Storiografia (età medievale) – vol. I

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    Autore: Mariano Dell’Omo

    Sec. VI. Il primo esempio di letteratura storiografica originata dall’interno della Chiesa in Italia dopo la grande stagione dell’antichità è offerto da Cassiodoro (ca. 490-ca. 583) ‒ magister officiorum di Teodorico e infine monaco in Calabria a Vivarium ‒, con un’opera perduta, l’Historia Gothorum, composta in 12 libri per lo stesso re Teodorico, che si inserisce nel filone delle “storie nazionali” dei popoli di stirpe germanica, e di cui resta solo il riassunto nei Getica di Giordane risalenti al 551.

    Sec. VII. Un caso di cronaca locale e contemporanea è quello di Secondo di Non (†612), personalità religiosa di una certa importanza alla corte di Agilulfo e specialmente consigliere spirituale della regina Teodolinda, la cui opera, che doveva estendersi dalla fine del regno ostrogoto all’inizio della dominazione longobarda, di tipo annalistico e rispecchiante in ogni caso una concezione storiografica latina ed ecclesiastica, è più volte utilizzata e citata nella Historia Langobardorum da Paolo Diacono.

    Sec. VIII. Quest’ultimo educato alla retorica nella corte di Pavia, fattosi monaco a Montecassino intorno al 774 dopo la caduta del regno longobardo, pervenuto quindi alla corte di Carlo re dei Franchi (e dei Longobardi) nel 782, ebbe modo di arricchire ampiamente il suo già poderoso bagaglio culturale, e una volta ritornato al monastero cassinese nel 786 attese alla composizione della storia del popolo al quale apparteneva, delineandola dalle origini nordiche fino alla morte del re Liutprando (744). Paolo, pur appartenendo alla Chiesa e alla vita religiosa, tramanda fino a noi una memoria positiva dei Longobardi in Italia così come Gregorio di Tours aveva fatto per i Franchi, opponendo con successo l’immagine dei Longobardi culturalmente umani, civili nonché disponibili al contatto con i Romani, al luogo comune dei barbari feroci, avidi e irrazionali divulgato dal Liber Pontificalis della Chiesa di Roma. Quest’ultima d’altra parte anche quando accettò con i Longobardi (antibizantini) un’alleanza limitata nel tempo, lo fece in modo tale da evitare un cambiamento dell’assetto politico che fosse contrario ai suoi interessi, e perciò ‒ com’era sua convinzione ‒ a quelli dell’Italia. Sotto questo profilo il Liber Pontificalis, opera complessa in forma di biografie dei vescovi di Roma, prodotta in ambiente papale sebbene non ufficiale a partire dal sec. V fino al IX, e ripresa dal sec. XII, rappresenta una fonte storiografica ineludibile per tentare di comprendere come nella Chiesa romana siano stati vissuti e intesi gli eventi nel corso del tempo, particolarmente in quel sec. VIII in cui i nuovi dominatori Franchi soppiantavano i Longobardi.

    Secc. IX-X. Se Paolo Diacono con la sua storia dei Longobardi aveva narrato il dominio e il trionfo di questi ultimi, la Ystoriola Langobardorum Beneventum degentium di Erchemperto, monaco cassinese intorno alla metà del sec. IX, ricostruisce ‒ unica fonte per la storia dell’Italia meridionale ‒ le vicende del principato di Benevento dalla difesa di Arechi e Grimoaldo contro Carlo Magno e Pipino fino alla divisione e all’affermarsi di Atenolfo di Capua e della dinastia capuana (dal 787 all’889). Terzo momento di una triade longobarda, i cui primi due sono i già menzionati Paolo Diacono ed Erchemperto, è l’anonimo Chronicon Salernitanum, scritto una sessantina d’anni dopo Erchemperto, dal quale l’ignoto estensore attinge interessandosi soprattutto alle vicende riguardanti Salerno e Benevento, ma senza possederne l’acuta visione storica e l’originalità autobiografica sia pure parziale. Meno variegata è nell’Italia settentrionale la continuazione dell’Historia Langobardorum di Paolo Diacono, che trova un solo epigono nel presbitero Andrea da Bergamo, la cui Historia si interrompe dopo la morte di Carlo il Calvo (6 ott. 877). Nell’Italia non occupata dai Longobardi, dove il legame con la tradizione antica è più immediato, come a Ravenna, antica sede dell’esarcato, e a Napoli, centro del ducato bizantino, si annoverano rispettivamente storie dei vescovi cittadini che rispecchiano da vicino la coscienza identitaria di quelle due città: il Liber pontificalis ecclesie Ravennatis di Agnello Ravennate (tra la fine dell’VIII e gli inizi del sec. IX), da s. Apollinare a Giorgio (837-846), escluse le vite di Valerio (788-802 ca.) e Petronace (817-835); il Chronicon o Gesta episcoporum, il più antico testo che illustri la storia di Napoli, con una prima parte anonima, dipendente dal Liber Pontificalis della Chiesa romana, che dalle origini si estende fino al 763, e una seconda parte con biografie più ampie che vanno da Paolo II (763-768) ad Atanasio I (849-872), dovuta a Giovanni Diacono (tra la seconda metà del sec. IX e gli inizi del X). Tra IX e X sec. nel contesto del tardo Impero carolingio e delle lotte tra Bizantini e Longobardi, i Chronica Sancti Benedicti Casinensis (sec. IX, prima dell’883) costituiscono una raccolta non sistematica di notizie circa il monastero cassinese e il proprio tempo, con citazioni da Paolo Diacono e altri brani di natura cronachistica che non superano l’871.

