Terrorismo – vol. II

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    Autore: Maurilio Guasco

    Non sono pochi coloro che diffondono un equivoco di fondo, parlando di una continuità logica tra il ’68 e il terrorismo. Ora, vi furono certamente alcuni giovani che avendo vissuto la delusione delle mancate riforme sperate dalle manifestazioni del ’68, passarono prima ad altre forme di lotta, per poi teorizzare e praticare la lotta armata. Ma non tutti i protagonisti del ’68 passarono alla lotta armata, e non tutti i protagonisti della lotta armata venivano dal ’68.

    Si può constatare che vi fu qualche rapporto tra i due eventi. Nel momento in cui si realizzò un legame tra il movimento studentesco e il movimento operaio, i primi, accettando la teoria marxiana della classe operaia come elemento trainante della trasformazione della società, iniziarono ad agire dentro la stessa classe operaia, spesso anzi scegliendo il lavoro salariato. Lentamente, finirono per contestare sia il sindacato sia il Partito comunista, accusato il secondo di perdere gradualmente lo slancio rivoluzionario. Tale contestazione avrebbe portato al rapimento e uccisione di Aldo Moro, l’uomo a ragione considerato il responsabile del lungo processo che aveva portato il Partito comunista, o almeno parte di esso, ad accettare le regole del gioco democratico. In effetti, non solo si era realizzato lo strappo da Mosca, ma a metà degli anni Settanta il segretario del partito, Enrico Berlinguer, con i dirigenti francesi e spagnoli, aveva parlato di vie nazionali al socialismo, scelta indicata allora come “eurocomunismo”, e accettava il dialogo con la Democrazia cristiana, che lo avrebbe portato a condividere le responsabilità di governo, in quello che venne definito “compromesso storico”.

    Il passaggio di alcuni alla lotta armata avvenne gradualmente. Prima vennero organizzati sequestri dimostrativi, durati pochi giorni: si voleva mettere in ridicolo e intimorire il personale direttivo delle diverse strutture produttive. Poi i sequestri aumentarono nel numero e nel significato. Il 18 aprile 1974, il sequestro del sostituto procuratore della repubblica di Genova Mario Sossi assunse un significato emblematico: il giudice era considerato il nemico di classe, i giorni del sequestro vennero a coincidere con la campagna elettorale del referendum sul divorzio, che a sua volta veniva visto come una svolta importante nella storia della cultura e dei costumi italiani, e anche con la prima grande rivolta in un carcere, che ebbe come conseguenza in Alessandria la morte di sette persone, tra ostaggi e sequestratori

    Inoltre, i sequestratori del giudice avevano chiesto la liberazione di alcuni loro compagni, incriminati anche per omicidio, minacciando l’uccisione del giudice se non avessero ottenuto quanto richiesto.

    Era oramai evidente che i responsabili del sequestro avevano compiuto il passo decisivo, quello che li portava a passare dai sequestri alla lotta che non escludeva la possibilità dell’uso, spesso indiscriminato (“colpiscine uno per educarne cento” era uno degli slogan), della violenza omicida.

    I terroristi, come si iniziò a definirli, avevano una loro organizzazione, nota come le Brigate rosse, cui poi si aggiunsero altre sigle, quali i NAR (Nuclei Armati Proletari) e Prima linea. Alcuni vi vedevano lo sbocco, anche in questo caso non inesorabile, delle varie organizzazione che erano nate in quegli anni: Lotta continua, Potere operaio, Avanguardia operaia.

    Prima di loro, si erano costituite altre organizzazioni di estrema destra, che avevano dato inizio già nel dicembre 1969 alla “strategia della tensione”, con attentati dinamitardi sulle piazze, nelle stazioni e sui treni. Rimane poco chiaro quanto agissero anche in collegamento con quelli che venivano considerati i servizi segreti deviati.

