Tradizionalismo – vol. II

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    Autore: Francesco Saverio Venuto

    Origine e significati storici del Tradizionalismo. Il tradizionalismo rappresenta un complesso e composito fenomeno storico di carattere filosofico, politico, e teologico. Apparso in Francia all’inizio del XIX secolo e poi diffusosi nel resto dell’Europa come reazione ai “dogmi” della Rivoluzione francese, esso è stato innanzitutto una teoria filosofica con conseguenze politiche e, in seguito, anche una tesi teologica. J. De Maistre (1754-1821), L. de Bonald (1754-1820) e F. de Lamennais, suoi principali sostenitori, intesero condannare, pur con differenti sfumature di contenuto, le idee fondamentali dell’Illuminismo (razionalismo, individualismo, scetticismo) ritenute la fonte ispiratrice del movimento rivoluzionario francese. Secondo tali pensatori, soltanto la “restaurazione” della religione cattolica, unitamente alla proclamazione dell’infallibilità pontificia in senso massimalista (ultramontanismo), dell’istituzione monarchica secondo l’Ancien régime e della loro reciproca autorità, avrebbe potuto garantire la costituzione di una “giusta” società, pienamente adeguata alla “verità metafisica”. Questa non si manifesta come un’evidenza raggiunta con la sforzo di un’impotente ragione individuale, quanto piuttosto come un’autorità da accogliere per “tradizione” (secondo il senso letterale del termine latino tradere), ovvero come una “primitiva” rivelazione da parte di Dio verso l’uomo, trasmessa per senso comune attraverso i secoli alla società degli uomini (ragione collettiva). Al teatino napoletano Gioacchino Ventura (De methodo philosophandi, 1828) si deve la divulgazione e l’interpretazione in Italia di questa “scuola” di pensiero francese e, in particolare, delle tesi di F. de Lamennais, che ebbero soprattutto il merito di offrire una voce più persuasiva a posizioni filosofiche similari e già presenti in ambito italiano, piuttosto che influenzarle. Il Ventura, diversamente dai “fondatori del tradizionalismo”, non escluse del tutto un’autonomia argomentativa della ragione naturale, riguardo all’esistenza di Dio, all’immortalità dell’anima e ai fondamenti della morale, sebbene continuò a difendere una previa e necessaria rivelazione da parte di Dio verso gli uomini, almeno per una loro prima conoscenza. Gregorio XVI con le encicliche Mirari vos (1832) e Singulari nos (1834) riprovò i teoremi del tradizionalismo, anche se fu il Concilio Vaticano I con la Costituzione Apostolica Dei Filius (1870) a condannarne in modo più puntuale le erronee tesi in ambito filosofico e teologico, riaffermando una piena fiducia nella possibilità della ragione umana di poter giungere per analogia alla conoscenza dell’esistenza di Dio dalle cose create, all’immortalità dell’anima e ai fondamenti della legge naturale, e allo stesso tempo, la necessità della Rivelazione per poter accedere alle realtà divine di per sé inaccessibili alla sola ragione umana.

    Un “nuovo” Tradizionalismo: Chiesa e modernità. Il tradizionalismo, nonostante l’esplicito anatema di carattere filosofico e teologico da parte del Vaticano I, sopravvisse attraverso una serie di particolari trasformazioni e denominazioni. In Italia tra il XIX e il XX secolo si attestò come mentalità politico-ecclesiale. Fenomeni come l’intransigentismo (posizione contraria a qualsiasi forma di collaborazione e partecipazione politica con espressioni politiche di stampo liberale della nascente Italia) e l’integralismo (derivazione acritica di scelte e forme politiche dalla fede) caratterizzarono una gran parte del cattolicesimo italiano attraverso l’Opera dei Congressi della seconda metà del XIX secolo di fronte al nascente Stato italiano. La crisi dei regimi liberali e l’affermarsi di forti ideologie politiche anticristiane nella prima metà del XX secolo concorsero a rafforzare le tesi di alcune correnti di pensiero cattolico, secondo le quali tali fenomeni altro non erano che un’ulteriore e nociva evoluzione dei principi di libertà, di fraternità e di uguaglianza della Rivoluzione Francese. Movimenti come l’Action française di Ch. Maurras (1868-1952) o, come nel caso italiano, esponenti cattolici di rilievo laici ed ecclesiastici, di fronte al dilagare dell’ateismo del comunismo di stampo marxista-leninista favorirono una collaborazione con il regime fascista nell’illusione che esso, pur se di natura ideologica, potesse essere considerato meno pericoloso di altri affini e quindi facilmente cristianizzato. Per quanto tali movimenti venissero presentati come difensori dei valori cristiani di fronte al pericolo del socialismo reale, furono esplicitamente condannati dal magistero di Pio XI, perché costituivano una strumentalizzazione e una subordinazione della fede e della religione alla politica. Nonostante la disapprovazione ufficiale del pontefice rispetto ad alcuni orientamenti ambigui del clero e del laicato, soprattutto in ambito associativo, il tradizionalismo come sistema filosofico e teologico non scomparve. Esso, trasformatosi nelle sue espressioni, mantenne tuttavia invariati i principi teorici di fondo.