    Sec. X. Nel sec. X oltre al Chronicon del monaco Benedetto di S. Andrea del Monte Soratte (da Giuliano l’Apostata al 972), debole tentativo di cronaca universale in cui è presente il ricordo della grandezza dell’antica Roma, nonché il senso dell’unità spirituale d’Italia rappresentato proprio da Roma, si segnala l’opera ben più poderosa di Liutprando di Cremona (ca. 920-971), nato a Pavia, diacono, poi nel 961 vescovo di Cremona. Tra i frutti della sua attività letteraria è utile qui menzionare: l’Antapodosis (Ritorsione), in 6 libri, opera storiografica e memorialistica, che va dalla morte di Carlo il Grosso (888) fino alla presa del potere da parte di Berengario II (l’ultimo evento narrato è l’ambasceria costantinopolitana dello stesso Liutprando del 949-950); e l’Historia Ottonis (o Gesta Ottonis), nella quale l’autore sostiene la politica dell’imperatore Ottone I nei confronti del papato fra il dicembre 963 e l’estate 964, allorché contro le stesse procedure canoniche fu deposto papa Giovanni XII e sostituito con Leone VIII, soluzione ritenuta da Liutprando inevitabile di fronte alla gravità del momento. Nel vescovo di Cremona emerge una visione della storia basata su un provvidenzialismo radicale, sul modello di Agostino e Gregorio Magno, che tuttavia non gli impedisce di descrivere con acuta lucidità, tuttora valida, il dramma di un papato in balia di alcune grandi famiglie romane.

