Università – vol. I

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    Autore: Raffaele Savigni

    Lo sviluppo culturale dell’Europa occidentale nei secoli XI-XII favorì la nascita di nuovi centri di istruzione superiore, che, pur presentando qualche affinità con esperienze precedenti (come le “case della scienza” del mondo islamico), rappresentano un fenomeno sostanzialmente nuovo, di dimensione internazionale, che accompagna l’emergere della figura moderna dell’”intellettuale” ed al tempo stesso si caratterizza per un legame più o meno stretto con la Chiesa (sottolineato da Boncompagno da Signa, per il quale «ordo quippe scholasticus est ecclesie speculum»). Le università, nate dall’incontro tra studenti e docenti ma inizialmente prive di locali appositi e di strutture stabili, assumono progressivamente, intorno al 1200, una più precisa configurazione giuridica come Studia promossi e governati da associazioni (universitates) di docenti (come a Parigi) o studenti (come a Bologna), in una complessa e variabile interazione con i due poteri universali (Papato ed Impero, ai quali Alessandro di Roes aggiunse, alla fine del ʼ200, proprio lo Studium per formare un trittico ideale) e con le autorità locali. Il primo Studio italiano, quello bolognese, sorto da una comitiva di docenti e studenti di diritto, si sviluppa progressivamente come istituzione incentrata sulla universitas scholarium (poi articolata in nationes): allo studio del diritto romano si affianca quello del diritto canonico, e, nel secolo XIV, anche della medicina, delle arti, della teologia.

    Sulle origini dello Studio di Bologna (per il quale, diversamente dal caso parigino, non è dimostrabile un preciso legame con una preesistente scuola della cattedrale, anche se G. Ropa ha raccolto alcuni indizi della vitalità della cultura ecclesiastica bolognese del sec. XI, a partire dal celebre Codice Angelica 123), si è sviluppato negli ultimi decenni un vivace dibattito: se Carlo Dolcini ha ipotizzato un ruolo decisivo del vescovo filoimperiale  Pietro (forse identificabile con il misterioso Pepo che secondo fonti più tarde avrebbe insegnato diritto a Bologna prima di Irnerio: si veda l’allusione di Rodolfo il Nero, intorno al 1180, «Cum igitur a magistro Peppone velut aurora surgente iuris civilis renasceretur initium»), Giovanna Nicolaj ha ricondotto piuttosto la figura di Pepo ad un ambiente notarile. Da parte sua Giuseppe Mazzanti ha attribuito a Irnerio un curriculum di studi anche teologici, che sarebbe sfociato nella redazione di un Liber divinarum sententiarum (di cui lo stesso Mazzanti ha fornito l’edizione critica: Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 1999): ma questa proposta non è condivisa da molti storici del diritto. Non appare più sostenibile l’ipotesi, accreditata nel ‘200 dal giurista bolognese Odofredo, di una translatio dei libri legales da Roma a Ravenna e di qui a Bologna, e sembra preferibile sottolineare il policentrismo che caratterizzava la realtà culturale del secolo XI.