    Agli inizi degli anni ’60, con il Concilio Vaticano II e poi nella fase successivo ed esso, il tradizionalismo come sistema filosofico-teologico comparve nuovamente, polemizzando all’interno degli ambienti ecclesiali contro la legittimità di un aggiornamento ecclesiale di carattere dottrinale e pastorale, sulle possibili realizzazioni, e principalmente sull’ipotesi di avviare un dialogo tra Chiesa e modernità, congiuntamente alle pericolose conseguenze che esso avrebbe inevitabilmente comportato. Proprio a partire dal confronto con la modernità, la quale con i suoi principi filosofici veniva considerata la causa prima di un pericoloso relativismo e snaturamento del bimillenario depositum fidei della Chiesa, il tradizionalismo si propose innanzitutto il compito di difendere la Tradizione, non soltanto salvaguardandone l’integralità, ma evitandone anche la necessaria ermeneutica. Esso riconduceva la Tradizione ad un archetipo ipostatico, alieno alla storia e alle sue dinamiche, considerate le premesse di un’insanabile corruzione del patrimonio della fede cristiana. Alcune tra le principali forme storiche della Chiesa, relative al dogma, alla morale, alla liturgia, alla disciplina e all’istituzione, estrapolate acriticamente dalla dinamica storico-ecclesiologica di Tradizione-Progresso, divengono così espressione di una riflessione teologica sclerotizzata, nettamente separata dalla storia. Un tale fenomeno non potrebbe essere pienamente compreso se non si facesse riferimento al Vaticano II, al post-Concilio con il ’68 e al progressismo, espressione teologica di segno opposto. Il Concilio, con il suo programma di aggiornamento interpretato e riletto, senza le necessarie distinzioni, specialmente in relazione agli avvenimenti posteriori, veniva così definito il concilio dell’anti tradizione e della vittoria del fronte progressista, ovverosia di quella posizione filosofico-teologica che sottometteva in modo ipercritico la fede alla storia, relativizzandola fino al punto di assecondare un’apostasia generale all’interno della Chiesa. Per tali ragioni il Vaticano II, in relazione alla liturgia, al rapporto Tradizione-Scrittura, alla collegialità episcopale, all’ecumenismo e al dialogo interreligioso e alla libertà religiosa doveva essere rifiutato. Il principale capofila del tradizionalismo fu Mons. Marcel Lefebvre, fondatore della Fraternità Sacerdotale di San Pio X per la difesa della Tradizione. Il movimento tradizionalista del presule francese si è diffuso anche in Italia (Albano Laziale in provincia di Roma), pur se in modo limitato, caratterizzandosi attorno ad alcuni temi: l’appartenenza della Fraternità alla Chiesa Cattolica, unitamente alla neutralizzazione della scomunica comminata al vescovo francese per aver consacrato dei vescovi senza il mandato della Santa Sede, e il rifiuto categorico del Concilio Vaticano II. Queste e altre tesi sono diffuse attraverso la rivista Si Si No No, ideata e realizzata a partire dal 1975 dal sacerdote italiano don Francesco Putti con la fedele collaborazione del biblista don Francesco Spadafora. Un consenso maggiore, tuttavia, fu raggiunto da un movimento più radicale e in disaccordo con quello lefebvriano, soprattutto in relazione all’autorità del pontefice romano e alla possibilità di interpretare il Vaticano II alla luce della Tradizione: il sedevacantismo. Questo, oltre a ripudiare in modo radicale il Concilio, sostiene la tesi per cui dopo la morte di Pio XII la Chiesa non avrebbe più avuto una sua guida, secondo alcuni in senso assoluto o secondo altri soltanto in senso formale, perché i successori di Pacelli avrebbero apostatato dalla fede con gli insegnamenti conciliari. Espressione di questa corrente è la rivista Sodalitium, a cura dell’Istituto Mater Boni Consilii (Verrua Savoia in provincia di Torino), all’interno della quale, oltre che sulla critica alla debole posizione di Mons. Lefebvre, si insiste nel collegare la crisi della Chiesa al malefico influsso congiunto tra ebraismo e massoneria. In ogni caso entrambi i movimenti rappresentano un’appendice di un fenomeno ecclesiale tipicamente francese in Italia.

