Visite apostoliche – vol. I

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    Autore: Maurilio Guasco

    Il termine assume un significato specifico solo con il Concilio Tridentino, e possiamo dire che i papi vi fanno ricorso con una certa frequenza nel corso dei secoli XVI e XVII. Le ragioni sono le più diverse. Il pontefice può nominare un suo visitatore che indaghi e presenti una relazione alla Santa Sede quando in certe zone si verifichino situazioni di irregolarità o di disubbidienza a determinate regole. Oppure può decidere di estendere a intere regioni ecclesiastiche una visita o per verificare se e come viene applicata una determinata riforma, oppure in vista di meglio programmare proprio quella riforma che si sta preparando. Per questo le visite possono essere ordinate direttamente dalla Santa Sede, ma più sovente vengono indette da una Congregazione romana: in questo caso il visitatore riceverà un mandato connesso con gli aspetti della vita di una diocesi o di una regione ecclesiastica dipendenti dalla Congregazione che decide la visita. Si tratta, come precisa il canone 343 del Codice di Diritto Canonico del 1917, e attribuendo alla visita apostolica gli stessi scopi connessi con la visita pastorale, di conservare “sanam et orthodoxam doctrinam”, di difendere i buoni costumi e correggere quelli cattivi.

    Non esiste una specifica normativa che regoli tali visite. Esse infatti, come viene ricordato nei documenti romani, sono occasionaliter decretatae, il visitatore quindi agisce nei modi e negli ambiti che sono specificati dal mandato ricevuto, che si estende ai vari aspetti indicati dal documento con cui la visita è stata decisa dall’autorità romana. Si distinguono dalle visite pastorali, termine con il quale vengono indicate le visite che il vescovo compie periodicamente nella sua diocesi.

    Sarebbe però riduttivo indicare con tale termine solo il modello messo in atto dal Concilio Tridentino, dal momento che già in epoca precedente alcuni Concili e Sinodi hanno parlato di visite da compiersi in alcune diocesi o in alcuni monasteri, e non solo per ordine di qualche vescovo o di qualche abate, ma anche facendo riferimento esplicito alla Sede apostolica.

    Troviamo ad esempio un cenno alla visita canonica da parte di un arcivescovo o metropolita nel Concilio Costantinopolitano IV (869-870), che condanna gli abusi che il visitatore può compiere proprio con la scusa della visita canonica, mentre nel Lateranense III (1179) si danno delle precise norme perché tali visite vengano svolte con una certa sobrietà, per non gravare eccessivamente sulle chiese visitate, al punto da costringere i sudditi “a vendere le suppellettili della chiesa, mentre i viveri accantonati per un lungo periodo sono consumati in breve tempo”.

    Il Lateranense IV (1215) dà invece disposizioni perché “siano nominate persone religiose e prudenti” che visitino le abbazie sia maschili che femminili del regno o della provincia avendo come compito di “correggere e riformare ciò che ha bisogno di correzione e di riforma”, in modo che “i visitatori al loro arrivo vi trovino più cose da lodare che da riformare”. Il secondo Concilio di Lione (1274) ricorderà la proibizione per i visitatori di ricevere sotto qualsiasi forma del denaro o dei doni, dovendo invece accontentarsi della semplice ospitalità. Il Concilio di Vienna (1311-1312) parla invece delle visite ai monasteri femminili facendo esplicito riferimento all’autorità pontificia. Questi infatti riceveranno “la visita degli ordinari locali in nome della loro personale autorità, se essi non sono esenti, in nome dell’autorità apostolica se fossero esenti”.

    Sarà poi il Concilio di Trento (1545-1563) a dettare una serie di regole sulle visite apostoliche, che man si differenzieranno dalle visite pastorali, di pertinenza degli ordinari del luogo. Tale visita verrà svolta dai vescovi “in virtù dell’autorità apostolica” e in certi casi particolari “anche in qualità di delegati della Sede apostolica”.

    Gli stessi vescovi d’altronde potevano diventare oggetto della visita apostolica. Il Concilio di Trento infatti era orientato, causa i problemi sollevati dalla Riforma, a una certa centralizzazione romana, e soprattutto voleva creare strumenti che garantissero che nelle varie diocesi si sarebbero attuati i provvedimenti decisi dallo stesso Concilio. La visita apostolica diventava così anche uno strumento di controllo sulla attuazione delle riforme, e vi avrebbe fatto ricorso con una certa regolarità Gregorio XIII, successore di Pio V anche nella volontà di far applicare le riforme del Tridentino.

    Tale strumento però, utilizzato con una certa regolarità nel corso del XVI secolo, venne di fatto abbandonato nel corso del XVII secolo, al di là di qualche caso considerato grave. Fu solo negli anni della Restaurazione che i papi fecero nuovamente ricorso alla visita apostolica. Leone XII, ad esempio, fece svolgere una visita apostolica tra il 1824 e il 1828. Si trattava però, e questo vale per altre visite apostoliche concernenti la diocesi di Roma, più che di una visita apostolica, di una visita pastorale. Il termine deriva dal fatto che il papa viene indicato come il dominus apostolicus, e quindi anche la visita pastorale alla diocesi viene definita visita apostolica.

    Negli anni della Restaurazione, la Chiesa stava vivendo una situazione parzialmente simile a quella vissuta nei decenni successivi alla Riforma, dopo la bufera napoleonica e mentre gli Stati si stavano lentamente riorganizzando. Era dunque necessario avere a Roma una panoramica delle diverse situazioni, e l’Italia, causa la presenza di Stati con culture e amministrazioni civili molto diverse, così come i territori pontifici, avevano particolarmente bisogno di tale verifica.

    Fonti e Bibl. essenziale

    G. Alberigo, L’episcopato nel cattolicesimo post-tridentino, in “Cristianesimo nella storia”, VI (1985), 71-91; Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura dell’Istituto per le Scienze religiose di Bologna, Dehoniane, Bologna 1991; L. Fiorani, Le visite apostoliche del Cinque-Seicento e la società religiosa romana, in “Ricerche per la storia religiosa di Roma”, 4 (1980), 53-148; S. Pagano, Le visite apostoliche a Roma nei secoli XVI-XIX. Repertorio delle fonti, in “Ricerche per la storia religiosa di Roma”, 4 (1980), 317-464; A. Prosperi, Riforma cattolica, controriforma, disciplinamento sociale, in Storia dell’Italia religiosa, II, L’età moderna, a cura di G. De Rosa e T. Gregory, Laterza, Roma-Bari 1994, 3-48; Visita apostolica e decreti di Carlo Borromeo alla diocesi di Brescia, a cura di A. Turchini et alii, “Brixia sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia”, 6 voll., Brescia 2003-2007.


    LEMMARIO