Visite pastorali – vol. I

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    Autore: Angelo Turchini

    Fin dalle origini la visita è ritenuta uno dei più gravi obblighi del ministero sacerdotale, a partire dalle testimonianze degli apostoli Pietro che “circuibat civitates et vicos ut confirmaret fideles” (At 9,32), e Paolo. Attestata dal IV secolo, l’istituzionalizzazione dell’istituto giuridico della visita si ha nel VI secolo: per la prima volta un concilio provinciale, quello di Terragona del 516, formula l’obbligo delle visite (can. 8), con riferimento ad un ordine di antica consuetudine, generalizzata un po’ ovunque, specialmente in Italia sotto il pontificato di Gregorio magno e in Francia. La disposizione del 516, ripetuta e meglio determinata dal concilio di Toledo del 633, verrà riproposta nel Decretum di Graziano (1150 circa), per entrare poi nelle compilazione autentiche.

    Visita pastorale e sinodo nel IX e X secolo si articolano come organizzazione di controllo; l’obbligo di visita è imposto ai vescovi dai capitolari carolingi (capitolare mantovano del 781 ad esempio); anche se non sono rimasti verbali di visita sino al X secolo, non mancano i formulari di visita, testimoniati dal De synodalibus causis et de disciplinis ecclesiasticis (906) di Reginone di Prum, opera inspirata dai Capitula di Incmaro di Reims (845-882), e poi ripresa da Burchard di Worms (1025).

    Non mancano litigi fra vescovi e arcidiaconi, fra metropoliti e suffraganei per applicazioni, periodicità, modalità dei controlli all’interno della diocesi, con concorrenza fra visitatori per l’esercizio del diritto, con relativa riscossione di tributo (cfr. Extravagantes c. 6 de censibus, e le decretali per lo più limitate alla repressione di abusi), giacché il vescovo itinerante, come il sovrano, ha dei costi /ovvero diritto “de gite”/; Innocenzo IV nel 1246 promulga la costituzione Romana Ecclesia, contenente un trattato giuridico sulla visita pastorale; nel 1270 se ne sottolinea l’importanza nel concilio Lateranense 4 (cap. 12); la visita poi diventa un dovere, ma privilegi ed esenzioni non permettono libera giurisdizione episcopale su persone fisiche e morali, e non manca chi cerca di approfittarne per usurpare diritti.

    Visite in diocesi della penisola sono attestate fin dal XIII secolo, per diventare un po’ più diffuse nel XIV e più frequenti nel XV, connesse ad una nuova sensibilità episcopale e ad un sentimento di riforma della chiesa; non di rado le visite pastorali nel basso medioevo seguono un questionario, comunque ricostruibile, ad esempio per le diocesi di Pisa, Milano, Piacenza; si effettuano inchieste amministrative, disciplinari e riformatrici e qualche volta il visitatore, in preciso contesto, è anche giudice su questioni giuridiche e patrimoniali, attuando la cosiddetta visitatio synodalis, come farà ancora G. M. Giberti a Verona poco prima del concilio di Trento. Un Ordo ad visitandas parochias nel Pontificale di G. Durand, testo liturgico, ma solo con il Pontificale romanum di Clemente VIII (1595, reso obbligatorio nel 1596) si ha una procedura cerimoniale uniforme, per cui il cerimoniale di visita viene ben definito, con ragguagli sull’accoglienza, la procedura, la processione alla chiesa con l’assegnazione dei posti, i riti all’ingresso e all’altare con benedizione, quindi sulla predica del visitatore, con i motivi della venuta (inchiesta, verifica, giudizio, consiglio) durante la messa; nota delle confraternite, ospedali e luoghi pii e dell’amministrazione della cresima.

