Visite ad limina – vol. I

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    Autore: Angelo Turchini

    La visita ‘ad limina apostolorum’ in pellegrinaggio devoto è una prassi remotissima, affonda nei primi secoli (tracce in una lettera indirizzata al papa dal concilio di Sardica del 343), legata al culto delle reliquie degli apostoli Pietro e Paolo; papa Zaccaria (741-752) sarebbe stato il primo a imporla come obbligo ai vescovi nel sinodo romano del 743; i vescovi più vicini dovevano recarsi a Roma, quelli più lontani potevano assolvere all’obbligo tramite un chirografo (probabilmente una relazione sullo status).

    L’omaggio al successore di Pietro, visitando le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo, e comunque la sede apostolica, vedrà diverse fasi e momenti, compresa la fissazione della periodicità, variabile a seconda della distanza da Roma (ogni anno, ogni due, se al di qua o al di là delle Alpi, e ogni tre o cinque, poi ogni quattro, se oltremare) non ben definita ancora alla fine del XII secolo; Gregorio VII (sinodo romano del 1079) stabilisce che i vescovi, prima della consacrazione, giurino di fare una visita ‘ad limina’ annuale (anche tramite delegati); poi il concilio Lateranense del 1215 (c. 26) prevederà la visita ‘ad limina’ del vescovo (personalmente se possibile) per la conferma dell’elezione. Gregorio IX nel 1234 (costituzione apostolica Rex pacificus) dà forza di legge all’obbligo del giuramento dal 1234 la visita ‘ad limina’ per disposizione di papa Gregorio IX viene richiesta a tutti i vescovi, con frequenza proporzionata alla distanza. Al di là dell’oggetto della visita propriamente detta (al papa e alle tombe degli apostoli) si fissa un anche contenuto della visita, ovvero la presentazione dello ‘status’ della chiesa particolare, esplicitamente ricordato nella tradizione canonistica già verso il 1265 (E. Ostiense), divenendo poi opinione comune (e non considerando il pagamento di censi dovuti alla sede apostolica).

    Per soddisfare all’atto dovuto e universalmente previsto dalla bolla Romanus pontifex emanata da papa Sisto V il 20 dicembre 1587, il vescovo si deve recare a Roma ogni tre anni (almeno per le diocesi italiane) per prestare il dovuto omaggio, e presentare, personalmente o tramite procuratore specifico o delegato, le ‘relationes ad limina’ ovvero le relazioni sulla diocesi alla competente Congregazione romana (in questo caso quella detta del Concilio) perché potesse rendersi conto della situazione delle diocesi, stimolare l’attività dei vescovi, risolvere tutti i dubbi e le difficoltà; la norma verrà poi incorporata nel Pontificale romano. Le relazioni da allora prodotte tendono a dare un resoconto, una descrizione completa della diocesi, sia di quanto sotto il controllo e giurisdizione episcopale sia di quanto esente, e sono scritture molto utili per conoscere la vita e la storia delle diocesi, permettendo di cogliere la complessità e la diversità delle istituzioni presenti in chiave sincronica e diacronica, offrendo soprattutto dati pertinenti alle istituzioni ecclesiastiche e alla loro organizzazione, con precisi riferimenti ad un quadro d’insieme della realtà (sia pure limitata ad alcuni ambiti, mentre vorremmo sapere molto di più per tanti altri), percepita e selezionata dal vescovo in ottemperanza ad un obbligo previsto con tempistica, formalità, contenuti ben determinati. Esse sono conservate e disponibili nell’Archivio Segreto Vaticano, nel fondo della Congregazione del Concilio.