    Nell’ambito del cattolicesimo italiano, sul tema del tradizionalismo è doveroso tenere presenti due particolarità.

    Primo. È opportuno distinguere l’accezione “tradizionalismo” da quella di “conservatorismo”. Con quest’ultimo termine si definisce una scelta che a livello ecclesiale coincide con l’atteggiamento di coloro che rimangono ancorati ad alcune particolari strutture come espressioni della dimensione istituzionale della Chiesa e del suo rapporto con il mondo (per esempio, preferenza per un regime di cristianità, piuttosto che per uno laico basato sulla libertà religiosa), oppure ad una particolare impostazione e modalità teologica nel formulare la dottrina. In questo secondo caso l’espressione “conservare” rappresenta, insieme a quella complementare di progresso, una delle forze necessarie nella dinamica dello sviluppo dottrinale. In questo senso deve essere ugualmente giudicata la posizione teologica della cosiddetta “minoranza” conciliare, che si espresse anche attraverso il raggruppamento del Coetus Internationalis Patrum, all’interno del quale hanno assunto un ruolo significativo alcune tra le più significative personalità dell’episcopato italiano del tempo, come l’Arcivescovo di Genova, Card. Giusppe Siri, l’Arcivescovo di Pelermo, Card. Ernesto Ruffini, e il Vescovo di Segni, Mons. Luigi Carli. Questi presuli, insieme ad altri dello stesso gruppo conciliare, non si opposero in senso aprioristico all’aggiornamento del Vaticano II, non sostennero mai una definizione rigida della Tradizione, ma furono piuttosto orientati ad una più moderata introduzione di riforme. Gli stessi, inoltre, si distinsero per una comune adesione e fedeltà alla scuola teologica romana di impianto neotomista, differente dal tentativo di un rinnovamento biblico-patristico della teologia di area franco-tedesca, e soprattutto rifiutarono di appoggiare l’atteggiamento e i toni di Mons. Lefebvre verso la Santa Sede.

    Secondo. Se il “tradizionalismo” tende a confluire nel “conservatorismo”, rispetto al quale differisce sostanzialmente per il fatto che rifiuta in modo assoluto e radicale che la Tradizione possa essere oggetto di un possibile sviluppo insieme al dogma, il conservatorismo può in alcuni casi assumere toni tradizionalisti, senza tuttavia identificarsi pienamente con esso. Questo è il caso tipico italiano. Il tradizionalismo in generale ha tratteggiato alcuni ambienti ecclesiali italiani di stampo conservatore, specialmente nella difesa della Tradizione (per esempio l’esperienza di due riviste: Chiesa viva, fondata dal sacerdote Luigi Villa, sostenuta dai Cardinali Pietro Parente, Pietro Palazzini, Alfredo Ottaviani e da Mons. Antonio Piolanti; Renovatio, voluta dal Cardinale Giuseppe Siri, e affidata dallo stesso a Gianni Bager Bozzo). Ma diversamente, dal movimento lefebvriano, il tradizionalismo italiano si è dimostrato fin dall’inizio contrario ad atti di ribellione contro la Santa Sede e fedele ad essa, agli insegnamenti dei Pontefici, e al Vaticano II interpretato secondo la Tradizione e limitatamente alla sua natura strettamente pastorale. Nel caso italiano la discussione postconciliare da parte del tradizionalismo-conservatorismo si è concentrata su due grandi temi: gli sviluppi della riforma liturgica e l’identità della dottrina sociale della Chiesa. Il primo argomento trova ampio spazio nella sezione italiana della rivista e associazione Una Voce, in difesa della liturgia tradizionale-gregoriana secondo il Messale del 1962, con osservazioni assai critiche verso la riforma liturgica attuata da Paolo VI. La difesa della dottrina sociale della Chiesa si coagula intorno al gruppo di Alleanza Cattolica e alla sua rivista Cristianità, con connotazioni fortemente controrivoluzionarie.

    Fonti e Bibl. essenziale

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    LEMMARIO

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