    Dopo la conclusione del concilio di Trento, la visita pastorale diventa dovere personale del vescovo, da effettuarsi obbligatoriamente ogni due anni, come importante strumento di riforma ecclesiastica, nei riguardi del clero come dei fedeli. La visita pastorale secondo il concilio (Sess. XXIV, de ref. cap. 3) intende soddisfare a diversi scopi: in primo luogo indurre e proporre una dottrina pura e ortodossa, conservare una buona prassi di vita cristiana, animare i fedeli (“populum”) con esortazioni ed ammonimenti, stimolandoli alla religione, alla collaborazione sociale (“ad…pacem”), alla purezza di vita; in altri termini si propone una acculturazione religiosa e comportamentale ad extra e ad intra, in chiave di disciplinamento morale e sociale, ben illustrato dalla teoria e soprattutto nella prassi visitale di personaggi influenti non solo in loco, come Carlo Borromeo a Milano. Dopo il concilio di Trento (al di là di un’ottica tridentinocentrica degli studi) si assiste ad una forte mutamento nella prassi visitale, ben rilevabile dalla documentazione sedimentata negli archivi diocesani: la visita tocca la città e la diocesi, può esplicarsi in diverse tornate di visita e vede l’emanazione di decreti, intervenendo conseguentemente sulla realtà; per quanto limitata, essa offre un quadro specifico e nuova è la generalizzazione diffusa della visita, la sua rivalutazione, la sua formalizzazione come dovere personale del vescovo, come il suo costante (parziale) adeguamento alle situazioni del tempo. Importa l’azione della visita, oltre lo svolgimento della medesima, il cui contesto naturale è pastorale e insieme amministrativo, in una precisa realtà istituzionale investigata.

    Come è noto, nella pratica della visita, si hanno alcuni momenti fondamentali: oltre il momento della preparazione, si ha quello dell’ingresso come incontro fra comunità e visitatore alla scoperta del territorio; segue la ‘visitatio rerum’ e la ‘visitatio hominum’ (con particolare riguardo ai chierici), ma si presta attenzione anche ai laici, organizzati o meno, ai loro specifici interessi, anche con diverse attese ed aspettative rispetto ad un potere più vicino che tende a reintegrare eventuali motivi di lacerazione della comunità; si assumono inoltre informazioni relative all’organizzazione ecclesiastica sul territorio, tendendo al controllo del funzionamento delle istituzioni, anche per via delegata; non manca la predicazione come occasione di insegnamento, di ricognizione amministrativa e di animazione religiosa; infine si adottano i ‘decreta’, ovvero i provvedimenti ritenuti utili per quella specifica realtà.

    Si esaminano gli edifici ecclesiastici per verificarne lo stato di conservazione, gli altari e le suppellettili e soprattutto le reliquie dei santi, al pari dei cimiteri; si guarda allo stato dei chierici, dei benefici, del loro modo di vivere, considerando la figura di un buon sacerdote quale punto di riferimento per i fedeli; tramite un clero residente e predicante, esercitante appieno le funzioni amministrative, si intende pervenire al controllo della comunità, alla sua formazione ed educazione, con l’insegnamento della dottrina cristiana; lo stato del ministro assume una visibilità istituzionale maggiore rispetto al passato, così come quello del fedele ha caratteristiche evidenti di battezzato e catecumeno, confermato, sposato, confessato e pascalizzato, il tutto accertabile attraverso la scrittura aggiornata dei libri dei battesimi, delle cresime, dei matrimoni, dei morti.

    Si evidenzia il luogo sacro rispetto a quello profano, in un processo più che di sacralizzazione della realtà, di clericalizzazione della società; del resto lo spazio sacro è luogo deputato ad una socializzazione comunitaria con uno statuto spaziale simbolicamente determinato a segnalare la natura liminare dei riti nel loro complesso; nella chiesa parrocchiale si riuniscono le assemblee della popolazione come espressione sia del grado di organizzazione raggiunto in campo civile, della comunità locale, sia della tipologia della struttura ecclesiastica meridionale a base largamente laicale. I gesti e le formule del rituale come circostanze uniformi sono destinati ad imprimersi in ognuno, costruendo una comunità che confessa la sua identità; il rito costituisce un indice comportamentale, designando tanto il gruppo, con punti di riferimento identitario, quanto le persone, in cui ciascuno riceve il nome, alimenta l’itinerario di fede, con ruoli differenziati da permetterne il riconoscimento confessionale.

