apostolato frequentati da questi uomini dello Spirito sono praticamente sconfinati: poveri, infanzia abbandonata, devianza sociale, sanità, educazione… Le famiglie religiose nate da queste forti personalità imboccheranno due strade distinte. Alcune opteranno per una specializzazione di ambiti, prediligendo un particolare campo dove rendere la propria testimonianza. Altre preferiranno mantenere una fisionomia indistinta: il vero tesoro di un istituto non è l’opera che si svolge, ma il genio spirituale che l’ha motivata.

    Poche sono le novità, da un punto di vista più propriamente religioso, introdotte da questi pionieri della carità: è ancora lontana l’alba del concilio Vaticano II. La semplicità della preghiera cristiana è strozzata dal riferimento quasi anarchico a un numero di devozioni che risultano essere pressoché ingovernabili. C’è spazio per tutto: i santi sono venerati, e sono percepiti come compagni fedeli sia dei giorni felici che di quelli amari. La pietà mariana riveste per tutti un ruolo primario. Con questo non rimane offuscato il carattere cristocentrico della vita cristiana; l’amore per Gesù, contemplato nel crocifisso e adorato nell’eucaristia, è la base di ogni apostolato. Si tratta di uomini laboriosi: l’orazione funziona come pungolo per prendersi cura del prossimo. Raramente saranno religiosi fautori di restaurazione: ciò che a loro preme non è un particolare modello sociale o politico, ma il bene di chi soffre. Sposeranno per questo un’ascesi dura, che non correrà il rischio di scadere nel volontarismo. Il lavoro, l’infaticabilità, la resistenza alle avversità sono segnali di una fede genuina. Protagonisti della scena sociale italiana, ma anche capaci di combattere la propria superbia, qualcuno sospetterà si tratti di folli: il confine tra pazzia e santità a volte è proprio sottile.

    La stessa radice spirituale si può ravvedere anche nei grandi istituti missionari sorti nell’Ottocento. I nomi da ricordare, in questo caso, sono soprattutto Daniele Comboni, moderno missionario dell’Africa sub-sahariana; Giuseppe Allamano, fondatore della Consolata; Guido Maria Conforti, padre dei Saveriani; il cardinal Guglielmo Massaia, pioniere della missione in Etiopia; Angelo Ramazzotti, fondatore del P.I.M.E.; Giovanni Battista Scalabrini; e infine la santa dei migranti, degli italiani costretti a cercare fortuna in altre terre, e che diventeranno numerosissimi tra Otto e Novecento: Francesca Saverio Cabrini.

    La riflessione spirituale e l’esperienza mistica. Se nel campo dell’azione, l’Ottocento, e poi il Novecento, saranno secoli laboriosi come pochi, lo stesso discorso non si può ripetere a proposito della riflessione spirituale. Qui abbiamo molto poco, quasi nulla. Sembra che la spiritualità italiana viva di poche scontatissime novità e si limiti a ripetere un canovaccio consolidato, ritenuto ormai affidabile. Difficilmente s’incontrano autori che tentano un giudizio sul presente, e l’elaborazione di una nuova proposta spirituale. Tra i pochi possiamo forse sbalzare due soli nomi.

    Il primo è il sacerdote genovese Giuseppe Frassinetti: ad un’intensa azione pastorale, unì una solerte riflessione spirituale. Scrittore facondo, ci ha lasciato un’opera imponente, tesa a richiamare i principi della devozione cristiana. Si caratterizza per una spiritualità antirigorista, ben incanalata nel solco tracciato da sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Simpatizza per l’uomo, non lo sacrifica all’altare dei principi, cerca di illustrare la lentezza e la progressione del cammino che conduce al bene. La stessa eucaristia non verrà mai presentata come un premio riservati ai migliori, ma come il pane del cammino, che sostiene i propositi di santità di tutti, anche delle persone più fragili.