    Con la costituzione autentica Habita di Federico I (1155) gli studenti approdati a Bologna per frequentare lo Studio («fatti esuli dall’amore della scienza») vennero sottratti alla giurisdizione comunale e sottoposti al giudizio del loro maestro o, a scelta, del vescovo. Più tardi, per nobilitare lo Studio bolognese nel momento in cui Federico II creava l’Università di Napoli (1224), vietando ai sudditi del Regno di Sicilia di frequentare scuole al di fuori del Regno stesso, venne fabbricato (intorno al 1225) il falso privilegio teodosiano, che riconduceva a Teodosio II la fondazione dell’Ateneo bolognese. Sebbene il Comune cercasse di trattenere a Bologna i docenti mediante l’imposizione di vincoli giuridici e la concessione di benefici economici (ad esempio assicurando un salario ai maestri che insegnavano nello studium locale), si verificarono diverse migrazioni di studenti e docenti, che diedero origine agli Studi (talora destinati al successo, talora di durata effimera) di Modena (discusso trasferimento di Pillio da Medicina, 1182), Vicenza (1204), Arezzo (1215), Padova (1222), Vercelli (1228: trasferimento promosso da studenti padovani col sostegno attivo del Comune di Vercelli). I nuovi Studi sorti nella penisola in seguito alla volontaria migrazione di gruppi di studenti e professori seguono sostanzialmente il modello bolognese (quello dell’universitas scholarium: è il caso della «societas bazallariorum et scollarium liberalium arcium de Studio paduano» che nel 1262 approva la Cronaca di Rolandino da Padova) piuttosto che quello parigino (incentrato sull’universitas magistrorum e maggiormente dipendente dall’autorità ecclesiastica, che controllava lo Studio tramite la figura del cancelliere vescovile); ma sembra che quest’ultimo abbia esercitato un’influenza sulla nascita dell’Ateneo pisano, formalmente sancita da Clemente VI nel 1343. Nel secolo XIII venne utilizzato, per indicare un centro di studi superiori capace di attirare studenti da tutta Europa, il termine Studium generale; e a questi Studi venne riconosciuto dal pontefice, nel 1291, il potere di conferire la licentia ubique docendi, che estendeva la validità della licentia docendi (la laurea con valore legale) già introdotta nei decenni precedenti (nel quadro di un processo di istituzionalizzazione che implicò il superamento dell’iniziale spontaneismo) e conferita dall’autorità ecclesiastica. A Bologna tale compito fu affidato nel 1219 da papa Onorio III non al vescovo o al suo cancelliere, ma all’arcidiacono: come ha osservato Lorenzo Paolini, questo provvedimento non riflette tanto una volontà di ingerenza della Chiesa (che appare invece più evidente verso la fine del secolo), quanto piuttosto l’intento di favorire un superamento delle tensioni che negli anni precedenti avevano caratterizzato i rapporti tra studenti, docenti ed autorità cittadine (le quali tentavano di sottoporre lo Studio al proprio controllo). L’intervento papale bloccò le pressioni localistiche e salvaguardò il respiro internazionale dello Studio, ma non eliminò il vaglio scientifico dei candidati da parte della commissione esaminatrice, in quanto il compito dell’arcidiacono si limitava al conferimento del titolo finale nel quadro di una cerimonia pubblica.

    A Bologna la nascita di una vera e propria universitas scholarium, ben presto articolata in nationes, ma chiamata a rappresentare unitariamente gli studenti di fronte alle autorità comunali, va collocata tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo: dopo un’iniziale divisione tra studenti citramontani (italici) e ultramontani, nel 1265 è attestata l’esistenza di ben tredici nationes ultramontane, che fissarono i criteri di rotazione per l’elezione del loro rettore. Gli studenti d’oltralpe erano mediamente più anziani e studiavano prevalentemente diritto canonico, mentre quelli italiani privilegiavano lo studio del diritto civile. Se Parigi mantenne a lungo il monopolio sull’insegnamento universitario della teologia, nel 1360 Innocenzo VI istituì anche a Bologna la facoltà di teologia, che, inaugurata nel 1364, fu affidata al controllo dell’arcivescovo, il quale assumeva la funzione di cancelliere. Tale facoltà svolse però un ruolo non troppo incisivo, in quanto nell’insegnamento della teologia si affermarono ben presto gli Ordini Mendicanti (già sostenuti dal Papato nella polemica che nel Duecento li aveva contrapposti a Guglielmo di S. Amore ed ai maestri “secolari” dello Studio parigino). Nel 1304 il capitolo generale dei Domenicani (che sin dagli inizi avevano stabilito rapporti di contiguità con gli ambienti universitari) stabilì che in ogni provincia dell’Ordine sorgesse uno Studium generale; nel corso del Quattrocento gli Studia dei Mendicanti vennero incorporati nelle Università, per cui le facoltà universitarie di teologia che mantennero un’autonomia formale rispetto ad essi vennero di fatto marginalizzate.

    Altre università furono fondate dall’imperatore, dal papa o da altri sovrani europei. L’iniziativa di Federico II, che fondando l’Ateneo di Napoli sulla base del principio del monopolio statale dell’insegnamento intendeva preparare i funzionari del Regno (per questo egli sottopose al proprio controllo la nomina dei docenti), pose le premesse per una serie di fondazioni di atenei nazionali (Lisbona 1290, Praga 1347, Vienna 1365) o comunque controllati dai poteri regionali (Pavia 1389, Torino 1405, Catania 1444). A partire dalla fine del ‘300 diversi Studi, come quello padovano, tentarono sempre più di limitare il reclutamento dei docenti all’ambito locale, chiedendo come prerequisito per potervi insegnare il possesso della cittadinanza, e concessero l’ingresso gratuito nel collegio dei giuristi ai soli discendenti maschi di un dottore che ne avesse fatto parte: si verificò quindi un processo di graduale nazionalizzazione degli Studia, mentre il corpo accademico tendeva a diventare una casta ereditaria. In età umanistica si registra inoltre uno scollamento tra le Università e le Accademie umanistiche create dai principi.