    Secc. XI-XII. Tra XI e XII sec., nel momento in cui ai Longobardi si sono ormai sostituiti i Normanni nel sud dell’Italia, le cronache di origine benedettina, derivanti rispettivamente da Montecassino (Chronica monasterii Casinensis di Leone Ostiense), S. Vincenzo al Volturno (Chronicon Vulturnense di Giovanni), S. Sofia di Benevento (Chronicon S. Sophiae), S. Clemente di Casauria (Chronicon Casauriense di Giovanni di Berardo), rivestono un particolare significato per cogliere certi passaggi epocali nella Chiesa stessa, insieme al bisogno di salvaguardare i grandi patrimoni di terre e chiese da parte delle grandi signorie monastiche meridionali nei confronti delle crescenti pretese episcopali. Per l’importante monastero di Farfa in Sabina oltre alla Constructio Farfensis (sec. IX), utile per la sua storia dalla fine del sec. VIII fino a ca. l’857, occorre segnalare il grande contributo di Gregorio di Catino, monaco e vera personalità di storico nato intorno al 1060, al quale si devono il Regestum Farfense, il Liber Largitorius, il Chronicon, infine verso il 1130 il Liber Floriger cartarum coenobii Farfensis, opere tra l’altro fondamentali per la storia economico-politica del ducato romano tra VIII e XII sec. Per il nord dell’Italia si distinguono il Chronicon Novaliciense (prima metà del sec. XI), composto da un monaco della Novalesa, fonte rilevante per la storia del Piemonte medievale, e il Chronicon di S. Michele della Chiusa (fine del sec. XI). In questo stesso periodo acquista vigore la storiografia cittadina che si identifica con quella ecclesiastica locale, come nel caso dei Gesta archiepiscoporum Mediolanensium o più esattamente Liber gestorum recentium di Arnolfo di Milano (ca. 1000-ca. 1077) laico, pronipote del fratello dell’arcivescovo di Milano Arnolfo (I) di Arzago (970-974): non un racconto di imprese episcopali ma cronaca cittadina di eventi che in gran parte coinvolsero direttamente l’autore (i primi 3 libri dal 925 al 1072, il quarto e il quinto dal 1075 al 1077), impegnato a difendere la Chiesa milanese sia dagli attacchi degli ambienti della Pataria cittadina che da quelli della Sede Apostolica, rivendicando privilegi e tradizione ambrosiani, oltre che sostenendo il clero milanese rispetto all’accusa di simonia e alienazione dei beni a vantaggio delle classi alte del laicato. Nondimeno più tardi Arnolfo, dopo aver fatto parte nel 1077 di una delegazione di cittadini milanesi recatisi a Roma per domandare a papa Gregorio VII il perdono dei precedenti atteggiamenti filoimperiali, modifica anche lo spirito con il quale aveva redatto fino ad allora il suo Liber gestorum, ammettendo negli ultimi 2 libri la supremazia di Roma, alla quale aveva prima anteposto la grandezza della tradizione ambrosiana. Nel Mezzogiorno normanno-svevo occorre in primo luogo registrare la stretta connessione tra Chiesa e storiografia normanna, a cominciare dalla Historia Normannorum di Amato di Montecassino († prima del 1105) relativa agli anni 1016-1078, non a caso dedicata all’abate Desiderio poi papa Vittore III (1086-87), la cui amicizia con gli intraprendenti e sagaci cavalieri venuti dal nord contribuì a renderli determinanti per l’equilibrio politico e per i rapporti stessi del papato con le altre potenze. Concentrati su un singolo principe normanno sono invece i Gesta Roberti Wiscardi di Guglielmo Appulo († dopo il 1099), dedicati a papa Urbano II, opera in 5 libri per un totale di 2819 esametri: nel quarto libro in particolare si sottolinea la fedeltà da parte di Roberto il Guiscardo alla Chiesa di Roma, con conseguenze di lunga durata sulla riorganizzazione della Chiesa latina meridionale. Ancora ai Normanni, alla formazione del Regnum Siciliae con il primo sovrano Ruggero II, nonché al suo atteggiamento di fronte al papato, sono dedicate due opere entrambe di estrazione monastica, il De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis e Roberti Guiscardi ducis, fratris eius di Goffredo Malaterra e il De rebus gestis Rogerii Siciliae regis libri IV di Alessandro di Telese. Più a nord in Toscana con l’intento di celebrare la stirpe dei Canossa più che per un fine strettamente biografico, tra il 1111 e il 1115 fu composta in versi la Vita Mathildis (o anche De principibus Canusinis) da Donizone monaco di S. Apollonio a Canossa. Nel sec. XII si distinguono inoltre le storie legate all’identità di singole città italiane e alle loro comunità ecclesiali, in primis Genova con i monumentali Annales Januenses: avviati dal genovese Caffaro, a cominciare dai Genovesi alla I Crociata (dal 1100 fino al 1163), essi furono continuati nel corso del tempo giungendo fino al tardo sec. XV. Cronisti contemporanei dell’Italia meridionale furono Falcone di Benevento (Chronicon), nato verso la fine del sec. XI, insieme con Caffaro il più antico autore laico di una cronaca cittadina (fino al 1140); Pietro da Eboli (Liber ad honorem Augusti o Carmen de rebus Siculis), fautore di Enrico VI di cui narra nel 1195 la conquista della Sicilia contro il normanno Tancredi di Lecce; l’arcivescovo Romualdo Guarna di Salerno (ca. 1115-1181), autore di un Chronicon, storia del Regnum Siciliae che è pure una delle poche cronache universali prodotte in Italia; Ugo Falcando, che nel Liber de regno Siciliae narra gli eventi succedutisi nel regno di Guglielmo I d’Altavilla (1154-66) e nei primi anni del governo del figlio e successore Guglielmo II sotto la reggenza della madre Margherita di Navarra (1166-69).