    Molto più importante è soffermarsi sul secondo nome che caratterizza l’Ottocento italiano: Antonio Rosmini. Amico di Alessandro Manzoni, in lui riconosciamo un genio assoluto del pensiero cristiano. La sua bibliografia sterminata impedisce di ricomporre in poche righe un profilo completo. Contrariamente a ciò che registriamo in tanti altri autori spirituali, nei suoi scritti non c’è la riconferma, abbastanza scialba, dei principi fondamentali della vita cristiana, ma un nuovo tentativo di incarnazione degli stessi. La fine dell’assolutismo, le nuove filosofie che s’affacciano sullo scacchiere culturale europeo, i germi di una politica che desidera la ricomposizione di un’unità per la penisola, non chiedono tanto un cammino di santità che passi solo per dei propositi più fermi di ascesi, ma un’interrogazione sui compiti che spettano al cristiano oggi, nel tempo attuale. Di quest’opera di invenzione e di utopia “Delle cinque piaghe della santa Chiesa” rimarrà il manifesto più famoso. La santità del cristiano e dell’intera Chiesa è sempre opera di riforma e chiede non solo la presenza di uomini volenterosi, ma anche di uomini illuminati, che sappiano cogliere la chiamate dello Spirito per la stagione presente.

    L’Ottocento non è un secolo fortunato nemmeno per l’esperienza mistica. In Italia (ma il fenomeno è più diffusamente europeo) non ci sono fatti significativi da segnalare. Probabilmente la situazione è impaludata, ancora incombe il pregiudizio anti-quietista; così tutto ciò che s’apparenta o solo s’avvicina all’esperienza mistica, specialmente se di natura spagnoleggiante, viene squadrato con sospetto. La vita cristiana ha più a che fare con il senso del dovere che con le grazie eminenti dell’orazione. Dalla sostanziale nebbia che avvolge per intero la penisola, emergono solo un paio di figure significative. Anzitutto Teresa Eustochio Verzeri, fondatrice dell’Istituto delle Figlie del Sacratissimo Cuore di Gesù, contemplativa sconosciuta ai più, ma che rappresenta uno dei pochi casi italiani catalogabili tra le “mistiche dell’assenza”, dove l’aspetto di oscurità nella relazione con Dio sopravanza la gioia della sponsalità. Molto più conosciuta è invece Gemma Galgani, laica toscana, prossima alla spiritualità dei passionisti. Conobbe una vita breve, molto travagliata, sia da un punto di vista umano che spirituale. Si contraddistingue per una pietà fortemente cristocentrica, segnata da sfumature emotive: la sua relazione con il mistero centrale della fede si manifesta in maniera vivida, a volte assumendo un linguaggio veemente. Nel suo cammino spirituale s’impone, poco per volta, una comprensione inedita dello scandalo dell’umanità peccatrice, meno caratterizzata dal giudizio e più dall’intercessione. Anche l’esperienza della sofferenza, così drammaticamente presente nella sua vita, riceverà poco alla volta una lettura positiva.

    Nel campo del vissuto mistico siamo però alla vigilia d’una rinascita. Ad inizio Novecento, proprio nel bel mezzo del deserto positivista, prende inaspettatamente vigore l’interesse per il lato “grazioso” e meno ascetico della vita cristiana. L’uomo si riconcilia con il suo desiderio d’infinito. Il fenomeno è dilagante e tocca buona parte dell’Europa: di lì a poco saranno fondate le prime cattedre di “teologia ascetica e mistica”. Anche l’Italia farà la sua parte: istituzioni, riviste, associazioni, centri di formazione sono il volano di questo nuovo “sentire”, che sarà caratteristico di tutto il Novecento. Molti i fatti che si potrebbero citare per delineare questo nuovo clima, ma forse ne basta solo uno. Il secolo breve registrerà un fenomeno sconvolgente, capace di incidere profondamente e in maniera duratura sulla pietà popolare: la vicenda di padre Pio da Pietralcina. La sua figura finirà al centro di aspre dispute, qualcuno ne mette in dubbio la veridicità, ma – in fondo – poco importa, il risultato da un punto di vista sociale non cambia: “vir Dei”, nell’abisso della sua persona molti avvertono un’eco della vertigine di Dio. Pochi altri avvenimenti carismatici saranno capaci di generare un movimento di preghiera e di devozione come questo.