    La libera ricerca razionale, che con Abelardo aveva caratterizzato la figura di un intellettuale orgoglioso del proprio status ed almeno tendenzialmente autonomo rispetto al gruppo sociale di provenienza ed ai diversi poteri, cedette il passo ad un potenziato ruolo politico del docente, concepito come educatore dei sudditi e garante dell’ordine sociale e morale. Nel corso del XV secolo, che nonostante le sfumature introdotte dagli studi più recenti segna indubbiamente una frattura cronologica, le università diventarono quindi, come ha osservato J. Le Goff (Università e pubblici poteri, p. 187), «centri di formazione professionale al servizio degli Stati» piuttosto che centri di lavoro intellettuale disinteressato. Carlo V nominò (1530) conti palatini i dottori dello Studio bolognese, che però assunse sempre più una connotazione cittadina e vide progressivamente attenuarsi quella dimensione internazionale che lo aveva caratterizzato nei primi due secoli.

    A Roma gli istituti di istruzione superiore furono a lungo rivolti esclusivamente al clero urbano (è il caso della scuola capitolare lateranense e dello Studium Curiae istituito da Innocenzo IV, che non rilasciava veri e propri titoli accademici). La prima vera università di Roma, lo Studium Urbis, matrice dell’attuale Università «La Sapienza» (laicizzata nel 1870), venne istituita da Bonifacio VIII con la bolla In Supremae praeminentia dignitatis (20 aprile 1303: «uno Studio generale dotato di tutte le facoltà, i cui maestri e studenti godano di tutti i privilegi, libertà e immunità concessi ai dottori e agli studenti degli Studi generali»), e rifondata, dopo un periodo di decadenza, nel 1406. Lo Studium Urbis (presso il quale si tennero corsi di teologia, materie letterarie, diritto civile e canonico, quindi anche di medicina e chirurgia) subì dalla metà del ‘500 la forte concorrenza del Collegio romano dei Gesuiti, innalzato al rango di università da papa Paolo IV (1556); e venne sottoposto nel 1824 da Leone XII, con la bolla Quod divina sapientia, ad uno stretto controllo da parte della Congregazione degli studi, che, composta da cardinali e prelati, sovrintendeva ai programmi e all’organizzazione di tutte le università dello Stato della Chiesa, con ampi poteri di censura. In età moderna sorsero altri Atenei pontifici, come l’Università Urbaniana, che trae le sue origini dal Collegio Missionario di Propaganda Fide, fondato nel 1624 dal prelato spagnolo J.B. Vives y Marja, con lo scopo di formare missionari secolari attenti alle culture dei popoli extraeuropei: il collegio, affidato ai Teatini, fu elevato al rango di Pontificio Ateneo da papa Urbano VIII con la bolla Immortalis Dei Filius (1 agosto 1627). In concomitanza con la soppressione della Compagnia di Gesù (1773) Clemente XIV affidò le facoltà di teologia e di filosofia del Collegio Romano al clero della diocesi di Roma; nel 1824 Leone XII le restituì ai Gesuiti, ma consentì al clero secolare che li aveva sostituiti di continuare a dedicarsi all’insegnamento, e da questo nucleo sorse, sotto Pio IX, l’Ateneo del Pontificio Seminario Romano, che con Giovanni XXIII (1959) divenne la Pontificia Università Lateranense.

    Il passaggio, nel corso dei secoli, da un’ampia peregrinatio di studenti (e talora di maestri) ad una progressiva regionalizzazione del reclutamento studentesco favorì la diffusione dei collegi. I Gesuiti fondarono scuole e collegi che talora divennero vere e proprie università: il loro inserimento a Bologna provocò il progressivo scorporo di una parte delle discipline propedeutiche (come la grammatica) dal controllo degli organi accademici, mentre non ebbe successo il tentativo di rilancio della Facoltà di teologia dello Studio avviato dal card. Paleotti, per cui nel ‘700 Benedetto XIV inserì all’interno del Seminario gli insegnamenti di teologia destinati alla formazione del clero secolare.

    La soppressione delle cattedre di teologia nelle Università statali per iniziativa del ministro Correnti (1873) relegò tale insegnamento negli atenei ecclesiastici e favorì quella divaricazione tra cultura “laica” e cultura ecclesiastica che ha caratterizzato la storia dell’Italia unita.

    Fonti e Bibl. essenziale

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