Tribunali della Curia romana – vol. I

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    Autore: Irene Fosi

    Il pontefice romano, in qualità di giudice supremo del mondo cattolico, esercita la giustizia da sé o attraverso i tribunali della sede apostolica o suoi delegati: questo assunto, presente nell’attuale Codice di Diritto Canonico, riflette gli esiti giurisdizionali di un complesso percorso plurisecolare dei tre tribunali supremi della Curia romana. Essi sono: il tribunale della Rota romana, il tribunale supremo della Segnatura e la Penitenzieria apostolica.

    Il tribunale della Rota. Le sue origini risalgono al medioevo quando, nel XIII secolo, gli Auditores generales causarum Sacri Palatii Apostolici, ufficiali con i quali il pontefice trattava le cause di tutto l’orbe cattolico, separandosi dalla cancelleria pontificia, assunsero fisionomia autonoma, si costituirono in collegio e fu delegato loro il compito di giudicare le cause presentate a Roma da ogni parte della cristianità. Varie ipotesi sono state avanzate per spiegare il nome: forse dalla chiesa di S. Caterina della Rota, alla quale appartenevano i giudici; dall’uso di riunirsi in circolo o attorno ad un tavolo a forma di ruota; dal modo di presentare le suppliche e i memoriali avvolti come rotuli. Il tribunale fu in seguito regolamentato nelle procedure, nelle competenze assai vaste – aveva giurisdizione anche in materia di diritto feudale – e fu definito il numero dei suoi componenti. Con la costituzione Romani Pontificis, emanata da Sisto IV nel 1472, la sua struttura fu costituita da un collegio di dodici uditori, che avevano il rango di protonotari apostolici. I requisiti di accesso all’uditorato erano la legittimità dei natali, la laurea in utroque iure, i buoni costumi, una rendita annua di almeno 200 fiorini di Camera. Il carattere multinazionale del collegio, presente fin dalle sue origini e riflesso, secondo il cardinale G.B. De Luca, della sua universalità, fu definito nel corso del XVI secolo: fu costituito da tre uditori romani, un bolognese, un ferrarese nominati direttamente dal papa; un milanese e un veneziano scelti dal pontefice fra una rosa di candidati presentati dalle due città; un francese, due spagnoli, un soggetto imperiale presentati dalle rispettive corone; un fiorentino o un perugino, della cui nomina non si conoscono le procedure. Il tribunale rotale, a differenza di altri, doveva, prima di emettere la sentenza, renderne pubbliche le motivazioni, redatte di solito dall’uditore cui era stata affidata la causa (ponente). Questo materiale (decisiones) costituì un riferimento essenziale sia per interpretare norme del diritto canonico e civile e rappresenta solo una parte di un’imponente documentazione archivistica conservata, quasi interamente, nell’Archivio Segreto Vaticano.

    Nel corso dell’età moderna la posizione e il ruolo svolto da alcuni auditori di Rota per i rispettivi governi rivestì notevole importanza, coadiuvando, ma anche sovrapponendosi, talvolta, alle rappresentanze diplomatiche ufficiali delle potenze cattoliche presenti a Roma. Per le città dello Stato Pontificio e per gli stati italiani, gli auditori di Rota costituirono un potente legame fra la Curia romana, la corte pontificia e le aristocrazie e i patriziati locali. La definizione della Rota come ‘sacra’ e ‘romana’ intendeva sottolinearne la natura di tribunale supremo del papa, distinto dalle altre Rote presenti sia nello Stato Pontificio che in altri stati. I tribunali rotali delle città dello Stato Pontificio, come Perugia, Bologna, Ferrara, si configurarono, nel corso dell’età moderna, come espressione dell’autonomia municipale, in contrapposizione, talvolta, con i tribunali del legato pontificio. Nella seconda metà del Cinquecento le competenze universali della Rota romana furono ribadite da Pio IV e nella riforma dei tribunali voluta da Paolo V con la costituzione Universi agri dominici (1612) le facoltà giurisdizionali del tribunale rotale furono estese alle cause beneficiali e matrimoniali, ai processi di beatificazione e di canonizzazione, in particolare riguardanti l’eroicità delle virtù e il martirio. Papa Borghese intendeva ridurre il crescente potere giurisdizionale delle congregazioni, istituite o riconfigurate da Sisto V e da Clemente VIII, che aveva suscitato conflitti di competenza proprio con i supremi tribunali della Curia romana. Nonostante l’apparente staticità, come ha rilevato P. Prodi, il tribunale subisce durante i primi secoli dell’età moderna un progressivo cambiamento già avvertito alla fine del Seicento dal De Luca. Il cardinale, che aveva fatto parte del tribunale rotale, individuava la perdita del carattere universale dello stesso nella frattura prodotta nella cristianità dalla Riforma, nella crescente ostilità dei sovrani di rimettere alla Rota le cause istruite e giudicate nei loro territori, la maggiore chiarezza della normativa in materia beneficiale. Tuttavia nella carriera curiale restava fondamentale il passaggio per l’uditorato di Rota, considerato un gradino che poteva condurre al cardinalato.