    Il problema di una sollecitazione alla visita era già stato presente a C. Borromeo che ne aveva disposto le modalità tematiche nel VI concilio provinciale del 1582, relazionando con particolare riguardo sullo stato della chiesa, sulla disciplina del clero e sul progresso dei fedeli ‘in via Domini’; poi papa Gregorio XIII sul finire del pontificato aveva elaborato un questionario apposito probabilmente rivolto a questo fine, e incentrato sulla attività dei vescovi: non è qui il caso di soffermarvisi se non per un doveroso richiamo ai suoi Capita rerum quarum rationem…nunc ab episcopis petit; ma Sisto V non sembra offrire precise istruzioni in proposito; alcune formule, come una “formula ultima episcoporum per se visitantium”, e un’altra “formula episcoporum visitantium limina apostolorum per procuratorem”, peraltro compariranno nel 1588. Successivamente interviene ancora papa Benedetto XIII proponendo nel 1725 un questionario molto ricco, in cui ai punti principali sullo stato della chiesa materiale (I.), sul vescovo (II.), sul clero secolare (III.) e regolare (IV.), sulle monache (V.), sul seminario (VI.), sugli oneri delle messe, le confraternite e i pia loca (VII.), sui fedeli (VIII.), richieste, quesiti, problemi (IX.) segue una serie articolata e precisa di paragrafi oggetto di ulteriore richiesta informativa; seguirà un intervento di Benedetto XIV con la costituzione Quod sancta del 23 novembre 1740. Le ‘relationes’ stavano con l’Archivio del buon governo sino al 1767, trasferite quindi in un’altra stanza sotto la terrazza di Pio IV, e riordinate prima del trasferimento a Parigi e il ritorno in Vaticano.

    Uno schema ideale prevede (anche se l’ordine non è rispettato nella sequenza) nascita e sviluppo della diocesi, la diocesi, amministrazione della medesima (vicario e simili), cattedrale e residenza episcopale, capitolo della cattedrale, collegiate, monasteri maschili e femminili, fondazioni religiose, pia loca e confraternite, parrocchie, fedeli, clero, azione episcopale, residenza e attività pastorale (sinodi, visite, clero, liturgia, seminario e scuole e simili. Nulla sfugge nella relazione al controllo episcopale, anche gli esenti sono oggetto di un discorso da parte di chi conosce bene la realtà diocesana da un punto di osservazione eccezionale, ma spesso si riscontra genericità, magari circa l’organizzazione regolare, e quella caritativo assistenziale; naturalmente si presta particolare attenzione ai problemi maggiormente avvertiti.

    Le relazioni, sfruttate ancora episodicamente nella ricerca delle realtà diocesane, magari erroneamente considerate inadeguate alla conoscenza della vita religiosa e istituzionale, possono essere sommarie o analitiche, più o meno ben strutturate, fino a presentare la trattazione divisa in capitoli, quindi in paragrafi, a loro volta ulteriormente articolati per punti (la cosa è agevolata avendo a modello gli schemi emanati), per chiudere con una serie di domande o postulati, o quesiti; tuttavia anche nella loro asciuttezza e talvolta secchezza schematica presentano un quadro documentario notevolmente ricco e articolato, offrendo articolate forme di presenza della chiesa nel contesto della società. Nella loro attendibilità gioca la persona del vescovo estensore, l’attenzione, l’impegno, la conoscenza.

    La struttura in genere segue un ordine definito, che parte dalla descrizione della città, per passare a parlare dell’episcopato (in realtà offrendo un breve curriculum del vescovo e della sua attività), presentando poi il territorio diocesano, la struttura istituzionale e la popolazione nel suo complesso; si passa poi alla cattedrale, alla prestazione del culto e dei divini offici nella medesima, quindi alle parrocchie con particolare riguardo all’amministrazione dei sacramenti, per venire alla presentazione dei loca pia, delle case religiose presenti (monasteri maschili e femminili); infine si segnalano alcuni casi particolari, prima di concludere in generale sulla diocesi nel suo complesso, presentando eventuali questioni per cui in qualche modo si richiede l’intervento della S. Congregazione del concilio. Nella estensione non mancano aspetti di ripetitività quando viene assunto il modello della visita precedente non solo per lo schema, ma anche sotto l’aspetto lessicale (con intere frasi e parti del discorso, per punti non problematici) che va ben oltre la struttura dei temi affrontati; importano anche valutazioni talora affidate a un aggettivo o a un avverbio.