    La santità laicale. Interessante è recensire il progressivo credito, concesso nel corso di questi ultimi decenni, alla santità laicale. Qui abbiamo a che fare con un fiume che ingrossa rapidamente le sue acque. Se ancora nell’Ottocento il cammino verso la santità è concepito come itinerario di consacrazione religiosa, che richiede una certa separatezza nei confronti del mondo, la cosa non si replicherà più negli anni successivi. I laici si muteranno in avanguardie, capaci di inoltrarsi là dove la Chiesa (o almeno la gerarchia ecclesiastica), per tanti motivi, è stata a lungo latitante. La vita sacramentale e l’orazione mentale sono la sorgente che sostiene la militanza cristiana nei confronti del mondo. Forse non c’è parola più azzeccata: militanza. I laici sono spronati a percorrere il loro cammino di sequela a Cristo, in obbedienza alla Chiesa. L’intensità della fede va di pari passo con un impegno sempre più viscerale nella propria professione, nella politica, nella docenza universitaria, nell’umile dedizione alle opere parrocchiali.

    Anche qui, innumerevoli i nomi che si potrebbero citare. Alcuni di questi saranno capaci di formulare delle vere e proprie sintesi spirituali, che contengono al loro interno la speranza di un cristianesimo migliore. Altri assurgeranno a simboli: figure mitiche capaci di rappresentare un ideale cui tutti sono chiamati. Qualche nome: Contardo Ferrini; Giuseppe Moscati, il medico santo dei poveri di Napoli; Giuseppe Toniolo, fondatore delle Settimane sociali; Piergiorgio Frassati, la cui vita diventerà un modello per tutti i giovani italiani; Giuseppe Lazzati, per lunghi anni rettore dell’università cattolica; Giorgio La Pira, sindaco di Firenze; Alcide De Gasperi, Armida Barelli, Elena da Persico. Alcuni di questi daranno vita ad istituti secolari: una novità nel panorama della consacrazione cristiana. Si cerca una via, anche giuridica, per esprimere una santità assoluta che non strappi però un credente dalle ingarbugliate vicende del mondo.

    Una parola a parte va spesa a proposito dell’Azione cattolica. Per lunghi anni essa sarà non solo lo strumento per canalizzare l’impegno sociale dei credenti, ma anche il luogo della loro formazione morale e spirituale. Preghiera, azione, sacrificio: intorno a questa triade si coaguleranno programmi di formazione laicale; brilleranno per metodo e capillarità, e saranno presenti pressoché in tutte le parrocchie della penisola. È soprattutto in questo esercito anonimo di persone che dedicano a Dio e al prossimo tutto se stessi, che si tocca la vitalità del laicato cattolico, capace di offrire allo Stato italiano, che non pochi traumi dovrà vivere nel Novecento, un’ossatura di persone integre, dedite al proprio dovere quotidiano.

    Infine riserviamo almeno un cenno alla spiritualità famigliare e coniugale. Probabilmente si tratta di un fatto inedito nella storia della Chiesa, almeno per la forma e la cura che riceve in questi ultimi decenni. Tutti i grandi movimenti laicali sorti nel Novecento destinano una forza di pensiero e di azione in favore delle famiglie. Ma è un dovere avvertito anche dalle chiese particolari: la pastorale ordinaria di diocesi e parrocchie riserva uno spazio stabile per la spiritualità famigliare. C’è anche una pletora di fatti isolati, che segnala l’affermazione di questa nuova mentalità. In Italia trova accoglienza l’Equipes Notre Dame, fondata dall’abbè Cafferel: ma è solo uno dei tanti movimenti di spiritualità famigliare che attecchiscono facilmente sul suolo della penisola. In più ci sarebbe da citare la canonizzazione dei coniugi Beltrame Quattrocchi: anche la coppia, e non solo la somma dei singoli, viene riconosciuta come capace di un itinerario di santità.

    Il grande crinale: il concilio Vaticano II. Di questa travagliata epoca, ricca di fermenti, il concilio Vaticano II sarà il grande crinale. Fino alla vigilia della sua celebrazione il rapporto del cristiano con il mondo è segnato da categorie quali la riparazione, o l’espiazione. Anche se si tratta di categorie che vanno interpretate, e non sono portatrici di un senso forzatamente negativo, esse lasciano sospettare un rapporto tra cristiano e società civile da intendersi in termini ostili. Nell’Ottocento le congregazioni religiose non hanno occhi che per i misteri del venerdì santo: ci si consacra al costato aperto, al preziosissimo sangue, alla passione di nostro Signore. Del mistero pasquale si lascia in secondo piano l’evento di risurrezione. La stessa “mistica del papato”, così caratteristica di questi ultimi secoli, sembra talora assumere un valore di contrapposizione, se non di vittimismo. Il concilio ha profondamente mutato questo quadro interpretativo. Ovviamente non l’ha fatto da solo: l’assise ecumenica, infatti, non ha che raccolto e potenziato alcuni germi che erano già presenti in ambito ecclesiale. Ne nascerà una visione più ottimistica dei rapporti del cristiano con il mondo.