    Con Alessandro VII fu riformato l’accesso a questo ufficio. Con Benedetto XIV le facoltà della Rota furono ulteriormente precisate e riguardarono le cause di beatificazione e canonizzazione, le cause di nullità della professione religiosa e lo scioglimento degli ordini sacri, il contenzioso civile, laico ed ecclesiastico, le cause beneficiali e tutte le cause inoltrate dai tribunali inferiori, laici ed ecclesiastici, che trasformarono la Rota romana in un tribunale di appello. Dopo i turbolenti anni del dominio francese, durante i quali interruppe la sua attività fra il 1798-1799 ed il 1809-1814, il tribunale rotale fu ripristinato una prima volta da Pio VII nel 1800 e nel 1814, al ritorno del pontefice nei suoi stati. Pio VII, nel 1821, lo rese competente anche per l’appello nelle cause di carattere commerciale; Gregorio XVI con il Regolamento legislativo e giudiziario per gli affari civili (1834) ne limitò le competenze e divenne tribunale di appello ordinario per le cause civili ed ecclesiastiche per Roma e lo Stato Pontificio, perdendo così la funzione di tribunale supremo universale, per trasformarsi in tribunale delegato per cause deferite alla sua competenza dal papa, dalla Segnatura di Giustizia o da congregazioni romane.

    Tribunale della Segnatura. È uno dei tribunali supremi della Curia romana, insieme alla Rota e alla Penitenzieria, che ha origine anch’esso nel XIII secolo, quando i pontefici dettero facoltà ad alcuni curiali di riferire loro sommariamente il contenuto di suppliche, dopo averlo considerato alla luce delle norme del diritto canonico. La decisione e la firma – la segnatura, appunto – sarebbero state apposte dai pontefici sugli atti precedente preparati da notai, inizialmente, e poi dai cosiddetti referendari. La definizione dei compiti e del numero dei referendarii avvenne nel ‘400, dopo il concilio di Costanza, e successivamente, sotto Eugenio IV, essi costituirono un organismo che prese il nome di Segnatura, proprio dall’atto finale con il quale il pontefice firmava le decisioni in merito alle domande di grazia e di giustizia. Era, questa, un’espressione fondamentale del potere sovrano: il papa, fonte di giustizia e grazia, ascoltava le suppliche dei sudditi che si sentissero gravati da decisioni definitive e inappellabili di altri tribunali e decideva superando i limiti previsti dalle norme (suprema et absoluta papae potestas dispensandi vel derogandi). La monarchia pontificia, nel Quattrocento, si mostrava così rafforzata anche con la costituzione e regolamentazione di questo tribunale supremo. Proprio negli ultimi decenni del XV secolo – la data precisa non è stata stabilita ma si indica il 1491 o 1492 – il tribunale si scisse in due branche parallele e autonome, ma strettamente correlate: la Segnatura di Grazia, competente per l’esame di suppliche in materia amministrativa, aveva il compito di risolvere le cause con equità, non conosceva un limite pecuniario delle cause stesse, emanava sentenze alla presenza del papa. La Segnatura di Giustizia, alla quale erano demandati l’esame e l’approvazione delle suppliche in materia giudiziaria, doveva agire nei limiti del diritto, vigilare sulla correttezza delle procedure e sull’azione dei giusdicenti. La funzione suprema del tribunale apostolico fu celebrata anche dagli affreschi che Raffaello dipinse nella stanza della Segnatura, nel palazzo Vaticano, fra il 1508 e il 1511.

    Dall’inizio del Cinquecento, la Segnatura di Giustizia si configurò come tribunale supremo della Curia con ampie competenze: poteva infatti conoscere le cause sia contenziose che criminali, ecclesiastiche e civili, sia in prima istanza che in appello per difetti di forma e per giudizio nel merito, di tutto lo Stato Pontificio, escluse quelle demandate al tribunale della piena Camera, al tribunale del Campidoglio. Non sottostavano inoltre alle due Segnature i tribunali di congregazioni come il Sant’Uffizio, Buon Governo, Vescovi e Regolari, Sacra Consulta. Nella seconda metà del Cinquecento, pontefici come Pio IV e Sisto V regolamentarono soprattutto le competenze della Segnatura di Giustizia e definirono il numero e i requisiti per poter accedere alla carica di referendario, diventata molto ambita per chi aspirava alla carriera curiale e per i privilegi che comportava, fra i quali la possibilità di legittimare i figli naturali e l’immunità di fronte alla giurisdizione vescovile per sé e per i propri familiari.