    Come viene recepito dai vescovi l’obbligo della presentazione della relazione sulla diocesi? E’ evidente una lettura pastorale, e non burocratica, dell’atto, per quanto incanalato in forme e modalità determinate, e anche ripetute; la cosa non viene spesso esplicitata dal vescovo estensore e, quando ciò accade compare generalmente in occasione d’inizio episcopato. Spesso i vescovi ripercorrono rapidamente la loro carriera, scrivendo il loro curricolo a partire dalla nomina, sottolineando tuttavia di osservare la residenza, di espletare le visite pastorali e via dicendo; una volta esposto lo stato materiale della diocesi (ovvero la struttura istituzionale) si passa a descrivere la parte formale del clero ed i costumi della popolazione e la valutazione talora volge al panegirico. Dalle relazioni traluce la coscienza dei doveri episcopali, la percezione soggettiva dei problemi, e i loro riflessi pastorali, e insieme la limitazione dei medesimi ad una sfera precisa, di tipo amministrativo, generalmente (e obbligatoriamente) rivolta a tutta la diocesi; del resto ci si rifà ai dettami del concilio di Trento, assunti come principi motori delle dinamiche pastorali, e della stessa coscienza episcopale.

    Le relazioni, una volta accolte, vengono esaminate negli uffici curiali romani, che vi lasciano tracce e appunti, da sottolineature di richiamo marginale su alcuni aspetti o punti problematici o anche apprezzabili; in qualche caso si procede a sottolineature, o ancora ad annotazioni con parentesi quadre; a margine ancora compare qualche nota del lettore che probabilmente si appunta dubbi ed eventuali quesiti di qualche problema da affrontare e discutere, evidentemente meritevole di approfondimento ulteriore, da trattare o sottoporre a parere alla Congregazione (talora anche il referente), comunque meritevoli di risoluzione adeguata, tanto più se il vescovo chiede lumi sul da farsi e via dicendo. A tale riguardo non mancano annotazioni del lettore curiale con qualche riferimento giuridico richiamando risoluzioni già adottate altrove, atto a costituire evidentemente la base della risposta alla richiesta esplicitamente posta nel corso della relazione; si apre una pratica e diverse scritture possono accrescere il fascicolo della visita.

    Fonti e Bibl. essenziale

    Per l’epoca precedente al Tridentino mi limito a segnalare J. Cottier, Eléments nouveauz des normes de la visite “ad limina” et elur valeur juridique respective, des Décrétales au concile de Trent, “Ephemerides juris canonici”, VIII, 1952, 1; poi cfr. La sacra Congregazione del Concilio. Quarto centenario della fondazione (1564-1964). Studi e ricerche, Città del Vaticano 1964; per il questionario, edito in fine al concilio romano del 1725, rinvio ad A. Lucidi, De visitatione sacrorum liminum seu instructio S. C. Concilii S. M. Benedicti XIII super modo conficiendi relationes de statu ecclesiarum exposita et illustrata…, I, 1-2, Romae-Parisiis-Tauruni 1866 (2a ed. 1878) (riproposto in F.L. Ferraris, Bibliotheca canonica iuridica moralis theologica nec non ascetica polemica rubricistica historica, V, K-O, Romae 1889, 165-168); si v. M. Rosa, Religione e società nel Mezzogiorno tra Cinque e Seicento, Bari 1976, 17-74 (Geografia e storia religiosa per l’Atlante storico italiano, già edito in “Nuova rivista storica”, 1969), poi M. Chiabò, C. Ranieri, L. Roberti, Le diocesi suburbicarie nelle “visitae ad limina” dell’Archivio segreto vaticano, Città del Vaticano 1988, quindi A. Turchini, Lo stato materiale e spirituale della diocesi di Pesaro nelle ‘visite ad limina’, secoli XVII-XVIII, in Pesaro dalla devoluzione all’illuminismo, IV, 1, Venezia 2005, 31-49, e Le relazioni “ad limina” della diocesi di Catania (1595-1890), Catania 2009; infine v. gli importanti contributi di D. Menozzi, Per l’utilizzazione delle “relationes ad limina” in sede storica. L’esempio di Reggio Emilia e Guastalla, in Presiedere la carità. Studi in onore di mons. G. Baroni, vescovo di Reggio Emilia e Guastalla, a c. di E. Mazza, D. Gianotti, Genova 1988, 407-415 e, dello stesso autore, L’utilizzazione delle “relationes ad limina” nella storiografia, “Storia e problemi contemporanei”, V, 1992, n. 99, 135-156.


    LEMMARIO