    A livello spirituale si recupera quel segmento di tradizione posto più in là dell’epoca moderna. Si riscopre il mondo dei Padri; le conquiste del movimento liturgico divengono patrimonio di tutto il popolo di Dio; le comunità cristiane, dopo secoli di assenteismo, prendono nuovamente in mano il testo delle Scritture. Per la spiritualità è una rivoluzione. Si apre così la possibilità di una nuova sintesi. Se la modernità ha ornato la letteratura spirituale con un evidente timbro psicologico, ora si tratta di ricreare quel nesso tra oggetto e soggetto della fede, che è buona base di ogni sintesi cristiana. Si cerca una spiritualità non costruita a lato delle grandi mediazioni del cristianesimo, ma innervata in esse, e, nel contempo, capace di non smarrire quel tono soggettivo che è vecchio quanto la devozione stessa.

    La storia della ricezione del Vaticano II è la nostra storia. È abbastanza agevole catalogare gli avvenimenti più rilevanti di questi ultimi decenni. Guardando solamente il panorama italiano, possiamo osservare la sorprendente nascita di nuovi movimenti ecclesiali, capaci di unire laici e religiosi in uno stesso sentire: Comunione e Liberazione, Movimento dei Focolari, Cammino neocatecumenale, Comunità di S. Egidio, Rinnovamento nello Spirito, Associazione Papa Giovanni XXIII. Ognuno di essi presenta caratteristiche singolari, che non possono essere abbreviate “ad modum unius”, fuorché per qualche nota del tutto esteriore. Ciascuno di essi è latore, per la Chiesa intera, di un carisma singolare che, vista la tenacia che questi movimenti dimostrano, pare resistere nel tempo.

    Il concilio ci ha regalato anche inedite esperienze monastiche, nel solco della tradizione, ma anche capaci di sviluppare nuovi germogli. Ricordiamo soprattutto: Comunità di Bose, Piccola Famiglia dell’Annunziata, Comunità dei Figli di Dio. È forse a queste esperienze, che spesso figurano come avanguardie, che dobbiamo guardare per trovare i tentativi di sintesi più compiuti, almeno per l’Italia, del nuovo clima spirituale postconciliare.

    Una parola va spesa anche sulla spiritualità sacerdotale. Se è vero che il concilio ha consegnato alla Chiesa una più compiuta teologia del sacerdozio, è anche vero che nessun’altra figura cristiana, quanto il pastore d’anime, ha conosciuto in questi decenni una drammatica crisi e un nuovo tempo di gestazione. Per diversi anni è stato quasi un refrain, nella letteratura specialistica, discettare sulla “crisi di identità” del prete. Probabilmente non si tratta di una crisi teologica, ma spirituale: legata al definitivo tramonto, dovuto all’avvento di un nuovo mondo secolare, del modello borromaico di sacerdote e di formazione presbiterale. Ma la crisi di un modello, non è la crisi di un’istituzione. Il postconcilio italiano ha regalato alla Chiesa intera una significativa schiera di sacerdoti capaci di adoperare la sapienza dello scriba, quella che cerca di fare sintesi, quella che cerca di interpretare i segni dei tempi, e di estrarre dal suo tesoro “cose antiche e cose nuove”.

    Fonti e Bibl. essenziale

    AA.VV., «Italie», DSp, VII, 2141-2311; AA.VV., Storia della spiritualità, I-VII, Roma 1985-2002; AA.VV., Storia della spiritualità, I-X, Bologna 1970-; A. Favale, Segni di vitalità nella Chiesa. Movimenti e nuove comunità, Roma 2009; M. Guasco, Storia del clero in Italia dall’Ottocento ad oggi, Bari 1997; P. Guiducci, Mihi vivere Christus est. Storia della spiritualità cristiana orientale e occidentale in età moderna e contemporanea, Roma, 2011; M. Petrocchi, Storia della spiritualità italiana, Torino 1996; B. Secondin – T. Goffi, ed., Corso di Spiritualità. Esperienza – Proiezioni – Sistematica, Brescia 1989; P. Zovatto, ed., Storia della spiritualità italiana, Roma 2002.


    LEMMARIO