    Alessandro VII, nel 1659, stabilì nuove e precise regole per il cursus honorum dei referendari, potenziandone soprattutto la formazione in utroque e in teologia e richiedendo la pratica legale svolta presso avvocati o nella stessa Curia. Non mancarono, nel corso del Seicento, concessioni di ulteriori privilegi da parte di pontefici per compensare il servizio, la fedeltà, l’amicizia e altri legami che si instauravano all’interno della Curia e della corte romana. Contrasti per la precedenza nelle cerimonie suscitarono in questo periodo accese dispute fra i referendari e i generali degli ordini religiosi. Già sotto Innocenzo X era mutata la prassi del supremo tribunale: i ricorsi nelle cause in criminalibus non venivano più discussi nella Segnatura di Giustizia, ma dall’uditore del cardinale prefetto. Sebbene manchino ancora studi specifici che chiariscano le pratiche del tribunale e i suoi rapporti con altri uffici curiali, si può affermare che il suo potere venne restringendosi, rimanendo come corte di appello per cause romane o di quelle provenienti solo da alcune parti dello Stato Pontificio. Fra XVI e XVIII secolo anche la Segnatura di Grazia perse progressivamente la sua funzione, assorbita dalla Dataria, dalla Segreteria dei Brevi e dall’Uditore del papa.

    Tribunale della Penitenzieria Apostolica. È un supremo tribunale di grazia che concede, dietro pagamento, assoluzioni e dispense in base alla potestas ligandi et solvendi del pontefice: dispensare e assolvere da scomuniche, interdetti, censure sia nel caso di irregolarità di stato giuridico (matrimoni nei gradi proibiti) che sacramentale (ordini sacri). Sembra aver avuto origine già nel VII secolo, quando compare la figura del cardinale penitenziere, incaricato di rappresentare il pontefice davanti ai fedeli che giungevano a Roma o inoltravano suppliche per risolvere questioni di coscienza e, più tardi, casi riservati solo al papa. Infatti già nel XII secolo il tribunale appare strutturato per aiutare il papa ad assolvere i peccati gravi riservati alla sua suprema autorità. Le sue competenze riguardavano il foro interno, ma nel corso dei secoli, la sua giurisdizione si ampliò sconfinando nel foro esterno, nella giustizia penale e capitale – sacrilegio, lesa maestà papale, eresia – così come crebbe il numero dei componenti il tribunale. In particolare, con la prima celebrazione dell’anno santo, nel 1300, i penitenzieri acquisirono un potere riconoscibile anche da un rituale che sottolineava il carattere giudiziario del loro operato. Infatti, i penitenzieri minori delle basiliche romane, costituiti in collegio, toccavano con una lunga bacchetta i pellegrini e i penitenti inginocchiati davanti a loro per ottenere trenta giorni di indulgenza. Il cardinale Penitenziere maggiore celebrava questo rito pubblicamente solo quattro volte l’anno, in occasione della Domenica delle Palme a S. Giovanni in Laterano, il mercoledì santo in S. Maria Maggiore, giovedì e venerdì santo nella basilica di S. Pietro e concedeva cento giorni di indulgenza.

    Nel corso del ’400, la figura del Penitenziere maggiore assunse nella Curia un ruolo di straordinaria importanza, soprattutto sul piano finanziario, rendendo necessari interventi sia da parte di Martino V che di Sisto IV (1484) per ridimensionarne il potere divenuto ormai di giurisdizione ordinaria e per ridefinire le competenze, poiché l’assoluzione dei casi riservati era divenuta una cospicua e scandalosa fonte di rendita. Anche nel secolo successivo il tribunale e il cardinale Penitenziere furono oggetto di continui tentativi di riforma che miravano a circoscriverne il potere non sempre limitato alla risoluzione dei casi riservati e di foro interno. In particolare le riforme di Pio IV (1562) e Pio V (1569), oltre a ristrutturare anche nel numero dei componenti il tribunale, limitarono la funzione giurisdizionale solo al foro interno, rendendolo esecutore della bolla In Coena Domini che, proclamata dal papa il giovedì santo, enunciava l’elenco dei casi la cui assoluzione era riservata al papa. Inoltre Pio V attribuì agli ordini religiosi il ruolo di penitenzieri nelle basiliche romane e stabilì che fossero francescani i penitenzieri minori di S. Giovanni in Laterano, domenicani quelli della basilica di S. Maria Maggiore e gesuiti quelli di S. Pietro. La funzione di questi ultimi rivestiva anche un particolare significato rituale: al cardinale penitenziere maggiore spettava infatti l’assoluzione del pontefice sul letto di morte, ai penitenzieri minori la preparazione della salma del pontefice defunto e la recita delle esequie prima della tumulazione. La limitazione delle competenze della Penitenzieria al foro interno imposta dai pontefici nella Controriforma mirava soprattutto a separare la sua giurisdizione da quella dell’Inquisizione nella lotta all’eresia.