    Sec. XIII. Nel sec. XIII la storiografia subisce un’evoluzione positiva sia per la quantità dei contributi che per l’intervento sempre più marcato di laici e in particolare per la qualità dei testi, che rivelano la capacità degli autori di far convergere i molteplici fatti e di interpretarli. Si sviluppa specialmente in questo secolo una storiografia mendicante che offre modelli e scopi variegati: gli annali contemporanei, con Tolomeo da Lucca (Bartolomeo Fiadoni, ca. 1236-1327), domenicano (Annales Lucenses, dal 1061 al 1303); la storia urbana e la collezione agiografica, con Iacopo da Varazze (ca. 1228-1298), anch’egli domenicano, autore della Legenda aurea articolata in racconti dedicati alle vite dei santi e alle feste liturgiche , e di una Chronica civitatis Ianuensis ab origine urbis usque ad annum 1297, nella quale è esaltato il ruolo del vescovo nella storia di Genova, talché storia cittadina e azione vescovile costituiscono un tutt’uno, sullo sfondo di una concezione storica di matrice agostiniana; e ancora la storia intesa come exemplum morale e ausilio per la predicazione, con Tommaso di Pavia (ca. 1212-ca. 1280), autore dei Gesta imperatorum et pontificum (fino al 1278); non manca infine il capolavoro che fonde insieme i vari schemi e filtra gli avvenimenti attraverso una spiccata componente autobiografica, come la Cronica del francescano Salimbene de Adam da Parma (1221-dopo il 1288), dove la storia d’Italia (dalla metà del sec. XII a quella del sec. XIII) è letta in parallelo a quella d’Europa, sullo sfondo di un orizzonte escatologico che proviene dal gioachimismo dell’autore. Al centro della storiografia duecentesca è spesso la figura dell’imperatore e sovrano di Sicilia Federico II, che proprio a metà del ‘200 chiude la sua vita così controversa per i suoi rapporti con la Chiesa in Italia, in special modo con il papato. Verso l’ultimo quarto del secolo, allorché le passioni andavano ormai decantandosi, le fonti trasmettono su di lui un giudizio senza dubbio di parte ma finalmente di più ampio respiro, come nei due esempi emblematici del Chronicon Marchiae Tarvisinae et Lombardiae, l’opera politica più valida prodotta dalla pars ecclesiae, e del Chronicon Placentinum (Annales Placentini Gibellini), rappresentativo della pars imperii, con una narrazione che comincia da Federico Barbarossa e che tende ad illustrare l’azione dell’altro Federico nell’Italia dei Comuni. Validi esempi contemporanei della storiografia del Regno meridionale sono Riccardo di S. Germano (ca. 1165-ca. 1244) e la cronaca cistercense di S. Maria di Ferraria (Ignoti monachi cisterciensis S. Mariae de Ferraria chronica) presso Vairano (Caserta), quest’ultimo uno dei rari esempi italiani di cronaca universale. Infine per i fatti del Regno di Sicilia dopo la morte di Federico II (1250) e per quelli del Regno di Napoli fino alla morte di Carlo d’Angiò (1285), si segnala una Rerum Sicularum Historia (Liber gestorum regum Sicilie) scritta dal calabrese Saba Malaspina, canonico e decano della Chiesa di Mileto intorno al 1274, e scriptor di Martino IV (1281-1285), strenuo difensore dell’autorità pontificia nei confronti di quella regia.

    Sec. XIV. Per il ‘300 tre sono i nomi più illustri della storiografia in Italia: i primi due fiorentini, Dino Compagni (ca. 1246-1324), primo grande scrittore di storia in lingua volgare, la cui Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi è fonte primaria della storia due-trecentesca di Firenze (la Firenze di Dante), e Giovanni Villani (ca. 1270/80-1348), autore di una cronaca dei propri tempi e insieme della storia ciclica della città di Firenze, alla quale rivendicava come erede di Roma un destino imperiale; l’ultimo, Albertino Mussato (1261-1329), padovano, precorre gli umanisti nello svincolarsi dal modello cronachistico per affermare una concezione della storia che si ispira a Livio, nella quale le libertà comunali si accordano con gli ideali universalistici dell’Impero e della Chiesa (De gestis Henrici VII Caesaris, detta poi Historia Augusta, in 16 libri; De gestis Italicorum post Henricum VII Caesarem, in 14 libri comprendenti gli avvenimenti fino al luglio del 1321). Del tutto originale in quanto produzione storiografica di cancelleria, è infine quella del doge-cronista Andrea Dandolo (1306-1354), autore di una Chronica brevis dalle origini di Venezia al 1342, e di una Chronica per extensum descripta dal 48 al 1280 d.C., fino agli ultimi anni del sec. XIX ritenuta la principale fonte per la storia di Venezia, poi dalla critica ampiamente ridimensionata.

    Sec. XV. Nel ’400 allorché si rinnova totalmente la conoscenza spirituale e storica nel recupero dei valori più intrinseci della cultura classica e della stessa fede cristiana, tra i tanti nomi si può con sicurezza attribuire al forlivese Flavio Biondo (1393-1463), segretario apostolico di papa Eugenio IV, il ruolo di scopritore e cronista della civiltà italiana, rivalutata non solo nei suoi profili politici, civili, spirituali, ma anche nella sua topografia e nella monumentalità dei suoi siti, la maggior parte dei quali espressione della plurisecolare fede cristiana (Historiarum ab inclinato Romano imperio decades tres, Romae instauratae libri tres, Italia illustrata, De Roma triumphante libri decem). A testimoniare infine il rilevante significato che il papato continua a rivestire nelle vicende italiane, è la stessa storiografia pontificia di quegli anni, sospesa tra storia, biografia e propaganda.

    Fonti e Bibl. essenziale

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