    La struttura organizzativa del territorio, all’alba della introduzione delle riforme disciplinari previste dal concilio di Trento, attraversa una fase di grande fluidità all’interno della quale si assiste ad un tentativo di razionalizzare i rapporti tra centro e periferia attraverso figure intermedie fra curia e sacerdoti diocesani, destinate a diventare permanenti con l’obbiettivo di riorganizzare il clero e conseguentemente i fedeli amministrati. Conoscere per governare è funzionale all’amministrazione, per cui esercitare il controllo del clero e della popolazione dei fedeli, nel loro complesso e nella loro particolarità, è cruciale come si è visto per la realtà della diocesi di Trento. I verbali di visita pastorale sono una fonte importante per la conoscenza della storia, preziosi rivelatori della situazione religiosa (almeno in parte), in virtù della loro larghissima diffusione nel tempo, dal XV secolo soprattutto, e nello spazio, sin nei più piccoli territori all’interno delle istituzioni diocesane; non è facile avere ampi quadri spaziali e temporali, come ad esempio per la realtà delle diocesi della Sardegna.

    Occorre considerare nel particolare le specificità territoriali, mettendo l’accento su quanto il concilio ha potuto o meno modificare, sullo sfondo della lunga durata delle istituzioni ecclesiastiche, sia in un periodo temporale relativamente breve (entro il XVI secolo e da questo punto di vista è interessante l’edizione degli atti delle visite pastorali della diocesi di Arezzo dal 1207 al 1609) che anche più lungo e plurisecolare sino al XVIII secolo e oltre nel XIX. Ad un primo momento di entusiasmo, segue una fase più statica o amministrativamente piatta, con veri e propri momenti di routine (anche nei singoli episcopati); in ogni caso le visite pastorali risentono degli uomini come del tempo: se sono magari concentrate nella prima metà del XVIII secolo per diminuire nella seconda metà, si può osservare una loro ripresa successiva nel corso del XIX, e magari un cambio d’uso della lingua (con prevalenza dell’italiano sul latino); si può avvertire maggiormente il rapporto con la società civile e politica durante, ma non solo, la stagione dei moti risorgimentali soprattutto nel Nord della penisola, evidenziati non solo dalle visite nelle diocesi venete, mentre il visitatore rinforza ciò che fa il parroco (e la figura dei laici è ridotta ai margini).

    Se la fonte in genere testimonia, al di là della pastoralità del vescovo, una porzione della realtà (quella interessante l’istituzione promotrice che ne condiziona il punto di vista), l’interesse maggiore sta nell’andare al di là della realtà abbracciata dall’istituzione che ha creato la fonte, interrogandola adeguatamente, con l’attenzione volta a conoscere direttamente le condizioni religiose, sociali, economiche di ogni realtà istituzionale e la vita religiosa di ogni comunità attorno ad essa aggregata nel contesto politico, sociale, economico, culturale coevo.

    Fonti e Bibl. essenziale

    Cfr. in generale G. Baccrabere, Visite canonique de l’éveque, DDC, VII, Paris 1965, coll. 1512 ss.; per un approccio alle visite cfr. U. Mazzone, A. Turchini, Le visite pastorali. Analisi di una fonte, Bologna 1990, poi Visite pastorali ed elaborazione dei dati. Esperienze e metodi, a c. di C. Nubola, A. Turchini, Bologna 1993, quindi A. Turchini, Dai contenuti alla forma della visita pastorale: problemi e prospettive, in Ricerca storica e chiesa locale in Italia: risultati e prospettive. Atti del IX convegno di studio dell’associazione italiana dei professori di storia della Chiesa, Grado 9-13 settembre 1991, Roma 1995, 133-158; per situazioni esemplari si v. il classico G. De Rosa, Vescovi popolo e magia nel Sud, Napoli 1971, nonché A. Turchini, I questionari di visita pastorale di Carlo Borromeo per il governo della diocesi milanese, “Studia borromaica”, X, 1996, 71-120 e anche, dello stesso autore, Les visites pastorales en Italie après le concile de Trente, in La paroisse communauté et territoire. Constitution et recomposition du maillage paroissial, sous la dir. de B. Merdrignac, D. Pichot, L. Plouchart, G. Provost, Rennes 2013, 207- 215; S. Sitzia, ‘Congregavimus totum clerum et visitavisum eum’. Le visite pastorali in Sardegna dal Medioevo all’età moderna. Approcci metodologici per l’utilizzazione delle fonti visitali sarde, Tesi di dottorato, Facoltà di lettere e filosofia, Università degli studi di Sassari, aa. 2008-2009.


    LEMMARIO