    Tuttavia, nel corso del Seicento, il tribunale superò nuovamente i limiti imposti, confliggendo con la giurisdizione di congregazioni, in particolare con l’Inquisizione. Il potere dei penitenzieri, che usavano l’oraculum vivae vocis nella concessione di assoluzioni di casi riservati, rese necessari ulteriori interventi per ripristinare il limite giurisdizionale al foro interno sia da parte di Urbano VIII (1634) che di Innocenzo XII (1692). Rimase però alla Penitenzieria la facoltà di assolvere nel foro interno gli eretici nei territori in cui non fosse presente l’Inquisizione. Infine, da Benedetto XIV (1744) furono di nuovo distinte con precisione le facoltà di assolvere da peccati e censure sia in foro interno che esterno, da casi riservati, concedere dispense matrimoniali, risolvere tutti i dubbi sottoposti all’autorità del sommo tribunale. La Penitenzieria divenne lo strumento per tutelare «l’uniformità e la disciplina interna del popolo cristiano…[e] diviene la sede dove si elabora e si applica la disciplina ecclesiastica, il punto di riferimento per la teologia morale, per il nuovo sistema normativo della vita cristiana» (Prodi, 311-313).

    Fonti e Bibl. essenziale

    G.B. De Luca, Il dottor volgare, Roma, nella stamperia di Giuseppe Corvo, 1673; G.B. De Luca, Relatio Romanae Curiae forensis, Venezia, ex Typographia Balleoniana, 1759: G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia, Tipografia Emiliana, 1840-1861, sub voce; E. Cerchiari, Capellani papae et Apostolicae Sedis auditores causarum Sacri Palatii Apostolici, seu Sacra romana Rota ab origine ad diem usque 20 septembris 1870 relatio historica-iuridica, Romae, Typis Polyglottis vaticanis, 1921; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae a Martino V ad Clementem IX, Città del Vaticano 1931; P. Santini, De Refendariorum ac Signaturae historico-iuridica evolutione, Roma, Scientia Catholica, 1945; N. Del Re, La Curia romana. Lineamenti storico-giuridici, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1970; M. Ascheri, Tribunali, giuristi e istituzioni dal medioevo all’età moderna, Bologna, il Mulino, 1984; Grandi tribunali e rote nell’Italia di antico regime, a cura di A. Bettoni e M. Sbriccoli, Milano, Giuffré, 1993; A. Gnavi, Carriere e Curia romana: l’uditorato di Rota (1472-1870), in «Mélanges de l’ Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée», 106, 1994, 161-202; F. Tamburini, Santi e peccatori, Confessioni e suppliche dai registri della Penitenzieria dell’Archivio Segreto Vaticano, Milano, Istituto di Propaganda Libraria, 1995; P. Prodi, Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Bologna, il Mulino, 2000; Ch. Weber, Die päpstlichen Referendare 1566-1809. Chronologie und Prosopographie, 3 voll. Stuttgart 2003-2004; E. Brambilla, Penitenzieria Apostolica, in Dizionario Storico dell’Inquisizione, a cura di A. Prosperi con la collaborazione di J. Tedeschi e V. Lavenia, vol. III, Pisa, Edizioni della Normale, 2010, 1183-1185; La Penitenzieria Apostolica e il suo archivio, a cura di A. Saraco, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2012; La Penitenza tra I e II Millennio. Per una comprensione delle origini della Penitenzieria Apostolica, a cura di M. Sodi e R. Salvarani, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2012; Penitenzieria Apostolica. Guida e regolamento dell’Archivio Storico, Città del Vaticano, Tribunale della Penitenzieria Apostolica, 2013, 24-26; Die Supplikenregister der päpstlichen Pönitentiarie aus der Zeit Pius‘ II. (1458-1464), Bibliothek des DHI Rom Band 84, Tübingen 1996; Repertorium Poenitentiariae Germanicum, voll. I, Tübingen 1998-VIII, Berlin 2012, bearb. von L. Schmugge et al. A Sip from the Well of Grace. Medieval Texts from the Apostolic Penitentiary, (zusammen mit K. Salonen), Studies in Medieval and Early Modern Canon Law 7, CUP Washington 2009; K. Salonen, Impediments and illegal marriages. Petitions to the Apostolic Penitentiary during the pontificate of Pius II (1458-1464), in Quaderni Storici, 2014/2, 533-564.


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