    Gli anni Settanta furono così segnati dal sangue, spesso innocente: giudici, giornalisti, uomini delle forze dell’ordine divennero bersaglio di “gambizzazioni” o furono uccisi da organizzazioni di estrema destra o di estrema sinistra. Tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Novanta vennero rapite 361 persone. Il numero di attentati e di episodi di violenza fu drammatico: si tratta di diverse migliaia

    Tutto questo coinvolse un numero molto alto di terroristi o di loro fiancheggiatori, tra i mille e i duemila, prevalentemente giovani. Alcune centinaia sarebbero poi fuggiti all’estero, soprattutto in Francia, dove in base a quella che venne definita la “dottrina Mitterand” furono considerati rifugiati politici e quindi non estradati in Italia.

    L’elenco dei morti e dei feriti di quelli che vennero definiti gli “anni di piombo” è impressionante, così come quello delle attività dei terroristi di destra e di sinistra. Il sequestro di Aldo Moro, avvenuto il 16 marzo 1978 con l’uccisione della sua scorta, sequestro concluso con l’uccisione di Moro, il 9 maggio, avrebbe rappresentato quasi il culmine, ma anche l’inizio del declino del movimento, messo in crisi anche dalla collaborazione offerta alle forze dell’ordine da diversi pentiti. Ci sarebbero stati ancora alcuni attentati mortali: si può ricordare quello che portò alla morte del senatore Roberto Ruffilli, il 16 aprile 1988.

    Quando si iniziò a ricostruire gli album di famiglia non destò sorpresa lo scoprire che non pochi brigatisti venivano dalla cultura cattolica o da quella marxista: due correnti di pensiero che possono facilmente portare a forme diverse ma ugualmente pericolose di fondamentalismo.

    Alcuni terroristi decisero di abbandonare le armi consegnandole alle autorità religiose: molto noto l’evento che portò alla consegna di armi a Milano, affidandole al cardinale Martini; così come impressionò moltissimo la preghiera con cui il pontefice Paolo VI, molto legato a Moro, si rivolse al Signore nel corso del funerale dello stesso Moro, quasi rimproverando Dio di non aver dato ascolto alle preghiere per un “uomo buono, mite, saggio, innocente e amico”. Tra l’altro, il papa sarebbe morto pochi mesi dopo, il 6 agosto 1978.

    Il giudizio su La notte della Repubblica, come ebbe a definire quegli anni un noto giornalista, rimane controverso: si trattò di una vera e propria guerra civile, secondo alcuni, di una rivolta contro lo Stato, della degenerazione criminale di una lotta che aveva all’inizio delle ragioni comprensibili. Ma rimane sempre difficile per una coscienza civile accettare che un qualsiasi cambiamento debba essere pagato dalla morte di tante persone innocenti.

    Fonti e Bibl. essenziale

    E. Betta, Memorie in conflitto. Autobiografia della lotta armata, in “Contemporanea”, XII (2009), n. 4, 673-701; G. Bocca, Il terrorismo italiano, 1970-1978, Rizzoli, Milano 1978; A. Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione. 1968-1978: storia di Lotta continua, Mondadori, Milano 1998; P. Corsini e L. Novati (edd.), L’eversione nera: cronache di un decennio (1974-1984), Angeli, Milano 1985; G. Fasanella – A. Franceschini, Che cosa sono le Br. Le radici, la nascita, la storia, il presente, Rizzoli, Milano, 2004; G. Galli, Piombo rosso. La storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 a oggi, Baldini e Castoldi, Milano 2007; M. Gotor, Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Einaudi, Torino 2011; A. Giovagnoli, Il caso Moro. Una tragedia repubblicana, Il Mulino, Bologna 2005; H. Hes, La rivolta ambigua. Storia sociale del terrorismo italiano, Sansoni, Firenze 1991; A. Moro, Lettere dalla prigionia, a cura di M. Gotor, Einaudi, Torino 2008; D. Novelli – N. Tranfaglia, Vite sospese. Le generazioni del terrorismo, Garzanti, Milano 1988; G. Panvini, Cattolici e violenza politica. L’altro album di famiglia del terrorismo italiano, Marsilio, Venezia 2014; A. Valle, Parole opere e omissioni. La Chiesa nell’Italia degli anni di piombo, Rizzoli, Milano 2008; S. Zavoli, La notte della Repubblica, Mondadori, Milano 1992.


    LEMMARIO